Vie&trasporti n. 877 marzo 2024

Evoluzione tecnica
Evoluzione tecnica
Parola d’ordine, decarbonizzazione
Un’altra via per avere un bilancio neutro, dal punto
di vista delle emissioni di anidride carbonica,
è utilizzare combustibili di origine biologica;
questi bruciando ne emettono comunque, ma
è la stessa che la pianta ha assorbito dall’atmosfera
crescendo, prima di essere abbattuta
e poi trasformata in biocarburante. Se ne parla
da decenni, da quando il barile del petrolio schizzò
oltre i 100 dollari; poi si scoprì che, forse,
avremmo salvato il portafoglio e la qualità dell’aria
nel mondo, riducendolo però alla fame, visto
che le colture destinate al carburante non
sarebbero state più disponibili per farne cibo
commestibile. Si è dovuta attendere la seconda
generazione di biofuel, quelli derivati da scarti
vegetali, per rendere la faccenda più equilibrata.
Oggi, l’Hvo estratto da grassi idrogenati (ecco
che l’H2 torna sotto altra forma), appare un’alternativa
promettente e utilizzabile con poche
modifiche di componentistica sui propulsori
attuali. Viene incentivato in Scandinavia, ragion
per cui Scania e Volvo hanno per prime rese disponibili
delle versioni specifiche dei loro motori,
ben presto allargate a quasi tutta la gamma;
lo stesso ha fatto la Daf che, da primo costruttore
europeo di trattori, non poteva certo precludersi
quei mercati.
Chissà se hanno
chiesto il permesso
alla Mercedes-Benz,
quelli della Cummins,
per montare sotto alla
cabina di un Atego un
6 cilindri da 6,7 litri
alimentato a idrogeno.
Sicuramente sì, visto
che i due brand hanno
in atto una joint
venture proprio sui
motori piccoli che
sostituiranno gli attuali
4 e 6 cilindri
OM 934 e 936.
esperimento, di cui peraltro non si parla nemmeno
più tanto spesso. Forse l’ibrido sarà riportato
in auge dai cinesi: agli ultimi saloni del
camion se n’è visto qualche esempio.
Altro idrogeno
Le fuel cell hanno dei limiti di costo, in parte
pure di durata e, poi, necessitano di idrogeno
purissimo (H2 al 99,9 per cento). Sono, invece,
di ‘bocca buona’ i motori alternativi convertiti
per l’utilizzo dello stesso gas. La tecnologia
non è diversa da quella impiegata per trasformare
i diesel in unità in grado di bruciare metano,
pur se con specifiche problematiche da
risolvere a livello d’iniettori e di potenza specifica.
Qui la Daf c’è, almeno a livello prototipale,
ma vale anche per molti altri. Inclusa
l’Iveco che in questa soluzione può riversare
tutta l’esperienza fatta con i suoi camion Cng
ed Lng: il Cursor X multicombustibile ne è la
dimostrazione. Lo stesso ha fatto Cummins
proponendo un X15 con tre testate diverse per
farne un diesel, un metano oppure un idrogeno
Ice (Internal combustion engine). Ci è arrivata
anche la Man, anzi ci è tornata visto che un
autobus con questa soluzione, a Monaco, lo
avevano già messo in servizio nel 1996, prima
ancora che Formigoni inaugurasse alla
Bicocca di Milano la sua cittadina dell’idrogeno.
Per ora la Casa del Leone si cimenta come
fornitore di motori off road, trasformando a
idrogeno un D38 da 15,2 litri destinato allo
spazzaneve Kässbohrer (stavolta è un’omonimia,
i bus non c’entrano): diventa un D42, aumentando
l’alesaggio e quindi la cilindrata fino
a 15,8 litri, pur erogando 500 Cv: è la potenza
di un buon 13 litri diesel, il che la dice lunga
sulle difficoltà di ritrovare un rendimento accettabile).
Ma nella composizione del gasolio
c’è il carbonio che origina, bruciando, la CO2
che si vuole eliminare; mentre nell’idrogeno,
ancorché impuro, no.
Attaccati al gas
Ad annullare la CO2 ci possono arrivare anche
i motori a biometano, di fatto tutti quelli Cng ed
Lng in circolazione: basta che non si rassegnino
a fare il pieno con il più disponibile gas estratto
dai pozzi, bensì con quello dei digestori di rifiuti,
per esempio. Ovviamente è la soluzione su cui
puntano i costruttori che quella tecnologia la
maneggiano da più tempo: Iveco in testa, ma
anche Scania e Volvo; quest’ultima inerpicandosi
nella complicata via dell’iniezione diretta
ad alta pressione (di metano e gasolio in parallelo)
e conservando il ciclo Diesel di funzionamento,
quando le prime due convertono gli originali
propulsori in unità a ciclo Otto con
accensione comandata da candele. In ogni
caso, quando si parla di biocarburanti, il problema
resta la reperibilità: oggi è semplicemente
impensabile convertire tutto il circolante all’uso
di questa soluzione. Oltretutto, a metterle il bastone
fra le ruote è l’Unione Europea, che non
intende ammettere i bio-Fuel fra i carburanti utilizzabili
dal 2035 in poi. Potrebbe sembrare che
ci sia lo zampino dei costruttori tedeschi, i quali
fanno il tifo per la trazione elettrica, sia essa a
batterie o fuel cell... Ma, poi, sposano la possibilità
di fare il pieno ai motori attuali con gli e-
Fuel, ovvero quelli ottenuti sintetizzando l’idrogeno
verde (derivato da fonti rinnovabili e a
emissioni zero) con l’anidride carbonica sottratta
dall’atmosfera, per ricostituire la catena
C-H alla base di ogni carburante: gas, benzina
o gasolio che sia. Insomma, le idee per minimizzare
l’impronta carbonica del trasporto ci
sono, però dovranno per forza essere multiple
e impiegate a seconda dell’uso che si dovrà
fare del camion. Che resterà, comunque, un
anello fondamentale della società civile.
Qui sopra il prototipo
Daf XF, già della nuova
generazione, con
il 6 cilindri MX-13
trasformato in ciclo
Otto (si capisce dai
cavi delle candele)
per bruciare idrogeno.
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