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il numero 6/2009 - Questotrentino

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monitor recensionicontrappunti del Quattrocento furonoriempite ed esaltate dalle linee riflessivee dai colori del sax, dando forma aqualcosa di completamente nuovo, madi sapore antico. Le improvvisazionidello strumento riportavano in luce, adistanza di più di m<strong>il</strong>le anni, <strong>il</strong> cantomelismatico estemporaneo che avevadato origine alle forme medioevalieseguite dalle voci. Il disco segnò unrecord di vendite e, cosa più importante,segnò un passo nella ricerca musicalecontemporanea all’insegna del recuperoe della rielaborazione di materiali antichi,nonché del crossover tra diversi generi; matutto ciò era solo “sorto dall’incontro di unsassofonista, di un quartetto vocale e di unproduttore discografico che volevano faremusica insieme” (John Potter, dal librettodel cd). Il quartetto vocale era l’H<strong>il</strong>liardEnsemble, <strong>il</strong> sassofonista era Jan Garbarek,e <strong>il</strong> disco ebbe <strong>il</strong> nome “Officium”.Nel <strong>2009</strong>, in concerto venerdì 30 maggionella chiesa di S. Francesco Saverio per<strong>il</strong> Festival di Musica Sacra, <strong>il</strong> progetto ècompletamente cambiato. Garbarek el’H<strong>il</strong>liard hanno continuato a lavorareassieme (nel 1999 è uscito un’altro discorealizzato in modo sim<strong>il</strong>e, “Mnemosyne”)e <strong>il</strong> programma di “Officium” è statorinnovato. Ai brani presi dalla musicamedioevale dell’Europa occidentale sisono affiancati, grazie anche a innesti da“Mnemosyne”, vari esempi del repertoriosacro tradizionale ortodosso e moltecomposizioni di autori contemporanei,soprattutto inglesi, nordici e dell’Europaorientale. Il sapore è diverso, è menosacrale e più riflessivo, ma non è diminuitala suggestione. Le improvvisazioni,spesso formate da note lunghe modulatenell’intensità, a volte rapide fioriture,più raramente melodie strutturate, siaffiancano ai contrappunti vocali comeuna “quinta voce”: spesso <strong>il</strong> ruolo dimelodia principale passa dal quartettoal sax o viceversa, talvolta si ha unmomento solistico. Le voci sono perfetteper intonazione, fusione, precisione.Il sax appare talvolta fuori luogo, poiinspiegab<strong>il</strong>mente dà nuovi colori al suono– questa musica è diffic<strong>il</strong>e all’ascolto, <strong>il</strong>pubblico deve ricercare con fatica i propripercorsi. I musicisti giocano con lo spazio:talvolta i membri dell’H<strong>il</strong>liard camminanoper la chiesa cantando, talvolta Garbarek– che per tutto <strong>il</strong> concerto rimane indisparte, quasi a voler sottolinearevisivamente <strong>il</strong> suo ruolo di commentoe fioritura rispetto alle voci – rivolge lacampana del sax verso l’abside. Il suonoarriva quindi da lontano, ricco di echi eriverberi, dando l’impressione di ascoltaresuoni lontani nel luogo e nel tempo.Incantato <strong>il</strong> pubblico foltissimo(<strong>numero</strong>se persone sono dovute restarefuori) e eccezionalmente trasversale:dall’appassionato di musica classica, alcultore della musica antica, al jazzista.TeatroEnea,un immigrato“eneide””Vittorio CaratozzoloRoberto Marafante è romano, perquanto ne so. Vive e lavora (anche)a Trento da molti anni, ormai, ecredo che da artista conosca bene ledelizie e i dolori del suo (necessario)cosmopolitismo. Però ogni tantoqualcuno penserà: non è di qui. Non èun prodotto locale (come un asparago,una grappa, o i TBSOD). Fa cosestrane, che lo identificano. Per esempio,ultimamente si è inventato una bizzarralettura dell’«Eneide»: Enea era unemigrante. E sì che anche Virg<strong>il</strong>io loera stato: si vede, che ne aveva capito <strong>il</strong>destino.Dicevo di Marafante, anzi d’Enea:considerare <strong>il</strong> mitico capostipite deire di Roma come un immigrato, unextralatino, sembrerebbe eccessivo;anche se altrove gli extra hanno fattocarriera, diventano persino presidenti.Ma qui da noi! «L’Italia non è mica unPaese multietnico!», han detto. EppureEnea è un profugo di guerra: gli Acheihanno distrutto Troia ed egli cerca pacee fortuna all’estero, vagando con frag<strong>il</strong>inavi (carrette del mare?) alla ricerca diuna spiaggia amica. E arriva nel Lazio.Lì chiede ospitalità, ma lo xenofobolocale di turno, Turno appunto, loaccusa di volergli rubare la donna.Anzi, visto che alzare un polveronegli conviene, accusa i Troiani di volerrubare ai Rutuli tutte le donne. Eh, bum!Erano quattro gatti, i Troiani. E micarubavano; al massimo, si innamoravano(ricambiati). Insomma, Turno la mettesul politico, sfida Enea... e perde.Ora, ‘sto Marafante immigrato inTrentino, cosa s’è inventato? Noncontento di aver letto l’«Eneide» comestoria di emigrazione, adatta <strong>il</strong> testovirg<strong>il</strong>iano per una recita teatrale elo affida a immigrati veri (più alcuniitaliani solidali). E così abbiamo sentitorecitare gli amati versi in italiano, inlatino, con suggestivi accenti forestieri,e persino in lingua straniera, e abbiamovisto Didone disperarsi, essere unae molteplice, simbolo di ogni donnaabbandonata, ed Enea chiedere pacee dover fare la guerra, e ogni attore,intervistato sui dolori della traversata,raccontare in poche parole le vere,talora terrib<strong>il</strong>i, peripezie personali, perarrivare in Italia, non da troiani, ma daafgani, curdi, sudanesi, togolesi...Passare la “mia” frontiera Germania-Svizzera, quando lavoravo all’estero, erauna barzelletta, in confronto al desertolibico, agli aeroporti pieni di soldati,ai campi profughi, al ventre dei Tirsfreccianti sull’autostrada.A Palazzo Thun, l’8 maggio, e in PiazzaDuomo, <strong>il</strong> 17 maggio, tra <strong>il</strong> pubblicoc’era chi conosceva più Virg<strong>il</strong>io, chi piùl’emigrazione, chi né l’uno né l’altra,ma capiva lo stesso, comprendeva laperfetta immedesimazione di queisedici attori con la storia di Enea, diMarafante e dei molti altri la cui terra,patria e matria è, semplicemente, laTerra, l’Umanità, <strong>il</strong> Tempo. Solo le testedi porfido non avrebbero capito, sefossero state presenti.44 giugno <strong>2009</strong>Jan Garbarek

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