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Sul ponte sventola<br />
bandiera bianca e verde ................Duccio Balestracci<br />
travolta<br />
da debiti che<br />
ne mettono<br />
a rischio la<br />
sopravvivenza<br />
la Mens Sana<br />
si sta portando<br />
dietro la dote<br />
virtuosa<br />
del suo recente<br />
passato<br />
di squadrasimbolo<br />
del<br />
basket italiano<br />
In questi casi il rischio di cadere nella retorica è piuttosto<br />
elevato: una squadra cittadina che rischia di scomparire;<br />
una società sportiva in evidente emergenza; in agguato,<br />
l’ennesima amarezza per l’ennesima realtà che ha<br />
dato lustro a Siena e che ora rischia di spegnersi per sempre<br />
insieme ad altre realtà – anche più rilevanti di questa,<br />
sia pure in altri campi – spente di una città sempre più al<br />
buio (e non ci riferiamo ai lampioni delle strade).<br />
Il rischio di cadere nella retorica è quello che<br />
si corre vedendo la mobilitazione che si è<br />
registrata intorno al caso Mens Sana,<br />
penosamente affossata in serie B;<br />
valorosamente risalita in serie<br />
A2 e ora di nuovo travolta da<br />
debiti che ne mettono a rischio<br />
la sopravvivenza.<br />
Si sono attivati i tifosi,<br />
si sono attivate vecchie<br />
glorie che han -<br />
no vestito la maglia<br />
bianco-verde, si<br />
so no attivati tecnici<br />
che hanno guidato<br />
la squadra nei<br />
momenti di gloria.<br />
Non sapremmo<br />
dire se tutto questo<br />
servirà; se la generosa<br />
risposta all’appello dei<br />
sentimenti riuscirà a far<br />
fronte alla bisogna. Speriamo<br />
di sì, ma è lecito essere<br />
preoccupati, perché i problemi<br />
economici della società sono piuttosto<br />
seri. Non disastrosi come quelli che hanno<br />
cancellato la Mens Sana degli otto scudetti alcuni<br />
anni fa, ma seri sì.<br />
Ma in questo momento non ci interessa prevedere il<br />
grado di successo tangibile che avrà la mobilitazione: ci<br />
interessa riflettere sulla mobilitazione in quanto tale.<br />
È chiaro che la Mens Sana si sta portando dietro la<br />
dote virtuosa del suo recente passato di squadra-simbolo<br />
del basket italiano; la Saporta, gli otto titoli nazionali, le<br />
varie coppe Italia, le vicende di Eurolega e tutto il patrimonio<br />
di grandezza sportiva accumulato dal 2000 in poi<br />
hanno reclamato il loro diritto a non essere dimenticati.<br />
Si è, in qualche modo, verificato un fenomeno simile a<br />
quello cui abbiamo assistito dopo l’alienazione dei trofei<br />
sportivi della vecchia società, riacquisiti a furor di popolo<br />
(alla lettera) e ricollocati nella loro sede originale.<br />
Anche adesso, intorno alla memoria della storia mensanina<br />
si è alzato lo scudo dell’affetto di una collettività locale<br />
e di chi, dalla Mens Sana, ha ‘transitato’ in altre stagioni.<br />
la Mens Sana<br />
ha creato<br />
una memoria<br />
storica<br />
condivisa letta<br />
come<br />
patrimonio<br />
comune<br />
dell’intera<br />
collettività<br />
Tutto questo, a parere di chi scrive, non è né scontato, né<br />
trascurabile.<br />
Non sapremmo dire se, in altre realtà, sia successo, in<br />
altri momenti più o meno simili, la stessa cosa, ma forse non<br />
è mercanzia comune registrare, come in questo caso, che si<br />
porti all’incasso l’orgoglio di aver condiviso quei colori. A<br />
qualsiasi livello siano stati condivisi: se dalle gradinate dei<br />
tifosi o dal parquet di giocatori e tecnici. In definitiva, ci si<br />
conferma la sensazione, altre volte ricordata,<br />
che la Mens Sana abbia creato una memoria<br />
storica condivisa che viene<br />
letta, ormai, come un patrimonio<br />
comune dell’intera collettività<br />
e al quale ci si<br />
rifiuta di rinunciare.<br />
Questa città non<br />
vuol morire; non si<br />
rassegna a perdere<br />
i suoi colori<br />
sportivi perché<br />
vede in<br />
essi la sopravvivenza<br />
della<br />
sua stessa<br />
identità (concetto<br />
che personalmente<br />
non<br />
amo granché, ma<br />
che in questo caso<br />
rende l’idea). Sembra<br />
quasi (ma forse è solo<br />
un’impressione paradossale)<br />
che cerchiamo di aggrapparci<br />
al ricordo sportivo per<br />
aiutarci a sopportare amputazioni<br />
anche più drammatiche (se qualcuno<br />
pensa che alludo alla ormai, di fatto, avvenuta perdita<br />
di una grande banca ha capito giusto). È l’ultima bandiera,<br />
quella sportiva, alla quale affidiamo la resistenza<br />
contro il tentativo di azzittire una città. Forse questo orgoglio<br />
dovremmo (avremmo dovuto) portarlo all’incasso,<br />
con maggior vigore di quanto non abbiamo fatto, anche su<br />
altri piani. Ma non è questa la sede per riflessioni che investono<br />
campi non sportivi.<br />
Qui e ora dobbiamo constatare (e lo facciamo con orgoglio,<br />
e pazienza se anche con un pizzico di retorica) che<br />
il morbo (morale) infuria, il pane per fortuna ancora non ci<br />
manca. Ma sul ponte non sventola bandiera bianca. Sventola<br />
orgogliosamente una bandiera bianca e verde.<br />
[marzo 2016]<br />
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