documentario
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tario è annullato o trasceso da un tensione lirica affidata a immagini<br />
e suoni laconici, quasi astratti; Andreassi lavora più sui vuoti<br />
che sui pieni (in questo senso è antonioniano); nulla è dichiarato,<br />
tutto è suggerito in cortometraggi esemplari per rigore stilistico<br />
come Agnese (1959), La città calda (1959), Bambini (1960), Amore<br />
(1963), Gli animali (1965), L’orizzonte (1968). Un raro esempio<br />
di cinéma-vérité “ricostruito” con personaggi reali e suono in presa<br />
diretta è I piaceri proibiti (1963; il titolo originale era L’amore<br />
povero, ma si è preferito distribuirlo con un titolo più commerciale<br />
sulla scia dei documentari sexy allora di moda); si tratta di un<br />
lungometraggio in sette episodi − particolarmente riusciti Il padre<br />
e La borsetta − dove situazioni scabrose vengono trattate con uno<br />
stile minimalista e pudico. A mezza strada fra ritratto d’artista e<br />
cinéma-vérité si colloca Antonio Ligabue pittore (1965), splendida<br />
e inquietante serie di scene di vita “vissuta per la macchina da presa”<br />
del noto pittore-contadino naïf della bassa reggiana.<br />
Un altro regista di documentari caratterizzati da uno stile laconico<br />
e pudico, al limite della finzione, è il critico Leonardo Autera,<br />
autore di una quindicina di cortometraggi fra cui Spettacolo eccezionale<br />
(1961), Cinema a tutti i costi (1962) e Qualcosa sopra<br />
la pelle (1963).<br />
Bambini in città<br />
Barboni<br />
La tendenza realistica: De Seta e Olmi<br />
Il predominio dello stile negli autori citati può essere considerato,<br />
con le dovute cautele, simmetrico all’invasione nel dopoguerra di un<br />
documentarismo estetizzante e folcloristico, fatto di albe e tramonti<br />
e di monumenti mirabili, erede della tendenza “preziosa” del periodo<br />
fascista. Rispetto a ciò che sta succedendo nel lungometraggio<br />
col neorealismo, un approccio “senza mediazioni” alla realtà è re-<br />
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