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42 E N Z O F E R R A R I Enzo Ferrari Cinque poesie ENZO FERRARI Cinque poesie LA MIA VIA C'è un monotono rumore di veicoli nella via mentre intorno corrono i ragazzini. Le sudice tute degli operai lasciano una nostalgia di fatica nei loro visi assonnati. Ride la primavera negli azzurri mattini le rondini volano sui giovani e le auto. Così il ricordo inventa le parole. IN PIAZZA Sulla piazza apro i fogli del quaderno assaporo le arance i soli che l'inverno distribuisce i limoni che resistono con i loro allegri frutti. Cammino tra gli orti trovo gli attrezzi dei miei pensieri seguo le tracce l'eco antica i costumi. La mia vita è fatta di scampoli trovati in giro. Chissà cosa sogna chi si ferma in mezzo al profumo dei ricordi: la voce degli agrumi la voce delle amarene è una via senza numero nel mezzo della sera in un azzurro di speranza [...continua...]
44 I M I E I L I B R I Marise Ferro I miei libri I MIEI LIBRI Racconto di Marise Ferro 1 Avevo vent’anni, quando mia madre disse, spazzando di un gesto violento una frangia di riccioli ardenti che le era caduta ad ingombrare metà della fronte: - Marise, ho deciso di andare via di qui... - Via di qui... Dove - chiesi sentendomi scomporre il viso dalla macchia di uno svagato stupore. Mia madre guardava, oltre la finestra, il paese festoso sul quale vagava l’ombra di qua1che nuvola. Non vedevo i suoi occhi, ma li sentivo aggrappati al paesaggio fisso del suo tormento interno, e ch’ella guardava anche fuori di sé, nella campagna, nel cielo, ovunque. - Dove... Non so. In qualunque posto, purché non sia più qui. - Ma, la nostra casa... - azzardai io. Mia madre sentì che potevo essere un ostacolo. Si voltò verso di me, soppesò i miei anni, i miei desideri: le mie aspirazioni, indagò il mio passato: - Niente ti trattiene qui, no Volsi attorno uno sguardo che pareva discendere, già desolato, da una distanza; la camera era ferma in una espressione che le avevo dato io, i mobili erano incastrati nelle pareti dall’abitudine, la tappezzeria sbiadiva, in faccia alla finestra, come i miei sogni, i libri negli scaffali parlavano come buoni amici consolatori, e oltre i vetri la campagna era stemperata, dal mio ricordo di infinite stagioni vere e ideali sovrapposte, in un colore unico ch’era per me il significato e l’essenza della terra. - Ecco, ci sarebbero la casa, e la mia camera, e soprattutto i miei libri... - dissi con la voce annebbiata. - Ma tu sei pazza. Ricostruirai la tua casa, la tua camera in un altro paese. Io non posso più stare qui, capisci Questa città mi opprime, questo cielo mi schiaccia. Io, in questa atmosfera, respiro a stento. Quando esco, mi pare di camminare in un paese nemico, in mezzo a gente ostile, che non riconosco, che non ha niente di comune con me, che parla un’altra lingua. In questa casa che è mia, mi trovo sperduta come un cane randagio che sia stato chiuso in una stanza. Quando mi vedo affiorare in uno specchio, in queste camere dove vivo da anni, guardo sorpresa quella donna che non riconosco nel decoro estraneo. Perché, io non mi sento qui. lo sono lontana, ecco, lontana, non so dove... E poi, perché ti dico certe cose Non è necessario. Tu devi capire questo soltanto: che mi disgrego, qui. E posso ancora salvarmi. Quindi p<strong>art</strong>iamo. [...continua...] 1 Questo racconto, edito sul quindicinale “I ROMANZI DELLA PALMA”, Milano, Mondadori, 7 febbraio 1933 – A. XI, pag. 48-49, non compare nella “Bibliografia degli scritti di Marise Ferro”, pubblicata nel n. 112 di Resine.
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