Wine Couture 05-06/2021
Wine Couture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. Wine Couture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.
Wine Couture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. Wine Couture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.
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NUMERO 5/6<br />
Anno 2 | Giugno/Luglio <strong>2021</strong><br />
Poste Italiane SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi.<br />
Uno stile di vita. Un modo di bere. E di fare business.
2<br />
L’inclusività è il perno dell’innovazione<br />
Molto spesso si usa il termine innovazione come<br />
sinonimo di evoluzione. Ma non è così. O, meglio,<br />
non è sempre così. Basta osservare la parola:<br />
“innovazione” contiene il concetto di nuovo e di<br />
azione. È dunque l’azione di “introdurre sistemi e<br />
criteri nuovi”, a volte in modo radicale. Innovazione<br />
è coerente e assonante con sostenibilità, perché<br />
obbliga a trovare modi più attenti, efficienti e<br />
sopportabili per eseguire le medesime azioni. E,<br />
magari, per incardinarne di nuove che fanno (nel<br />
tempo) evolvere il mercato, le aziende, le persone.<br />
Un circolo virtuoso che però deve essere affrontato<br />
con una mentalità diversa, più pronta ad<br />
accogliere le sfide. Più aperta verso le nuove dinamiche<br />
che emergono dai consumatori. Che sono<br />
sempre più difficili da conquistare e sempre meno<br />
legati alle abitudini. Per questo bisogna ampliare<br />
al massimo la platea, sperimentando e convincendo<br />
ad avvicinarsi al mondo del vino sia le nuove<br />
generazioni sia le persone che, per scelta o per<br />
obbligo, non possono assaporare il dolce nettare<br />
alcolico. Le innovazioni portate dalla sperimentazione<br />
dei dealcolati, ma anche dai formati, sono<br />
un toccasana in un mondo che non deve rischiare<br />
di chiudersi nel già noto. Perché il già noto è un<br />
perimetro che tende a restringersi come un cappio<br />
con il passaggio generazionale. Invece, andando<br />
oltre i limiti auto-imposti, nel pieno rispetto<br />
dei protocolli e della qualità del prodotto, si può<br />
coinvolgere un consumatore nuovo. Se innovazione<br />
e sostenibilità sono le due parole cardine<br />
del <strong>2021</strong>, i pilastri su cui fondare il proprio futuro<br />
sono quelli dell’accessibilità e dell’inclusività.<br />
04 Zoom. Vino dealcolato: opportunità<br />
di business o minaccia?<br />
<strong>06</strong> Trend. Ode al Bag in Box.<br />
Una questione di forma e contenuto<br />
08 Nuovi Codici. La rivoluzione della lattina.<br />
Innovazione destinata a durare?<br />
SOMMARIO<br />
10 Orizzonti vicini. Ristorazione: la “miscela”<br />
vincente di Giulia e Daniele<br />
24 Giramondo. Chardonnay e Pinot Noir: sulla<br />
ribalta le proposte di otto distributori<br />
29 Experience. Dom Pérignon: una magia<br />
che si rinnova<br />
WINECOUTURE - winecouture.it<br />
Direttore responsabile Riccardo Colletti<br />
Direttore editoriale Luca Figini<br />
Cover editor Alice Realini<br />
Coordinamento Matteo Borré<br />
Marketing & Operations Roberta Rancati<br />
Contributors Francesca Mortaro, Andrea Silvello,<br />
Irene Forni<br />
Art direction Inventium s.r.l.<br />
Stampa La Terra Promessa Società Cooperativa<br />
Sociale Onlus (Novara)<br />
Editore Nelson Srl<br />
Viale Murillo, 3 - 20149 Milano<br />
Telefono 02.84076127<br />
info@nelsonsrl.com<br />
www.nelsonsrl.com<br />
Registrazione al Tribunale di Milano n. 12<br />
del 21 Gennaio 2020 - Nelson Srl -<br />
Iscrizione ROC n° 1172376 del 5 Febbraio 2020<br />
Periodico bimestrale<br />
Anno 2 - Numero 5-6 - Giugno/Luglio <strong>2021</strong><br />
Abbonamento Italia per 6 numeri: Euro 30,00<br />
L’editore garantisce la massima riservatezza<br />
dei dati personali in suo possesso.<br />
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n° 196/2003, i dati potranno essere rettificati<br />
o cancellati in qualsiasi momento scrivendo a:<br />
Nelson Srl<br />
Responsabile dati Riccardo Colletti<br />
Viale Murillo, 3<br />
20149 Milano
4<br />
ZOOM<br />
Photo: mathilde langevin - Unsplash<br />
Vino dealcolato,<br />
opportunità o minaccia?<br />
Cosa ha lasciato dietro di sé un vero e proprio caso mediatico.<br />
Qualche riflessione senza pregiudizi<br />
DI MATTEO BORRÈ<br />
Molto rumore per nulla. O, forse, no. Ci riferiamo<br />
al caso mediatico che si è scatenato,<br />
tra maggio e giugno, sul tema del vino<br />
dealcolato. Con annesse accuse scagliate<br />
verso Bruxelles circa una presunta “congiura”<br />
ordita dalla Ue: contro la produzione vitivinicola,<br />
innanzitutto, ma soprattutto finalizzata ad “annacquare”<br />
Doc e Docg made in Italy. Un tormentone che ha preso<br />
il via da un forviante comunicato di Coldiretti e poi ha<br />
scatenato commenti, prese di posizione e pugni (figurativamente)<br />
sbattuti, più sulle pagine dei giornali che sui tavoli<br />
istituzionali, da parte di protagonisti del settore e della<br />
politica. Ma cosa lascia dietro di sé la vicenda? Innanzitutto,<br />
l’opportunità di ragionare sul futuro. Ma soprattutto<br />
d’interrogarsi se quello che è nato come caso mediatico,<br />
in realtà, delineando precisamente il campo d’azione, non<br />
possa diventare interessante occasione di mercato, un domani<br />
prossimo, per l’universo del vino, in primis italiano.<br />
Se molto è stato detto sul vino dealcolato, non in tanti<br />
hanno ben chiaro di cosa si stia parlando. Per spazzare il<br />
campo da incomprensioni, la parola all’enologo senese Jacopo<br />
Vagaggini: “La dealcolazione è una pratica ammessa<br />
per legge nella misura massima di 2% alcool (corrispondente<br />
al 20% del volume totale) tramite due metodi fisici:<br />
l’osmosi inversa e la tecnica dell’evaporazione sottovuoto”,<br />
ha spiegato a <strong>Wine</strong><strong>Couture</strong>. “Nel primo caso, il vino passa<br />
attraverso membrane semipermeabili a pressioni molto<br />
elevate fino a 40 atmosfere, da cui si estrae una miscela di<br />
acqua ed alcool. L’alcool viene poi separato per distillazione;<br />
l’acqua rimanente, cosiddetta acqua di vegetazione,<br />
deve essere reincorporata nel vino originale per abbassarne<br />
la gradazione alcolica. Quest’ultimo passaggio è<br />
stato a lungo incriminato, erroneamente scambiato per un<br />
annacquamento che, al contrario, implica un aumento di<br />
volume tramite aggiunta di acqua con conseguente diluzione<br />
e abbassamento di gradazione alcolica”. L’alternativa<br />
è la tecnica dell’evaporazione sottovuoto, in cui si riesce<br />
ad eliminare l’alcool senza rimuovere l’acqua. “Questa<br />
pratica è efficace”, ha evidenziato Jacopo Vagaggini, “ma<br />
impoverisce il vino di molti profumi che, essendo molecole<br />
volatili, vengono persi nel corso dell’evaporazione e<br />
dell’aspirazione sottovuoto”. Risulta così evidente come<br />
un vino dealcolato sia un prodotto “artefatto”, lontano nel<br />
risultato da quello che è la sua matrice d’origine. Ma non<br />
di meno, rappresenta un’opportunità, soprattutto in determinati<br />
mercati: dal Nord Europa al Medioriente e oltre.<br />
Ora, quel che occorre valutare – e senza preclusioni – è<br />
se a livello comunitario questa tipologia debba o meno<br />
essere categorizzata all’interno della famiglia dei prodotti<br />
vitivinicoli. Il segretario generale di Unione Italiana Vini,<br />
Paolo Castelletti, ha sottolineato come si debba evitare<br />
che questi prodotti “possano divenire business di altre industrie<br />
estranee al mondo vino e che siano le imprese italiane<br />
a rispondere alle richieste di mercato, specialmente<br />
di alcuni Paesi asiatici”. Al contempo, come ribadito dalla<br />
filiera compatta, serve chiarezza. È necessario sommare e<br />
non sovrapporre, delineando con precisione le pratiche e<br />
i limiti oltre cui non spingersi, trasformando la “minaccia”<br />
in un’occasione di business. Sotto questo punto di vista è<br />
condivisibile la posizione del Parlamento Europeo, che<br />
arresta la discussione sul vino dealcolato quando si giunge<br />
davanti alle produzioni Dop e Igp. La stessa ferma contrarietà<br />
sostenuta dalle organizzazioni di filiera.<br />
Ma c’è di più. Non avere preclusioni vuol dire anche ragionare<br />
su un processo di dealcolizzazione che possa rappresentare<br />
una proficua risposta a quella che è la problematica<br />
di una produzione in eccesso: al posto di procedere<br />
in direzione della distillazione, vini da tavola e varietali<br />
potrebbero così vivere una “seconda vita” capace di generare<br />
ricavi commerciali. In proposito, è corretto ragionare<br />
sull’appropriata terminologia da utilizzare, con i prodotti<br />
totalmente dealcolati, vista la loro peculiare natura. E non<br />
è erroneo ritenere che debbano contemplare il termine<br />
“bevanda” in luogo di vino. Ma quale sarà il futuro? Lasciamo<br />
la chiosa a Vagaggini: “Oggi esiste un mondo a colori,<br />
non più bianco o nero. La diversità è parte integrante del<br />
nostro vivere quotidiano, deve essere valorizzata e incentivata.<br />
Il vino dealcolato è un prodotto diverso che assolve<br />
ad un ruolo diverso: non deve essere vissuto come una minaccia,<br />
ma come un mezzo che può smuovere equilibri e<br />
creare nuove possibilità di mercato”.
6<br />
È<br />
una battaglia ormai vinta e qualche “enofighetto” di<br />
turno dovrà rassegnarsi. Fuori da ogni previsione (o<br />
forse no!) il Bag in Box ha conquistato anche l’Italia,<br />
dopo aver visto il fenomeno diffondersi marcatamente<br />
in tutta Europa negli ultimi anni. Di fatto, racchiuso in<br />
sacche di alluminio ricoperte da cartone, l’amato nettare<br />
sta ottenendo sempre più consensi e un vero e proprio<br />
movimento di mercato e di trend si è già consolidato.<br />
Richiesto e acquistato, dal consumatore privato al<br />
settore ristorativo, il Bag in Box è sempre più utilizzato<br />
e piace tanto, specie ai giovani bevitori. Con la sua forma,<br />
la praticità d’uso e il packaging, suscita compagnia<br />
e quotidianità.<br />
Tante sono poi le aziende che hanno iniziato a confezionare<br />
il proprio sfuso di qualità in Bag in Box, cosa<br />
impensabile solo qualche tempo fa: i più erano restii a<br />
farlo, in quanto ritenevano che “svilisse” il proprio prodotto.<br />
Il perché è presto spiegato: da un punto di vista estetico,<br />
il formato è certamente più vicino a evocare il brick,<br />
quindi l’idea di una produzione industriale poco<br />
pregiata, piuttosto che l’immaginario naturale, vivo<br />
e sensuale, ricco di cultura e tradizioni legato invece<br />
alla bottiglia. Ma il cambio di rotta e idee ha garantito<br />
il successo del Bag in Box, portandolo di tutta risposta<br />
sugli scaffali delle enoteche più blasonate fino alla nascita<br />
di veri e propri e-commerce dedicati. Vale la pena,<br />
dunque, rimboccarsi le maniche e mettere sul tavolo<br />
della discussione questo simpatico e pratico modo di<br />
confezionare il vino.<br />
Entrando nello specifico del Bag in Box, possiamo analizzarne<br />
la struttura per poi definirne eventuali pro e<br />
contro. Abbiamo la sacca (Bag) costituita da un materiale<br />
plastico poliaccoppiato: poliestere metallizzato<br />
con alluminio e polietilene per prodotti alimentari.<br />
Materiali che proteggono il vino dalla luce, dall’aria, da<br />
gas o altri agenti contaminanti e, in parte, anche da determinanti<br />
sbalzi di temperatura. La scatola (Box) è invece<br />
comunemente in cartone: protegge il sacco da urti<br />
e da eventuale schiacciamento, è maneggevole e impilabile,<br />
dunque il massimo dell’efficienza sia in termini<br />
di trasporto sia di stoccaggio. Infine, ogni dispenser ha<br />
una valvola che impedisce il passaggio dell’aria anche<br />
dopo l’apertura.<br />
E i formati? Quanti ne vogliamo. Da il più comune è da<br />
1,5 lt sino ad arrivare ai più grandi, molto utilizzati nel<br />
comparto Horeca, da 10 a 20 lt.<br />
Mettendo da parte il lato romantico, che da sempre<br />
vede il vino vestito del vetro delle comuni bottiglie<br />
di qualsivoglia forma, e rimanendo sull’oggettività di<br />
questo contenitore, il Bag in Box potrà non essere esteticamente<br />
accattivante, non potrà certamente essere<br />
scelto per vini da invecchiamento, privilegiando quelli<br />
di pronta beva, ma porta con sé davvero molti aspetti<br />
positivi interessanti e da non sottovalutare. A iniziare<br />
dall’essere estremamente pratico: garantisce infatti una<br />
protezione del vino dalla luce, dagli odori, dal contatto<br />
con agenti esterni, è di facile stoccaggio e una delle sue<br />
qualità più interessanti, e che risponde sicuramente ai<br />
dubbi dei più scettici, è quella di mantenere il prodotto<br />
conservato una volta aperto fino a tre settimane. Chiuso,<br />
invece, il Bag in Box garantisce una conservazione<br />
dai quattro ai 12 mesi.<br />
Altro fattore molto importante è il ridotto impatto ambientale,<br />
cosa da non sottovalutare vista la forte esigenza<br />
di tutela e sostenibilità con la quale la nostra società<br />
deve fare i conti. Infatti, sia per il peso e l’ingombro ridotto,<br />
che minimizzano l’inquinamento dovuto al trasporto,<br />
sia per il riciclo del sacco e della scatola, separabili<br />
e smaltibili nella raccolta differenziata, comporta<br />
emissioni di anidride carbonica contenute.<br />
È davvero allora una questione di forma e contenuto?<br />
Sì. Nessuno potrà mai mettere in dubbio l’eleganza, la<br />
gestualità e la bellezza della bottiglia di un buon vino, ci<br />
mancherebbe. Ma sarebbe una pazzia non accettare un<br />
nuovo modo per portare il vino a tavola. Quindi, dalla<br />
bottiglia al calice: sì. Dal Bag in Box al calice: pure.<br />
DI IRENE FORNI<br />
TREND<br />
Ode al Bag in Box<br />
Una questione di forma e contenuto.<br />
Per una soluzione sempre più presente e di qualità.
Azienda agricola Zorzettig di Annalisa Zorzettig –Via Strada Sant’Anna, 37 – fraz. Spessa – 33043 Cividale del Friuli (UD) – www.zorzettigvini.it
8<br />
NUOVI CODICI<br />
La rivoluzione<br />
della lattina<br />
Ritorna nel mondo del vino un formato che ben si adatta<br />
ai consumi contemporanei. Un’innovazione destinata a durare?<br />
DI MATTEO BORRÈ<br />
Questa storia ha inizio nel 1982, l’anno<br />
del Mundial di Spagna. La data sancisce<br />
il primo approccio degli italiani col vino<br />
in lattina. È la conseguenza della “lungimirante<br />
ostinazione” della famiglia Giacobazzi,<br />
un simbolo della Via Emilia, che nel 1978 aveva<br />
depositato la domanda, presso i ministeri dell’Agricoltura<br />
e della Sanità, di poter confezionare le proprie produzioni,<br />
in primis frizzanti, avvalendosi di contenitori alternativi.<br />
Era il primo passo che avrebbe condotto all’apertura delle<br />
porte a Tetrapack, Pet, ma soprattutto alle lattine. Un’innovazione<br />
subito accolta con entusiasmo dal mercato,<br />
come dimostrato nel 1983 dal debutto di 8 e ½ Giacobazzi<br />
che, contrariamente a quanto pensano in molti, non era<br />
Lambrusco ma semplicemente vino frizzante disponibile<br />
sia bianco sia rosso. Nel giro di pochi anni, però, l’iniziale<br />
entusiasmo per questa rivoluzione cominciò a scemare: la<br />
causa è da ricercare nelle difficoltà, innanzitutto burocratiche,<br />
per mantenere costanti le forniture e soddisfare con<br />
regolarità la richiesta dei consumatori. Un primo seme era<br />
stato piantato: ma, nonostante avesse cominciato a germogliare,<br />
non fiorì del tutto.<br />
Oggi il vino in lattina è tornato prepotentemente sulla<br />
bocca di tanti, in special modo sul palcoscenico internazionale.<br />
Gli ultimi due casi di spicco vedono coinvolti lo<br />
chef stellato Michelin del The Black Swan di Oldstead,
9<br />
Tommy Banks, che a luglio, con il fratello James, darà il<br />
via alle vendite di una linea griffata Banks Brothers che include<br />
un Syrah Mourvèdre e uno Chardonnay sudafricani.<br />
Ma soprattutto il più volte premio Oscar Francis Ford<br />
Coppola, di recente sbarcato anche in Italia, grazie alla<br />
partnership distributiva con Gruppo Meregalli, con la sua<br />
Diamond Collection FF Coppola <strong>Wine</strong>ry, dove sono inclusi<br />
i californiani Chardonnay, Sauvignon, Pinot Noir e il<br />
Sofia Rosé Brut. Sul fronte italiano, il riferimento nel vino<br />
in lattina resta la realtà bolognese Cantine Sgarzi Luigi,<br />
da anni uno dei principali produttori europei con le linee<br />
Ciao, marchio registrato sin dal 2003, Perla Rossa e Villa<br />
Francesca. Mentre il nuovo che avanza è rappresentato<br />
dalla veronese Zai, acronimo che sta per Zona Altamente<br />
Innovativa, che da poco ha lanciato una gamma ecosostenibile<br />
di sei referenze dal packaging accattivante. Una proposta<br />
declinata in chiave bio e vegan, che si distingue per<br />
il basso contenuto calorico e la ridotta gradazione alcolica,<br />
in quanto uno stile di vita healthy è ciò a cui Zai ambisce.<br />
Indizi e storie diverse, a ribadire che spazio ce n’è per una<br />
soluzione che punta a “svecchiare” la tradizionale staticità<br />
che caratterizza il mondo del vino, ma anche e innanzitutto<br />
a offrire maggiore praticità in termini di occasioni di<br />
consumo.<br />
Cosa dicono i numeri? Nel 2020 il mercato globale del<br />
vino in lattina ha superato i 210 milioni di dollari. Tra<br />
<strong>2021</strong> e 2028, il tasso annuo di crescita composto (Cagr)<br />
sarà del 13,2% (fonte: Canned <strong>Wine</strong> Market Report, <strong>2021</strong><br />
– 2028, Grand View Research, maggio <strong>2021</strong>). Si supererà,<br />
dunque, prima della fine del decennio un volume d’affari<br />
di 570 milioni di dollari, con i vini frizzanti a continuare a<br />
fare la parte del leone nel segmento, proseguendo stabili<br />
nell’imporsi come il 66% delle vendite. Il Nord America<br />
rimarrà ancora per anni il punto di riferimento per il mercato<br />
del vino in lattina: nello scorso esercizio, da solo, ha<br />
cubato il 53% del business. Ma attenzione all’Asia, dove si<br />
stimano percentuali maggiori di crescita da qui al 2028,<br />
con in prima fila l’India, seguita da Cina, Giappone e Corea<br />
del Sud.<br />
Tornando in Europa e volgendo lo sguardo Oltralpe, da citare<br />
in tema di vino in lattina il paradigmatico caso di Anne-Victoire<br />
Monrozier (foto in basso), meglio nota online<br />
come Miss Vicky <strong>Wine</strong>, cofondatrice della community<br />
Vinocamp e produttrice in Beaujolais, insieme al padre, al<br />
Château des Moriers. Durante l’anno della pandemia ha<br />
lanciato con successo Ô Joie, un Fleurie Aoc proposto in<br />
lattina che ha subito conquistato tanti appassionati. “Grazie<br />
a Vinocamp ho sempre avuto la fortuna di rimanere in<br />
contatto con quanto di più innovativo ci fosse nel mondo<br />
del vino”, ha raccontato a <strong>Wine</strong><strong>Couture</strong>. “Così è stato anche<br />
con il vino in lattina. Assaggiandolo, mi sono resa conto<br />
che cambiava completamente l’esperienza di fruizione.<br />
Ho ragionato sugli prospettive e possibilità di consumo,<br />
soprattutto tra i giovani. E mi sono focalizzata innanzitutto<br />
sull’assoluta praticità del formato, che rappresenta qualcosa<br />
con una reale utilità nel quotidiano”. Con l’avvento<br />
della pandemia, la decisione di provare a percorrere la<br />
nuova strada. “Mi sono detta che il momento era quello<br />
giusto per prendersi un rischio e lanciare una proposta<br />
di questo tipo”, ha sottolineato Anne-Victoire Monrozier.<br />
“Quello del vino in lattina è un progetto nato anche per<br />
uscire dalla monotonia di un quotidiano in un tempo<br />
difficile in cui ci era impedito d’incontrare fisicamente le<br />
persone. E per me vincere la sfida della pandemia è stato<br />
proprio questo: dare vita a qualcosa d’innovativo”. Una<br />
scelta azzeccata. “Ho optato per un rischio calcolato, producendo<br />
4mila lattine, che sono riuscita a vendere, tanto<br />
che abbiamo riassortito lo stock con 2mila pezzi”. Il debutto<br />
è passato anche per una campagna di crowfunding che<br />
ha visto aderire 85 sostenitori e permesso di ricevere un<br />
primo immediato feedback. “La scommessa non è però<br />
ancora vinta in maniera definitiva, ma le prospettive per<br />
ampliare gli orizzonti ci sono. Posso dire di essere soddisfatta<br />
di questo debutto, perché ha innanzitutto schiarito<br />
ogni dubbio intorno a uno degli elementi più stressanti in<br />
un progetto come questo: se le persone avrebbero o meno<br />
amato il vino che gli proponevo”, ha evidenziato Anne-Victoire<br />
Monrozier. “Alcuni acquirenti hanno riacquistato il<br />
vino in lattina, a dimostrazione di come ci siano locali in<br />
cui questo genere di offerta funziona e può trovare la sua<br />
dimensione”.<br />
Ma quale il giudizio di Anne-Victoire Monrozier sul “revival”<br />
del vino in lattina? La sua risposta è chiara: “C’è un<br />
interesse crescente e non è la prima volta che succede. Siamo<br />
di fronte a un’ottima occasione, perché stiamo vivendo<br />
un periodo di profondi cambiamenti. Il vino in lattina è<br />
molto più di una moda, perché ha una vera utilità. È infatti<br />
una soluzione leggera, non occupa grande spazio, non richiede<br />
la necessità di avere a portata di mano un cavatappi.<br />
Ci sono diverse tipologie di attività che potrebbero beneficiarne:<br />
dagli hotel, per cui rappresenterebbe la soluzione<br />
ideale quando parliamo di minibar, a quei ristoranti, a partire<br />
da quelli che fanno take away, passando per chi propone<br />
cucine particolari, come il cibo cinese o thai, ma anche<br />
alle pizzerie, che non hanno l’abitudine di avere una carta<br />
vini particolarmente strutturata. La praticità del formato<br />
del vino in lattina rappresenta il punto di non ritorno, anche<br />
in direzione dell’innovazione”. La rivoluzione è dunque<br />
solo all’inizio?<br />
NUOVI CODICI
10<br />
Nel periodo in cui vagavo ancora per i corridoi dell’istituto alberghiero,<br />
goffamente convinta che ci fosse un non so che<br />
di romantico e carnale nel servire un piatto ad una<br />
tavola o nel sedervisi, una frase assai ripetuta da<br />
un caro professore ritornava sempre alla mia<br />
mente e tutt’oggi lo fa: “Ragazzi ricordatevi sempre che<br />
non sono le strade a fare i locali, ma i locali a definire le<br />
strade!”. Mai, in realtà, ne sono stata del tutto convinta.<br />
Insomma, il termine di misura e paragone mi pareva<br />
un’associazione e un confronto assai forzato e quasi<br />
utopistico. Invece, anni dopo, quella frase ha assunto una<br />
forza e una verità che è divenuta per me assoluta. E l’ho<br />
scoperto varcando la soglia del Mix Bistrò a Sesto Fiorentino.<br />
Inserito in un contesto prettamente industriale, a un passo da<br />
importanti snodi di viabilità della città, il Mix è certamente<br />
la sorpresa che non ci si aspetta. Come una virgola verde<br />
in un grigio e serio discorso, questo ristorante vegetariano<br />
cambia totalmente le regole del paesaggio, del<br />
luogo e in buona parte anche dello spirito.<br />
Il Mix Bistrò è il lungimirante e accogliente progetto<br />
ristorativo della chef Giulia Chemeri e del restaurant<br />
manager Daniele Bartolozzi, che insieme alla consulenza<br />
del training restaurant Giacomo Gironi si giostrano<br />
dietro i fornelli e il bancone di questo grande locale,<br />
proponendo secondo passione un menù chiaro, snello e in continua<br />
evoluzione dal pranzo al dopo cena.<br />
Piatti, colorati, vivaci e sperimentali, uniti alla stagionalità e ad un’attenta<br />
trasformazione della materia prima. Dall’uovo pochè con spuma di Parmigiano<br />
Reggiano e asparagi fermentati, passando per il risotto<br />
caprino, carciofi croccanti, nocciole con caffè e limone canditi,<br />
arrivando alla melanzana bruciata in salsa teriyaki,<br />
fino alla dolce ma non troppo squisita Baklava, il menu<br />
del Mix Bistrò, con modestia esce e si differenzia nettamente<br />
da quella che è l’offerta dei dintorni e lo fa<br />
andando a sorprendere totalmente le aspettative.<br />
Nota a margine (e che bella nota) è certamente la<br />
cocktail list e la meravigliosa carta vini, che segue sinuosa<br />
i contorni del menù e all’interno della quale niente è lasciato<br />
al caso: comunicativa, dinamica, esplicativa, didattica<br />
ed esaustiva, capace di accompagnare bevitori dell’ultima ora<br />
e appagare i più esperti. Nel particolare colpisce il modo in<br />
cui si presenta questa wine list: come “assonanza vegetale”,<br />
otto vitigni in quattro desinenze che ripercorrono<br />
il viaggio del vino fino a ritornare alla sua natura territoriale<br />
e vegetale. Per un’attenzione minuziosa alla sua<br />
presentazione e consultazione che soddisfa a pieno il<br />
momento della scelta. E che accompagna il menù con<br />
linearità di abbinamento, consolidando l’offerta e la voce<br />
di questo bistrò vegetariano.<br />
Perché, in definitiva, il Mix Bistrò è innovazione che s’impone,<br />
discreta ma presente. È l’intervallo che non ti aspetti, l’accoglienza<br />
giovane e sincera di chi segue un cambiamento tutto vegetale.<br />
DI IRENE FORNI<br />
ORIZZONTI VICINI<br />
La “miscela” vincente<br />
di Giulia e Daniele<br />
Mix Bistrò, a Sesto Fiorentino: il ristorante dove anche il vino<br />
ritrova la sua natura territoriale e “vegetale”
11<br />
Bere “bene”<br />
Il tema della sostenibilità è sempre più centrale nel mondo del vino.<br />
Racconti, case history, approfondimenti e novità<br />
SOSTENIBILITÀ<br />
DI MATTEO BORRÈ<br />
Non c’è tema oggi più di attualità. Tanto da<br />
essersi trasformato in una delle nuove chiavi<br />
del business nell’era post-pandemia. Parliamo<br />
di sostenibilità. E di come i consumatori<br />
recepiscono un concetto che può assumere<br />
infinite sfumature, soprattutto associato al vino. Cosa è<br />
sostenibilità per il settore? E come viene percepito e comunicato<br />
l’impegno delle cantine in questa direzione?<br />
Prima di tutto si deve evidenziare come sta evolvendo la<br />
percezione dei consumatori su ciò che costituisce la “sostenibilità”<br />
nel vino. Secondo un recente approfondimento<br />
firmato <strong>Wine</strong> Intelligence, ad esempio, negli Stati Uniti,<br />
poco più della metà (58%) dei bevitori regolari di vino<br />
dichiara tanto di essere preoccupato dal cambiamento<br />
climatico, quanto di aver intrapreso scelte per ridurre il<br />
proprio impatto personale. Questo trend è guidato dai<br />
più giovani, da quelle generazioni maggiormente legate al<br />
concetto di sostenibilità e non solo per quel che concerne<br />
il mondo del vino. Una grande opportunità per l’universo<br />
di Bacco, però, risiede in un dato: la stragrande maggioranza<br />
di chi beve, crede attualmente che il vino – in particolare<br />
quello in bottiglia di vetro – sia già ipso facto “sostenibile”,<br />
ancor più se raffrontato con altre categorie di<br />
bevande. L’analisi <strong>Wine</strong> Intelligence è chiara: affermare<br />
che un vino è “naturale” in etichetta aumenta la probabilità<br />
di acquisto tra i bevitori di vino statunitensi dell’8%<br />
rispetto allo stesso prodotto senza ulteriori indicazioni.<br />
Dal punto di vista produttivo e mediatico, poi, se è evidente<br />
come la sostenibilità abbia assunto, in particolare<br />
negli ultimi anni, sempre maggiore importanza quando si<br />
parla di vino, curioso è il caso dell’universo dei Fine <strong>Wine</strong>,<br />
dove i consumatori sembrano prestare poca attenzione a<br />
questo tema quando scelgono un’etichetta. “Attenzione:<br />
questo non significa necessariamente che gli appassionati<br />
di Fine <strong>Wine</strong> non si preoccupino dell’ambiente”, spiega<br />
Pauline Vicard, co-founder ed executive director del centro<br />
studi dedicato al segmento Areni Global. “Potrebbe<br />
essere che, come sostiene <strong>Wine</strong> Intelligence, poiché il<br />
vino è un prodotto naturale, credano già che sia intrinsecamente<br />
ecologico. Inoltre, non dimentichiamo di come<br />
altre aree del lusso, vedi la moda o i gioielli, siano sottoposte<br />
a pressioni crescenti per agire in modo etico e sostenibile:<br />
ciò suggerisce che i consumatori più facoltosi si<br />
preoccupano, in effetti, dell’ambiente, o almeno, vogliono<br />
essere visti preoccuparsi dell’ambiente”. E nell’ultimo<br />
triennio, in particolare, le cantine legate all’universo del<br />
lusso hanno cambiato passo sul tema sostenibilità, avvertendo<br />
la necessità di porsi quali modelli d’impegno<br />
a favore dell’ambiente davanti all’opinione pubblico e al<br />
settore intero.<br />
In questo focus <strong>Wine</strong><strong>Couture</strong> ha raccolto storie, interpretazioni<br />
e novità, per evidenziare casi di successo e visioni<br />
che raccontano la sostenibilità del vino. Perché bere<br />
“bene” ha tutto un altro gusto.
12<br />
SOSTENIBILITÀ<br />
Troppo spesso ingiustamente bistrattato,<br />
l’universo cooperativo è da anni un vero<br />
esempio di sostenibilità, a più livelli. Lo ha<br />
ribadito anche una recente ricerca realizzata<br />
da Alleanza Cooperative Agroalimentari,<br />
che ha posto bene in evidenza come, lato produttivo,<br />
in questo mondo la scelta del biologico sia in forte crescita,<br />
con oltre il 60% delle realtà interpellate dall’indagine,<br />
che insieme costituiscono oltre il 70% del giro<br />
d’affari complessivo della cooperazione vitivinicola,<br />
ad aver intrapreso questo cammino. In un mosaico di<br />
“grandi” e “piccoli”, ben distribuito lungo l’intera Penisola,<br />
sostenibilità in vigna non significa soltanto bio,<br />
ma più in generale la scelta volontaria di assoggettarsi<br />
a certificazioni che indichino di un’attenzione al mondo<br />
che ci circonda. Tra le realtà che hanno già una validazione<br />
del proprio impegno, la maggioranza (53%) ha<br />
optato per lo schema Sqnpi – Qualità Sostenibile: più<br />
a distanza, poi, seguono Equalitas (19%) e Viva (15%).<br />
Ed è proprio dall’universo della cooperazione che giunge<br />
l’appello per procedere a un’evoluzione della concezione<br />
stessa di sostenibilità, con la promozione di uno<br />
standard unico, affinché si possa giungere a uno schema<br />
capace di misurare la performance ambientale e sociale<br />
delle imprese, così come i risultati economici. Dunque,<br />
l’obiettivo oggi non è più solo prestare attenzione a quel<br />
che avviene in vigna, ma piuttosto la cura davvero di<br />
ogni dettaglio, a 360°. Una volontà di abbracciare più<br />
livelli di sostenibilità, come detto, che trova riscontro in<br />
una serie di esempi virtuosi.<br />
È un futuro nel segno di una sostenibilità a tutto tondo<br />
quello su cui ha scelto d’incamminarsi Ponte1848, realtà<br />
profondamente legata al contesto territoriale in cui<br />
sviluppa la propria attività. Con la cooperativa trevigiana<br />
capace di trasformarsi nel corso del tempo in motore<br />
d’iniziative che non si limitano alla sola salvaguardia<br />
della biodiversità in vigna o a una gestione green in cantina.<br />
È una più articolata visione culturale, infatti, quella<br />
che oggi sempre più prende forma, coniugando i valori e<br />
la storia dell’azienda nel segno della migliore tradizione<br />
veneta. E dove il capitale umano è sempre posto al centro.<br />
Lo dimostra la valorizzazione sempre più marcata<br />
del lavoro e della specifica identità dei soci della cooperativa,<br />
che trova risonanza anche nella scelta di sostenere<br />
iniziative che allargano gli orizzonti, tramutandosi<br />
in sguardo che abbraccia l’intera filiera. Proprio come<br />
ha testimoniato il progetto Bike & Sounds, che ha visto<br />
Ponte1848 sostenere gli uomini e le donne del mondo<br />
dello spettacolo, da un lato supportando un tour che ha<br />
ridato voce a chi l’aveva “persa” nei mesi della pandemia,<br />
dall’altra dedicando loro una speciale edizione del pluripremiato<br />
Prosecco Doc Extra Dry Treviso, vestito con<br />
un’etichetta appositamente disegnata da Giulia Sirianni,<br />
in arte Zafra.<br />
Antesignano dell’impegno sostenibile, per il Gruppo<br />
Mezzacorona da sempre questo decisivo tema rappresenta<br />
un primario obiettivo strategico, come dimostra la<br />
Cantine Settesoli<br />
La nuova<br />
Mandrarossa<br />
<strong>Wine</strong>ry<br />
Gruppo<br />
Mezzacorona<br />
I vigneti trentini<br />
sperimentazione con successo delle pratiche più avanzate<br />
per la produzione integrata o la certificazione Sqnpi<br />
conseguita da anni anche per i vini e non soltanto per le<br />
uve. La visione della cooperativa trentina mira a valorizzare<br />
il lavoro dei propri soci al servizio del territorio, sia<br />
nella sua dimensione ambientale e della salute, ma anche<br />
nelle forti valenze sociali ed economiche. Dal risparmio<br />
energetico alla salvaguardia della biodiversità, dalla gestione<br />
delle risorse naturali alla depurazione delle acque,<br />
quello del Gruppo Mezzacorona è impegno per divenire,<br />
ogni giorno di più, azienda sostenibile a 360°.<br />
Lo stesso sforzo che anche Cantina Produttori Valdobbiadene<br />
articola su più ambiti. Iniziando dalla valorizzazione<br />
delle produzioni attraverso una premialità che<br />
incentiva l’attuazione delle migliori pratiche agricole<br />
disponibili e del Docg Storico, ovvero la base ampelografica<br />
con vitigni di Perera, Bianchetta e Verdiso oltre<br />
al classico Glera. E che poi si manifesta nella certificazio-<br />
ne Sqnpi, che sarà completata<br />
con la vendemmia <strong>2021</strong> coinvolgendo<br />
tutti i 600 soci, arrivando<br />
così a complessivi 1000<br />
ettari di vigneto. E poi racconta<br />
d’interventi concreti volti<br />
all’efficientamento energetico<br />
e idrico. Ma si declina anche<br />
in un impianto di imbottigliamento<br />
4.0 capace di gestire<br />
con maggiore coordinazione<br />
il sistema produttivo e in un<br />
polo logistico che riduce le distanze,<br />
limitando le emissioni<br />
di CO2. Infine, parla di riuso<br />
e riciclo dei materiali di scarto,<br />
oltre che del contributo<br />
fattivo a finanziare il ripristino<br />
di parte degli ingenti danni<br />
arrecati dalla tempesta Vaia.<br />
Dall’altro lato della penisola, in Sicilia, Cantine Settesoli<br />
si è fatta artefice di una vera e propria<br />
rivoluzione sul versante cooperativo in<br />
ambito di sostenibilità. Una rivoluzione<br />
che passa dal progetto Mandrarossa.<br />
Una storia nata nel 1999, dopo un lungo<br />
studio del territorio per individuare gli<br />
appezzamenti più vocati, e che oggi trova<br />
il suo naturale compimento nell’inaugurazione<br />
di una cantina all’avanguardia.<br />
È un avamposto d’innovazione perfettamente<br />
integrato col paesaggio circostante,<br />
in simbiosi morfologica col terreno.<br />
Un luogo in cui si respira la storia della<br />
campagna menfitana, costellata di<br />
vigne degradanti verso il mare e di<br />
distese di uliveti. Per un edificio<br />
in cui l’ecosostenibilità ha rappresentato<br />
una scelta progettuale<br />
fin da principio e dove,<br />
soprattutto, si vive il territorio<br />
attraverso un’esperienza che<br />
si fa immersiva. Sostenibilità,<br />
dunque, qui declinata anche<br />
nella valorizzazione di un<br />
habitat unico e nel recupero<br />
di tradizioni che si comunicano<br />
attraverso la greenway<br />
nata dalla conversione della<br />
vecchia ferrovia o la scelta di<br />
impiegare nel programma di<br />
hospitality le Signore della<br />
Brigata di Cucina Mandrarossa,<br />
donne di Menfi che portano<br />
avanti un lavoro di ricerca<br />
sulle ricette storiche, patrimonio<br />
delle famiglie contadine.
Dolomiti, Alto Adige. Tra queste montagne incontaminate nasce Acqua Plose.<br />
Pura e leggera per natura si abbina perfettamente ai migliori piatti della cucina tradizionale<br />
e internazionale esaltandone i sapori con la sua delicata discrezione.<br />
Residuo fisso 22 mg/l Ossigeno 10 mg/l Sodio 1,2 mg/l pH 6.6<br />
Fonte Plose spa<br />
via Julius Durst 12<br />
www.acquaplose.com<br />
39042 Bressanone (BZ)
14<br />
SOSTENIBILITÀ<br />
Anche nell’ambito delle realtà private del<br />
vino il tema della sostenibilità è ogni giorno<br />
più avvertito e declinato secondo differenti<br />
indirizzi e orizzonti.<br />
“La capacità di ascoltare il consumatore, di<br />
accettare le sfide sempre più ambiziose che ci pone e tradurle<br />
in realtà, rappresentano un elemento centrale nella<br />
nostra filosofia aziendale. Quello della sostenibilità, sia<br />
come visione sia come insieme di pratiche da adottare,<br />
sta diventando un tema di studio per noi di grande interesse”,<br />
spiega Riccardo Pasqua, amministratore delegato<br />
di Pasqua Vigneti e Cantine. “In un’ottica di costante<br />
miglioramento e di tensione all’innovazione, abbiamo deciso<br />
di ampliare e integrare i progetti legati a questo tema.<br />
In collaborazione con Wired, stiamo realizzando un ciclo<br />
di podcast che guarderanno alla sostenibilità da angoli diversi,<br />
dall’esperienza e la voce di protagonisti che operano<br />
a vario titolo nel tessuto sociale. I contributi pubblicati<br />
sui nostri canali ci permetteranno di raccogliere istanze<br />
e suggerimenti che possano ispirare le nostre azioni future<br />
e impattare in maniera importante sui piani di crescita<br />
dell’azienda già a partire dal <strong>2021</strong>. L’ascolto e la comprensione<br />
sono per i noi i primi passi da compiere per iniziare<br />
un’autentica rivoluzione sostenibile”.<br />
Una rivoluzione che muove innanzitutto dalla quotidianità,<br />
come conferma Luca Serena, amministratore delegato<br />
di Serena <strong>Wine</strong>s 1881, realtà che ha appena<br />
tagliato il traguardo dei primi 140 anni di vita. “Quello<br />
della sostenibilità è un concetto che abbiamo incarnato<br />
nelle sue differenti sfaccettature qui in azienda<br />
già da qualche anno. Dal punto di vista sociale, abbiamo<br />
sempre cercato di essere una presenza sul territorio,<br />
ad esempio supportando quelle che ne sono<br />
le diverse compagini sportive. Poi, lato aziendale, tutto<br />
da scoprire e raccontare è il progetto realizzato in<br />
collaborazione con l’università Ca’ Foscari, legato al<br />
recupero delle fecce del vino rosso per creare energie<br />
attraverso speciali celle fotovoltaiche. Un’iniziativa<br />
che è diventata un brevetto, poi una startup che oggi<br />
si apre al mercato. Ma non è l’unico esempio. Con i<br />
nostri fornitori di tappi ed etichette abbiamo stretto<br />
collaborazioni per portare avanti progetti sostenibili<br />
con materiali riciclati. E anche nel piccolo del nostro<br />
quotidiano abbiamo dato il via al percorso di certificazione<br />
che condurrà, entro il dicembre 2022, a essere<br />
riconosciuti come azienda sostenibile”.<br />
Quella dei piccoli passi è la strada seguita anche dalla famiglia<br />
Ruggeri di Le Colture. “Pur non avendo nel tempo<br />
intrapreso la via di cammini come possono essere quelli<br />
di una conversione a pratiche quali l’agricoltura bio, nondimeno<br />
la nostra scelta è da sempre stata quella di prestare<br />
grande attenzione agli effetti che il nostro operato può<br />
avere sul territorio in cui viviamo”, spiega Alberto Ruggieri,<br />
titolare della cantina veneta. “Con sempre maggiore<br />
frequenza, d’altronde, oggi siamo costretti a fare i conti<br />
con gli imprevisti legati al cambiamento climatico. Ed è in<br />
questo contesto che per noi si gioca la partita della sostenibilità:<br />
laddove ragioniamo al meglio su interventi a basso<br />
impatto ambientale. Se, infatti, sempre meno il clima<br />
si schiera dalla parte di noi produttori, è allora che tutti<br />
siamo chiamati a lavorare con ancor maggiore responsabilità<br />
e attenzione per conservare sana la vigna ed evitare<br />
il più possibile trattamenti invadenti. E questo si tramuta<br />
in tante piccole attenzioni, che è necessario riservare quotidianamente<br />
ai vigneti: perché l’essere sostenibile passa<br />
proprio da ogni gesto e decisione, soprattutto quelli a prima<br />
vista meno evidenti”.<br />
Ma quale la discriminante che conduce la sostenibilità a<br />
farsi concreta. Il concetto, ad avviso di Chiara Lungarotti,<br />
titolare della cantina di famiglia simbolo del “Rinascimento”<br />
enologico dell’Umbria, assume significato all’interno<br />
di un più ampio cammino: “Quando si costruisce nel tempo<br />
un percorso virtuoso, supportato da innovazioni tecnologiche,<br />
studi e ricerca continua, che ti porta davvero<br />
a minimizzare l’impatto della produzione sull’ambiente.<br />
Noi abbiamo cominciato negli anni’ 90, quando ancora il<br />
Le Colture<br />
Veronica, Alberto<br />
e Silvia Ruggeri<br />
Lungarotti<br />
Chiara Lungarotti<br />
Pasqua Vigneti e<br />
Cantine<br />
Riccardo,<br />
Alessandro e<br />
Umberto Pasqua<br />
Velenosi<br />
Marianna, Angela e<br />
Matteo Velenosi<br />
Villa Sandi<br />
Giancarlo Moretti<br />
Polegato<br />
Serena <strong>Wine</strong>s 1881<br />
Luca e Giorgio Serena<br />
concetto di sostenibilità non era così di moda. Anche<br />
in questo mio padre Giorgio fu un pioniere, perché<br />
capì subito che la cura del territorio si riflette anche<br />
nel bicchiere. Nelle nostre tenute di Torgiano e Montefalco<br />
la sostenibilità caratterizza tutto il processo<br />
produttivo”. Un messaggio ribadito anche nella scelta<br />
green di promuovere un restyling delle bottiglie di<br />
due vini simbolo, il Rubesco Rosso di Torgiano Doc<br />
e del Torre di Giano Bianco di Torgiano Doc, con l’adozione<br />
di una soluzione che consente di ridurre fino<br />
al 35% le emissioni di CO2.<br />
“Il nostro territorio ci ha dato molto, ora sta a noi ricambiare”:<br />
queste le fondamenta su cui da anni<br />
poggia l’approccio sostenibile di Villa Sandi,<br />
come spiega il presidente Giancarlo Moretti<br />
Polegato. “Tutte le nostre tenute sono da tempo<br />
certificate Biodiversity Friend e stiamo promuovendo<br />
l’adozione delle stesse pratiche da<br />
parte di tutti i nostri conferitori. Serve, infatti,<br />
operare sempre più in modo tale che il consumatore<br />
riceva garanzie precise che il vigneto è<br />
luogo da poter vivere in totale sicurezza. Per<br />
dimostrarlo, in Villa Sandi abbiamo dato vita<br />
a un’iniziativa molto particolare: si chiama<br />
Palestra in vigna ed è un percorso benessere,<br />
attrezzato per il fitness, immerso nei vigneti<br />
certificati della tenuta di Crocetta del Montello, in cui è<br />
possibile correre, usare attrezzi sportivi e passeggiare nella<br />
natura”. Una scelta di trasparenza, che fa seguito a tanti<br />
gesti che restano confinati al “dietro le quinte”: come può<br />
essere l’impegno profuso in direzione della massima efficienza<br />
energetica e idrica o gli investimenti finalizzati a<br />
dotarsi di strumenti capaci di favorire il principio di riciclo<br />
e riuso. “È una missione decisiva, quella cui abbiamo dato<br />
il via diversi anni fa, è che oggi si dimostra attuale come<br />
mai”, chiosa il numero uno di Villa Sandi.<br />
Una missione, quella della sostenibilità, dai mille volti,<br />
come spiegato. “Troppo spesso, riferendosi a questo<br />
importante tema ci<br />
si sofferma esclusivamente<br />
su concetti<br />
come la sola adozione<br />
di pratiche bio”,<br />
sottolinea Marianna<br />
Velenosi. “In realtà<br />
non è solo l’ambiente<br />
a essere coinvolto.<br />
Noi abbiamo scelto<br />
di abbracciare il senso<br />
più largo del termine,<br />
quindi parliamo anche<br />
di sostenibilità sociale. E un esempio<br />
è il progetto realizzato in collaborazione<br />
con L’Orto di Paolo, che ha dato vita a un<br />
Falerio Doc in edizione limitata che punta<br />
a promuovere una reale inclusione, grazie<br />
al lavoro nei vigneti dei ragazzi ospiti della<br />
struttura con valenza terapeutica gestita<br />
dalla Cooperativa Sociale Pa.Ge.F.Ha<br />
Onlus di Ascoli Piceno. In quanto azienda<br />
profondamente in sinergia col territorio,<br />
cerchiamo sempre nuovi modi per restituire<br />
il molto ricevuto. E questo passa innanzitutto<br />
dall’attenzione verso la nostra<br />
comunità. Ma poi, ovviamente anche più classiche scelte<br />
green, che nel tempo ci hanno condotto ad avere una<br />
parte dei nostri vigneti convertiti al biologico, mentre il<br />
resto segue i dettami della produzione integrata aderendo<br />
al disciplinare Sqnpi. E la sostenibilità giunge fino in bottiglia,<br />
dove lavoriamo per i nostri vini maggiormente venduti<br />
con soluzioni più leggere, da 420 grammi, favorendo<br />
così una riduzione della CO2 nel trasporto. E ancora, c’è<br />
la selezione dei fornitori in base all’impegno volto a ridurre<br />
l’impatto ambientale per etichette e tappi. Proviamo, in<br />
sintesi, a sviluppare il concetto di sostenibilità portandolo<br />
avanti in tutte le sue innumerevoli sfaccettature”.
15<br />
Sostenibilità per Marco Felluga è<br />
più di una parola. È un modo di<br />
essere, che coinvolge ogni aspetto<br />
del vivere della quotidianità e della<br />
produzione. È un concetto che si<br />
declina a 360° seguendo innumerevoli direttrici.<br />
Anche vie non per forza già tracciate, ma<br />
tutte da sperimentare e progettare nel segno di<br />
un’unicità capace di collocarsi in un “oltre”, che<br />
scavalca le pratiche stesse oggi considerate paradigma<br />
di naturalità.<br />
“Questo impegno non è un qualcosa che ha<br />
preso il via con me, che rappresento la sesta<br />
generazione, e neanche con mio padre Roberto”,<br />
spiega Ilaria Felluga. “È già con mio nonno,<br />
decenni or sono, con la sua lungimiranza e<br />
sensibilità a cogliere tutto quello che circonda<br />
il quotidiano, caratterizza e contraddistingue<br />
il nostro territorio mirando a una simbiosi tra quest’ultimo<br />
e l’attività produttiva. Dal semplice coinvolgimento in<br />
quella che è la vita locale, e sociale sotto diverse forme e<br />
opportunità, alla decisione di prestare cura alla valorizzazione<br />
del territorio, preservandone l’unicità e salvaguardando<br />
chi lo abita. La mia famiglia da decenni fa del suo<br />
meglio per dare concretezza ogni giorno a questa parola,<br />
sostenibilità, oggi forse anche inflazionato per l’uso che<br />
spesso ne è stato fatto, da troppi, in maniera impropria”.<br />
È dunque un agire nel territorio, per il territorio, con il<br />
territorio, come la famiglia di Marco Felluga ha nel tempo<br />
declinato questo tema così importante e sensibile. E lo ha<br />
fatto con naturalità, non esclusivamente intesa come scelta<br />
di campo, ma proprio come filosofia di un agire che è<br />
ritenuto, nella sua più pura semplicità, quel che è reputata<br />
di fatto la “normalità”.<br />
“Se si deve entrare nello specifico della nostra realtà”,<br />
prosegue Ilaria Felluga, “questo si sviluppa attraverso l’utilizzo<br />
esclusivo di energie rinnovabili, grazie ai servizi di<br />
Eon, ma anche dall’aver scelto di abbracciare il progetto<br />
ministeriale di certificazione Viva, che presto troveremo il<br />
modo migliore di comunicare anche nelle nostre etichette,<br />
passando per l’abbandono totale da anni dei diserbanti<br />
chimici e la decisione di approvvigionarci a livello locale<br />
di soli concimi organici fornitici da realtà locali che garantiscono<br />
assoluta tracciabilità di filiera, fino all’entrata in<br />
funzione del nostro impianto fotovoltaico”.<br />
Oggi l’azienda di Russiz Superiore, grazie alle ultime innovazioni<br />
entrate a regime, produce da sé la quasi totalità del<br />
proprio fabbisogno energetico. L’ impianto fotovoltaico è<br />
una realtà di tale successo che presto punta a essere ulteriormente<br />
sviluppato. “Vorremmo essere sempre più autonomi<br />
sotto questo punto di vista”, sottolinea Ilaria Felluga.<br />
“E in cantiere c’è già un progetto per estendere questa<br />
iniziativa anche alla nostra realtà di Gradisca d’Isonzo”. E<br />
poi, sono tanti gli step che progressivamente la cantina<br />
friulana ha scelto d’intraprendere: iniziando dalla creazione<br />
di una fossa biologica, per provvedere in futuro a un riciclo<br />
completo di quelli che sono gli scarti della potatura e<br />
della ricezione uve, da potere in seguito poi riutilizzare in<br />
vigna come concime e ammendante. “Ma c’è anche un’innovazione<br />
tecnologica rivoluzionaria che abbiamo adottato,<br />
da ormai cinque anni, primi in Italia, per ridurre ancor<br />
più l’impatto ambientale dei trattamenti fitosanitari in vi-<br />
Marco Felluga<br />
e Russiz<br />
Superiore<br />
Marco, Ilaria<br />
e Roberto<br />
Felluga<br />
gneto”, spiega Ilaria Felluga. “Un atomizzatore al cui interno<br />
è contenuta acqua che mediante un processo continuo<br />
assume lo stato di ozonata. Questo perché l’Ozono usato<br />
spesso nei processi di sterilizzazione in campo medico ha<br />
un fortissimo potere ossidante verso funghi e batteri”. Una<br />
volta irrorato sulle piante, svolge la sua azione nel tempo<br />
di 10 minuti, per poi ritornare allo stato di origine, cioè<br />
acqua. “Quindi, il risultato finale porta al zero residuo chimico<br />
e ambientale in vigneto al termine della sua azione”.<br />
Una pratica che “oltrepassa” per naturalità anche classiche<br />
scelte come possono essere quella dell’utilizzo del rame<br />
per chi segue i dettami del biologico. Una visione lungimirante,<br />
in termini di sostenibilità, che prosegue anche grazie<br />
a scelte agronomiche sartoriali sviluppate e tecnicamente<br />
pensate su misura, per ogni singolo appezzamento. Come<br />
racconta la collaborazione stretta dalla realtà friulana con<br />
un altro pioniere: quel Giovanni Bigot ideatore del brevettato<br />
metodo di valutazione – scientifico e assolutamente<br />
innovativo – sul potenziale qualitativo di un vigneto.<br />
“Una delle nostre parcelle più vecchie, quella del Sauvignon<br />
Lungo Strada, ha ricevuto 92 punti, configurandosi<br />
tra le migliori in Italia”, sottolinea Ilaria Felluga.<br />
Anche la partecipazione a questo progetto si conferma<br />
come scelta importante volta a supportare un approccio<br />
sempre più sostenibile dal punto di vista ambientale, in<br />
quanto a venire monitorati sono quei fattori che hanno<br />
poi influenza diretta sulla qualità del vino: processo produttivo,<br />
chioma, rapporto tra foglie e produzione, sanità<br />
delle uve, tipo di grappolo, stress idrico, vigore, biodiversità<br />
e microrganismi, età del vigneto. Ma non soltanto:<br />
questo approccio sposa anche il principio tanto caro alla<br />
famiglia di Marco Felluga, secondo cui ogni appezzamento<br />
ha la sua storia, il suo<br />
microclima, la sua esposizione<br />
e collocazione, porta alla<br />
produzione di uve uniche con<br />
identità chiare e definite. Per<br />
una filosofia di vita e di sostenibilità<br />
che mira a un costante<br />
e continuo miglioramento.<br />
Perché a Russiz Superiore le<br />
idee sono ben chiare nella loro<br />
semplicità: “Non bisogna mai<br />
sentirsi arrivati, né sull’adozione<br />
d’innovazioni, né sulla possibilità<br />
di contribuire a dare<br />
vita ogni giorno a un mondo e<br />
a dei vini migliori”.<br />
SOSTENIBILITÀ
16<br />
COLLECTION<br />
Un vino di confine: nel vero senso della<br />
parola. Nasce in un Cru sloveno, ma il<br />
suo animo è italiano. E ricongiunge in<br />
bottiglia le due storie di una famiglia<br />
da sempre impegnata ad aver cura<br />
della propria terra. Anche se lontana,<br />
per troppi anni molto più<br />
di quanto i pochi chilometri che<br />
separano la vigna dalla cantina<br />
possano raccontare. Oggi,<br />
però, il mondo è cambiato. E<br />
sono identità rinnovate quelle<br />
che possono essere disegnate<br />
anche nel calice. Come<br />
testimonia il Sveti Nikolaj<br />
Robert Princic Rebula<br />
2018, vino dai riflessi dorati,<br />
Ribolla vinificata in acciaio e<br />
affinata in botte di legno di<br />
Slavonia, secondo tradizione.<br />
Una novità che se non riporta<br />
in etichetta il nome Gradis’ciutta,<br />
è solo perché il suo<br />
scopo è innanzitutto riconnettere<br />
una famiglia alle sue<br />
radici, grazie a un’uva che sui<br />
due lati di questa sottile linea,<br />
che un tempo separava e ora<br />
unisce, raggiunge le massime<br />
espressioni. E colora i volti<br />
delle colline dove la famiglia<br />
Princic ha scritto una storia<br />
che nel 2018 si è arricchita<br />
del capitolo della scelta biologica:<br />
perché sostenibilità<br />
significa produrre vini che<br />
rispettino la terra e, ancor<br />
più, chi se ne prende cura.<br />
“Back”, in un richiamo alle origini.<br />
“To”, indirizzando lo sguardo nel<br />
cogliere la sfida dei tempi moderni.<br />
“Basic”, celebrando i valori essenziali<br />
e identitari di un’azienda bio e vegan<br />
dal 1991. Il Raboso Igt Veneto Back<br />
to Basic di Cantina Pizzolato è vino<br />
destinato a far parlare di sé. Insieme<br />
ai suoi “fratelli” in gamma offre forma<br />
concreta, dentro e fuori dalla bottiglia,<br />
alla riduzione dell’impatto ambientale<br />
e ai principi di riciclo e riuso dei<br />
materiali. Creatività e design identificano<br />
un progetto di filiera dove<br />
uve, vetro, tappo, capsula, etichetta<br />
e cartone d’imballaggio si fanno reale<br />
esposizione a 360° del concetto<br />
di sostenibilità. È un racconto infinito<br />
quel che si dispiega in ogni<br />
singolo dettaglio. E che nel calice,<br />
con la scelta del Raboso,<br />
moltiplica esponenzialmente<br />
la comunicazione dell’attaccamento<br />
di Cantina<br />
Pizzolato alla propria<br />
terra. Per un vino giovane,<br />
diretto, subito<br />
apprezzabile per la<br />
sua pronta beva. E<br />
che convoca, quali<br />
ideali compagni<br />
di viaggio, le tipicità<br />
dei luoghi in<br />
cui prende vita.
17<br />
COLLECTION<br />
Il Bianco italiano nel mondo, in tre interpretazioni<br />
che raccontano usanze, suoli,<br />
ma soprattutto scelte capaci di esaltare le<br />
peculiarità di ciascuna terra d’origine. Le<br />
Tre Venezie e un’unica grande visione,<br />
ad articolare la complessità di Veneto,<br />
Friuli-Venezia Giulia e Trentino, facendo<br />
esprimere al meglio quel Pinot Grigio<br />
che questo angolo d’Italia ha indicato a<br />
suo territorio d’elezione. Tre etichette, il<br />
Pinot Grigio Friuli Grave Doc 2020, il<br />
Pinot Grigio Corvara Valdadige Doc<br />
2020 e il Pinot Grigio Colle Ara Doc<br />
Terradeiforti<br />
2020, che parlano<br />
la lingua<br />
del loro artefice:<br />
Albino Armani.<br />
Si racconta di sostenibilità<br />
in vigna, certo: il 100% della produzione<br />
è certificata Sqnpi. Ma il concetto<br />
è poi spinto ben oltre il solo orizzonte<br />
dei filari. È la storia di tradizioni e specificità<br />
rispettate. È un approccio produttivo<br />
che mira all’esaltazione del terroir,<br />
valorizzando ogni vigneto attraverso il<br />
concetto del<br />
cru. È un fil<br />
rouge che<br />
mai si spezza,<br />
dipanandosi<br />
dalle Alpi Carniche<br />
dell’alta Grave friulane, con i tipici clap<br />
a ricoprire un terreno ricco di calcare,<br />
alla Valdadige, con le sue escursioni<br />
termiche e i benefici dell’irradiazione<br />
riflessa, fino a raggiungere il conoide<br />
calcareo del Colle Ara nel Parco Nazionale<br />
della Lessinia, che offre un<br />
decisivo contributo nel regalare le sfumature<br />
ramate che vivacizzano il colore<br />
dell’oro rosa. Piacevolmente salino ed<br />
elegante, soprattutto minerale il Pinot<br />
Grigio Friuli Grave Doc 2020. Paradigma<br />
per eccellenza di equilibri del varietale<br />
il Pinot Grigio Corvara Valdadige<br />
Doc 2020. Pieno, morbido, con lunghi<br />
ritorni dell’olfattivo, ma altrettanta acidità<br />
e sapidità, retaggio del suolo in cui<br />
prende vita, il Pinot Grigio Colle Ara<br />
Doc Terradeiforti 2020. Per tre bandiere<br />
sinonimo di un bere autentico.
18<br />
COLLECTION<br />
La gioia della nascita di una nuova selezione. Di quello che è un vino già<br />
simbolo riconosciuto: tanto per la cantina che lo produce, quanto per il<br />
territorio in cui prende vita. Select Vigna Premstallerhof Santa Maddalena<br />
Classico Alto Adige Doc è l’ultima grande novità di Tenuta<br />
Hans Rottensteiner. Un’etichetta che racconta più livelli di sostenibilità.<br />
S’inizia sempre dalla terra: il cru di Maso Premstaller, certificato<br />
come vigna, e in cui Gertrud Vogel da anni, grazie al biodinamico, ha<br />
scelto la via dell’armonia con la natura. Si passa dal rinsaldarsi di un<br />
legame umano: quello che unisce, dal 1956, le famiglie Vogel e Rottensteiner.<br />
Si giunge fino alla volontà di offrire nuove ambizioni, anche<br />
internazionali, a questo figlio prediletto dell’Alto Adige, il frutto delle<br />
migliori uve Schiava e Lagrein. L’evoluzione di un racconto di montagna,<br />
in cui al centro ritroviamo un vino alpino espressione massima del<br />
territorio. Una produzione ancorata saldamente a quella pietra rossa,<br />
il porfido delle Dolomiti, che colora i panorami dei pendii a nord di<br />
Bolzano. E che contribuisce a regalare al Select Vigna Premstallerhof<br />
Santa Maddalena Classico Alto Adige Doc il suo profilo elegante e<br />
complesso che colpisce per tipicità, concentrazione e linearità.<br />
Orgoglio in bottiglia che fa emergere l’unicità<br />
del dettaglio nell’insieme. Quello<br />
di una tenuta custode del territorio di<br />
Gaiole in Chianti dal 1256. Dove tra i<br />
filari si conta 142 volte un ettaro. Per<br />
esaltare clima, pendenze, esposizione,<br />
composizione dei suoli e altimetria di<br />
ciascuno. In questa ricca immensità la<br />
biodiversità è salvaguardata e promossa,<br />
valorizzando la storia millenaria che rende<br />
unico ogni angolo. Come quello della<br />
sottozona di San Piero in Avenano in cui<br />
prende forma il Camboi Igt Toscana<br />
Rosso 2018 di Castello di Meleto. Il figlio<br />
di un vigneto che deve il suo nome<br />
all’adiacente casa colonica e racconta del<br />
tempo in cui al “Cam(pu)Boi” venivano<br />
allevati i bovini. Gli stessi che ritornano<br />
in etichetta, grazie al tratto e alla creatività<br />
dell’artista Martine Janta. A rendere<br />
questo cru così speciale, la scelta della<br />
Malvasia Nera del Chianti, varietà rara<br />
in purezza a queste latitudini. Per un<br />
vino caratterizzato da un’aromaticità armonica<br />
che avvolge con le sue sfumature<br />
di spezia e incenso. E dove i sentori tipici<br />
del vitigno assumono l’identità e il carattere<br />
unico del vigneto da cui discende.
19<br />
L’emblema del gusto Ruinart si erge a simbolo di una rivoluzione<br />
contemporanea. Per ispirare. Per distinguersi. Per aggiungere<br />
una nuova veste ecocompatibile all’inconfondibile silhouette di<br />
una bottiglia esclusiva. Il Ruinart Blanc de Blancs racconta<br />
nella sua versione Second Skin un approccio innovativo.<br />
Ma ancor di più un impegno articolato: quello della prima<br />
Maison nata in Champagne a uno sviluppo rispettoso<br />
dell’ambiente, dai vigneti alla degustazione, che integra<br />
tutte le fasi di elaborazione, compreso il packaging.<br />
Avendo quale stella polare l’integrità del gusto<br />
Ruinart, grazie a una seconda pelle di carta, con la sua<br />
texture che ricorda quella del gesso, trama naturale<br />
ed elegante richiamo alle Crayères, impermeabile a<br />
ogni tipo di luce e resistente agli usi di servizio, inclusi<br />
conservazione refrigerata e contatto con l’acqua.<br />
Zero plastica, allora, per puntare con ancora maggiore<br />
intensità i riflettori sul 100% Chardonnay, assemblaggio<br />
di diverse annate, anima della Maison. In una scelta<br />
che si fa primo passo verso un’art de vivre consapevole.<br />
COLLECTION
20<br />
SOSTENIBILITÀ<br />
Banfi<br />
Castello Banfi<br />
Ruffino<br />
Sandro Sartor<br />
Zorzettig<br />
Annalisa Zorzettig<br />
Sostenibilità fa rima con evoluzione per Zorzettig.<br />
Un’evoluzione che guarda avanti<br />
riscoprendo la profondità delle proprie radici.<br />
E andando a ridefinire il legame con<br />
il territorio attraverso una differente valorizzazione<br />
del tempo che ci è concesso. Come racconta<br />
il nuovo corso intrapreso proprio in questo <strong>2021</strong> dalla<br />
linea Myò Vigneti di Spessa, che nella visione della sua<br />
ideatrice, Annalisa Zorzettig, ha sempre inteso definire<br />
proprio un nuovo paradigma di sostenibilità. Già, perché<br />
sono l’essenza della tradizione e della cultura dei<br />
Colli Orientali del Friuli a venire tratteggiati nella scelta<br />
di prolungare a due anni l’attesa in cantina, fornendo<br />
ancora più caratterizzazione e identità a Pinot Bianco,<br />
Friulano, Sauvignon, Ribolla e Malvasia. Ma è un’evoluzione<br />
enologica firmata Saverio Di Giacomo, quella<br />
della linea Myò Vigneti di Spessa, che ha origine in vigna<br />
e si fa con ancora maggiore forza racconto di sostenibilità<br />
in quanto frutto non dell’impegno di un singolo<br />
soltanto, ma del contributo di ciascun componente<br />
la squadra Zorzettig. I risultati ottenuti dalle uve, infatti,<br />
sono frutto del lavoro coordinato con l’agronomo<br />
Antonio Noacco, che ha censito la biodiversità, ossia<br />
controllato la presenza degli organismi utili, di insetti<br />
bio indicatori e la biodiversità vegetale nel vigneto. Un<br />
impegno, poi, proseguito con pratiche volte a stimolare<br />
la presenza di specie vegetali spontanee e autoctone,<br />
come per esempio lo sfalcio a filari alterni e la creazione<br />
di infrastrutture aree verdi ecologiche interne ed esterne<br />
ai vigneti secondo il progetto Biodiversity Care. Ed<br />
è così che con ogni bottiglia della linea Myò Vigneti di<br />
Spessa è l’amore per i valori autentici e<br />
per la propria terra d’origine quel che la<br />
cantina di Spessa punta a esplicitare.<br />
I medesimi valori che, da ormai cinque<br />
anni, assumono la forma di un bilancio<br />
specifico per Banfi, simbolo tra i più riconosciuti<br />
di Montalcino e del Brunello<br />
nel mondo. Un impegno sostenibile che<br />
certifica il lavoro compiuto dall’azienda<br />
volto a una crescita capace di procedere<br />
di pari passo con il rispetto per l’ambiente<br />
e il benessere delle persone. “Ogni<br />
azione deve risultare socialmente equa,<br />
sicura per l’ambiente e al contempo realizzabile<br />
economicamente”. Sono questi<br />
i pilastri su cui si fonda la filiera della realtà<br />
toscana, che si dipana lungo i 1<strong>05</strong>6<br />
ettari a vigneto e i 485 di colture differenti<br />
dalla vite, le due cantine in Italia e<br />
le 11,3 milioni di bottiglie prodotte. Una<br />
convinzione che guida Banfi fin dalla sua nascita, oltre<br />
40 anni fa. E a risuonare sono ancora oggi le parole di<br />
John F. Mariani, che il giorno dell’inaugurazione della<br />
realtà da lui fondata nel 1978 con il fratello Harry,<br />
indico con precisione la rotta: “Il nostro più profondo<br />
desiderio è che questo progetto sia un bene per la<br />
gente di Montalcino, un bene per l’Italia, un bene per<br />
l’America e un bene per tutti coloro che amano i vini<br />
di qualità”. Un esemplificativo andare “oltre il vino”. E<br />
che aiuta a comprendere appieno quanto una realtà vitivinicola<br />
possa incidere su un territorio ben al di là della<br />
“semplice” produzione. Perché “la sostenibilità non è<br />
una tendenza, né è un’opzione”, come spiega Cristina<br />
Mariani-May, Ceo di Banfi. E l’anno della pandemia lo<br />
ha ribadito con forza.<br />
Una visione, quella improntata alla sostenibilità, che<br />
neanche le difficoltà affrontate in questi ultimi mesi<br />
possono scalfire, laddove scelta quale chiara interpretazione<br />
del proprio futuro. A dimostrarlo un altro big<br />
della Toscana del vino, come Ruffino. La storica azienda<br />
fondata nel 1877 a Pontassieve è un altro paradigma<br />
delle mille sfaccettature che può assumere il concetto<br />
di sostenibilità. E lo è fin nella sua identità di realtà di<br />
grandi dimensioni, che però si concepisce come unione<br />
di piccole entità che artigianalmente curano ogni minimo<br />
dettaglio a fronte di una visione<br />
comune. Uno sguardo sostenibile nei<br />
fatti. A partire dalla scelta, entro il 2025,<br />
di trasformarsi nella più grande realtà<br />
vinicola toscana bio. Ma che già oggi<br />
parla di una certificazione Biodiversity<br />
Friends che dal 2018 definisce l’impegno<br />
a sostegno della biodiversità all’interno<br />
delle tenute di proprietà. E, poi, la<br />
costante attenzione agli sprechi e all’impatto<br />
ambientale si concretizza anche nel<br />
riciclo di oltre il 75% dei rifiuti prodotti,<br />
con l’esempio virtuoso della gestione<br />
delle acque con impianti di depurazione all’avanguardia<br />
e la fitodepurazione. Ma non solo in vigna l’impegno di<br />
Ruffino è diretto alla sostenibilità. “To care” è un verbo<br />
inglese la cui traduzione significa “prendersi cura, impegnarsi<br />
per qualcosa di positivo”.<br />
E questo è proprio il fondamento di Ruffino Cares. “Un<br />
ampio progetto di responsabilità sociale, che in queste<br />
ore più che mai esprime il nostro sentimento, il nostro<br />
cuore battente e la nostra volontà di fare”, spiega l’amministratore<br />
delegato di Ruffino, Sandro Sartor. “Sostenibilità<br />
è anche educazione al consumo responsabile di<br />
vino che si incarna nell’idea di educare a gustare il vino<br />
ancorandolo ai sistemi relazionali tipici di noi italiani:<br />
la convivialità e la condivisione.<br />
Bere attraverso il<br />
piacere di stare insieme,<br />
quindi, non per isolarsi<br />
negli eccessi”. Fra i pilastri<br />
di Ruffino Cares,<br />
l’impegno verso gli altri.<br />
Una scelta che passa dal<br />
sostegno alle eccellenze<br />
del territorio nell’ambito<br />
dell’assistenza e del<br />
volontariato, come Dynamo<br />
Camp e l’associazione<br />
MiaDi. Mentre<br />
attraverso Diversity & Inclusion<br />
lo sguardo si posa<br />
all’interno dell’azienda,<br />
nella costruzione di un<br />
clima aperto e inclusivo.<br />
“Ruffino Cares è un progetto<br />
a lungo termine, ambizioso,<br />
che ha l’aspirazione di rappresentare<br />
quello che l’azienda<br />
desidera far vivere nella sua<br />
essenza di marchio: la bellezza<br />
buona e sociale”.
21<br />
nacce di lavorazione vengono riciclate e smaltite, in parte<br />
utilizzandole come concime ed in parte affidate a ditte<br />
specializzate per il riuso. Tutti i piazzali, poi, scaricano<br />
le acque meteoriche in apposite vasche di prima pioggia,<br />
realizzando in tal modo un organismo di lavorazione e<br />
trasformazione che può ben dirsi ad impatto zero. Ma<br />
nel prossimo futuro c’è di più. In progetto, infatti, sono<br />
il rivestimento della copertura con particolari pannelli<br />
fotovoltaici e l’installazione di colonnine di ricarica per<br />
biciclette elettriche. Nuove idee e rotte per realizzare<br />
Assuli<br />
La cantina<br />
di Mazara<br />
del Vallo (Trapani)<br />
e il vigneto<br />
sperimentale<br />
Per la cantina siciliana Assuli, sostenibilità<br />
fa rima con un concept che si declina<br />
in una veste eco-luxury. Ma soprattutto è<br />
abbinamento a una visione che va ben oltre<br />
la sola forte attenzione al territorio e al<br />
suo assoluto rispetto. Già, perché la cantina di Mazara<br />
del Vallo (Trapani), fin da principio, ha scelto di concentrarsi<br />
su ogni singolo aspetto della catena del valore,<br />
così da abbracciare un concetto “esteso” di sostenibilità.<br />
Si spazia allora dall’architettura, che coniuga con armonia<br />
edificio produttivo e paesaggio rurale, al processo<br />
produttivo, ad impatto zero. Poi si parla ovviamente di<br />
vino, con tre bianchi certificati bio dall’annata 2019 a<br />
dare sostanza al cammino intrapreso. Ed infine, lo snodo<br />
del vigneto sperimentale: un progetto di ricerca enologica<br />
per il recupero dei vitigni antichi tipici. Tutto declinato<br />
secondo un concetto di lusso discreto abbinato<br />
al vero spirito siciliano.<br />
La sfida della sostenibilità in Assuli prende il via con<br />
l’architettura. La cantina, infatti, è il risultato dell’attenta<br />
ristrutturazione di un antico baglio del ‘700, rispettando<br />
i criteri originari in una struttura con sue esigenze<br />
di funzionalità ed efficienza economica. Un complesso<br />
multifunzionale esteso su una superficie di 10mila mq<br />
che abbraccia le colline che<br />
lo circondano, da cui è possibile<br />
allungare lo sguardo sino<br />
alle isole Egadi. Un connubio<br />
ribadito dall’utilizzo di materiali<br />
locali quali il tufo del<br />
marsalese, il marmo di Custonaci,<br />
i coppi di tipo siciliano,<br />
che creano una struttura in<br />
perfetta armonia con il contesto,<br />
dove le cromie in tutti<br />
i toni della sabbia, del fango<br />
e della creta richiamano la<br />
terra. Tutti i rivestimenti, poi,<br />
sono in pietra tufacea all’esterno,<br />
quelli interni in marmo Perlato Sicilia Cofano<br />
e Riviera Beige. La matericità dell’architettura rievoca<br />
una continuità con le costruzioni locali che enfatizza il<br />
legame con la tradizione costruttiva anche nella scelta<br />
dei rivestimenti lapidei.<br />
Anche lato produttivo la realtà siciliana parla fluentemente<br />
la lingua dell’ecosostenibilità. Concepita pensando<br />
al vino, all’estetica e al risparmio energetico, l’intera<br />
struttura della cantina è perfettamente integrata e<br />
progettata per abbattere l’impatto ambientale: tutto il<br />
complesso è stato realizzato creando un ciclo chiuso di<br />
lavorazione con un apposito impianto di depurazione<br />
munito di vasca di evapotraspirazione. I fanghi e le viuna<br />
struttura inedita sia dal punto di vista estetico sia<br />
ecologico nella sua solo apparente essenzialità.<br />
E poi c’è il vino. Per cui, nel rispetto della natura e dei<br />
suoi ritmi, Assuli si è indirizzata verso una produzione<br />
all’insegna della naturalità. Dove la scelta del biologico<br />
è realmente innalzamento dei principi di sostenibilità.<br />
L’attenzione è massima verso l’ecosistema viticolo, affinché<br />
sia il più possibile in equilibrio. I trattamenti con<br />
rame sono ridotti e per mitigare annate poco piovose si<br />
fanno concimazioni organiche, tenendo i grappoli coperti.<br />
Scelte, queste, che favoriscono il mantenimento<br />
dell’integrità aromatica. Continua è, poi, l’attenzione<br />
finalizzata a un innalzamento della qualità dei vini: tra<br />
una ricerca per una sempre miglior maturazione delle<br />
uve e l’aumento di polifenoli, il tutto seguendo la disciplina<br />
biologica dalla pianta alla bottiglia. Tre, a tal proposito,<br />
i bianchi Doc Sicilia della gamma Assuli certificati:<br />
il fresco e sapido Carinda, 100% Insolia, il minerale<br />
Fiordiligi, 100% Grillo, e Dardinello, 100% Zibibbo dal<br />
bouquet persistente. E quel principio di una sostenibilità<br />
“estesa”, che si coniuga al vero spirito dell’isola, a declinarsi<br />
anche nella curiosità dell’omaggio al territorio<br />
che passa dall’etichetta: ciascun vino ricorda, infatti, un<br />
personaggio dell’Orlando Furioso, in un epico viaggio<br />
ricco di connessioni con l’arte e la cultura siciliani.<br />
Un recupero delle radici che ritorna anche grazie all’esperienza<br />
del vigneto sperimentale. Circa 600 innesti<br />
collocati in altrettanti impianti per un totale di 0,3 ettari<br />
situati a Carcitella, nel comune di Mazara del Vallo,<br />
dove sorge Assuli e dove l’azienda coltiva una parte<br />
dei 130 ettari di proprietà. Nel suo progetto di ricerca<br />
enologica, la cantina siciliana ha scelto di dare vita a un<br />
vigneto con 14 varietà selezionate, con l’obiettivo di<br />
riscoprire vitigni antichi e che presto potranno essere<br />
riassaporati. In collaborazione con l’istituto Vite Vino<br />
di Marsala, che ha dato la disponibilità ad attenzionare<br />
le varietà reliquia, il miglioramento varietale viticolo si<br />
realizza all’interno di questo campo sperimentale, gestito<br />
secondo i dettami del biologico. Con i vitigni reliquia<br />
siciliani a raccontare l’antica storia del vino nell’Isola,<br />
ciascuna varietà, a suo modo, rappresentativa del<br />
territorio da cui ha avuto origine. Narrazioni piene di<br />
fascino, come quella del Vitrarolo, la cui coltivazione<br />
era limitata a pochi ceppi presenti nei vigneti più antichi<br />
dell’area dei Nebrodi, dove il paesaggio è montuoso e il<br />
clima è rigido, che deve il suo nome alla caratteristica<br />
dei tralci che, in inverno, assumono un aspetto vitreo e<br />
si spezzano facilmente. Un modo per sottolineare ancora<br />
di più il legame con la terra, nella consapevolezza che<br />
sui vitigni autoctoni ed antichi e sulla tutela della straordinaria<br />
biodiversità della Sicilia si decide il futuro della<br />
viticoltura isolana.<br />
SOSTENIBILITÀ
22<br />
SOSTENIBILITÀ<br />
È<br />
un nuovo importante passo in avanti sulla<br />
strada della sostenibilità quello di recente<br />
compiuto da Bortolomiol. E ancora una volta,<br />
la cantina di Valdobbiadene si muove da pioniera<br />
nel mondo del vino. È, infatti, la prima<br />
azienda vitivinicola a fregiarsi della certificazione ambientale<br />
Epd, l’unica attualmente valida a livello internazionale.<br />
Lo deve al suo Ius Naturae, Prosecco Superiore<br />
Docg Brut Millesimato prodotto da uve dei filari del Parco<br />
della Filandetta, cuore biologico dell’azienda della famiglia<br />
Bortolomiol. L’etichetta, il 14 aprile scorso, è stato<br />
oggetto della prima Dichiarazione ambientale di prodotto<br />
(Environmental Product Declaration) nel settore<br />
vitivinicolo emessa dall’ente di Stoccolma che presiede<br />
l’International Epd System. Il risultato di un progetto<br />
iniziato nel 2018 dalla cantina veneta in collaborazione<br />
con Indaco2, una società spin-off dell’Università di Siena,<br />
per l’Analisi del ciclo di vita (Lca – Life Cycle Assessment)<br />
dei vini dell’azienda. Un monitoraggio completo<br />
del processo produttivo, dalla gestione del vigneto fino<br />
allo smaltimento dei materiali di confezionamento, normato<br />
dagli standard Iso 14040-44 e riconosciuto a livello<br />
internazionale. Tra gli indicatori calcolati ed esposti<br />
nella Epd, un’attenzione particolare è rivolta alla Carbon<br />
Footprint, ovvero la quantità di gas serra emessi direttamente<br />
e indirettamente in atmosfera nel corso dei processi<br />
della filiera produttiva. L’impronta carbonica per<br />
ogni bottiglia da 0,75 lt di Ius Naturae è risultata di 1,54<br />
kg CO2eq: il 22% in meno rispetto alle medie internazionali.<br />
Un valore, tra l’altro, ampiamente compensato<br />
dal terreno boschivo di oltre tre ettari che la famiglia<br />
Bortolomiol tutela nei pressi del Monte Cesen.<br />
Le scelte green delle cantine italiane, come raccontato,<br />
hanno abbracciato in questi anni differenti ambiti.<br />
Per Zeni1870, l’ultima declinazione ha arricchito<br />
due veri e propri “must taste” nel panorama vitivinicolo<br />
gardesano, il Lugana Vigne Alte e il Lugana Marogne,<br />
con l’importante ottenimento del plus della<br />
certificazione Sqnpi. Ma l’impegno per l’azienda veronese<br />
prosegue anche nel quotidiano, grazie a diverse<br />
importanti iniziative volte a preservare l’ambiente,<br />
tra cui si segnala “Zeni for Green”, il sistema di ricarica<br />
elettrica per auto e bici riservato ai clienti e ai visitatori<br />
della cantina, i quali, mentre degustano calici di vino,<br />
acquistano bottiglie oppure visitano Museo e Galleria<br />
Olfattiva, possono comodamente ricaricare i propri<br />
mezzi in maniera totalmente gratuita. Un servizio in<br />
più per i visitatori, ma soprattutto una forma di comunicazione<br />
diretta, atta a creare consapevolezza.<br />
È un impegno sostenibile che s’indirizza lungo due grandi<br />
direttrici, quella ambientale e quella sociale, a essere<br />
promosso da Tinazzi. Sul primo versante, il gruppo di<br />
cantine con sede a Lazise e produzioni in Veneto e Puglia<br />
ha scelto di recente di presentare la sua nuova gamma<br />
biologica, composta da 10 vini di territorio e dedicata al<br />
mercato internazionale. Per la linea veneta, nomi come<br />
Tordina, Cercero o Franguel ricordano quelli dei volatili,<br />
rimandando al dialetto locale. Mentre per la<br />
linea pugliese è la storia della regione il riferimento,<br />
richiamando a personaggi e identità<br />
della tradizione popolare, tra cui Pipièle, Mamajànna<br />
e Furèse. Ma questo profondo legame<br />
con la comunità si esprime anche in iniziative<br />
volte a tener fede al motto che da sempre guida<br />
l’azienda: “Fare vini buoni che fanno del bene”.<br />
E così, dal legno di recupero delle botti della<br />
cantina di Lazise nascono oggetti d’arte prodotti<br />
dai ragazzi della Comunità Don Bosco<br />
Dab, un progetto che promuove l’inserimento<br />
lavorativo di adolescenti con difficoltà familiari<br />
e comportamentali. “Abbiamo deciso di<br />
sposare questo progetto che fa del bene e crea<br />
un sistema virtuoso per i ragazzi in difficoltà”,<br />
spiega Gian Andrea Tinazzi, titolare della cantina.<br />
“Siamo fieri di donare le nostre botti alla<br />
Bottega, aiutando la comunità a portare avanti<br />
Bortolomiol<br />
Il Parco della<br />
Filandetta<br />
Masi Agricola<br />
Raffaele Boscaini<br />
Zeni1870<br />
Fausto Zeni<br />
Librandi<br />
Il vigneto a spirale<br />
di Tenuta Rosaneti<br />
Tinazzi<br />
La nuova linea Bio<br />
la formazione dei giovani e a educarli al bello e all’arte del<br />
riciclo”. E il territorio è al centro anche di un’altra iniziativa<br />
sostenuta da Tinazzi: La Piana degli Orti. Un progetto<br />
nato dalla collaborazione con Città in Fiore e Oltre il Confine,<br />
due associazioni che prendono in gestione terreni incolti<br />
e li trasformano in un orto a km 0, restituendo così<br />
alla comunità un patrimonio agricolo inutilizzato.<br />
È rivoluzione sostenibile anche quella lanciata da Fresco<br />
di Masi, l’ultimo nato nella cantina di Mister Amarone.<br />
Nota fino a oggi innanzitutto per la riconosciuta expertise<br />
nella tecnica dell’Appassimento, la storica azienda<br />
veneta ha articolato una nuova proposta che si compone<br />
di due vini biologici interpreti di una rinnovata visione<br />
di sostenibilità, per un’esperienza dal sapore autentico e<br />
semplice. Una produzione “per sottrazione”, che minimizza<br />
l’intervento dell’uomo<br />
sulla natura. Un ritorno<br />
alle origini e alla ricerca<br />
dell’essenza del vino: questa<br />
la filosofia alla base del<br />
progetto Fresco di Masi.<br />
Per un concetto che risponde<br />
alla sensibilità dei<br />
tempi attuali: un consumo<br />
sempre più responsabile<br />
e attento al benessere degli<br />
individui e del pianeta.<br />
“L’idea di Fresco di Masi<br />
nasce proprio da qui: vini<br />
sinceri, all’insegna della<br />
genuinità, semplici come<br />
una volta, ma buoni come ci si aspetta oggi”, sottolinea<br />
Raffaele Boscaini, responsabile del Gruppo Tecnico e<br />
settima generazione della famiglia proprietaria di Masi.<br />
“Abbiamo ricercato il percorso più breve dal vigneto al<br />
bicchiere ‘uva-mosto-vino’ e ottenuto vini moderatamente<br />
alcolici e caratterizzati da un gusto immediato di frutta<br />
fresca”. E così, Fresco di Masi parla la lingua della massima<br />
naturalità e integrità, per un vino vegano, prodotto<br />
da uve biologiche vendemmiate nelle ore più fresche e<br />
subito vinificate solo con i lieviti selvaggi dell’uva stessa,<br />
decantato naturalmente e non filtrato, senza appassimento,<br />
senza passaggio in legno. Una produzione “per sottrazione”,<br />
come si diceva in principio, che guarda al futuro<br />
anche nel packaging, dove ogni dettaglio è stato studiato<br />
all’insegna del massimo<br />
rispetto per l’ambiente:<br />
con una bottiglia leggera<br />
in vetro completamente<br />
trasparente, un tappo realizzato<br />
in sughero agglomerato<br />
con polimero naturale,<br />
la capsula che viene<br />
omessa, per una proposta<br />
100% plastic free. “La sostenibilità,<br />
intesa come<br />
impegno sociale, economico<br />
ed ambientale, è una<br />
linea guida chiave della<br />
nostra azienda, da sempre<br />
attenta alla cura del territorio<br />
e alla salvaguardia della biodiversità”, chiosa Paolo<br />
Librandi, co-titolare dell’omonima cantina di famiglia.<br />
Questa storica attenzione si è tramutata in un percorso di<br />
rendicontazione sociale che ha condotto, proprio in questo<br />
<strong>2021</strong>, all’ottenimento della certificazione Equalitas e<br />
alla pubblicazione del primo Bilancio di Sostenibilità da<br />
parte della realtà calabrese. Un punto d’inizio, avvio di<br />
un percorso che si rinnova nel solco di quanto già fino<br />
ad oggi fatto e che ha già decretato quelli che saranno i<br />
prossimi passi: a iniziare dall’efficientamento energetico<br />
e dalla tutela dei piccoli conferitori tramite una politica<br />
dei prezzi sostenibile. Ma anche nella definizione, entro<br />
il 2022, di Carbon Footprint e Water Footprint, al fine<br />
di effettuare una compensazione delle emissioni. Per un<br />
vino sempre più consapevole.
24<br />
GIRAMONDO<br />
Photo: manuel venturini -Unsplash<br />
Chardonnay e Pinot Noir sotto la lente d’ingrandimento.<br />
Performance e trend sul mercato italiano. Parlano otto distributori<br />
DI MATTEO BORRÈ<br />
Chardonnay e Pinot Noir. Pinot Noir e<br />
Chardonnay. Gemelli diversi. Il bianco e il<br />
nero. Da sempre abituati a viaggiare fianco<br />
a fianco. Ma capaci di esaltarsi anche in solitaria.<br />
Due vitigni che condividono i nobili<br />
natali: originari entrambi della Borgogna hanno lungo il<br />
corso dei secoli spiccato il volo, conquistando quasi ogni<br />
angolo del mondo. Dalla natia Francia sono giunti anche<br />
nel Belpaese, dove oggi sono diffusissimi. Ma tra Europa,<br />
America e Oceania, è difficile non ritrovare nelle destinazioni<br />
più rinomate alla coltivazione della vite questi due<br />
Campioni, con la C maiuscola. Già, perché parliamo di<br />
due veri e propri vitigni passe-partout. Amati e al contempo<br />
odiati, coccolati o rifiutati: non possono esistere mezze<br />
misure con nessuno dei due. I numeri dicono che si tratta<br />
di varietà in grande salute. Il Pinot Noir, o Blauer Burgunder,<br />
conta oltre 110mila ettari coltivati nel mondo. Meglio<br />
di lui fa lo Chardonnay, con più di 210mila ettari (fonte<br />
Oiv). Ma la costante è un trend in crescita per entrambi.<br />
Lo Chardonnay trova casa in 41 Paesi attorno al globo. E<br />
anche il Pinot Noir è un vero e proprio fenomeno planetario,<br />
grazie alla sua capacità di adattarsi ai climi più freschi,<br />
con ampia diffusione in Europa, ma anche nei vigneti del<br />
Nuovo Mondo: dagli Stati Uniti all’Australia, passando dal<br />
Cile fino al Sud Africa. La ricerca genetica afferma che lo<br />
Chardonnay è il risultato dell’incrocio del Gouais Blanc<br />
con il Pinot. Uniti, dunque, fin da principio, insieme danno<br />
vita ad alcuni degli spumanti più rinomati al mondo. Internazionali<br />
fino in fondo: anche in un gusto che si adatta<br />
bene ai più diversi palati. Ha buon potenziale di invecchiamento,<br />
il migliore tra i vini bianchi, lo Chardonnay. Nelle<br />
zone temperate, il Pinot Noir riesce a offrire il meglio di sé,<br />
regalando vini rossi moderatamente acidi che sono riconosciuti<br />
per la loro complessità aromatica e finezza. Ma qual<br />
è il loro stato di salute sul mercato italiano? <strong>Wine</strong><strong>Couture</strong><br />
lo ha chiesto a otto dei principali distributori che operano<br />
nel nostro Paese.<br />
Il trend e il mercato in Italia<br />
“È necessario fare una netta distinzione tra il Pinot Noir e<br />
lo Chardonnay”, esordisce Luca Cuzziol, amministratore<br />
unico di Cuzziol GrandiVini. “Il primo gode di maggiore<br />
salute e sfrutta la sua straordinaria versatilità che lo colloca<br />
nel canale mescita con vini in acquisto all’Horeca fino<br />
a 12 euro, nella ristorazione di buon livello con prodotti,<br />
sempre in acquisto all’Horeca, fino a 35 euro e nell’universo<br />
del fine dining con etichette anche oltre i 100 euro.<br />
In aggiunta, il Pinot Noir gode del traino della Borgogna,<br />
sconosciuta ai più, ma al top della richiesta dei grandi appassionati.<br />
Inoltre, da segnalare come gli spumanti quali i<br />
Blanc de Noirs – soprattutto francesi – stiano attualmente<br />
vivendo un grande momento”. Ma c’è di più, sottolinea<br />
Cuzziol: “Va ricordato come il Pinot nero si possa vinificare<br />
anche in bianco – oltre che declinare in bollicine – e<br />
questo lo rende intrigante per il pubblico tra i 20 ed i 40<br />
anni. Grande forza, per noi in Italia, è che il Pinot Noir non<br />
è ritenuto pienamente un vitigno internazionale e questa<br />
percezione aiuta molto in un Paese come il nostro che, pur<br />
curioso ed esterofilo, rimane attento alle proprie origini.<br />
Da ultimo, c’è la trasversalità nel panel di offerta dei vini da<br />
uve Pinot Noir, validi in aperitivo, con un amuse-bouche,<br />
con la carne e con il pesce. Lo Chardonnay, al contrario,<br />
sfrutta bene solo il posizionamento nell’alta ristorazione,<br />
mentre negli altri canali è alla pari di tante altre proposte a<br />
volte modali – come Ribolla o Passerina – più interessanti<br />
per gli operatori”. E il trend non è particolarmente positivo<br />
neanche sul versante più spumeggiante. “Per la bolla”,<br />
prosegue Cuzziol, “dopo anni di incontrastato dominio<br />
nello Champagne, il Blanc de Blancs ora sta perdendo un<br />
po’ di terreno, che però recupera in Italia grazie alle performance<br />
del TrentoDoc”. Anche in termini di gusto e scelte<br />
sono necessari dei distinguo nel raffronto tra le due varietà<br />
internazionali. “Per il Pinot Noir la richiesta è alta sia per il<br />
made in Italy, Alto Adige in testa, seguito da Oltrepò Pavese<br />
e da tante piccole produzioni locali della penisola, sia per<br />
l’estero. Negli ultimi due anni c’è una maggiore attenzione<br />
anche verso paesi come Austria, Germania e Usa. La dimensione<br />
delle cantine non rappresenta una discriminante<br />
nella scelta del prodotto, anche se come per altre tipologie<br />
di vino più il consumatore cresce, maggiore è il suo interesse<br />
per i piccoli vigneron o vins de garage. Lo Chardonnay
25<br />
invece – salvo le vendite regionali con i produttori locali –<br />
è nella maggior parte dei casi preda della Borgogna per le<br />
fasce medio alte del mercato, mentre il resto è frammentato<br />
tra i tanti produttori italiani di aree diverse, con le cantine<br />
che tramite il loro posizionamento confermano anche le rispettive<br />
dimensioni: le cooperative soprattutto per la Gdo<br />
e i piccoli produttori di nicchia per l’Horeca”. Corrado<br />
Mapelli, direttore generale e member of board di Gruppo<br />
Meregalli, tratteggia così i trend sul mercato italiano di<br />
Pinot Noir e Chardonnay: “Stiamo parlando di due vitigni<br />
che riscontrano costantemente un importante attenzione<br />
da parte della nostra clientela, sia come Blanc de Blancs o<br />
Blanc de Noirs nelle declinazioni sparkling – dallo Champagne<br />
al Metodo Classico – sia nei vini fermi. L’attenzione<br />
al made in Italy in questo periodo di pandemia è molto più<br />
sensibile che in passato. Stiamo vivendo un periodo con<br />
importanti crescite nelle vendite online, dove prevale<br />
il marchio forte e conosciuto, o le aree produttive note<br />
per qualità e specificità. Di conseguenza, parlando di<br />
Pinot Noir o Chardonnay, importanti crescite e rinnovata<br />
attenzione sono evidenti nei confronti della Borgogna<br />
o della Champagne”.<br />
Pietro Pellegrini, presidente di Pellegrini, rileva: “Il<br />
trend registrato da Pinot Noir e Chardonnay è ancora<br />
ottimo, in atto da tempo e non sembra arrestarsi. Se si<br />
guarda al gusto italiano, parlando di operatori dipende<br />
molto dal tipo di offerta che fanno: un ristorante di fascia<br />
alta si orienta sia su prodotti di maggiore qualità<br />
italiani, sia su prodotti esteri, in particolare francesi.<br />
I consumatori appassionati e colti sono disponibili<br />
verso le etichette italiane, ma più coinvolti da quelle<br />
estere. Rivolgendosi a un operatore o consumatore<br />
normali, vengono scelti prodotti italiani e meno quelli<br />
esteri, ad eccezione dello Champagne”.<br />
“L’offerta di Pinot Noir e Chardonnay prodotti in Italia,<br />
rispetto a quelli prodotti all’estero, è piuttosto paritaria<br />
e statica, se si escludono gli spumanti, per i quali il consumo<br />
è in costante crescita”, dichiara Mario Federzoni,<br />
amministratore delegato Prèmiere, nonché Chambellan<br />
de l’Ordre des Coteaux de Champagne e Chevalier du Tastevin<br />
de Bourgogne, uno dei professionisti più titolati con<br />
cui ragionare sul tema. “Borgogna e Champagne a parte,<br />
che sono due outsider, l’Italia sta proponendo prodotti<br />
sempre più interessanti, nelle regioni del Nord, sia nei vini<br />
fermi sia nelle bollicine”.<br />
Luigi Piacentini, presidente di Premium <strong>Wine</strong> Selection,<br />
giudica così l’attuale scenario di mercato: “Notiamo un<br />
trend d’interesse più orientato verso il Pinot Noir che<br />
sullo Chardonnay. Ma se poi focalizziamo l’attenzione<br />
nello specifico sul vitigno a bacca bianca, la scelta s’indirizza<br />
più verso lo Chardonnay di Borgogna che su quello<br />
italiano. Il motivo? Sui vitigni bianchi, in Italia si ricerca<br />
anche qualcosa di diverso rispetto al vitigno<br />
internazionale principe coltivato un po’ ovunque<br />
nel mondo. Falanghina, Pecorino, Passerina,<br />
Timorasso e gli altri autoctoni italiani oggi<br />
hanno un riscontro più favorevole dal pubblico<br />
rispetto allo Chardonnay”. Discorso differente<br />
per il Pinot Noir, che vive ancora un momento<br />
di splendore. “Si sta sviluppando un interesse<br />
sempre più marcato verso Pinot Noir extra europei:<br />
dalla Nuova Zelanda al Cile, per intenderci.<br />
In Europa, oltre alla classica attenzione<br />
riservata a Borgogna e Italia, dove è il Trentino-Alto<br />
Adige a farla da padrona, ci si dirige anche<br />
verso produzioni come quelle dell’Alsazia,<br />
che offre oggi Pinot Noir di altissimo livello. Quest’ultima<br />
è conseguenza del cambiamento climatico che ha alzato<br />
le temperature medie. E lo stesso vale, in tema Pinot Noir,<br />
per la Germania e anche l’Austria”. Sul mercato italiano, in<br />
tema di gusti del consumatore e dell’operatore, il prodotto<br />
e il produttore nostrano la fa ancora da re. “La regionalità<br />
risulta sempre più marcata: in Piemonte si beve sempre più<br />
Piemonte, in Veneto, Veneto, in Puglia, Puglia, e così via”,<br />
sottolinea il presidente di Premium <strong>Wine</strong> Selection. “Questa<br />
è una conseguenza anche del fatto che la qualità media<br />
Pietro<br />
Pellegrini<br />
Luigi<br />
Piacentini<br />
Corrado<br />
Mapelli<br />
Mario<br />
Federzoni<br />
Luca<br />
Cuzziol<br />
Carlo Alberto<br />
Sagna<br />
Alessandro<br />
Sarzi Amadè<br />
Gianpaolo<br />
Girardi<br />
di tutti i produttori è elevata in Italia. Poi, quando si punta<br />
a bere fuori dai confini regionali la ricerca è per qualcosa<br />
di particolare: che non significa costoso. E allora, dei Borgogna<br />
Pinot Noir base, come anche i vini dell’Alto Adige,<br />
sono richiesti. Poi c’è lo scenario e i prezzi di Grand Cru e<br />
Premier Cru, ma quello è ovviamente discorso differente”.<br />
In ogni caso, quando parliamo di prodotti d’importazione,<br />
l’orientamento va verso vini interessanti che si stacchino in<br />
maniera decisa dalla produzione italiana”. Ancora Piacentini:<br />
“Ci sono i casi come quello dello Champagne, che resta<br />
un protagonista assoluto con il suo incontestabile appeal,<br />
così come la Borgogna tra le regioni straniere è quella che<br />
la fa da padrone: tanto in tema Pinot Noir, quanto<br />
per lo Chardonnay”.<br />
Parola a Gianpaolo Girardi, fondatore di Proposta<br />
Vini: “Per lo Chardonnay notiamo un sempre<br />
maggior disinteresse per le produzioni nazionali<br />
e un’aumentata richiesta su Chablis e Bourgogne<br />
Blanche”. Differente il discorso per il vitigno a bacca<br />
rossa, che fa registrare una maggiore uniformità in<br />
termini di tendenze e anche di gusto. “Quello del<br />
Pinot Noir è un trend in crescita, sia delle produzioni<br />
nazionali, sia di quelle francesi”.<br />
Carlo Alberto Sagna, quarta generazione di una<br />
delle famiglie che hanno fatto la storia dell’ambito<br />
della distribuzione di vini, così racconta gli ultimi<br />
trend su Pinot Noir e Chardonnay: “Dal punto<br />
di vista del mercato, quelli della Champagne e di<br />
Borgogna sono cresciuti in maniera considerevole<br />
nell’ultima decade, a cui è seguita, di pari passo,<br />
anche la produzione di vini fermi e la spumantizzazione<br />
delle due varietà in molte regioni viticole<br />
italiane. Lo Chardonnay trova terreno fertile un<br />
po’ ovunque, grazie soprattutto alla sua capacità<br />
di adattamento ai suoli, che restituiscono così sfaccettate<br />
e numerose versioni, dalla Valle d’Aosta alla<br />
Sicilia, di vini fermi e bollicine. Per i Pinot Noir<br />
fermi, invece, troviamo lodevoli versioni in Alto<br />
Adige”. Sotto il profilo del gusto, ad avviso di Carlo<br />
Alberto Sagna, nel Belpaese non vi è discriminante,<br />
da parte di operatori e pubblico, nella predilezione per<br />
il prodotto tricolore o estero. Con un nota bene da non<br />
sottovalutare quando si parla più in generale di vitigni internazionali:<br />
“L’Italia ha iniziato a scoprire, prima ancora<br />
di spumantizzarle, molte varietà autoctone che si sono dimostrate<br />
nel tempo adatte a divenire bollicine”, sottolinea<br />
Sagna. “A questo si affiancano produzioni importanti, in<br />
termini di volumi, di TrentoDoc e Franciacorta posizionate<br />
nello Stivale, ma soprattutto all’estero, proprio perché -<br />
a differenza della Francia - non si riesce ad assorbire con<br />
il consumo interno, l’intera produzione”. E Pinot Noir e<br />
Chardonnay? “Il canale Horeca e i consumatori ricercano<br />
sempre più Champagne”, conclude Sagna. “L’Italia è tra i<br />
primi cinque mercati per questa regione viticola. Sono ricercate<br />
sia le grandi e storiche Maison, come quella della<br />
famiglia Louis Roederer che ci fregiamo d’importare e distribuire<br />
da più di trent’anni, sia di piccole realtà, che tuttavia<br />
non si dimostrano nel lungo periodo sempre costanti<br />
in termini di qualità”.<br />
È Alessandro Sarzi Amadè, responsabile commerciale<br />
di Sarzi Amadè, a chiudere l’analisi di mercato: “Il Pinot<br />
Noir si sta confermando, da molti anni, come vitigno di<br />
moda. Che provenga da un Grand Cru di Borgogna piuttosto<br />
che da un piccolo produttore altotesino o valdostano,<br />
apprezzato per la grande bevibilità fin da giovane.<br />
Maggiormente complicato appare il contesto di mercato<br />
per lo Chardonnay, più inflazionato, essendo prodotto in<br />
ogni angolo del mondo, e ricevendo meno considerazione<br />
da parte del consumatore”. Per quel che riguarda il gusto,<br />
per Sarzi Amadè il riscontro è condizionato da un catalogo<br />
incentrato prevalentemente su vini francesi con un’ampia<br />
gamma di aziende di Borgogna. “Dal nostro punto di vista<br />
possiamo certificare il successo dei Pinot Noir e degli<br />
Chardonnay borgognoni. Ma penso che, in termini di volumi,<br />
i vini italiani prodotti con questi due vitigni abbiano<br />
la preferenza dei consumatori”.<br />
GIRAMONDO
26<br />
GIRAMONDO<br />
L’offerta, tra best seller e novità da scoprire<br />
E allora, dopo le tendenze del business, ecco in che<br />
modo gli otto distributori interpellati dalla nostra inchiesta<br />
rispondono alle richieste che provengono dal<br />
mercato italiano. “In tempi abbastanza lontani<br />
– la Borgogna è nel nostro portfolio da<br />
quasi vent’anni – abbiamo lavorato su di un<br />
catalogo che offrisse molti spunti sia italiani<br />
sia esteri su Pinot Noir e Chardonnay, in<br />
particolar modo il primo”, evidenzia Luca<br />
Cuzziol. “Dal piccolo e bravo produttore di<br />
Borgogna fino al top dell’appellazione, passando<br />
per il Pinot Noir in Austria ed in Germania – anche<br />
con gli sparkling –, poi con lo Champagne ancora<br />
per entrambi i vitigni, incluse anche le Denominazioni<br />
meno note come Coteaux Champenois, fino alla California<br />
ed all’Oregon con un salto in Nuova Zelanda per il<br />
solo Pinot Noir”. In definitiva, per Cuzziol GrandiVini<br />
le richieste e quindi le offerte a catalogo sul Pinot Noir<br />
sono ampie e segmentate per prezzo mentre sullo Chardonnay<br />
– ad eccezione della Borgogna – sono riferite alla<br />
vendita locale del produttore di area. “È difficile operare<br />
sullo Chardonnay in modo preciso e dedicato”, prosegue<br />
Cuzziol, “anche perché manca un produttore leader in<br />
Italia per questo vitigno e salvo un paio di punte di diamante<br />
– troppe volte soggette ad una poco lungimirante<br />
speculazione da parte del produttore –, la richiesta per<br />
uno Chardonnay diventa generalista, generando al tempo<br />
stesso una grande difficoltà nel creare una proposta<br />
adeguata a supporto del mercato più che a risposta dello<br />
stesso”. Tra i best seller di Cuzziol GrandiVini, per lo<br />
Chardonnay si segnala il Bourgogne<br />
Cuvée Saint-Vincent 2018 di Vincent<br />
Girardin e per il Pinot Noir il Val d’Aosta<br />
Pinot Nero 2018 di Elio Ottin.<br />
Tra le novità da scoprire, invece, spazio<br />
al Dundee Hills Chardonnay 2018<br />
di The Eyrie Vineyards, dall’Oregon,<br />
mentre per il Pinot Noir il Cuvée<br />
Athenais Ambonnay Rouge Coteaux<br />
Champenois 2018 di Gonet-Medeville. Corrado Mapelli<br />
spiega così l’offerta firmata Gruppo Meregalli: “Abbiamo<br />
da sempre posto un accento particolare nei confronti di<br />
questi vitigni, anche in maniera molto trasversale, ovvero<br />
offrendo al consumatore la possibilità di acquistare l’interpretazione<br />
del vitigno non solo delle regioni comunemente<br />
più riconosciute o vocate. L’offerta in questo periodo<br />
si è allargata e possiamo davvero assaggiare questi<br />
vini prodotti da nord a sud parlando di Italia ma anche<br />
dalle principali regioni vitivinicole del mondo”. Tra campioni<br />
di vendite e novità, a spiccare due proposte diametralmente<br />
opposte: “Presentiamo proprio in questi giorni<br />
un nostro best seller, dalla Maison Bollinger il Pn Vz16<br />
ovvero un Blanc de Noirs prodotto con uve in prevalenza<br />
provenienti dal paese di Verzenay e dell’annata 2016:<br />
questo è il secondo 100% Pinot Noir, dopo la Vvf, prodotto<br />
dalla Maison. Come novità assolutamente da scoprire,<br />
Chardonnay e Pinot Noir in lattina, dalla California<br />
e della rinomata linea qualitativa Diamonds Collection di<br />
FF Coppola <strong>Wine</strong>ry: qui l’innovazione è nel contenitore,<br />
perché riteniamo che il vino in lattina non dovrà rivoluzionare<br />
il mondo di Bacco, ma potrà avere un ruolo attivo<br />
per la sua evoluzione, o meglio, per spingere il nostro<br />
settore ad evolversi nei modi che sono importanti per i<br />
nuovi consumatori di oggi, e per quelli di domani”.<br />
Pellegrini si muove tanto sul fronte interno,<br />
che su quello internazionale. Per<br />
quanto riguarda i vini fermi, gli italiani<br />
i più importanti sono del Trentino-Alto<br />
Adige, sia per lo Chardonnay sia<br />
per il Pinot Noir: Maso Cantanghel,<br />
Schweitzer, Kollerhof e Falkenstein.<br />
Senza dimenticare il Fruli-Venezia<br />
Giulia, con Di Lenardo, e un ottimo<br />
Chardonnay di Langa, con Bruno Rocca”, sottolinea Pietro<br />
Pellegrini. “Dall’estero, offriamo diversi produttori di Bor-
27<br />
gogna, da Bernard Defaix a Lignier-Michelot, da Bertagna<br />
ad Arnoux, passando per Ballot-Millot, Amiot, Jaeger-Defaix<br />
e Saumaize, un produttore dell’Oregon, Authentique<br />
<strong>Wine</strong> Cellars, uno californiano, Hunter Glenn, uno argentino,<br />
Bousquet, e due neozelandesi, Greywacke e Clos<br />
Henri. Per i vini spumanti, i riferimenti riguardano ovviamente<br />
la Champagne, con Agrapart e Guiborat su tutti per<br />
lo Chardonnay, la Borgogna, con Henri Champliau, ma<br />
anche l’Italia, con la Franciacorta di Stefano Camilucci, il<br />
Trentino di Etyssa, senza dimenticare una recentissima introduzione<br />
dalla Germania: Raumland”. Best seller in casa<br />
Pellegrini sono lo Chablis Bernard Defaix per l’estero e il<br />
Father’s Eyes Di Lenardo per l’Italia, sullo Chardonnay.<br />
Mentre per il Pinot Noir, ecco il Bourgogne Haute-Côtes<br />
de Nuits Dames Huguettes Domaine Bertagna e il Mazon<br />
Pinot Nero Kollerhof. Novità da scoprire: “L’Alto Adige<br />
Chardonnay Riserva Tschaupp Tenuta Schweitzer, con<br />
annate dalla 2018 alla straordinaria 2013, lo Chardonnay<br />
Réserve Brut 2012 Raumland, il The Corridor Oregon<br />
Pinot Noir 2015 Authentique <strong>Wine</strong> Cellars, l’Aegis Pinot<br />
Nero Riserva Mazon 2017 Kollerhof ”, chiosa Pellegrini.<br />
“L’offerta del nostro catalogo è preminentemente basata<br />
sui vini spumanti, tanto italiani quanto esteri, e Champagne,<br />
dove prevalgono le cuvée monovitigno a base Chardonnay<br />
o Pinot Noir”, sottolinea Mario Federzoni. “I vini<br />
fermi ci sono ma in minore percentuale”. In Prèmiere, i top<br />
seller sono dunque le bollicine, tra Italia, con TrentoDoc,<br />
Alta Langa, Oltrepò e Chardonnay di Franciacorta, e Francia,<br />
con i Cremant transalpini e gli Champagne. “Come novità,<br />
notiamo e recepiamo la recente tendenza dei produttori<br />
di Champagne al rilancio dei Coteaux Champenois”,<br />
chiosa Federzoni. “Noi presentiamo in catalogo due realtà<br />
della Borgogna: un négociant dall’ottimo rapporto tra qualità<br />
e prezzo, Moillard-Grivot, e un secondo di livello nettamente<br />
superiore, che è il Château de Meursault”, racconta<br />
Luigi Piacentini, esponendo l’offerta di Premium <strong>Wine</strong><br />
Selection in tema Pinot Noir e Chardonnay. “Il nostro<br />
obiettivo è presentare buonissimi vini acquistabili a valori<br />
corretti, perché sulla Borgogna è sempre più difficile operare<br />
non dovendosi indirizzare su produzioni che poi, alla<br />
rivendita, divengono complicate, laddove non si tratti del<br />
grande nome conosciuto, da comunicare per il costo che le<br />
caratterizza. In Italia, invece, distribuiamo un’azienda trentina,<br />
che è la fondazione Mach, e una piccolissima realtà<br />
di Montagna, area eccellente proprio per la produzione di<br />
Pinot Noir, che è Maso Thaler. Ma in generale, non solo<br />
su Chardonnay e Pinot Noir, cerchiamo principalmente<br />
cantine di nicchia”. Si guarda oltreconfine per quel che riguarda<br />
le migliori performance. “Best seller per noi non è<br />
un vino fermo, ma un Crémant de Bourgogne, dove Pinot<br />
Noir e Chardonnay si sposano in una bollicina millesimata<br />
di Louis Bouillot, con cui da sempre riusciamo a fare bei<br />
numeri”, sottolinea Piacentini. “Sulle scoperte indico non<br />
tanto un produttore, ma un’area: l’Alta Savoia”.<br />
Amplia è l’offerta anche di Proposta Vini per le due varietà<br />
internazionali. Ma Gianpaolo Girardi precisa: “La nostra<br />
proposta di Chardonnay italiano è molto forte, ma solo<br />
perché molte aziende che distribuiamo lo producono, non<br />
per nostro reale interesse. L’offerta di Pinot Nero è poi notevole:<br />
a catalogo abbiamo una cinquantina di espressioni,<br />
tanto italiane, quanto francesi, ma anche di altro tipo”. Sul<br />
vitigno a bacca bianca, dunque, Proposta Vini si allinea al<br />
riscontro del mercato. Mentre per il Pinot Noir il discorso<br />
commerciale si sviluppa maggiormente. “Tra gli Chardonnay<br />
a segnare le migliori performance nel nostro catalogo<br />
sono il trentino Gazzi La Cadalora, il Collio Ronco Scagnet,<br />
il siciliano Feudo Disisa e lo Chablis 1er Cru Montmains<br />
Domaine de Chaude Écuelle. Mentre se si parla di<br />
Pinot Noir, da citare sono l’atoatesino Brunnenhof, il trentino<br />
Pelz, il toscano Coldaia di Podere Fortuna e il Savigny-Les-Beaune<br />
di Domaine Noëllat Michel”.<br />
Spiega Carlo Alberto Sagna: “La nostra azienda fin dall’inizio<br />
degli anni ‘90 ha puntato sui vini francesi e bianchi<br />
prodotti in Loira e Chablis, scegliendo volutamente quelli<br />
del Baron Patrick de Ladoucette, con Albert Pic e Régnard,<br />
affiancando, dal 2000, i vini del Domaine Faiveley, un produttore<br />
di Borgogna a gestione familiare da sette generazioni,<br />
che vanta ben 123 ettari di proprietà e una produzione<br />
di oltre 50 etichette di Pinot Noir. A distanza di molti<br />
anni pensiamo che il mercato abbia premiato e inseguito<br />
questa nostra selezione di Maison d’Oltralpe. È recente poi<br />
la nostra scelta di distribuire i vini della Maison Anselmet,<br />
cantina valdostana che omaggia appieno lo Chardonnay,<br />
proponendolo in ben tre versioni di notevole caratura, e<br />
il Pinot Noir. Entrambi si ispirano alla Borgogna sia per<br />
l’approccio di vinificazione che affinamento tutelando al<br />
contempo la tipicità del territorio di montagna. Infine, un<br />
prodotto di punta per noi è sicuramente il Brut Premier di<br />
Louis Roederer”. La conclusione è ancora affidata ad Alessandro<br />
Sarzi Amadè, che così tratteggia l’offerta di Sarzi<br />
Amadè in tema Pinot Noir e Chardonnay: “Abbiamo ben<br />
20 aziende di Borgogna, con svariate decine di referenze di<br />
vini a base Pinot Noir e Chardonnay. Credo che il successo<br />
di questi prodotti sia una combinazione fra la piacevolezza<br />
e la bevibilità dei due vitigni combinata con la fama dei<br />
vini di questa zona”. E a ribadirlo sono anche i best seller:<br />
“Lo Chambertin Armand Rousseau, se parliamo di rosso, il<br />
Chevalier-Montrachet Domaine Leflaive se guardiamo al<br />
bianco”. Mentre per le etichette da scoprire, il consiglio di<br />
Alessandro Sarzi Amadè guarda a entrambi i lati delle Alpi:<br />
“Per il Pinot Noir, il consiglio è il Vigna Tzeriat Grosjean,<br />
mentre per lo Chardonnay, torniamo in Francia con il<br />
Bourgogne Blanc Terre de Famille Domaine de la Vougeraie”.<br />
E così, la saga dei due vitigni principi dello scenario<br />
vitivinicolo internazionale continua.<br />
GIRAMONDO
28<br />
Il mulino di Verzenay, insieme al<br />
faro, fanno da cornice a una delle<br />
zone più belle di tutta la Champagne.<br />
L’area è tra le più vocate per il<br />
Pinot, rigorosamente Grand Cru,<br />
della Montagne de Reims. È in questo luogo<br />
iconico che la Maison Mumm, proprio<br />
in quel mulino, ha una delle sue proprietà<br />
più importanti. La storia di questa casa di<br />
Champagne nasce all’inizio del 1800 dai<br />
fratelli Jacobus, Gottlieb e Phillip Mumm,<br />
eredi di un’antica famiglia tedesca e vinificatori<br />
nella valle del Reno. La Maison deve<br />
l’iniziale successo all’idea di registrare il<br />
marchio “Cordon Rouge”, mutuato dall’alta<br />
onorificenza legata alla Legion d’Onore<br />
francese. Il nastro rosso, posto in etichetta,<br />
divenne subito un segno caratteristico distintivo,<br />
segnando la successiva storia del<br />
marchio. Negli anni, questo Champagne è<br />
diventato uno dei più conosciuti in Italia,<br />
perché facilmente reperibile nella Grande<br />
distribuzione. Ma esiste anche una gamma<br />
riservata firmata Mumm, più esclusiva. Ed<br />
è proprio quella che abbiamo avuto il piacere<br />
di assaggiare nella splendida cornice<br />
del ristorante D’O di Davide Oldani, a Milano,<br />
in occasione della presentazione in<br />
Italia del Blanc de Noirs millesimo 2012.<br />
Rsrv è il nome di una collezione che evoca<br />
l’antica tradizione, risalente a 200 anni fa,<br />
di riservare le migliori cuvée agli amici e<br />
agli estimatori. L’angolo superiore dell’etichetta<br />
ripiegato richiama poi l’uso dei<br />
biglietti da visita, secondo i dettami del<br />
saper vivere dell’epoca: il lembo così posto<br />
testimoniava che la bottiglia di Champagne<br />
era stata consegnata a mano. Rsrv<br />
Blanc de Noirs viene prodotto solo nelle<br />
migliori annate: è così che, ad esempio,<br />
nel 2011 è stato deciso di non realizzarlo.<br />
Il suo Dna è 100% Pinot Noir di Verzenay,<br />
il Grand Cru cresciuto a nord delle<br />
Montagne di Reims. Un invecchiamento<br />
minimo di sei anni in cantina e un dosaggio<br />
minimo di 6 g/l di zucchero rivelano la<br />
struttura del vintage. La mineralità tipica<br />
del terroir in cui prende vita, poi, produce<br />
un Pinot Noir deciso.<br />
La prima menzione del Blanc de Noirs nel<br />
registro della Maison risale al 1838, anno<br />
della sua nascita. L’acquisto, nel 1840, di<br />
un appezzamento a Verzenay, suo primo<br />
terroir, ha poi suggellato il Pinot Noir a<br />
inequivocabile tratto distintivo di Mumm.<br />
Rsrv Blanc de Noirs è vintage simbolico<br />
che esprime il meglio di un terroir, di una<br />
varietà di uve e di un’annata. All’assaggio<br />
ci è parso uno Champagne piacevole e<br />
fresco, ma pensiamo che ancora qualche<br />
anno in bottiglia lo renderà più complesso<br />
ed evoluto.<br />
La presentazione di Rsrv Blanc de Noirs<br />
2012 è stata l’occasione anche per andare<br />
alla scoperta di un volto spesso ancora<br />
poco noto di Mumm: quello legato al<br />
suo percorso ecosostenibile. La Maison<br />
è oggi fra le più certificate della regione<br />
della Champagne. Dal 2016 i suoi vigneti<br />
detengono la doppia certificazione di<br />
Viticoltura sostenibile in Champagne<br />
(Vdc) e Alto Valore Ambientale (Hve).<br />
La visione “green” di Mumm l’ha portata<br />
a investire nel tempo in ricerca e sviluppo<br />
per far fronte agli effetti del cambiamento<br />
climatico e alla sfida che l’ambiente ci<br />
sta lanciando. Una vocazione strettamente<br />
correlata alla volontà di avere una materia<br />
prima eccezionale, di preservarla e<br />
valorizzarla, di produrre vini di altissima<br />
qualità: Champagne che esaltano il Pinot<br />
Noir. Non si tratta di una svolta, ma di un<br />
progetto programmato e sistematico. La<br />
Maison sta anche collaborando con il Comité<br />
Champagne per testare nuovi metodi<br />
di coltivazione ecosostenibili finalizzati ad<br />
alzare l’asticella della qualità dell’uva in<br />
tutta la regione, per pratiche vinicole che<br />
riducono l’impatto ambientale e proteggono<br />
il “patrimonio” suolo.<br />
Una soluzione d’avanguardia in chiave<br />
sostenibile adottata da Mumm è anche il<br />
wine-making processing. La Maison, infatti,<br />
è stata la prima a collocare i centri di<br />
pressaggio delle uve direttamente nel cuore<br />
dei vigneti, contribuendo così a ridurre<br />
l’inquinamento generato dal trasporto<br />
delle uve e a preservare la qualità dei<br />
grappoli. E l’innovazione giunge fino alla<br />
bottiglia, ben oltre il tratto che conduce<br />
sulla via di una viticoltura sostenibile. La<br />
scelta della Maison di rivestire un ruolo di<br />
pioniere e innovatore, infatti, ha condotto<br />
Mumm a mettere a punto una bottiglia di<br />
Champagne tra le più leggere al mondo:<br />
solo 835 grammi, realizzata con il 75% di<br />
vetro riciclato, senza etichetta anteriore e<br />
bella da impazzire. Creata da Ross Lovegrove,<br />
acclamato e visionario designer gallese<br />
di fama internazionale, ha superato a<br />
pieni voti la sfida di trattenere l’esuberanza<br />
delle bollicine.<br />
DI FRANCESCA MORTARO<br />
INTERNI D’AUTORE<br />
Il volto riservato<br />
di Mumm<br />
La Maison del Cordon Rouge ha presentato il Rsrv Blanc de Noirs 2012.<br />
Un’occasione per andare svelare anche la sua visione green
29<br />
Dom Pérignon:<br />
una magia che si rinnova<br />
Con lo chef de cave Vincent Chaperon alla scoperta del nuovo<br />
millesimo 2012 e del ritorno del Vintage 2003 con la veste Plénitude 2<br />
EXPERIENCE<br />
DI MATTEO BORRÈ E ANDREA SILVELLO<br />
Revelations: emblematico il titolo del rendez-vous che ci ha visto faccia a faccia<br />
con Vincent Chaperon, chef de cave Dom Pérignon. La Maison più nota<br />
e commentata quando si parla di Champagne. Perché nel nome cela l’arcaica<br />
essenza di queste bollicine. Lo dice la storia (o la leggenda, per alcuni).<br />
Lo ribadisce, millesimo dopo millesimo, l’arte nell’assemblaggio che esalta<br />
la multiforme ricchezza di uve a disposizione del “creatore” di ogni Vintage. E proprio questo<br />
ci attendeva: il rinnovarsi del magico appuntamento con una nuova annata di Dom<br />
Pérignon. Con il mito che si presenta sotto forma di un millesimo, il 2012, che sarà disponibile<br />
in Italia da settembre. Ma non solo. Perché Vincent Chaperon, giovane talento con<br />
idee ben chiare in testa e una straordinaria bravura nel tramutarle in bollicine, come tradizione<br />
impone, è stato chiamato anche alla prova della “longevità”. Rivelazioni: plurale. Ed<br />
allora, ecco il debutto del Dom Pérignon Vintage 2003 Plénitude 2, disponibile da subito.<br />
Come oggi Vincent Chaperon tenga ben saldo nelle proprie mani il timone dell’elaborazione<br />
dei nuovi Vintage lo evidenzia proprio la prossima uscita 2012. Una nuova sfida per<br />
lo chef de cave, dopo quella che è stata “l’opera prima” del millesimo 2010, e che al primo<br />
assaggio ci ha sorpreso con la sua irruenta “esuberanza”. Una vivacità posta in opposizione<br />
alla calma “maturità” del P2 2003. Di quel che ci ha lasciato il primo incontro con queste<br />
novità occorre evidenziare, innanzitutto, la sensazione di ritrovarci, con l’annata 2012,<br />
davanti a quello che è parso un cambio di passo per Dom Pérignon, con il consumatore<br />
rimesso al centro. Un elemento che riconduce a una dimensione più personale e “libera”<br />
della degustazione. È una partecipazione attiva quella che la Maison domanda nel confronto<br />
con il Dom Pérignon Vintage 2012. Come espresso dallo stesso Chaperon: “Ogni Vintage<br />
ci spinge a oltrepassare i confini di ciò che conosciamo, superando gusti predefiniti, per<br />
scoprire nuove sensazioni. E, anche, scoprire noi stessi. Cosa sento quando degusto questo<br />
Vintage? Quale emozione provo? Preferisco il 2012 o il 2008? O magari il 2004, o un’altra<br />
annata ancora? Cosa comunica questo vino?”. Ed è esattamente quello d’innanzi a cui<br />
siamo stati posti. Perché in questo Vintage 2012 abbiamo realmente ritrovato il variopinto<br />
immaginario di ciò che desideriamo in uno Champagne. “Il 2012, più di ogni altro Vintage,<br />
rivela l’unicità dell’approccio creativo e dell’arte dell’assemblaggio di Dom Pérignon”, ha<br />
spiegato Chaperon. “Ci invita a prenderci tempo per scoprire, ascoltare e partire per un<br />
viaggio interiore che rimane impresso nella memoria ed esalta i sensi”. E sono proprio queste<br />
le vibrazioni che ci ha restituito il Vintage 2012 “frutto di intensità equilibrate, tensioni<br />
controllate e contrasti estremi”. Un’armonia esplosiva, tonica effervescenza a irrompere e<br />
che ci ha favorevolmente convinto già in questa prima “rivelazione”. Non può certo essere<br />
un giudizio definitivo questo espresso, perché “il tempo è al centro dell’equazione di<br />
Dom Pérignon”, come è sempre bene ricordare citando le parole dell’illustre predecessore<br />
di Chaperon, Richard Geoffroy. E come ci ha rammentato l’altro volto del rendez-vous: il<br />
Dom Pérignon Vintage 2003 Plénitude 2. Uno Champagne, il cui debutto risale al 2010,<br />
che “ritorna” oggi raccontando alla perfezione quelle che sono state le sfide di un’annata<br />
“spartiacque”. Un millesimo, l’anno della “canicule” (per dirlo alla francese), che ha chiesto<br />
alla mano dietro l’etichetta di assumersi dei rischi, affidandosi fin da subito a “intuizioni”<br />
frutto della profonda conoscenza maturata nel tempo. E a esserci ora restituita è una nuova<br />
lettura della storia. All’epoca, la scelta in Dom Perignon fu di puntare sul millesimo, certi<br />
che stante le caratteristiche uniche dell’annata avrebbe lasciato il segno. Ai primi assaggi,<br />
però, la scommessa sembrava persa. Al Vintage 2003 mancava qualcosa. Ma poi, l’annata<br />
più pazza del secolo ha continuato a sorprendere in bottiglia. Ha ritrovato l’intensità<br />
e la piacevolezza che oggi appare nel calice. Il tempo è stato galantuomo: la scommessa<br />
Richard Geoffroy l’aveva vinta eccome. Ora, la nuova veste. E quello che ritroviamo è proprio<br />
il grande sguardo d’insieme. Lo avvertiamo vibrare nel calice. Ogni difficoltà, ogni<br />
imprevisto, ogni “intuizione”. Con la struttura ben pronunciata, ma che domanda ancora<br />
pazienza per potersi schiudere definitivamente in tante sue sfaccettature, almeno al “nuovo”<br />
primo approccio non del tutto con evidenzia pronunciate. È normale per Champagne<br />
“evoluti” come questo. È riprova che la maratona del P2 2003 è solo al via e noi non vediamo<br />
l’ora di scoprire nel futuro tragitto quali emozioni saprà riservarci.
30<br />
140 anni e non sentirli:<br />
nasce il nuovo brand<br />
Serena 1881<br />
Nasce il gruppo privato<br />
del vino numero uno<br />
in Italia<br />
Il vino ufficiale<br />
dell'Arena di Verona<br />
si rifà l’abito<br />
Italian <strong>Wine</strong> Brands ha fatto la sua mossa. Rimescolando<br />
ancora una volta le carte al vertice del vino italiano.<br />
Dopo i recenti accordi che hanno visto coinvolti Botter<br />
e Mondodelvino, con le due big a trovare una casa comune<br />
nella partnership siglata con il fondo Clessidra,<br />
ecco la SpA quotata in Borsa annunciare la sottoscrizione<br />
di un’intesa per l’acquisizione del 100% di Enoitalia,<br />
gigante della produzione vitivinicola made in Italy da<br />
111 milioni di bottiglie vendute nel 2020. Attraverso<br />
l’integrazione tra le due società si andrà a creare così il<br />
primo gruppo vitivinicolo privato italiano per dimensioni,<br />
con ricavi aggregati pari a 4<strong>05</strong>,1 milioni euro e un<br />
Ebitda di 42,7 milioni euro.<br />
TITOLI DI CODA<br />
140 anni di vita e di storia. Cinque generazioni<br />
tra le colline del Prosecco. Nello sterminato<br />
panorama delle aziende venete di successo, non<br />
è facile incontrare realtà in grado di vantare<br />
un’età longeva come quella della famiglia Serena.<br />
Dal 1881, senza soluzione di continuità,<br />
regge saldo il timone di un’attività vitivinicola<br />
che si colloca tra i primi player del vino in Italia<br />
e del Prosecco, Doc e Docg, in particolare. 140<br />
anni, quelli ormai alle spalle per Serena <strong>Wine</strong>s<br />
1881, peraltro portati benissimo. Anche grazie a<br />
quella che nel tempo è stata una costante capacità<br />
d’innovarsi e a una politica aziendale lungimirante,<br />
che ha condotto l’azienda di Conegliano<br />
(Treviso) alle dimensioni e al prestigio<br />
attuali. Oggi, è un nuovo capitolo quello che si<br />
aggiunge alla sua saga di successo, con il lancio<br />
in grande stile del nuovo brand Serena 1881.<br />
Innestandosi proprio nel solco di questa tradizione<br />
d’innovazione e lungimiranza, Luca<br />
Serena, amministratore delegato alla guida<br />
dell’azienda insieme al padre Giorgio, vicepresidente<br />
del Consorzio di tutela della Doc Prosecco,<br />
ha deciso di compiere un ulteriore passo<br />
in avanti. Nell’anno dell’importante anniversario,<br />
ha pensato di lanciare un nuovo brand<br />
in sostituzione del noto Terra Serena, marchio<br />
dedicato principalmente al canale Horeca. Un<br />
nuovo prezioso brand, dunque, realizzato con<br />
il contributo dell’Accademia delle belle Arti di<br />
Venezia. E che focalizza<br />
l’attenzione sul nome<br />
della famiglia Serena<br />
e sull’anno di fondazione<br />
della realtà<br />
di Conegliano, veicolando<br />
quelli che ne<br />
sono i valori fondanti.<br />
Una partnership consolidata, iniziata nel 20<strong>05</strong>, e che<br />
perdura, quella tra Sartori di Verona e l’Arena di Verona.<br />
Le serate del tempio veronese della musica avranno, infatti,<br />
anche in questa stagione lirica <strong>2021</strong> il loro vino ufficiale:<br />
è l’Arnea Soave Brut Vino Spumante di Qualità<br />
firmato dalla casa vitivinicola veronese. Un’etichetta che<br />
si presenta con un nuovo abito, grazie a un restyling del<br />
packaging dove l’immagine degli arcovoli lascia spazio<br />
alla pianta stilizzata dell’anfiteatro romano. Garganega<br />
in purezza che anche nel suo profilo stilistico sceglie di<br />
evolvere, diventando Charmat lungo con sei mesi di affinamento<br />
sui lieviti.<br />
Numeri record per<br />
Millésimes Alsace<br />
DigiTasting<br />
Primo salone sul web con vere degustazioni dedicato agli<br />
operatori e concepito da un’organizzazione interprofessionale,<br />
il Conseil Interprofessionnel des Vins d’Alsace.<br />
100 espositori e 400 etichette da scoprire, di cui circa il<br />
70% bio, biodinamiche o di realtà in conversione. 10mila<br />
box per i tasting a distanza consegnate in tutto il mondo.<br />
3750 visitatori, di cui 2700 da 55 Paesi e 1<strong>05</strong>0 francesi.<br />
2mila incontri faccia a faccia tra produttori e operatori nei<br />
tre giorni della manifestazione. Questi i numeri dello straordinario<br />
successo della prima edizione di Millésimes Alsace<br />
DigiTasting, andata in scena dal 7 al 9 giugno scorsi.<br />
Ceretto completa<br />
la collezione di Barbaresco<br />
con il nuovo<br />
Nuovo Barbaresco per la famiglia<br />
Ceretto. Che va a così<br />
a completare il mosaico della<br />
Denominazione nell’offerta<br />
della realtà piemontese fondata<br />
nel 1937. Arriva il cru<br />
Gallina, importante inserimento<br />
in gamma che segna<br />
una ulteriore conferma del<br />
percorso di valorizzazione<br />
dei migliori appezzamenti<br />
della zona.<br />
Una nuova etichetta che nasce<br />
a Neive, dove cantine Ceretto<br />
hanno acquisito 3mila<br />
ettari di terra in una delle vigne<br />
simbolo di questo comune,<br />
e che si va ad aggiungere<br />
alle due consolidate presenze<br />
a Treiso (Bernadot) e Barbaresco<br />
(Asili).<br />
Lessini Durello si candida<br />
a prima Doc 100%<br />
Biodiversity Friend<br />
cru Gallina<br />
Il Consorzio del Lessini<br />
Durello inizia un nuovo<br />
cammino sostenibile per<br />
tutti i 400 ettari di vigneto<br />
a Durella. Un percorso<br />
davvero unico in Italia:<br />
si candida, infatti,<br />
a prima<br />
Denominazione<br />
100% Biodiversity<br />
Friend.<br />
Intrapreso nel<br />
mese di maggio<br />
l’importante<br />
iter triennale rivolto a<br />
certificare il rispetto di<br />
ogni viticoltore del comprensorio<br />
per l’ambiente<br />
circostante. Dopo l’audit<br />
da parte dei tecnici della<br />
World Biodiversity<br />
Association,<br />
sarà<br />
Siquria a siglare<br />
la certificazione<br />
come<br />
organismo di<br />
controllo.
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Un’ occasione<br />
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di oltre 100 Maison<br />
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10-11 OTTOBRE <strong>2021</strong><br />
PADIGLIONE A<br />
ORARIO DI APERTURA: 10.00-18.30<br />
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