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MESESPORT marzo2016

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Sul ponte sventola<br />

bandiera bianca e verde ................Duccio Balestracci<br />

travolta<br />

da debiti che<br />

ne mettono<br />

a rischio la<br />

sopravvivenza<br />

la Mens Sana<br />

si sta portando<br />

dietro la dote<br />

virtuosa<br />

del suo recente<br />

passato<br />

di squadrasimbolo<br />

del<br />

basket italiano<br />

In questi casi il rischio di cadere nella retorica è piuttosto<br />

elevato: una squadra cittadina che rischia di scomparire;<br />

una società sportiva in evidente emergenza; in agguato,<br />

l’ennesima amarezza per l’ennesima realtà che ha<br />

dato lustro a Siena e che ora rischia di spegnersi per sempre<br />

insieme ad altre realtà – anche più rilevanti di questa,<br />

sia pure in altri campi – spente di una città sempre più al<br />

buio (e non ci riferiamo ai lampioni delle strade).<br />

Il rischio di cadere nella retorica è quello che<br />

si corre vedendo la mobilitazione che si è<br />

registrata intorno al caso Mens Sana,<br />

penosamente affossata in serie B;<br />

valorosamente risalita in serie<br />

A2 e ora di nuovo travolta da<br />

debiti che ne mettono a rischio<br />

la sopravvivenza.<br />

Si sono attivati i tifosi,<br />

si sono attivate vecchie<br />

glorie che han -<br />

no vestito la maglia<br />

bianco-verde, si<br />

so no attivati tecnici<br />

che hanno guidato<br />

la squadra nei<br />

momenti di gloria.<br />

Non sapremmo<br />

dire se tutto questo<br />

servirà; se la generosa<br />

risposta all’appello dei<br />

sentimenti riuscirà a far<br />

fronte alla bisogna. Speriamo<br />

di sì, ma è lecito essere<br />

preoccupati, perché i problemi<br />

economici della società sono piuttosto<br />

seri. Non disastrosi come quelli che hanno<br />

cancellato la Mens Sana degli otto scudetti alcuni<br />

anni fa, ma seri sì.<br />

Ma in questo momento non ci interessa prevedere il<br />

grado di successo tangibile che avrà la mobilitazione: ci<br />

interessa riflettere sulla mobilitazione in quanto tale.<br />

È chiaro che la Mens Sana si sta portando dietro la<br />

dote virtuosa del suo recente passato di squadra-simbolo<br />

del basket italiano; la Saporta, gli otto titoli nazionali, le<br />

varie coppe Italia, le vicende di Eurolega e tutto il patrimonio<br />

di grandezza sportiva accumulato dal 2000 in poi<br />

hanno reclamato il loro diritto a non essere dimenticati.<br />

Si è, in qualche modo, verificato un fenomeno simile a<br />

quello cui abbiamo assistito dopo l’alienazione dei trofei<br />

sportivi della vecchia società, riacquisiti a furor di popolo<br />

(alla lettera) e ricollocati nella loro sede originale.<br />

Anche adesso, intorno alla memoria della storia mensanina<br />

si è alzato lo scudo dell’affetto di una collettività locale<br />

e di chi, dalla Mens Sana, ha ‘transitato’ in altre stagioni.<br />

la Mens Sana<br />

ha creato<br />

una memoria<br />

storica<br />

condivisa letta<br />

come<br />

patrimonio<br />

comune<br />

dell’intera<br />

collettività<br />

Tutto questo, a parere di chi scrive, non è né scontato, né<br />

trascurabile.<br />

Non sapremmo dire se, in altre realtà, sia successo, in<br />

altri momenti più o meno simili, la stessa cosa, ma forse non<br />

è mercanzia comune registrare, come in questo caso, che si<br />

porti all’incasso l’orgoglio di aver condiviso quei colori. A<br />

qualsiasi livello siano stati condivisi: se dalle gradinate dei<br />

tifosi o dal parquet di giocatori e tecnici. In definitiva, ci si<br />

conferma la sensazione, altre volte ricordata,<br />

che la Mens Sana abbia creato una memoria<br />

storica condivisa che viene<br />

letta, ormai, come un patrimonio<br />

comune dell’intera collettività<br />

e al quale ci si<br />

rifiuta di rinunciare.<br />

Questa città non<br />

vuol morire; non si<br />

rassegna a perdere<br />

i suoi colori<br />

sportivi perché<br />

vede in<br />

essi la sopravvivenza<br />

della<br />

sua stessa<br />

identità (concetto<br />

che personalmente<br />

non<br />

amo granché, ma<br />

che in questo caso<br />

rende l’idea). Sembra<br />

quasi (ma forse è solo<br />

un’impressione paradossale)<br />

che cerchiamo di aggrapparci<br />

al ricordo sportivo per<br />

aiutarci a sopportare amputazioni<br />

anche più drammatiche (se qualcuno<br />

pensa che alludo alla ormai, di fatto, avvenuta perdita<br />

di una grande banca ha capito giusto). È l’ultima bandiera,<br />

quella sportiva, alla quale affidiamo la resistenza<br />

contro il tentativo di azzittire una città. Forse questo orgoglio<br />

dovremmo (avremmo dovuto) portarlo all’incasso,<br />

con maggior vigore di quanto non abbiamo fatto, anche su<br />

altri piani. Ma non è questa la sede per riflessioni che investono<br />

campi non sportivi.<br />

Qui e ora dobbiamo constatare (e lo facciamo con orgoglio,<br />

e pazienza se anche con un pizzico di retorica) che<br />

il morbo (morale) infuria, il pane per fortuna ancora non ci<br />

manca. Ma sul ponte non sventola bandiera bianca. Sventola<br />

orgogliosamente una bandiera bianca e verde.<br />

[marzo 2016]<br />

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