lettere triestinePahor NatzweierStruthof 1997Pahor allaliberazione 4maggio 194512 <strong>Konrad</strong> marzo 2008Ritorno all’infernoFinalmente la versione italianadi Necropoli, capolavoro di Boris PahorUn signore di mezza età che, inuna domenica di luglio della metàdegli anni ’60, viaggia a bordodella sua 600 sui tornanti di unastrada nei Vosgi, incolonnato conuna quantità di altre vetture dituristi. Non si può immaginare unincipit più quietamente piccoloborgheseper questo Necropoli,ma poche righe dopo quel signore,uno sloveno triestino minuto edall’aria distinta di nome BorisPahor, entra assieme a un gruppodi turisti più o meno consapevoliin quello che era stato il lagernazista di Natzweiler-Struthof.Tenendosi appartato dalla comitivaaccompagnata dalla guida, ilsignore percorre da solo l’itinerarioche conosce bene, scendendodall’ingresso collocato in alto sulpendio, attraverso i terrazzamentidigradanti che conducono inbasso, al margine inferiore delcampo, dove oltre il filo spinatosi vede un folto bosco. Qui,nel fondo, due baracche, unadelle quali ospitava la prigione(la prigione? Cos’era allora ilresto?), l’altra il forno nel quale glischeletrici resti di quanti non cel’avevano fatta trovavano alfineuna pace di cenere.Pahor ci fa da guida in questageografia dell’orrore, a rievocarel’esplicita metafora che essarappresenta, un’autenticarivisitazione in termini crudamenterealistici della topografiadell’inferno dantesco nella qualei terrazzamenti hanno il postodei gironi, i deportati quello deidannati, i secondini quello deidemoni, il forno la collocazionedi Lucifero, nelle cui fauci anzichéi traditori dei benefattori vengonodivorati i resti di ciò che eranostate le povere carni martoriate einnocenti, divenute alfine le ossaumiliate, come le definisce ora unapietosa iscrizione.Il libro che, con imperdonabileritardo della nostra editoria, è statopubblicato in versione italiana daun editore di valenza nazionale(Necropoli, Fazi editore, traduzionedi Ezio Martin, revisione del testodi Valerio Aiolli e prefazione diClaudio Magris, pp. 280, 16 Euro)è stato pubblicato in sloveno nel1967 e viene proposto al pubblicoitaliano solo dopo che le traduzioniin francese, inglese, tedesco,spagnolo, catalano, finlandese,serbo-croato e persino esperantohanno fatto conoscere l’opera diPahor ai lettori di mezzo mondo.Tale fama internazionale hacollocato l’autore nella dimensioneeuropea che gli spetta per averattraversato quasi per interoun secolo della storia di questocontinente, facendosene testimonee interprete rigoroso ed attento,consapevolmente partecipe epoliticamente sempre impegnato,ancorato ai valori di humanitasche stanno alla base del suo agirepersonale, sociale e letterario.Necropoli non è, a differenza dialtri libri sul medesimo tema, lacronaca dell’internamento in unlager del suo protagonista. Alcontrario, si tratta di un libro sulritorno, che affronta ex post il nodoesistenziale di quella inumanadetenzione, a rievocare la miriadedi fatti che ne costellano la scia,rivissuti da una memoria che nonriesce a staccarsene, condannatacome sembra alla pena accessoriadel senso di colpa per esseresopravvissuto alla mattanza, oltrea quella di un perpetuo ritornosul luogo dove s’era consumatol’abominevole delitto. Delitto tuttodi altri, s’intende, perché lì dentroi detenuti erano gli Abele e leguardie i Caino.La rievocazione che Pahorcompie per i suoi lettori, per sestesso, avviene con l’intermittentepresenza del gruppo di turisti dalquale egli cerca di stare appartato,a sottolineare la diversità, quasi unocculto vizio originario, tra chi èstato in quei luoghi in compagniadella morte onnipresente eincombente e gli altri, quelli chevivono la loro normalità senzal’insostenibile soma dei ricordiacuminati del reduce.Chi legge il libro può valersi dellamemoria lucida e inflessibile dichi lo ha scritto: un’evocazionesenza compiacimento letterarioalcuno, un incalzare di immaginiche hanno la tremenda forza chederiva loro dal bianco/nero colquale sono rappresentate, comesequenze di un agghiacciantedocumentario che mette in scenasenza commento sonoro e senzapause il popolo dei dannati, ilfreddo e la pioggia e la fame e leteste rasate di una moltitudinepriva di individualità, di forze,di calore, di passato e di futuro,apparentemente anche di dignità.Come ci ha detto Pahor inun’intervista del 2006, taledescrizione degli eventi e dellefigure che popolano quello spaziodi morte e di vergogna, con le suecaratteristiche di meticolosità edi assenza di ogni troppo facileindulgere al patetico, costituisceil tentativo di riprodurre nel testoquello che fu l’atteggiamentomentale del protagonista perresistere all’inaudita sopraffazioneche gli era imposta. Occuparsisoltanto del contingente, dellacrosta di pane che in quelmomento poteva nutrirlo, delloscalino che doveva badare a saliresenza scivolare, del calore chedoveva trattenere in fila nudo fuoridella baracca delle docce, dellebende di carta che costituivanopressoché l’unico strumentodel suo lavoro di infermiere. Inquelle così estreme condizioni,il protagonista si era vietatodi pensare a passato e futuro,privandosi così del conforto diricordi e speranze, per dedicarsisoltanto al suo sopravvivere alpresente.È così che questo minuto signore
Boris Pahortransita, nella detenzione, dallaResistenza nella quale si eraimpegnato nella lotta antifascistaad una resistenza con la minuscola,un non meno glorioso percorsoindividuale di intransigenteopposizione, un quotidiano nonarrendersi ubbidendo soltantoall’imperativo di sopravvivererimanendo se stesso, senza nessuncompromesso con la propriacoscienza.Anche se sottaciuta nelle paginedel suo libro più importante,un’indefettibile forza di volontàha consentito a Pahor diuscire vivo da quell’inferno e,quel che più conta, di uscirnemondo dell’abiezione che avevaattraversato. Tale straordinariadeterminazione a non soccombere,la sua capacità di resistenza,riguarderebbe soltanto lui stessose non fosse stata confortataanche da un rigoroso senso moraleche viene riportato, senza maiessere esplicitamente citato, nellepagine di questo grande libro,che consente al lettore, chiusal’ultima pagina, di rispondereaffermativamente alla domandaincapsulata nel titolo di “Se questoè un uomo”, l’altro grande libro suanaloga materia scritto da PrimoLevi.Sì, questo è un uomo! Il minutosignore dall’aria distinta cheripercorre le scale del suo infernoassurto a monumento nazionaledi una tragedia che supera ogniconfine si erge come un gigantea ricordare che anche nelle piùestreme condizioni, al di sotto dellasoglia minima di dignità umana,quando tutto sembra perduto sonoancora percorribili le vie della pietàe della moralità. Quanto insommaci rende uomini.Nel lager Pahor non era capitatoper errore né, com’è avvenuto peraltri milioni di persone, perchéfosse ebreo. La storia del suoantifascismo è tutt’uno con lastoria della sua vita, dal momentoche ancora bambino, all’indomanidella Grande guerra, aveva vistoprevalere le ragioni dell’odio edell’intolleranza xenofoba chefurono alla base dell’agire dellesquadracce che a pochi metrida dove abitava, con l’incendiodel Narodni Dom del quale ilpiccolo Pahor fu testimonediretto, inaugurarono una lunga etriste stagione di prevaricazioni eviolenze. La negazione della linguamaterna, quella della stessa suaidentità di sloveno furono levatricidella vocazione antifascista che locondusse al lager.Negli anni che seguirono, sotto piùfelpate e mimetiche apparenze,l’indifferenza con la quale lacultura di lingua italiana a Triesteguardava a quanto avveniva inambito sloveno perpetuò quellaseparatezza che le ha impeditoad esempio di riconoscereper decenni in Necropoli il piùimportante libro scritto a Triestenella seconda metà del Novecento.Conforta il fatto che da qualchetempo qualcosa si stia muovendonella nostra società in direzionedi un reciproco riconoscimentodelle diverse anime e delle diversenazionalità che coesistono dasecoli su questo nostro territorio.Dall’ambito culturale e accademicodi più alto livello, da ClaudioMagris a Elvio Guagnini, a quellogiornalistico dove molto ha contatol’opera del responsabile dellepagine culturali de Il Piccolo.Alessandro Mezzena Lona(ricordato dall’editore comeispiratore della felice sceltaoperata dalla casa editrice con lapubblicazione di Necropoli) allabella recensione di Paolo Rumizsu Repubblica, la cultura triestinadi lingua italiana ha rotto datempo, opportunamente, con unavisione angustamente relegata allacontemplazione di se stessa.Tra le tante figure di deportatiche compaiono in Necropoli,quella di un altro triestino dilingua italiana, Gabriele (sitratta, anche se il testo non lodice, dell’eroe della ResistenzaFoschiatti, che rappresentò ilPartito d’Azione in seno al CLN),viene rievocata da Pahor perriesumare una conversazione nellaquale l’italiano “faceva progettidemocratici e parlava di futurerelazioni di buon vicinato nei nostriterritori costieri”. Pahor ascoltavascettico e perplesso, incapace diintravedere un futuro quale quelloche gli veniva prospettato dalleparole di Gabriele. “A lui però nonfeci cenno delle mie perplessità:ero comunque contento di averascoltato quelle sue parole, male misi da una parte, come perconservarle in vista di un tempomigliore, il tempo della vita, chefluiva lontano anni luce da questiripiani”. Forse che adesso, colconfine appena cancellato, in unadiversa visione della vita comunein questa città straziata e purebellissima è finalmente arrivatoanche per Pahor, come per tuttinoi, il momento di tirar fuori quelleparole di Gabriele e di ringraziarechi le aveva profeticamentepronunciate nella miseria di uncampo di concentramento. E ancheil minuto signore dall’aria distintache le ha conservate per il nostropresente.Walter Chiereghin13 <strong>Konrad</strong> marzo 2008Forno crematorioLe forche