La Toscana Giugno (1)

Pietro Bellina
Dotato di spirituale ricchezza, la sua cifra
stilistica è una pittura incisiva, icastica e
al tempo stesso originale e irripetibile
di Felice Rossetti
Foto di Sergio Maier
L’artista fa l’opera e l’opera fa l’artista.
È l’opera, infatti, a rivelare le attitudini, il mondo
interiore, la tecnica, lo stile e, soprattutto, l’intimo
commosso dialogo intercorso tra l’artista e la
fonte della ispirazione. L’opera è, in qualche modo, l’immagine
fedele dell’artista; ne costruisce il nome e gli rende onore.
Il pittore Pietro Bellina offre un ricco catalogo di opere: dal
paesaggio alla natura morta, dal ritratto alle scene colloquiali.
Sono valli ammantate di verde, colline apriche, pianure arborate,
spiagge lambite dalle acque, monti sfumanti nell’orizzonte.
La natura morta, poi, è visitata dal Bellina nella sua molteplice
varietà e, talvolta, malinconica realtà: uno squallore addolcito
dalle piume multicolori.
I fiori, simbolo della bellezza, occupano un posto privilegiato nella
pittura del Bellina: fiori più vari, di giardino e di campo, non
meno belli ed attraenti per la loro spontaneità.
Infine, le figure umane ritratte nelle più varie fogge e atteggiamenti.
E gli stessi nudi, nella loro naturale avvenenza, emanano
un senso di pudore e di serena bellezza.
Nella copiosa galleria del Bellina ciò che subito colpisce è la
assoluta libertà espressiva: il superamento, cioè, di ogni condizionamento
di scuola. La tecnica è, per il Bellina, un mezzo necessario,
non più lo scopo ultimo dell’arte. Egli ricusa l’angustia e le
costrizioni del tecnicismo. La tecnica si insegna, non così l’arte,
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