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FuoriAsse #18

Officina della Cultura

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to dagli attori del gruppo e da César<br />

Brie. L’atmosfera però, non era mai<br />

semplicemente scolastica, non vi era<br />

mai meccanicità né separazione accademica<br />

tra «noi» e «loro», la sensazione era<br />

piuttosto quella di essere stati invitati a<br />

partecipare a un’avventura. I nostri «insegnanti»<br />

partecipavano allo stesso allenamento<br />

che permetteva a noi allievi di<br />

inoltrarci a tentoni nella giungla di noi<br />

stessi. Sono stati per me anni magici e<br />

alchemici.<br />

Non ricordo nessun discorso in cui<br />

César, per giustificare il suo linguaggio<br />

artistico, sentisse la necessità di screditarne<br />

un altro. Nonostante le sue scelte<br />

estetiche e etiche siano «millimetriche»<br />

non ha mai sentito la necessità di sponsorizzarle<br />

come verità assoluta. Questo<br />

ha permesso a noi allievi di respirare a<br />

pieni polmoni, nonostante la scarsità<br />

d’ossigeno – il Teatro de los Andes per<br />

chi non lo sapesse si trova a 2800 metri.<br />

Non ci ha mai indottrinati, bensì ci ha<br />

allenati a una poesia concreta, a un<br />

«fare» poesia. A allenare corpo e voce per<br />

metterli al servizio di quelle che chiamerei<br />

«azioni poetiche». Sicuramente l’atmosfera<br />

sudamericana aiuta.<br />

Rispetto ai risultati individuali degli allievi,<br />

l’occhio attento e vibrante di César,<br />

lasciava a noi stessi la responsabilità di<br />

valutarci. Studiando con César percepivo<br />

di essere di fronte a qualcuno che,<br />

attraverso i libri, aveva interrogato personalmente<br />

i grandi maestri, qualcuno<br />

che da solo aveva rifatto il viaggio alla<br />

sorgente delle verità scoperte da altri e<br />

le aveva fatte proprie, rinominandole, ridando<br />

loro significato. Quando questo<br />

accade, penso che difficilmente possa<br />

sussistere un atteggiamento unilaterale<br />

nel rapporto con la verità. Quando ci si<br />

mette in viaggio, in prima persona e con<br />

i propri occhi si svela e con la propria<br />

bocca si rivela, si sa che quel qualcosa<br />

in realtà non può mai essere ripetuto,<br />

©Emanuela Pellegrino<br />

©Maz Torranzo<br />

ma deve essere riscoperto.<br />

FC: Due dei più grossi lavori messi in<br />

scena dal Teatro de los Andes sono l’Iliade<br />

e l’Odissea – in quest’ultima tu hai<br />

interpretato, fra gli altri, Nausicaa. In<br />

un’intervista César Brie racconta aneddoticamente<br />

come gli sia venuto in mente<br />

l’idea di allestire e rileggere le due<br />

grandi opere omeriche. Aneddoto a parte,<br />

quello che mi sembra interessante è<br />

la rilettura che è stata operata nelle due<br />

opere. L’Iliade diventa una grande allegoria<br />

delle guerre tutte, ma anche delle<br />

giunte militari, in particolare quella argentina<br />

degli anni Settanta. È così che<br />

in una scena compaiono le mamme dei<br />

Desaparecidos, che cercano i figli come<br />

Priamo implora Achille di restituirgli il<br />

cadavere di Ettore. Ma è nell’Odissea,<br />

secondo me, che César Brie ha avuto<br />

un’idea assai brillante, che mi tocca da<br />

vicino, come tematica artistica e intellettuale.<br />

Ha riletto l’epopea di Odisseo come<br />

allegoria di sradicamento e emigrazione,<br />

e il ritorno a Itaca più che come<br />

un ritorno è vista come una deportazione.<br />

Al di là della lettura sociopolitica,<br />

importante e inequivocabile, leggo però<br />

personalmente un’altra forma di emigrazione<br />

– quella dell’artista, dell’attore<br />

che emigra nomade da una vicenda a<br />

un’altra, da un personaggio a un altro, e<br />

di tutti se ne appropria e dà qualcosa di<br />

FUOR ASSE<br />

33<br />

Teatro

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