data la storia: nel 1961 cantai la mia prima Traviata, <strong>di</strong> seguito Tosca e Bohème». Quali sono i compositori che all’inizio hanno esaltato la sua ispirazione? «Prima <strong>di</strong> tutti Ver<strong>di</strong> e Puccini, il cinquanta per cento del mio repertorio appartiene a loro». A ventun anni, nel 1962, sposò la sua attuale moglie, Marta Ornelas, cantante anche lei… «Dopo il matrimonio andammo subito in Israele, dove lei tenne 160 recite e io 280 in poco più <strong>di</strong> due anni, una follia. Da un’esperienza come quella si poteva uscire trionfanti o <strong>di</strong>strutti, un numero così elevato <strong>di</strong> rappresentazioni rischiava <strong>di</strong> compromettere la voce per sempre. A me fece bene, lì imparai a non ghettizzarmi su questo o quel repertorio, passando dal Pescatore <strong>di</strong> perle a Onegin, dalla Cavalleria rusticana al Don Giovanni, dal Faust alla Carmen. La curiosità innata mi ha permesso <strong>di</strong> memorizzare più opere contemporaneamente. Cosa più <strong>di</strong>fficile a questa età. Ora la memoria fa cilecca». Come si fa a coltivare la voce senza sciuparla? «È una questione <strong>di</strong> tecnica. Quando a 23 anni cantai il mio primo Don José e a 34 il primo Otello, mi <strong>di</strong>cevano: “Domingo, spinge troppo, si rovinerà”. Invece no, ho fatto ben 225 recite <strong>di</strong> Otello e la voce ha resistito molto bene». Ora che è passato al registro baritonale ha più frecce nel suo arco. «È stato un passaggio naturale. Sono parti che amavo profondamente e a volte invi<strong>di</strong>avo ai colleghi. Non avrei mai pensato <strong>di</strong> chiudere la carriera come baritono, fare Simon Boccanegra era il mio sogno nel cassetto. Ora alterno i due registri, le ultime opere che ho fatto da tenore sono <strong>Il</strong> postino, Cyrano de Bergerac e Tamerlano, che ancora rappresentiamo». La seconda giovinezza è iniziata nel 1990. I Tre Tenori, con Pavarotti e Carreras, è il <strong>di</strong>sco <strong>di</strong> musica classica più venduto della storia. «Fu una sorpresa per tutti noi, non ci aspettavamo quel boom, una spinta formidabile per il mondo dell’opera. Anche quei 35 concerti furono un trionfo. Pavarotti ha rinsaldato il mio legame con l’Italia, standogli accanto ho capito <strong>di</strong> aver sposato completamente la vostra mentalità. C’era tra noi una complicità straor<strong>di</strong>naria, e tanto buonumore». Un’esperienza esaltante, ma a quanto pare non replicabile. «Di bravi tenori ce ne sono, ma noi avevamo venticinque anni <strong>di</strong> recite alle spalle nei più prestigiosi teatri del mondo, fu il coronamento <strong>di</strong> una carriera. Tuttavia penso che oggi con Jonas Kaufmann, Piotr Beczała e Fabio Sartori, ora impegnato alla Scala con La GETTY IMAGES (X3) SOPRA, PLÁCIDO DOMINGO, JOSÉ CARRERAS E LUCIANO PAVAROTTI. LA COLLABORAZIONE FRA I TRE TENORI INIZIÒ CON UN CONCERTO ALLE TERME DI CARACALLA A ROMA, CHE SI TENNE IL 7 LUGLIO 1990, ALLA VIGILIA DELLA FINALE DEI MONDIALI DI CALCIO DI ITALIA 90. SOTTO, JONAS KAUFMANN, PIOTR BECZAŁA E FABIO SARTORI «UNA RIEDIZIONE DEI TRE TENORI? CON KAUFMANN, BECZAŁA E SARTORI PENSO CHE SAREBBE POSSIBILE» bohème, una rie<strong>di</strong>zione dei Tre Tenori sarebbe possibilissima. O magari con tre voci rossiniane, Juan Diego Flórez, Javier Camarena e Lawrence Brownlee: sarebbero una bomba insieme, vorrei <strong>di</strong>rigerli io». Ha cantato con le più gran<strong>di</strong> star della lirica, soprani leggendari. Quali ricorda con più piacere? «Non sarei giusto se ne citassi solo due o tre. Diciamo che ho cantato con quelle che potevano essere mie nonne, come Magda Olivero e Lily Pons, quelle che potevano essere mia madre, come Renata Tebal<strong>di</strong> o Birgit Nilsson (che non fece mistero <strong>di</strong> considerare Domingo il più sexy tra i cantanti d’opera, ndr), quelle che potevano essere mie sorelle maggiori, come Mirella Freni, Montserrat Caballé e Joan Sutherland, infine con quelle che potrebbero essere mie figlie o nipoti, come Diana Damrau». L’opera è davvero in una crisi irreversibile? «Tutt’altro. Credo che l’opera sia immortale come i sentimenti. Finché ci sarà un briciolo <strong>di</strong> romanticismo non c’è pericolo per il futuro della lirica. Sarà <strong>di</strong>fficile piuttosto trovare tra i contemporanei qualcuno con il genio <strong>di</strong> Ver<strong>di</strong> o Wagner. La crisi è iniziata già da Berg e Schönberg. Dopo John Adams e Philip Glass non vedo nessun altro all’orizzonte che possa scrivere opere che resteranno per sempre». Fin quando continuerà a cantare? «Finché avrò voce. Magari lascerò l’opera, che è faticosa, e mi de<strong>di</strong>cherò ai concerti. Forse… <strong>Il</strong> palcoscenico è la mia droga, non so se ce la farei a rinunciare». Al punto in cui è arrivato, ha ancora qualche paura? «Ogni giorno. L’insicurezza è sempre in agguato al momento <strong>di</strong> andare in scena». Giuseppe Videtti LEBRECHT / CONTRASTO 14 LUGLIO <strong>2017</strong> . IL VENERDÌ . 107
SPETTACOLI FOTO DI (EX) GRUPPO SCORDATEVI GLI SMITHS. IO CI SONO RIUSCITO <strong>di</strong> Gianni Santoro Chitarrista leggendario e fondatore della band inglese simbolo degli anni 80, Johnny Marr si racconta a ruota libera in un libro, e qui. Ma non chiedetegli <strong>di</strong> Morrissey... A DESTRA, JOHNNY MARR. A SINISTRA, LA COPERTINA DELL’AUTOBIOGRAFIA SET THE BOY FREE (BIG SUR, PP. 440, EURO 22). IN BASSO, GLI SMITHS NEGLI ANNI 80: DA SINISTRA, MORRISSEY, MARR, MIKE JOYCE E ANDY ROURKE 108 . IL VENERDÌ . 14 LUGLIO <strong>2017</strong>
Change language