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MODULO 2 – ENZIMI CARATTERISTICHE ... - life and fitness

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<strong>MODULO</strong> 2 <strong>–</strong> <strong>ENZIMI</strong><br />

<strong>CARATTERISTICHE</strong> GENERALI<br />

Introduzione<br />

L’elevatissimo numero di reazioni chimiche, che in ogni istante avvengono all’interno e all’esterno delle<br />

cellule che costituiscono i nostri tessuti e quelli di tutti gli esseri viventi, non potrebbero avere luogo alle<br />

condizioni di temperatura, pressione e pH fisiologici, se non esistessero gli enzimi.<br />

Gli enzimi sono biocatalizzatori, ovvero proteine che hanno lo specifico compito di accelerare le<br />

trasformazioni chimiche. Questa loro proprietà li rende fulcro principale dei meccanismi che regolano i<br />

diversi percorsi metabolici. Lo studio degli enzimi ha quindi un’importanza notevole per la comprensione<br />

dei processi biochimici che stanno alla base della vita. Al tempo stesso deficienze funzionali o quantitative<br />

di enzimi sono spesso causa di stati patologici. Ne consegue che il loro dosaggio in campioni biologici,<br />

quali plasma o biopsie tessutali, è frequentemente un ausilio diagnostico fondamentale. Infine è<br />

importante ricordare che l’azione di numerosissimi farmaci si esplica attraverso l’interazione con enzimi.<br />

Obiettivi<br />

In questa unità verranno presentate:<br />

le proprietà generali degli enzimi,<br />

la rilevanza degli enzimi in medicina.<br />

Classificazione<br />

Nell’uomo e nella maggior parte degli organismi viventi avvengono in ogni istante numerosissime reazioni<br />

chimiche che possono procedere ad una velocità biologicamente significativa (ovvero compatibile con la<br />

vita) solo grazie alla presenza di catalizzatori biologici denominati enzimi.


Si tratta, nella maggior parte dei casi, di molecole di natura proteica dotate di potere catalitico, ovvero<br />

capaci di aumentare la velocità di reazione delle trasformazioni chimiche, senza subire modificazioni. Al<br />

termine della trasformazione l’enzima si ritrova immutato rispetto alle condizioni di partenza e pronto per<br />

ripetere la propria funzione. Tale attività dipende dalla conformazione proteica dell'enzima e si<br />

caratterizza per l’elevata specificità nei confronti del substrato e della reazione catalizzata. Attraverso la<br />

regolazione dell’attività enzimatica le cellule, i tessuti e gli organismi decidono quali reazioni debbano<br />

avvenire o quanto velocemente debbano procedere.<br />

Il crescente numero degli enzimi conosciuti ha reso necessaria l’introduzione di una nomenclatura e di una<br />

classificazione sistematica, in sostituzione di quella tradizionale. Questa generalmente attribuiva a ciascun<br />

enzima un nome basato sulla natura del substrato e del processo chimico catalizzato, utilizz<strong>and</strong>o il<br />

suffisso -asi (es.: lattato deidrogenasi o glucosio ossidasi). La commissione per gli Enzimi (EC) dell’Unione<br />

Internazionale di Biochimica ha distinto gli enzimi in sei classi principali, poi suddivise ulteriormente in<br />

sottoclassi e sottosottoclassi in base al tipo di reazione catalizzata. Distinguiamo così:<br />

(1) le ossidoreduttasi, che catalizzano il trasferimento di equivalenti riducenti tra due coppie redox,<br />

(2) le trasferasi, per il trasferimento di gruppi di atomi da un donatore ad un accettore,<br />

(3) le idrolasi, per il trasferimento di gruppi all’acqua,<br />

(4) le liasi, che catalizzano la scissione o formazione di legami chimici (spesso doppi),<br />

(5) le isomerasi, che mediano l’interconversione di isomeri come CIS TRANS o L D,<br />

(6) le ligasi, che mediano reazioni di condensazione tra due molecole con accoppiata l’idrolisi di ATP o di<br />

un trifosfato simile.<br />

Gli enzimi catalizzano reazioni chimiche in cui una o più molecole, dette substrato/i, vengono trasformate<br />

in altre molecole, dette prodotto/i. Molto spesso l’attività degli enzimi dipende dalla presenza di<br />

componenti chimici addizionali chiamati cofattori; può trattarsi di ioni inorganici quali Fe 2+ , Mg 2+ o Zn 2+<br />

oppure di molecole più complesse e di natura organica, più propriamente definite coenzimi. Qu<strong>and</strong>o tali<br />

cofattori o coenzimi sono legati stabilmente all’enzima vengono anche definiti gruppi prostetici. Nel caso<br />

di enzimi coniugati a cofattori/coenzimi, il termine di apoenzima definisce la porzione proteica dell’enzima<br />

stesso, mentre quello di oloenzima indica il complesso funzionale nella sua completezza.


Coenzimi<br />

I coenzimi sono molecole importanti ed essenziali per l’attività di molti enzimi, specie di quelli che<br />

catalizzano il trasferimento di elettroni o gruppi di atomi da una molecola all’altra. I coenzimi sono<br />

molecole organiche, spesso derivate da vitamine del gruppo B o dall’adenosinmonofosfato (AMP), che<br />

partecipano attivamente alle trasformazioni chimiche catalizzate dall’enzima. A differenza dell’enzima, che<br />

rimane immutato al termine della reazione chimica, il coenzima può essere considerato un secondo<br />

substrato che subisce trasformazioni opposte a quelle del substrato principale. Per esempio, nella catalisi<br />

di una reazione di ossidoriduzione, qu<strong>and</strong>o una molecola di substrato viene ossidata, una molecola di<br />

coenzima viene ridotta. Oppure, nelle reazioni di trasferimento di gruppi funzionali, il coenzima può<br />

fungere da accettore finale o da trasportatore intermedio.<br />

Le modifiche subite dal coenzima nel corso di una reazione chimica fanno sì che esso non possa essere<br />

disponibile per una nuova reazione senza essere prima riportato (attraverso altre reazioni chimiche) allo<br />

stato iniziale.<br />

L’Interazione enzima-substrato<br />

Specificità<br />

Le caratteristiche fondamentali degli enzimi sono quelle di poter esercitare un’attività catalitica, con<br />

specificità elevata per reagenti e prodotti. Punto essenziale dell’omeostasi cellulare è il fatto che l’attività<br />

enzimatica può essere sottoposta a regolazioni estremamente fini e puntuali. L’azione catalitica (potere<br />

catalitico) degli enzimi si esplica attraverso la creazione di un microambiente specifico in cui una<br />

determinata reazione risulta essere energicamente favorita. Alla base di tale fenomeno sta l’interazione<br />

diretta e specifica tra substrato/i ed enzima, più eventuali coenzimi. La porzione della molecola<br />

enzimatica che media il riconoscimento specifico del substrato viene definita sito attivo o sito di legame<br />

del substrato.


Esso occupa una parte relativamente piccola della molecola enzimatica ed è generalmente una sorta di<br />

cavità o fenditura in cui si adatta il substrato. La superficie di questa sorta di tasca è rivestita da residui<br />

aminoacidici che derivano da parti diverse e solitamente non consecutive della struttura primaria della<br />

proteina. Tali residui partecipano con i loro atomi e gruppi funzionali all’interazione con il substrato e/o<br />

alla formazione/rottura di legami chimici; sono perciò detti gruppi catalitici.<br />

Complementarietà E/S<br />

Il riconoscimento enzima/substrato con formazione del complesso ES (enzima/substrato) è mediato da<br />

attrazioni deboli, quali le interazioni elettrostatiche, legami idrogeno, forze di Van der Waals e<br />

interazioni idrofobiche.


Solo una perfetta complementarietà tra substrato e sito attivo fa sì che il numero di tali interazioni sia<br />

elevato e determini una significativa stabilità del complesso ES.<br />

Da ciò deriva l’assoluta specificità dell’interazione tra i due componenti e del tipo di trasformazione che si<br />

realizza. Tale specificità è così elevata che anche gli stereoisomeri sono discriminati dagli enzimi. Per<br />

esempio, gli enzimi della glicolisi riconoscono come substrati i D-fosfozuccheri, ma non gli L-fosfozuccheri.<br />

Modello chiave serratura<br />

Un enzima è quindi caratterizzato da un assoluta specificità di reagente e di reazione. Il modello della<br />

chiave e della serratura descrive visivamente la specificità dell’interazione tra sito attivo (serratura) e<br />

reagente (chiave).


Tale modello prevede l’esistenza di una perfetta complementarietà tra le due componenti anche qu<strong>and</strong>o<br />

sono fisicamente separate l’una dall’altra.<br />

Modello adattamento indotto<br />

Una rappresentazione alternativa che meglio descrive la realtà dinamica di alcuni complessi ES è quella che<br />

prevede un adattamento reciproco delle due componenti in gioco. Tale modello (adattamento indotto)<br />

prevede che, dopo un primo riconoscimento più debole, l’interazione possa essere rafforzata per intensità<br />

e specificità tramite minimi spostamenti di alcuni atomi costituenti il sito attivo dell’enzima e la porzione<br />

interagente del substrato, con conseguente cambiamento della forma complessiva dei due componenti e<br />

raggiungimento della perfetta complementarietà.<br />

Come ben illustrato nella figura successiva, il modello chiave serratura prevede che sito di riconoscimento<br />

del substrato sull’enzima e substrato (o parte di esso) corrispondano perfettamente l’uno all’altro; al<br />

contrario, nel modello dell’adattamento indotto, la complementarietà tra i due componenti è inizialmente


approssimativa; l’interazione iniziale innesca un processo di adeguamento complementare che ottimizza<br />

l’unione tra enzima e substrato.<br />

Enzimi e medicina<br />

Lo studio e l’analisi quantitativa di alcuni enzimi plasmatici ha un ruolo diagnostico importante in<br />

medicina. Il plasma contiene normalmente alcuni enzimi e proenzimi intrinseci, che svolgono la loro<br />

azione fisiologica nel sangue. Un esempio classico di tale tipologia di enzimi è rappresentato dai fattori<br />

coinvolti nella coagulazione. Nel plasma, in condizioni normali, si riscontrano tuttavia anche bassi livelli di<br />

enzimi estrinseci (non funzionali), che non svolgono in tale sede la loro attività fisiologica; sono enzimi<br />

rilasciati dalle cellule morte nel corso del normale processo di ricambio cellulare a carico di vari organi e<br />

tessuti. Qu<strong>and</strong>o stati patologici si associano a danno tissutale ed aumentata morte cellulare, gli enzimi<br />

cellulari solubili liberati dalle cellule necrotiche si riversano nel circolo ematico; il loro dosaggio può<br />

essere un presidio diagnostico/prognostico importante, in quanto concentrazioni superiori alla norma<br />

indicano la presenza di sofferenza tissutale e spesso, data la distribuzione tessuto-specifica di molti tipi di<br />

enzimi o isoenzimi, consentono l’identificazione dell’organo sofferente. La conoscenza della normale<br />

distribuzione tissutale di molti enzimi, consente quindi di utilizzare il dosaggio degli enzimi plasmatici per<br />

monitorare le condizioni di salute di molti organi. La figura seguente mostra un elenco di enzimi sierici<br />

utilizzati in diagnostica clinica.<br />

Enzimi e diagnostica<br />

Il dosaggio di alcuni enzimi sierici ha raggiunto rilevanza notevolissima nello studio dell’infarto cardiaco.<br />

Monitor<strong>and</strong>o nel tempo le concentrazioni sieriche di enzimi quali la creatin fosfochinasi (CPK) e la lattato


deidrogenasi (LDH) si ottengono informazioni importanti per la diagnosi differenziale, la terapia, e la<br />

prognosi dell’infarto cardiaco.<br />

Già poche ore dopo l’infarto miocardio si riscontra un incremento significativo di CPK, con valori massimi<br />

raggiunti generalmente entro 15-30 ore. Il monotoraggio dell’enzima CPK è un test veloce e dotato di<br />

discreta specificità (aumenti della concentrazione si riscontrano anche nelle patologie muscolari), che può<br />

essere notevolmente incrementata valut<strong>and</strong>o l’isoenzima miocardio, definito CPK-MB.<br />

L’attività dell’enzima LDH nel siero aumenta sensibilmente dopo circa 48-72 ore dall’episodio acuto. Anche<br />

in questo caso la specificià del saggio viene considerevolmente incrementata monitor<strong>and</strong>o l’isoenzima<br />

LDH1 o il rapporto tra le concentrazioni di LDH1 e LDH2.<br />

Isoenzimi e medicina<br />

Lo studio degli isoenzimi ha risvolti molto importanti in medicina, visto che alcuni di essi sono identificabili<br />

e quantificabili nel siero umano (enzimi estrinseci) e il loro dosaggio fornisce informazioni diagnostiche<br />

tessuto-specifiche. Un esempio significativo è quello della LATTATO DEIDROGENASI. Tale enzima è un<br />

complesso multimerico, formato da 4 subunità, di due tipi diversi: la subunità H e la subunità M. La<br />

diversa combinazione delle subunità crea 5 isoenzimi diversi, che differiscono quindi per la loro struttura<br />

quaternaria. Essi sono:<br />

HHHH,<br />

HHHM,<br />

HHMM,<br />

HMMM,<br />

MMMM.<br />

L’abbondanza relativa di diversi isoenzimi differisce da organo ad organo; per esempio il cuore presenta<br />

elevati livelli dell’isoenzima 1 (HHHH), mentre il fegato esprime abbondantemente l’isoenzima 5<br />

(MMMM). Analizz<strong>and</strong>o i livelli sierici specifici di ciascuna isoforma, si possono quindi ottenere<br />

informazioni importanti sulla presenza di danni epatici o cardiaci. La figura mostra i risultati di tale<br />

indagine in tre condizioni diverse.


Riepilogo<br />

Gli enzimi sono proteine con funzione catalitica che regolano la velocità delle trasformazioni chimiche<br />

che sottendono i processi fisiologici. In relazione al tipo di reazione catalizzata sono distinti in sei classi<br />

principali:<br />

ossidoreduttasi,<br />

transferasi,<br />

idrolasi<br />

liasi,<br />

isomerasi ligasi.<br />

Spesso sono pienamente attivi solo in presenza di cofattori (ioni metallici) o coenzimi (molecole<br />

organiche). I coenzimi, a differenza degli enzimi, sono spesso modificati nel corso della reazione chimica.<br />

Gli enzimi si caratterizzano per una elevata specificità di substrato e reazione: interagiscono con un<br />

reagente specifico e ne catalizzano una specifica trasformazione. Nei diversi tessuti di un organismo<br />

possono esistere enzimi che, pur catalizz<strong>and</strong>o la medesima reazione chimica, differiscono per alcune<br />

proprietà fisiche: questi sono detti isoenzimi. Il dosaggio di enzimi e isoenzimi nei campioni biologici può<br />

fornire informazioni diagnostiche importanti.


CINETICA ENZIMATICA<br />

Introduzione<br />

Gli enzimi sono biocatalizzatori, ovvero proteine che hanno lo specifico compito di accelerare le<br />

trasformazioni chimiche. Le caratteristiche cinetiche di una reazione chimica catalizzata da un enzima<br />

rispecchiano in buona parte quelle delle normali reazioni chimiche e sono riconducibili alla teoria della<br />

velocità delle reazioni. Gli enzimi aumentano la velocità di reazione consentendo la trasformazione dei<br />

reagenti in prodotti attraverso un “percorso alternativo” rispetto a quello che avverrebbe in assenza di<br />

enzima. Lo stato di transizione di questo percorso alternativo è caratterizzato da un’energia di attivazione<br />

inferiore. Viene così aumentata la velocità di trasformazione, senza che si determini, in realtà, alcun<br />

effetto sull’equilibrio finale della reazione.<br />

Fattori diversi possono influenzare la cinetica enzimatica come:<br />

la temperatura,<br />

il pH,<br />

le concentrazioni di enzima e substrato,<br />

la presenza di inibitori.<br />

Obiettivi<br />

I punti basilari di questa lezione saranno:<br />

il richiamo agli aspetti fondamentali della cinetica chimica,<br />

la modalità della catalisi enzimatica,<br />

i fattori che influenzano la cinetica enzimatica,<br />

i concetti di K m e velocità massima,<br />

l’inibizione enzimatica e la sua rilevanza in medicina.<br />

Cinetica chimica: equilibrio e velocità di reazione<br />

Cinetica chimica: Δ G°’, equilibrio e spontaneità di reazione<br />

Le reazioni chimiche sono per la maggior parte processi reversibili; se i reagenti A e B si combinano a<br />

formare il prodotto AB, quest’ultimo, nelle stesse condizioni, può dissociarsi per dare A e B. Partendo da<br />

condizioni iniziali diverse (diverse concentrazioni di A e B) si raggiungerà comunque uno stadio finale di<br />

equilibrio dinamico in cui la velocità di formazione di AB sarà pari a quella di scissione di AB in A e B. La<br />

direzione in cui la reazione tende a procedere e le concentrazioni di reagenti e prodotti al raggiungimento<br />

dell’equilibrio finale sono determinate dalla differenza di energia libera tra i prodotti e i reagenti. Questo<br />

parametro termodinamico è denominato variazione di energia libera (Δ G e Δ G°’ in condizioni st<strong>and</strong>ard<br />

biologiche). Qu<strong>and</strong>o Δ G°’ è negativo, ovvero i prodotti hanno energia libera inferiore a quella dei<br />

reagenti, la reazione tende a procedere verso i prodotti. Al contrario, se Δ G°’ è positivo sarà favorita la<br />

direzione opposta. Esiste una correlazione diretta tra Δ G°’ e costante d’equilibrio tale per cui:<br />

Δ G°’ = -RT ln Keq.<br />

Cinetica chimica: stato di transizione e velocità di reazione<br />

La variazione di energia libera indica in che direzione tende a procedere spontaneamente la reazione fino<br />

all’equilibrio, ma non fornisce informazioni sulla velocità con cui tale equilibrio viene raggiunto.


Molte reazioni, pur possedendo Δ G°’ altamente favorevoli, decorrono con estrema lentezza. La velocità<br />

con cui una reazione chimica procede dipende invece dalle sue caratteristiche cinetiche, e in particolar<br />

modo da un parametro indicato con il termine di energia di attivazione. Con essa si indica una barriera<br />

energetica che esiste tra reagenti e prodotti e che corrisponde all’energia necessaria ad allineare i gruppi<br />

reagenti, a formare cariche transitorie instabili, ad allentare legami esistenti e formarne parzialmente di<br />

nuovi, in modo che la trasformazione chimica possa avvenire. Questa barriera energetica, definita energia<br />

di attivazione, corrisponde all’energia necessaria per il raggiungimento di uno stato di transizione tra<br />

reagenti e prodotti. Quanto maggiore è l’energia di attivazione tanto minore è la velocità di reazione.


La teoria delle collisioni<br />

Secondo la teoria delle collisioni, affinché due reagenti possano trasformarsi in prodotti essi devono<br />

collidere. Solo una parte delle collisioni è efficace ai fini della reazione chimica, quelle in cui le molecole<br />

reagenti hanno un’energia cinetica sufficiente a far superare la barriera di attivazione e a generare lo<br />

stato di transizione.<br />

Aument<strong>and</strong>o la temperatura si aumenta l’energia cinetica delle molecole e quindi si aumenta la velocità<br />

di reazione; risultato analogo si ottiene aument<strong>and</strong>o la concentrazione dei reagenti, in quanto si rendono<br />

più probabili le collisioni tra molecole, tra queste anche quelle produttive.<br />

Enzimi: i catalizzatori biologici<br />

La velocità di una reazione chimica può essere aumentata dall’intervento di catalizzatori, ed in particolar<br />

modo di enzimi. Gli enzimi consentono una maggiore velocità di reazione rendendo possibile un<br />

“percorso alternativo” per la trasformazione dei reagenti in prodotti. Tale percorso è caratterizzato da uno<br />

o più stati di transizione con un’energia di attivazione inferiore rispetto a quello in condizioni basali.


Questo fa sì che in presenza di un enzima l’equilibrio della reazione venga raggiunto molto più<br />

velocemente, senza che vengano però mutate le sue caratteristiche; la Keq non cambia. Infatti l’enzima si<br />

ritrova inalterato alla fine della reazione e quindi non ha effetto sulla variazione globale di Δ G°, che<br />

dipende esclusivamente dallo stato iniziale e finale delle molecole coinvolte nella reazione. L’effetto di un<br />

enzima sulla velocità di reazione è spesso rimarchevole, con incrementi che possono <strong>and</strong>are da 5 a 17<br />

ordini di gr<strong>and</strong>ezza.


Azione catalitica<br />

L’azione catalitica degli enzimi si realizza attraverso l’interazione diretta con il substrato a livello del sito<br />

attivo. Tale interazione dà luogo a fenomeni che consentono di spiegare come la presenza dell’enzima<br />

possa accelerare la reazione.<br />

Consider<strong>and</strong>o per esempio la reazione bimolecolare A + B -> C è intuitivo comprendere che<br />

l’alloggiamento dei substrati (A e B) nel sito attivo determina un incremento della loro concentrazione<br />

locale rispetto a quella esistente nella soluzione in assenza di enzima. A tale effetto di prossimità tra i<br />

reagenti, si aggiunge un effetto di orientazione.<br />

L’enzima facilita quindi l’incontro produttivo tra i substrati vincol<strong>and</strong>oli nel sito attivo, impedendone i<br />

movimenti traslazionali e rotazionali ed affront<strong>and</strong>o opportunamente tra loro le parti/superfici coinvolte<br />

nella trasformazione.


Tensione di deformazione<br />

Secondo il modello dell’adattamento indotto, l’interazione enzima/substrato comporta inoltre una<br />

tensione di deformazione in entrambi i componenti: l’enzima va incontro al riallineamento di alcuni<br />

residui aminoacidici (specie nel sito attivo) in modo che il loro orientamento spaziale divenga ottimale per<br />

il legame del substrato e per la catalisi.


A sua volta, il substrato va incontro a modifiche conformazionali e assume le caratteristiche dello stato di<br />

transizione. L’energia libera rilasciata dalla serie di interazioni deboli che determinano la formazione del<br />

complesso ES consente la riduzione dell’energia di attivazione necessaria per il raggiungimento dello stato<br />

di transizione. Il sito attivo dell’enzima, mediante l’energia di legame liberata nell’interazione con il<br />

substrato, determina sia il potere catalitico che la specificità dell’enzima stesso.<br />

Fattori che influenzano la cinetica enzimatica<br />

Temperatura: Come per le reazioni che avvengono in assenza di enzima, anche per quelle catalizzate da<br />

enzimi l’incremento di temperatura, aument<strong>and</strong>o l’energia cinetica delle molecole reagenti, comporta<br />

una maggiore velocità di reazione.<br />

Tuttavia, in presenza di enzima, l’innalzamento progressivo della temperatura provoca ad un certo punto<br />

la denaturazione dell’enzima, ovvero la perdita della sua struttura tridimensionale, essenziale per la<br />

funzionalità della molecola. Qu<strong>and</strong>o questo avviene l’attività catalitica risulta completamente annullata.<br />

E’ evidente che nell’uomo (a differenza di altri organismi viventi) i cambiamenti di temperatura<br />

compatibili con la vita sono così limitati che poco incidono sulle sue reazioni chimiche, sia in assenza che in<br />

presenza di enzima.<br />

PH: Anche il pH è un parametro che può modificare la velocità di reazioni enzimatiche. La maggior parte<br />

degli enzimi presenta attività ottimale ad un valore di pH compreso tra 5 e 9 e lo scostamento verso<br />

valori estremi di acidità o basicità determina denaturazione o comunque alterazione della carica netta<br />

dell’enzima, e in particolar modo dei gruppi del sito attivo, con conseguente perdita di attività.


La concentrazione dell'enzima: La velocità di una reazione chimica catalizzata da un enzima è<br />

generalmente proporzionale alla concentrazione dell’enzima stesso.<br />

All’interno delle cellule la concentrazione degli enzimi è notevolmente inferiore alla concentrazione dei<br />

substrati, e quindi piccole modifiche della quantità di enzima disponibile si riflettono significativamente<br />

sulla velocità di trasformazione dei substrati in prodotti.<br />

La concentrazione del substrato: In un sistema in vitro (in laboratorio) è facile osservare come la quantità<br />

di substrato [S], tenute costanti tutte le altre condizioni, sia in grado di influenzare la velocità delle<br />

reazioni enzimatiche. Ai fini sperimentali si misura la velocità iniziale (Vi) della reazione e si osserva come<br />

cambi al variare di [S]: come evidenziato dal grafico nella figura, Vi aumenta progressivamente al crescere<br />

di [S] fino al momento in cui si raggiunge un valore massimo (Vmax) che non risulta ulteriormente<br />

incrementabile da aggiunte di ulteriore S.


La curva del grafico (descrizione sperimentale) è descritta perfettamente dal modello di Michaelis-Menten<br />

(descrizione teorica), che prevede appunto la formazione di un complesso ES tra enzima e substrato<br />

seguita dalla rapida trasformazione in prodotto.<br />

L’equazione che descrive tale modello è: Vi = Vmax [S] / K m +[S], in cui Vi e Vmax sono rispettivamente<br />

Velocità iniziale e massima della reazione, [S] indica la concentrazione del substrato e K m è una costante<br />

specifica di ciascun enzima, detta costante di Michaelis-Menten.<br />

L’equazione ed il grafico ci mostrano che:


() qu<strong>and</strong>o [S] è molto bassa (numericamente trascurabile rispetto al valore di Km), vi è una proporzionalità<br />

diretta tra Vi e [S]: Vi = Vmax [S] / K m (Poiché Vmax e Km sono costanti specifiche di ciascun enzima<br />

possiamo scrivere Vi=K [S])<br />

() qu<strong>and</strong>o [S] è molto alta (K m numericamente trascurabile rispetto a [S]), la Vi diviene uguale alla Vmax<br />

(non più influenzabile da incrementi di [S]): Vi = Vmax<br />

() qu<strong>and</strong>o [S] è uguale a K m , si ha che la Vi è uguale alla metà della Vmax: Vi = Vmax [S] / 2[S] = ½ Vmax (i<br />

valori di [S] al numeratore e denominatore si elidono)<br />

K m è quindi una costante che caratterizza ciascun enzima e che ha le dimensioni di una concentrazione<br />

molare. Per quanto detto al paragrafo precedente, corrisponde infatti alla concentrazione di substrato a<br />

cui la velocità iniziale è pari alla metà della velocità massima (Vi = ½ Vmax) .<br />

I valori di Vmax e K m caratterizzano ciascun enzima e possono essere determinati sperimentalmente. Ai<br />

fini pratici tale procedura risulta molto più semplice descrivendo il variare di Vi al variare di [S] attraverso il<br />

grafico dei doppi reciproci di Lineweaver-Burk, che presenta appunto i reciproci di Vi (1/Vi) e di [S]<br />

(1/[S]) rispettivamente in ordinata ed ascissa.


Il grafico evidenzia come l’intersezione della retta (che teoricamente si può ottenere dopo aver effettuato la<br />

misurazione di Vi a due diverse [S]) con l’asse delle ascisse consente di calcolare il valore di K m (1/K m );<br />

mentre l’intersezione con l’asse delle ordinate quello di Vmax (1/Vmax). Per la maggior parte degli enzimi<br />

il cui comportamento è descrivibile dall’equazione di Michaelis-Menten, il reciproco di K m (1/K m ) è<br />

un’indicazione dell’affinità dell’enzima per il substrato, ovvero di quanto efficace è il riconoscimento tra<br />

enzima e substrato. Non tutti gli enzimi mostrano la cinetica di saturazione descritta dall’equazione di<br />

Michaelis-Menten. Per alcuni di essi la curva di saturazione di Vi rispetto a [S] non è iperbolica, bensì<br />

sigmoidale (che ha la forma di una s).<br />

Questo comportamento è tipico di enzimi che interagiscono in modo cooperativo con il substrato:<br />

l’interazione con una molecola di S facilita e migliora l’interazione con un’ulteriore molecola. Per questi<br />

enzimi, chiamati enzimi allosterici, K m e Vmax non possono essere calcolati come descritto in<br />

precedenza. Per alcuni enzimi di questa natura, esistono molecole capaci di potenziarne l’attività catalitica<br />

(attivatori allosterici) ed altre capaci di diminuirla (inibitori allosterici).<br />

Gli inibitori: Le reazioni catalizzate da enzimi possono essere rallentate o bloccate da inibitori<br />

enzimatici. Molti farmaci sono inibitori enzimatici. Gli inibitori possono essere: reversibili e irreversibili.<br />

I primi si possono dissociare dall’enzima ripristin<strong>and</strong>one l’attività, mentre i secondi legano<br />

covalentemente o modificano definitivamente alcune porzioni essenziali dell’enzima alter<strong>and</strong>one la<br />

funzionalità; spesso vengono definiti veleni degli enzimi.


Gli inibitori reversibili possono essere distinti in competitivi e non competitivi in base alle loro modalità<br />

di interazione con l’enzima. I metodi d’analisi cinetica con cui si studiano gli enzimi (curva di<br />

saturazione dell’enzima) consentono di distinguere questi due tipi di inibizione enzimatica. Un inibitore<br />

competitivo compete con il substrato per il legame con il sito attivo. Se l’inibitore occupa il sito attivo<br />

blocca l’accesso del substrato e rallenta/blocca il processo catalitico. Solitamente gli inibitori competitivi<br />

sono molto simili al substrato e ne mimano la capacità di interazione con il sito attivo. Essendo tuttavia<br />

l’interazione inibitore/enzima reversibile, ne risulta che l’inibizione può essere scalzata da un<br />

incremento della concentrazione del substrato.<br />

Il diagramma di Lineweaver-Burk evidenzia alcune caratteristiche fondamentali di tale inibizione:<br />

la Vmax della reazione non viene cambiata poiché, anche in presenza di un inibitore, si può incrementare<br />

[S] per ottenere la stessa Vmax. Si osserva invece una riduzione apparente dell’affinità per il substrato (1/K m<br />

apparente < 1/K m ), poichè occorre un maggiore [S] per ottenere ½ di Vmax.


Un inibitore non competitivo si lega invece ad un sito diverso da quello che riconosce il substrato e<br />

riduce o blocca l’attività dell’enzima.<br />

Questo può legare normalmente il substrato (la K m dell’enzima rimane quindi invariata), ma non può<br />

catalizzarne la trasformazione in prodotto; la Vmax della reazione è conseguentemente inferiore a quella<br />

ottenibile in assenza di enzima competitivo.<br />

Inibitori enzimatici come farmaci. Molti farmaci esplicano la propria azione in quanto inibitori<br />

enzimatici. Un esempio importante e famoso è il farmaco penicillina, un inibitore irreversibile di un<br />

enzima batterico (glicopeptide transferasi) essenziale per la sintesi della parte batterica.


La penicillina è strutturalmente simile al substrato di questo enzima (il peptide con due amino acidi D-<br />

alanina terminali) e si lega quindi al suo sito attivo. L’interazione enzima/penicillina è tuttavia molto forte e<br />

forma un intermedio molto stabile e praticamente non scalzabile dal substrato reale. Per questo la<br />

penicillina è definita anche un substrato suicida, che blocc<strong>and</strong>o irreversibilmente l’enzima glicopeptide<br />

transferasi determina la morte di batteri in divisione.<br />

Riepilogo<br />

Gli enzimi modificano sensibilmente la velocità di reazione senza tuttavia modificare la variazione di<br />

energia libera e quindi l’equilibrio della reazione stessa. La prima tappa della catalisi è la formazione del<br />

complesso ES, mediata dall’interazione complementare tra sito attivo e substrato. Questo comporta un (1)<br />

aumento della concentrazione locale dei substrati, (2) il loro corretto orientamento ai fini della<br />

trasformazione, (3) una tensione di deformazione, che nell’insieme portano alla riduzione dell’energia di<br />

attivazione relativa allo stato di transizione. La temperatura, il pH, la concentrazione dell’enzima e del<br />

substrato, la presenza di inibitori possono influenzare l’attività catalitica degli enzimi. Il modello di<br />

Michaelis-Menten spiega le proprietà cinetiche di molti enzimi.


REGOLAZIONE E CONTROLLO DELL’ATTIVITA’ ENZIMATICA<br />

Introduzione<br />

In questa lezione verrà affrontata un’altra importante proprietà degli enzimi: la regolazione della loro<br />

attività catalitica. Poiché le reazioni chimiche del nostro organismo e degli esseri viventi in genere sono<br />

catalizzate da enzimi, la regolazione di questi ultimi è un processo fondamentale per stabilire qu<strong>and</strong>o e per<br />

quanto ciascuna reazione debba avvenire. Questo è un aspetto determinante dell’omeostasi, ovvero del<br />

mantenimento di un equilibrio metabolico. Comprendere la regolazione enzimatica significa<br />

comprendere le dinamiche di regolazione di cellule normali, ma anche le disfunzioni regolatorie associate<br />

a stati patologici.<br />

Obiettivi<br />

Questa lezione ha come obiettivi la descrizione degli aspetti fondamentali della regolazione enzimatica.<br />

Saranno presentate le proprietà della regolazione passiva ed attiva e verranno approfonditi: (1) il<br />

controllo allosterico (2) il controllo mediante modifiche covalenti: la fosforilazione e la proteolisi<br />

parziale.<br />

La regolazione passiva<br />

Il mantenimento dell’equilibrio metabolico (omeostasi), da parte delle cellule e dell’organismo in toto,<br />

necessita della capacità di bilanciare e coordinare le reazioni metaboliche modul<strong>and</strong>one la velocità in base<br />

ai cambiamenti dell’ambiente intra ed extracellulare. Diversi fattori possono influenzare l’attività<br />

enzimatica: alcuni di questi sono intrinseci alla modalità di funzionamento degli enzimi stessi e<br />

all’organizzazione cellulare basale, ovvero si innescano spontaneamente (passivamente) al variare delle<br />

condizioni basali; altri richiedono l’intervento di meccanismi specifici ed altre molecole (modalità attiva).<br />

Tra i primi fattori rientra il dato che buona parte degli enzimi ha valori di K m vicini a quelle che sono le<br />

concentrazioni basali dei substrati all’interno delle cellule. Ciò significa che, basalmente, gli enzimi<br />

funzionano ad una velocità pari ad ½ di quella massima, apparentemente uno svantaggio; ciò significa<br />

invece che, di fronte ad aumenti subitanei della quantità di substrato, l’enzima può aumentare<br />

efficacemente la velocità di trasformazione in prodotto.


Come evidenzia il grafico, questo non sarebbe possibile se gli enzimi lavorassero costitutivamente a<br />

velocità prossime alla massima. Le semplici risposte cinetiche al variare della concentrazione del<br />

substrato rappresentano un importante meccanismo di regolazione passiva dell’attività enzimatica.<br />

L'organizzazione dei flussi metabolici. Le reazioni chimiche delle cellule sono per lo più organizzate in<br />

catene metaboliche in cui il prodotto finale di una reazione diviene il reagente della reazione successiva.<br />

Dal punto degli equilibri, questo fa si che anche reazioni teoricamente reversibili (con Δ G vicini a zero)<br />

divengano irreversibili e quindi procedano in una sola direzione. Queste catene possono essere<br />

considerate quasi come un’unica reazione il cui Δ G finale è la somma di tutti i Δ G delle singole reazioni.<br />

Essendo il flusso delle reazioni unidirezionale, la catena assume specificità funzionale ed il processo<br />

inverso dovrà prevedere altri meccanismi enzimatici. L’intero flusso di metaboliti lungo una catena di<br />

questa natura può essere semplicemente controllato regol<strong>and</strong>o una o più tappe specifiche, che divengono<br />

le tappe limitanti dell’intero processo.<br />

Così come il flusso di acqua in una conduttura dipende dalla sezione del punto più stretto della conduttura<br />

stessa, il flusso di molecole lungo una catena metabolica dipende dalla velocità con cui procedono le<br />

reazioni più lente e quindi limitanti. Questo semplifica i meccanismi di regolazione perché consente di<br />

concentrarli su uno o due enzimi, piuttosto che su tutta una serie di proteine e reazioni diverse.<br />

La regolazione attiva<br />

Alle modifiche dell’attività enzimatica che si innescano spontaneamente si aggiungono i meccanismi attivi<br />

di regolazione, che esercitano un ruolo fondamentale nel garantire l’omeostasi cellulare e la capacità di<br />

adeguarsi a cambiamenti subitanei dell’ambiente esterno.<br />

La capacità catalitica degli enzimi cellulari può essere attivamente influenzata tramite due diversi<br />

meccanismi generali:<br />

(1) modifiche della quantità di enzima disponibile,<br />

(2) variazioni dell’efficienza intrinseca degli enzimi stessi.


La quantità totale di ciascun enzima presente nella cellula dipende dalla velocità con cui è sintetizzato e<br />

degradato. In molti casi, entrambi questi processi possono essere selettivamente incrementati o<br />

rallentati, determin<strong>and</strong>o una variazione della concentrazione dell’enzima e quindi della sua attività<br />

catalitica. Esistono molecole, spesso gli stessi substrati di reazioni enzimatiche, che sono in grado di<br />

indurre la sintesi di uno o più enzimi coinvolti nel loro metabolismo: si utilizza in questi casi il termine di<br />

induttore, ed inducibili sono gli enzimi la cui espressione viene così regolata. Si distinguono dagli enzimi<br />

costitutivi, le cui concentrazioni cellulari non dipendono dalla presenza di induttori. L’esempio classico di<br />

enzima inducibile è la Gal-1, necessario per il metabolismo del galattosio nei lieviti: l’enzima viene<br />

prodotto solo in presenza di galattosio nel terreno di coltura. L’induzione enzimatica è un processo che<br />

avviene anche nelle cellule di mammifero. Esiste inoltre anche la possibilità opposta: un metabolita<br />

appena prodotto da una via enzimatica agisca da repressore nei confronti di uno o più enzimi della stessa<br />

via metabolica blocc<strong>and</strong>o quindi l’ulteriore sintesi. Questo meccanismo viene anche definito repressione<br />

retrograda da prodotto. Entrambi i meccanismi si esplicano attraverso la regolazione dei processi<br />

trascrizionali o traduzionali di specifici enzimi.<br />

Se la regolazione dell’espressione e quindi della sintesi enzimatica è un meccanismo di regolazione ben<br />

noto e caratterizzato, si deve ricordare che esiste anche la possibilità che la concentrazione di un enzima<br />

venga modificata alter<strong>and</strong>o la stabilità dell’enzima stesso, ovvero la velocità con cui viene degradato. Il<br />

ricambio delle proteine cellulari è un processo ben caratterizzato: ciascuna proteina ha un tempo di<br />

emivita definito. La stabilità di un enzima può dipendere da fattori diversi, quali: l’interazione con metalli,<br />

l’interazione con coenzimi, l’interazione con altre molecole e modifiche covalenti che possono<br />

modificarne la conformazione e renderlo quindi più suscettibile ai processi degradativi.<br />

Esistono enzimi (ad esempio l’arginasi epatica) la cui concentrazione può essere regolata da modifiche<br />

della stabilità proteica, ovvero della suscettibilità alla degradazione.<br />

La regolazione della concentrazione enzimatica tramite variazioni della sintesi e/o della degradazione è<br />

un meccanismo efficace ma piuttosto lento, che generalmente sottende adattamenti a lungo termine. Gli<br />

adeguamenti cellulari a rapidi cambiamenti dell’ambiente esterno sono più spesso mediati da<br />

modificazioni istantanee, ma transitorie, della capacità catalitica degli enzimi. Questo tipo di regolazione si<br />

esplica attraverso tre modalità diverse (1) la regolazione allosterica (2) la regolazione tramite modifiche<br />

covalenti (3) la regolazione proteolitica.


La regolazione allosterica. L’efficienza di alcuni enzimi può essere sensibilmente modificata dalla presenza<br />

di molecole di diversa natura (effettori) che, interagendo con l’enzima tramite siti diversi dal sito attivo, ne<br />

modificano la conformazione e quindi l’attività catalitica. Enzimi con queste caratteristiche vengono detti<br />

allosterici; si tratta generalmente di enzimi che esplicano il ruolo fondamentale di regolatori nel contesto<br />

di vie metaboliche, catalizz<strong>and</strong>o la reazione limitante dell’intero processo. La modulazione della loro<br />

attività consente il controllo dell’intero percorso metabolico. Spesso sono proteine multimeriche con un<br />

sito attivo ed uno o più siti allosterici. L’occupazione dei siti allosterici da parte di un lig<strong>and</strong>o influenza il<br />

legame del substrato e può determinare sia l’incremento che il rallentamento della catalisi.<br />

La cinetica di saturazione degli enzimi allosterici è descritta da una curva di tipo sigmoide, e non da un<br />

iperbole tipica del modello di Michaelis-Menten. Questo comportamento cinetico riflette spesso<br />

un’interazione (indiretta) tra effettore ed enzima (spesso multimerico) : il legame dell’effettoread una<br />

subunità ne determina modifiche strutturali che si ripercuotono sulle altre subunità dell’enzima<br />

facilit<strong>and</strong>o/inibendo il successivo legame del substrato.


Gli effettori sono spesso prodotti intermedi o finali della stessa via metabolica di cui fa parte l’enzima del<br />

quale regolano l’attività oppure di vie metaboliche diverse. Nel primo caso si tratta generalmente di un<br />

fenomeno di inibizione retrograda da prodotto, in cui il prodotto finale di una catena metabolica inibisce<br />

un enzima chiave dello stesso processo, per bloccare la sua stessa sintesi. Nel secondo caso si tratta<br />

invece di un importante modalità di connessione e comunicazione tra processi metabolici diversi.


Esempio di controllo allosterico: la protein chinasiA (PKA) Molti ormoni esplicano la propria attività<br />

attraverso secondi messaggeri allosterici; esempi importanti che verranno approfonditi in seguito sono lo<br />

ione calcio e l’adenosinmonofosfato ciclico (cAMP). La figura rappresenta l’attivazione della protein<br />

chinasi A (PKA) da parte del cAMP. L’effettore allosterico (cAMP) si lega alle subunità regolatrici di PKA,<br />

determin<strong>and</strong>one così modifiche conformazionali che consentono il distacco dalle subunità catalitiche;<br />

queste divengono così attive e in grado di fosforilare substrati diversi.


La regolazione tramite modifiche covalenti. Una vasta classe di enzimi regolatori viene invece modulata<br />

tramite modifiche covalenti della proteina. La fosforilazione/defosforilazione di enzimi rappresenta<br />

certamente il meccanismo di regolazione più comune.<br />

Si tratta di processi transitori e reversibili in cui un gruppo fosfato viene legato o distaccato da un residuo<br />

di serina, treonina o tirosina della catena aminoacidica di un enzima. Nel caso della formazione dell’estere<br />

fosforico, il gruppo fosfato proviene da una molecola di adenosintrifosfato (ATP) o da un’analoga molecola<br />

trifosfato. Tale reazione è catalizzata da enzimi come protein chinasi. Il distacco del fosfato dalla catena<br />

aminoacidica è un processo termodinamicamente spontaneo e catalizzato da proteine definite<br />

fosfoproteinfosfatasi.<br />

La rapidità con cui un enzima può passare da uno stato all’altro rende tale meccanismo di estrema<br />

importanza per la regolazione enzimatica; consente infatti di innescare rapidamente un’attività catalitica<br />

rispondendo in tempo reale ai mutati bisogni cellulari, per poi poter tornare altrettanto rapidamente allo<br />

stato basale. È bene ricordare che non esiste una corrispondenza univoca tra stato di fosforilazione degli<br />

enzimi e loro attività: ovvero il trasferimento di fosfati su enzimi determina attivazione per alcuni di essi<br />

ed inattivazione per altri.<br />

Se la fosforilazione/defosforilazione rappresenta il meccanismo più diffuso di modifica covalente e<br />

reversibile di enzimi, esistono modalità di regolazione mediate dal di trasferimento di gruppi chimici diversi<br />

dal fosfato; tra queste possiamo ricordare l’adenilizaione (trasferimento di AMP), l’uridilazione<br />

(trasferimento di UMP, nucleotide simile all’AMP, in cui l’adenina è sosttutita dall’uracile) e la metilazione<br />

(trasferimento di metili).


La regolazione tramite proteolisi parziale. Il trasferimento di gruppi chimici diversi sugli enzimi<br />

rappresenta un meccanismo di regolazione transitorio e reversibile. Al contrario la regolazione che<br />

prevede la proteolisi parziale dell’enzima è un meccanismo irreversibile. Alcuni enzimi sono sintetizzati<br />

come proenzimi o zimogeni privi di attività catalitica. L’attivazione di questi zimogeni richiede uno o più<br />

tagli proteolitici che convertono il proenzima in enzima. Esempi di questo tipo di regolazione si hanno con<br />

gli enzimi della digestione (pepsina, pepsinogeno, tripsinogeno e chimotripsinogeno) e quelli della<br />

coagulazione del sangue e della lisi del coagulo (fattori XII, XI, X, II, plasminogeno).


La rottura di specifici legami peptidici determina modifiche conformazionali che espongono il sito attivo<br />

dell’enzima. Essendo l’attivazione per proteolisi un meccanismo irreversibile, il blocco dell’attività<br />

catalitica così innescata dipende da inibitori proteici che si legano fortemente al sito attivo dell’enzima.<br />

Lo stesso tipo di attivazione riguarda altre proteine del nostro organismo, con funzioni diverse da quella<br />

enzimatica. Esempio importante di preproteina attivata tramite proteolisi è quello dell’insulina.<br />

Riepilogo<br />

Il mantenimento dell’omeostasi cellulare, ovvero di un ambiente intracellulare relativamente stabile<br />

nonostante le numerosissime variazioni che avvengono nell’ambiente esterno, è un processo<br />

estremamente importante e complicato, che prevede la regolazione continua di molte attività<br />

biochimiche cellulari. Questa regolazione si attua preferenzialmete modul<strong>and</strong>o l’attività degli enzimi, i<br />

catalizzatori biologici che determinano la velocità delle reazioni chimiche.<br />

La regolazione enzimatica si esplica attraverso meccanismi passivi, ovvero intrinseci alle caratteristiche di<br />

funzionamento della catalisi biochimica, e meccanismi attivi, che prevedono l’intervento di molecole od<br />

effettori specifici. La regolazione passiva si basa sul fatto che molti enzimi hanno una K m vicina alle<br />

concentrazioni basali intracellulari del loro substrato; questo fa sì che, ad incrementi della disponibilità di<br />

substrato, l’enzima possa intrinsecamente rispondere con un incremento della velocità di catalisi. A<br />

questa capacità di adattamento spontaneo si aggiunge una regolazione attiva, spesso innescata da stimoli<br />

ormonali o nervosi, che interviene soprattutto per adeguare lo stato metabolico a fattori esterni. Tale<br />

regolazione si manifesta sugli enzimi che catalizzano le tappe limitanti delle vie metaboliche<br />

(generalmente le reazioni irreversibili o le più lente).<br />

Si realizza attraverso modalità diverse:<br />

(1) variazioni della quantità di enzima disponibile, tramite induzione dell’espressione o stimolazione della<br />

degradazione;<br />

(2) regolazione allosterica, come nel caso dell’inibizione retrograda da prodotto;<br />

(3) innesco di modifiche covalenti, quali il trasferimento di gruppi fosfato o la proteolisi parziale del<br />

proenzima.<br />

CO<strong>ENZIMI</strong> E VITAMINE<br />

Introduzione<br />

Molti enzimi sono funzionali solo in presenza di cofattori che ne completano la specificità di interazione<br />

con il substrato o la capacità catalitica. Alcuni cofattori sono molecole organiche che agiscono spesso da<br />

co-substrato della reazione chimica; in questo caso sono denominati coenzimi.<br />

Molti coenzimi sono molecole essenziali che l’organismo ottiene dalle vitamine del gruppo B.<br />

Le vitamine sono molecole organiche necessarie per l’espletamento di numerose funzioni biologiche.<br />

Devono essere assunte con la dieta perché l’organismo non è in grado di sintetizzarle.<br />

Obiettivi<br />

In questa lezione verranno illustrate le caratteristiche chimiche e le modalità d’azione dei principali<br />

coenzimi presenti nelle cellule. Verranno anche descritte le vitamine del gruppo B da cui derivano questi<br />

coenzimi e infine verrà accennata la natura e le funzioni delle altre vitamine essenziali per il nostro<br />

organismo.


Coenzimi<br />

Spesso l’attività degli enzimi dipende dalla presenza di componenti chimici addizionali chiamati cofattori;<br />

può trattarsi di ioni inorganici quali Fe 2+ , Mg 2+ o Zn 2+ , legati più o meno saldamente all’enzima, oppure di<br />

molecole più complesse e di natura organica, più propriamente definite coenzimi.<br />

Qu<strong>and</strong>o tali coenzimi sono legati stabilmente all’enzima vengono anche definiti gruppi prostetici. Nel caso<br />

di enzimi coniugati a cofattori/coenzimi, il termine di apoenzima definisce la porzione proteica dell’enzima<br />

stesso, mentre quello di oloenzima indica il complesso funzionale nella sua completezza. I coenzimi sono<br />

molecole importanti per l’attività di molti enzimi, specie di quelli che catalizzano il trasferimento di<br />

elettroni o gruppi di atomi da una molecola all’altra. I coenzimi sono molecole organiche che partecipano<br />

attivamente alla trasformazione chimica catalizzata dall’enzima.<br />

Spesso, a differenza dell’enzima, che rimane immutato al termine della reazione, il coenzima può essere<br />

considerato un secondo substrato, che subisce nel corso della reazione chimica trasformazioni opposte a<br />

quelle del substrato principale. Per esempio, nella catalisi di una reazione di ossidoriduzione, qu<strong>and</strong>o una<br />

molecola di substrato viene ossidata, una molecola di coenzima viene ridotta. Oppure, nelle reazioni di<br />

trasferimento di gruppi funzionali, il coenzima può fungere da accettore finale o da trasportatore<br />

intermedio.


Le modifiche subite dal coenzima nel corso di una reazione chimica fanno sì che esso non possa essere<br />

disponibile per una nuova reazione senza essere prima riportato, attraverso altre reazioni chimiche, allo<br />

stato iniziale.<br />

Molti coenzimi sono molecole essenziali, ovvero non sintetizzabili dalle nostre cellule. Devono quindi<br />

essere introdotti con la dieta. Precursori metabolici di molti coenzimi sono le vitamine del gruppo B.<br />

Le vitamine sono nutrienti organici essenziali, ovvero molecole che, almeno in piccola quantità, devono<br />

essere apportate con la dieta in quanto la loro sintesi endogena è impossibile o comunque insufficiente<br />

rispetto alle esigenze fisiologiche dell’organismo. Sono invece prodotte da microrganismi o vegetali.<br />

L’assenza o la carenza di vitamine nella dieta può determinare situazioni patologiche diverse: ad esempio<br />

la pellagra, lo scorbuto, il beriberi sono tipiche manifestazioni dovute ad insufficiente apporto di vitamine<br />

con la dieta, tuttavia è bene ricordare che alcuni stati carenziali possono derivare non da una dieta non<br />

bilanciata, bensì da alterazioni dell’assorbimento o del metabolismo di queste molecole. Sono noti


achitismi resistenti all’apporto di vitamina D, piuttosto che anemie perniciose associate al mancato<br />

assorbimento di vitamina B12. Classicamente le vitamine sono distinte in due gruppi:<br />

() le vitamine idrosolubili: le vitamine del gruppo B e la vitamina C<br />

() le vitamine liposolubili: le vitamine A, D, E e K.<br />

Le vitamine del gruppo B<br />

Sono molecole idrosolubili da cui derivano molti coenzimi essenziali per numerose trasformazioni<br />

biochimiche. Appartengono a questo gruppo un insieme di molecole che, a parte la loro idrosolubilità,<br />

presentano caratteristiche chimico-fisiche estremamente eterogenee.<br />

Esse sono:<br />

() la tiamina (vitamina B1),<br />

() la riboflavina (B2),<br />

() la niacina (B3),<br />

() l’acido pantotenico (B5),<br />

() la piridossina (B6),<br />

() la biotina,<br />

() la cobalamina (B12)<br />

() l’acido folico.<br />

Approfondiamo ora alcuni aspetti delle vitamine da cui derivano i coenzimi più importanti:<br />

Tiamina. Mostra la struttura della tiamina o vitamina B1, costituita da un anello pirimidinico legato ad un<br />

anello tiazolico. È presente, anche se in quantità limitate, in molti alimenti di origine animale e vegetale.<br />

La sua carenza, specie se associata al consumo di carboidrati, provoca il beriberi, che si manifesta con<br />

sintomi neurologici (neuropatia periferica), cardiovascolari e muscolari. Una carenza di tiamina si può<br />

riscontrare anche negli alcolisti cronici (encefalopatia di Wernicke). Il ruolo fondamentale della tiamina<br />

per il nostro organismo è quello di essere il precursore della tiamina pirofosfato, coenzima che partecipa<br />

soprattutto alle reazioni di decarbossilazione ossidativa di α chetoacidi e a quelle catalizzate dalla<br />

transchetolasi. Tra le prime è da ricordare la decarbossilazione del piruvato ad opera della piruvato<br />

deidrogenasi con trasformazione del piruvato in acetil-CoA, tappa fondamentale per l’ingresso nel ciclo di<br />

Krebs.


Niacina. Con il termine di Niacina (vitamina B3) si indicano collettivamente l’acido nicotinico e l’ammide<br />

da esso derivata (nicotinammide); entrambi sono fonti di vitamina B3. In natura sono buone sorgenti di<br />

tale vitamina le carni, i legumi e alcuni cereali. Diete prive di tali alimenti possono comportare l’insorgenza<br />

di pellagra (tipica delle popolazioni che utilizzano il mais quale alimento fondamentale); tuttavia il nostro<br />

organismo può in parte sopperire al mancato apporto di niacina, trasform<strong>and</strong>o il triptofano in NAD+.<br />

L’importanza della nicotinammide deriva dal fatto che è il precursore di due coenzimi necessari per la<br />

catalisi di numerosissime reazioni cellulari: nicotinammide adenina dinucleotide (NAD+) e nicotinammide<br />

adenina dinucleotide fosfato (NADP).<br />

Questi nucleotidi nicotinammidici fungono da coenzimi per le reazioni di ossidoriduzione catalizzate da<br />

deidrogenasi presenti sia nel citosol che nei mitocondri, e coinvolte nel metabolismo delle principali<br />

macromolecole utilizzate dalle cellule (carboidrati, lipidi, aminoacidi). Il NAD partecipa in genere ai<br />

processi catabolici, mentre il NADP a quelli anabolici.


Il ruolo di questi coenzimi nelle reazioni di ossidoriduzione è fondamentale in quanto subiscono una<br />

modificazione chimica opposta a quella del vero substrato della reazione. Qu<strong>and</strong>o vengono utilizzati nella<br />

forma ossidata (NAD+ e NADP) sono ridotti a NADH e NADPH.<br />

Per garantire adeguati livelli cellulari di coenzimi nicotinammidici, le forme ridotte vengono riossidate<br />

tramite ossidoriduzioni specifiche, in cui fungono da riducente. È importante ricordare che la cessione di<br />

equivalenti riducenti da parte del NADH alla catena mitocondriale di trasporto degli elettroni, è la tappa<br />

iniziale e fondamentale per la produzione di energia chimica nella cellula.


Riboflavina e FMN, FAD. Dalla riboflavina (vitamina B2) derivano altri due importanti coenzimi: il Flavin<br />

monunucleotide (FMN) e il flavin adenina dinucleotide: il primo deriva dalla fosforilazione ATPdipendente<br />

della riboflavina, mentre il secondo si forma per addizione di una molecola di AMP. Al pari dei<br />

coenzimi NAD e NADP, FMN e FAD partecipano come co-substrati a numerose reazioni di ossidoriduzione,<br />

venendo trasformati nelle corrispondenti forme ridotte, FMNH2 e FADH2. In alcune reazioni possono<br />

anche legare un solo elettrone (FMNH e FADH).


A differenza dei coenzimi nicotinammidici, essi sono spesso legati alla proteina di cui coadiuvano l’attività<br />

catalitica, funzion<strong>and</strong>o quindi da gruppo prostetico di flavoproteine. Sono coinvolti in diverse reazioni di<br />

natura catabolica appartenenti al ciclo di Krebs, alla catena respiratoria e al metabolismo degli acidi grassi.<br />

Nonostante il loro diffuso utilizzo nel metabolismo cellulare, il deficit di riboflavina, raro da osservare in<br />

forma isolata, non determina stati patologici gravi: i sintomi prevalenti sono stomatite, glossite e<br />

fotofobia.<br />

Acido pantotenico e coenzima A. L’acido pantotenico è costituito dalla combinazione di acido pantoico<br />

con la β-alanina. Il suo ruolo metabolico è legato alla formazione di Coenzima A e della proteina<br />

trasportatrice degli acili. Entrambe le molecole formano legami tioestere con radicali acilici, che vengono<br />

successivamente immessi nel ciclo di Krebs, nel processo della β-ossidazione degli acidi grassi, nella sintesi<br />

di acidi grassi e colesterolo o nell’acilazione di proteine o altre molecole.<br />

L’acido pantotenico è presente in numerosi alimenti di natura animale e vegetale e la sua carenza è<br />

praticamente inesistente.<br />

Acido folico. I folati sono una serie di sostanze chimiche di cui l’acido pteroilglutammico rappresenta la<br />

forma più semplice; pur essendo sintetizzati da piante (verdure in foglia) e da batteri, sono riscontrabili<br />

con discreta frequenza carenze primarie subcliniche o manifeste (anemia megaloblastica) oppure<br />

deficienze secondarie associate a patologie intestinali, ematologiche e neoplastiche; il fabbisogno di folati


aumenta poi sensibilmente nel corso della gravidanza. Il ruolo fondamentale di questa vitamina<br />

nell’organismo umano è correlato all’attività dei coenzimi tetraidrofolato (THF) e diidrofolato, che<br />

partecipano a reazioni di trasferimento di gruppi monocarboniosi (metile e formile). Queste reazioni sono<br />

particolarmente importanti nella sintesi degli anelli purinici e quindi nella sintesi del DNA.<br />

Vitamina B6. Con il termine Vitamina B6 si indicano tre composti intercovertibili: la piridossina, il<br />

piridossale e la piridossammina.<br />

Dalla vitamina B6 derivano i coenzimi piridossale fosfato e piridossaminafosfato, coinvolti in numerose<br />

reazioni biochimiche implicate soprattutto nel metabolismo degli aminoacidi. Tra queste le più importanti<br />

sono le reazioni di transamminazione, attraverso le quali viene allontanato il gruppo amminico dagli<br />

amminoacidi, rendendo disponibile lo scheletro carbonioso per la gluconeogenesi. La vitamina B6 è ben<br />

rappresentata in numerosi alimenti e la sua deficienza è quindi rara.


Biotina. La biotina è una vitamina idrosolubile costituita da un anello biciclico. È presente soprattutto nel<br />

fegato, nel tuorlo d’uovo e nel lievito. La sua essenzialità per l’organismo umano dipende dal suo ruolo di<br />

gruppo prostetico in reazioni di carbossilazione catalizzate da enzimi, tra cui l’acetil-CoA carbossilasi e la<br />

piruvato carbossilasi. Tutti catalizzano il trasferimento di CO 2 dal coenzima al substrato, con consumo di<br />

ATP. La reazione catalizzata dall’acetil-CoA carbossilasi avviene nel citosol, ed è la tappa inlimitante per la<br />

sintesi degli acidi grassi. La piruvato carbossilasi è invece un enzima mitocondriale che catalizza la<br />

trasformazione di piruvato in ossalacetato, tappa fondamentale per la gluconeogenesi.<br />

La carenza spontanea di biotina è molto rara. Può associarsi a cambiamenti della personalità, parestesie e<br />

iperestesie, anoressia e dermatite.


Vitamina B12 La vitamina B12 è una vitamina idrosolubile, dalla struttura molto complessa e contenente<br />

cobalto. È necessaria in piccole quantità all’organismo umano e presenta un meccanismo di assorbimento<br />

intestinale peculiare, in quanto deve complessarsi ad una proteina secreta dalle cellule parietali dello<br />

stomaco (fattore intrinseco di Castle). Il suo ruolo biologico è legato all’attività coenzimatica in due<br />

reazioni: la metilazione dell’omocisteina a metionina (relazione con i folati); e la trasformazione del<br />

metilmalonil-CoA a succinato (metabolismo degli acidi grassi e di alcuni aminoacidi).<br />

La sua carenza (generalmente secondaria a malassorbimento) può determinare anemia perniciosa e<br />

neuropatia.


Vitamina C. L’acido ascorbico o vitamina C è una vitamina idrosolubile la cui carenza è associata alla<br />

comparsa dello scorbuto, caratterizzato da petecchie ed ecchimosi, gengive sanguinanti, ipercheratosi e<br />

secchezza della cute, dolori articolari e manifestazioni neuropsichiatriche quali isteria, depressione e<br />

ipocondria. Il principale ruolo biochimico dell’ascorbato è quello di partecipare alla riduzione di metalli,<br />

come il ferro ed il rame, che sono poi utilizzati in reazioni di idrossilazione cui partecipa l’ossigeno<br />

molecolare. Esempio tipico è l’idrossilazione dei residui di prolina facenti parte della catena<br />

amminoacidica del collagene. Altri ruoli riguardano il metabolismo del ferro e l’eliminazione di radicali<br />

liberi: qu<strong>and</strong>o assunto con i cibi, esso contribuisce alla riduzione del Fe(III) a Fe(II), facilit<strong>and</strong>one<br />

l’assorbimento intestinale; partecipa poi all’eliminazione dei radicali liberi che si formano nell’organismo,<br />

contribuendo al reintegro dei radicali della vitamina E.<br />

Le vitamine liposolubili<br />

Sono molecole idrofobe riconducibili chimicamente all’iosprene; comprendono la vitamina A, la D, la E e la<br />

K. Poichè non vengono sintetizzate dall’organismo, devono essere apportate con la dieta.<br />

Sono assimilate efficacemente solo qu<strong>and</strong>o l’assorbimento lipidico è normale e sono veicolate nel sangue<br />

legate alle lipoproteine o a proteine di trasporto specifiche. Una dieta carente in vitamine liposolubili o il<br />

malassorbimento lipidico possono dar luogo a manifestazioni diverse, correlate ai ruoli svolti<br />

fisiologicamente da ciascuna di esse: vanno dai deficit visivi (vitamina A) al rachitismo (vitamina D), dai<br />

disturbi neurologici (vitamina E) ai deficit della coagulazione (vitamina K).<br />

A differenza delle vitamine idrosolubili, quelle liposolubili possono accumularsi in eccesso nel tessuto<br />

adiposo e, se in sovrabbondanza, divenire tossiche.<br />

Vitamina A. Con il termine di vitamina A si indicano tutti i retinoidi che mostrano l’attività biologica del<br />

retinolo. Nei vegetali esiste un pigmento giallo definito β-carotene che è una provitamina, ovvero può<br />

essere trasformato, anche se poco efficacemente, in vitamina A. Le funzioni fondamentali della vitamina A<br />

sono la visione e la differenziazione cellulare.


Nei bastoncelli, fotorecettori della retina, il cis-retinale è trasformato in rodopsina. L’interazione tra<br />

questa molecola e i fotoni della luce rappresenta la reazione chimica fondamentale per la visone. L’acido<br />

retinico invece è in grado di legarsi a recettori specifici e determinare profonde modifiche all’espressione<br />

genica cellulare, influenz<strong>and</strong>o la differenziazione cellulare.<br />

La deficienza di questa vitamina si manifesta con un’iniziale emeralopia (deficit della visione notturna) che<br />

poi diviene xeroftalmia e cheratomalacia.


Vitamina D. La vitamina D è una sostanza liposolubile che esplica un ruolo importante nel metabolismo<br />

del calcio, facilit<strong>and</strong>one l’assorbimento a livello intestinale. La sua mancanza si associa ad insufficiente<br />

deposizione di calcio nelle ossa, con rachitismo nei bambini ed osteomalacia negli adulti. Ha due sorgenti:<br />

quella alimentare e la sintesi endogena. Può infatti essere sintetizzata a livello cutaneo, in seguito<br />

all’esposizione solare che determina la trasformazione del 7-deidrocolesterolo in vitamina D3.<br />

Vitamina E. Con il termine di vitamina E si indica un insieme di sostanze chimicamente simili e definite<br />

anche tocoferoli. Sono molecole diffuse in natura ed abbondanti soprattutto negli oli di semi vegetali. La<br />

carenza di vitamina E è quindi un evento raro. La funzione principale di queste molecole è quella di agire<br />

da antiossidanti e, data la loro lipofilia, di proteggere le membrane biologiche dal danno correlato alla<br />

produzione di radicali liberi. In particolar modo la vitamina E previene la perossidazione degli acidi grassi<br />

insaturi presenti nelle membrane. È bene ricordare che l’acido ascorbico (vitamina C) e l’enzima<br />

glutatione perossidasi partecipano alla rigenerazione della vitamina E.


Vitamina K. La vitamina K è una vitamina liposolubile presente in molte verdure e sintetizzata anche dalla<br />

flora batterica intestinale. Esplica funzioni importanti nel nostro organismo, tra cui la principale è correlata<br />

al sistema della coagulazione del sangue. Molti tra i fattori proteici coinvolti in questo processo (fattore II,<br />

X, IX e VII) sono proenzimi che vengono attivati tramite proteolisi parziale e la cui azione è calcio<br />

dipendente. Questa particolarità è conferita da modificazioni post-traduzionali che dipendono dalla<br />

presenza di vitamina K. Mentre la carenza primaria di vitamina K è un fenomeno raro, è da ricordare il<br />

fatto che terapie antibiotiche, riducendo sensibilmente la flora batterica, possono ridurne la disponibilità<br />

per l’organismo.<br />

Riepilogo<br />

I coenzimi sono molecole organiche che svolgono un ruolo fondamentale nel consentire l’attività catalitica<br />

di molti enzimi. A differenza di questi ultimi, spesso partecipano alle reazioni chimiche in qualità di<br />

cosubstrati e vengono quindi chimicamente modificati nel corso delle reazioni stesse.<br />

Molti coenzimi derivano dalle vitamine del gruppo B, idrosolubili, e, come queste, sono essenziali per<br />

l’uomo, ovvero non possono essere sintetizzati dal nostro organismo, ma devono essere apportati con la<br />

dieta. Tra i numerosi coenzimi ricordiamo il NAD (e NADP) ed il FAD (e FMN), che svolgono un’azione<br />

fondamentale nelle reazioni di ossidoriduzione e nel trasporto degli equivalenti riducenti da esse derivati<br />

verso la catena respiratoria mitocondriale. Essi derivano rispettivamente da Niacina (vitamina B 3 ) e<br />

Riboflavina (vitamina B 2 ). Vitamina A, D, E e K sono le vitamine liposolubili. La prima ha un ruolo<br />

essenziale nella visione. La vitamina D, derivato del colesterolo, esplica un’azione importante nel controllo<br />

dell’omeostasi delle ossa.

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