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documentario

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PREMESSA<br />

Raccolgo qui una serie di saggi sul <strong>documentario</strong> scritti in epoche e<br />

in circostanze diverse (nonchè un inedito). Inevitabili quindi alcune<br />

ripetizioni di titoli e di concetti. Non ho cercato di aggiornare la<br />

“breve storia” internazionale: troppo vasto è il campo, in particolare<br />

in anni recenti.<br />

Ho diviso in due sezioni i saggi raccolti: Italia ed Estero, ma in<br />

quest’ultima si parla a volte anche di documentari italiani.<br />

Continuo a usare il termine “<strong>documentario</strong>”, che però non mi<br />

convince. Più volte nel corso di questa raccolta propongo il termine,<br />

meno equivoco ma comunque insoddisfacente, di nonfiction. È un<br />

termine negativo e anglofono. Ma me ne servo per ribadire che il<br />

<strong>documentario</strong> più innovativo, almeno dagli anni Novanta se non<br />

da prima, si allontana sempre più da quello che altrove − e in certi<br />

importanti festival come etichetta − viene chiamato “cinema del<br />

reale”. Da oggettivo il <strong>documentario</strong> si fa soggettivo. All’autore<br />

che guarda si sostituisce l’autore che si guarda. Il film saggio, il<br />

film autobiografico, la riflessione sul found footage e sul materiale<br />

d’archivio diventano le forme nuove del <strong>documentario</strong>.<br />

Una perdita di fiducia nella realta? O, invece, una presa di coscienza<br />

che il cinema non riflette la realtà ma la media attraverso uno<br />

sguardo che sempre più si fa carico delle proprie responsabilità nei<br />

confronti dello spettatore? Questa constatazione invita oggi a rivedere<br />

molti documentari del passato come “finzioni”, a cominciare<br />

da quelli del padre Flaherty. E a rivalutarne altri come anticipazioni<br />

del futuro di questo “genere”, da quelli di Dziga Vertov a quelli di<br />

Leo Hurwitz e di Humphrey Jennings...<br />

La finestra sul mondo, che il <strong>documentario</strong> sembrava rappresentare,<br />

afferma ormai di essere anche cornice. Il digitale, con le sue possibilità<br />

“pittoriche”, incrosta il reale di ciò che l’autore può vedere sotto la<br />

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