Il mio porto non è la droga

Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno
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CNS/CBPA Sud/Salerno
Anno VI n. 45 € 0,50 Domenica 17 aprile 2011
Marco Demarco
Bianca Berlinguer
Lucarelli presenta l’Albo
EDITORIALE
Italia:
pregiudizi
e orgoglio
VANNI RONSISVALLE
Anni fa, risalendo da sud
verso nord l’Autostrada del
Sole, entrando in Val Padana
si leggeva già da lontano
su un cavalcavia a caratteri
cubitali FORZA ETNA.
Effettivamente in quei giorni
l’Etna era in eruzione, la
colata minacciava campi
feraci, uliveti rigogliosi, vigne
e villaggi ridenti.
Ancora anni fa un giornalista
della Rai si appostò con il
suo bravo registratore davanti
ai cancelli di Mirafiori
e chiese ad un operaio del
Sud che aveva appena
lasciato la catena di montaggio:
“Ha nostalgia del suo
paese? Torna in ferie a
Canicattì?”
“E cu ci tonna laggiù? Chi
mi scurdai ‘a pipa, néh?”
rispose l’immigrato che si
mimetizzava in buffe cadenze
siculopiemontesi. Nel
frattempo si scoprì che autori
di quella scritta sul
cavalcavia in terra padana,
un po’ vigliacca comunque,
non erano affatto gli imbecilli
ante litteram, i leghisti
dallo stolido cinismo di
oggi; ma proprio alcuni
siciliani che avevano trovato
lavoro al Nord.
Pagina 5 (continua)
Quando i localismi
condizionano
l’agenda politica
LIGUORI eSOLIMENO
Pagina 12
Un progetto di Sert e Lega navale per strappare i giovani alle sostanze stupefacenti
Il mio porto non è la droga
Dal 2004 con “Il mare nelle vene” è cambiata la vita di 180 ragazzi
Si può dire no alla droga, o
almeno provarci. Al servizio
per le tossicodipendenze
dell’Asl Na 1 da sei anni si
lavora per aiutare ragazzi
con problemi attraverso il
progetto “Il mare nelle vene”.
In collaborazione con la Lega
navale di Pozzuoli, che
mette a disposizione le proprie
imbarcazioni, organizza
lezioni teoriche e pratiche in
barca a vela per offrire ai
ragazzi una valida alternativa
ad un destino, altrimenti,
certo. Seguiti d a operatori e
istruttori, i giovani hanno un
motto: risalire la corrente
per andare incontro ad una
vita migliore.
MARINA CAVALIERE
Pagina 8
Economia
Sessanta
aziende
nel magico
mondo
del Congo
ALESSIO FUSCO
Pagina 6
I giornalisti imparino
a pensare
per immagini
MARCELLI eMENNUNI
Pagina 13
La crisi degli editori minori
Piccolo libraio smarrito
PIETRO ESPOSITO Pagina 16
Professionisti
e pubblicisti
dalla A alla Z
LUTRICUSO eSPISSO
Pagina 15
Risorgimento
I Borbone
e la Storia
NICOLA FORTE
Pagina 3
Linea d’Ombra
Mille ciak
a Salerno
VALENTINA BELLO
Pagina 17
Frasca campione
Il coiffeur
si fa d’oro
VALENTINA DE LUCIA
Pagina 20
In giro per la città
Biciclette
ruggenti
DAVIDE SAVINO
Pagina 11
La nuova tratta ferroviaria da Napoli a Bari
Tennis
Meno abili:
al tie-break
vince
la volontà
DI CICCO e DE VITA
Pagina 9
Il treno del riscatto
Sono finalmente partiti i
lavori di raddoppio della linea
ferroviaria Napoli-Bari,
fondamentali per lo sviluppo
del Sud. Previsti investimenti
per oltre 5 miliardi e
10 anni di lavori. Saranno
anche costruite nuove linee
attraverso gli Appennini.
FRANCESCO SERRONE
Pagina 7
Musicoterapia
Il suono
dentro
e fuori
di noi
FEDERICA MASSARI
Pagina 10
LA VIGNETTA di Dado
IL PUGNO
Cancellare il reato di apologia di
fascismo? Per cinque deputati del
Pdl si può fare. «Il provvedimento
costituzionale era temporaneo»,
dicono, ma, se alla vista della proposta,
si schifa anche Schifani, viene
da chiedersi se i cinque avanguardisti
non avrebbero fatto meglio a
prendersi una pausa alla buvette.
La mescita, per intenderci. O, magari,
concentrare le proprie energie
sull’unica ricostruzione che potrebbe
restituire il dovuto onore alla
Patria, quella de L’Aquila.
Pietro Esposito

2 Domenica 17 aprile 2011 News CAMPUS
Le forze armate italiane elemento fondamentale per la costruzione del Paese
A lezione di Unità
Il coro “Voci del cuore” commuove con l’Inno di Mameli
unisa news
Pagina a cura di MARIA DI NAPOLI
Continuano le celebrazioni dei
150 anni dell’Unità d’Italia e le
riflessioni sugli effetti che il duro
e coraggioso processo di unificazione
ha determinato nel nostro
Paese. Ecco perché il campus di
Salerno ha proposto un incontro
sull’importanza delle forze armate
nella costruzione dello Stato italiano.
Perché i piccoli eserciti dei
vari staterelli della Penisola sono
stati elemento essenziale del processo
unitario e hanno dato vita,
dopo il 1861, all’Esercito Italiano.
Il professore Giuseppe D’Angelo,
organizzatore dell’evento, in apertura,
ha ricordato l’importanza
della nostra costituzione e l’articolo
11, in base al quale l’Italia
ripudia la guerra. “I nostri eserciti
– ha detto – sono impegnati in
missioni delicate per evitare che
situazioni estere degenerino”.
Hanno, poi, salutato la platea del
Teatro d’Ateneo il prorettore Maria
Galante, il prefetto di Salerno,
Sabatino Marchionne, l’assessore
della Provincia salernitana, Antonio
Squillante e il presidente
dell’Ance, Antonio Lombardi.
In tale occasione, come spesso accade,
cultura e solidarietà si sono
strette in un forte abbraccio. A e-
mozionare e commuovere il pubblico
presente è stata l’esibizione
del coro “Voci del cuore” dell’-
Elaion di Eboli. L’unico coro in
Europa composto da giovani diversamente
abili, che arrivati in
fretta alla manifestazione, hanno
cantato a braccio, senza fare alcuna
prova, ma eseguendo egregiamente
i brani più rappresentativi
del nostro Paese: l’Inno di Mameli,
il Va pensiero e 'O surdato
'nnammurato. I cinquanta giovani
diretti dal maestro Mario La
Manna hanno tirato fuori il meglio
di sé, mostrando quell’unione
che dovrebbe legare il popolo italiano,
al di là dei localismi, dei
pregiudizi, delle rivalità che ancora
oggi spaccano a metà lo stivale.
In un clima caldo, che ha visto
Una mostra per vivere, anche solo per un’ora, nelle colorate foreste tropicali
Vola, farfalla azzurra vola
Dopo l’Università, la rassegna si sposta ad Avellino
La farfalla Cometa del Madagascar, l'Idea
Leuconoe delle Filippine, definita "Aquilone di
carta" per la leggiadria quasi ipnotica del suo
volo, la Morpho Peleides del Costa Rica, con le
sue ali di uno sgargiante blu metallizzato, e ancora
la farfalla Monarca e la farfalla Cobra, con i
suoi 30 centimetri di apertura alare. Esemplari
di lepidotteri ammirati da grandi e piccini all’Università,
grazie ad una mostra ideata e allestita
da Antonio Festa nella facoltà di Scienze Matematiche
Fisiche e Naturali. Centinaia di creature
conservate in teche per potersi immergere
nei meravigliosi e colorati habitat delle foreste
tropicali di Asia, Africa e Centro-Sud America.
La mostra, iniziata il 2 aprile, è stata in Ateneo
fino al 10 aprile. E per chi non avesse avuto la
possibilità di entrare in questo mondo naturale
l’appuntamento è ad Avellino dal 15 aprile, poi
alle Grotte di Pertosa, a Salerno, Napoli, Roma,
Biella, Capri, Ischia, Procida. Per scoprire la vita
di una farfalla, seguendo gli stadi di sviluppo, da
uovo a bruco e poi a crisalide, scoprire le differenze
tra farfalle di giorno e falene di notte, e
magari curiosare tra i loro trucchi per sopravvivere
nella natura, bambini e adulti hanno potuto
visitare la Butterfly House, una serra in cui
questi affascinanti insetti rivelano la loro bellezza,
ma anche la loro inaspettata personalità. Un
angolo tropicale dove svariate specie di farfalle
volano leggere, si nutrono con la frutta più zuccherina,
si corteggiano, si accoppiano. Dove vi è
una teca-nursery con bozzoli e crisalidi da guardare
con calma per assistere in diretta a una
nascita. Osservando anche per pochi secondi
queste minute creature colorate, ci si rende conto
che in fondo la vita è fragile come rugiada e
leggera come il vento: si nasce, si cresce, si vive e
si muore, cercando di superare, ancor meglio e-
vitare, ogni ostacolo. E in fondo, cosa fa la farfalla?
La larva si nutre, si muta in crisalide, dalla
quale poi esce la farfalla, che vive intensamente
la sua breve vita fino a che non arriva il giorno in
cui deve lasciare questo mondo. Ma la sua storia
non è finita, anzi, continua in un ciclo interminabile,
perché in natura nulla si crea e nulla si distrugge,
tutto si trasforma. Quindi la farfalla è
metafora di vita. «Ogni sera - racconta l’organizzatore
della mostra, Antonio Festa - mentre
lavoro nel mio laboratorio, non appena intravedo
nella nursery, creata per le crisalidi, una farfalla
in procinto di schiudersi, fermo la mia attività
e mi metto ad osservarla, incantato, fino a
quando non ha disteso completamente le sue ali.
Come tutte le emozioni, più che raccontata è
una esperienza che va vissuta e condivisa. Ecco
perché ho deciso di organizzare una struttura
museale dedicata a questi animaletti a due ali».
Per raccontare della loro bellezza, delicatezza,
del loro fascino, mistero, della loro rinascita.
Una visione, quella delle farfalle, che affascina
non solo i bambini, emozionati dai mille colori e
dalle diverse forme, ma anche gli adulti e le persone
più anziane che, di fronte a tanta bellezza,
risvegliano il fanciullino sopito in loro e lasciano
la mostra carichi di entusiasmo e soddisfazione.
Perché ciò che colpisce l’occhio umano è innanzitutto
l’esteriorità. Una realtà da considerarsi
non negativa, perché,
come ci tramanda A-
ristotele, è la meraviglia
che induce l’essere
umano alla ragione.
Impegnati nel lavoro,
vincolati nelle cose futili
e concentrati negli
affari, gli uomini, infatti,
non si accorgono
che fuori dalle loro finestre
c’è qualcuno
che ha bisogno del loro
ingegno: la natura.
Ma, forse, lo stupore
indotto da questa mostra
può aiutare a capire
che la salvaguardia
del nostro pianeta
inizia proprio dalla
cura di qualcosa di
piccolo e fragile come
una farfalla.
Un esemplare di farfalla civetta
tutte le autorità in piedi per ringraziare
i ragazzi, si è entrati nel
vivo del dibattito. Il moderatore
Pino Scaccia, capo redattore dei
servizi speciali del Tg1, ha sottolineato
l’importanza dell’unità di un
Paese, ricordando i recenti fatti di
cronaca che struggono territori in
cui manca la coesione. Sono intervenuti,
poi, i docenti Annamaria
Giarletta, Massimo Mazzetti e
Carmine Pinto, e il comandante
della Brigata Bersaglieri “Garibaldi”,
Antonio Vittiglio. Effetto dell’Unità
d’Italia, si è detto, è stata
anche la trasformazione dell’-
Armata sarda in Esercito Italiano.
Una missione difficile e ardua, resa
possibile dal decreto del ministro
Fanti del 4 maggio 1861. In
Italia non esisteva una tradizione
militare comune, i piccoli eserciti
dei vari Stati erano sorti, per lo
più, sulla spinta di un sentimento
comune, senza alcuna un’organizzazione
vera e propria. Mancava
un’arte della guerra ed una scuola
comune a tutti gli italiani. Eppure
sono stati questi movimenti a
fare delle differenti Regioni italiane
un Paese. E a divenir poi una
forza armata. Perché ogni Stato
ha una sua cultura, una sua tradizione,
una sua lingua, ma anche
un suo esercito.
A suon di fanfara si è chiusa la
manifestazione che, nell’ambito di
una serie di iniziative organizzate
dall’Università, ha celebrato il valore
dell’Unità. Le piume dei bersaglieri
della Brigata “Garibaldi”
hanno dato vita ad una vera e propria
festa e hanno fatto palpitare i
cuori tricolore della platea. Quei
cuori, che, abbandonando il teatro
d’Ateneo, hanno continuato a
vivere le emozioni della sala,
immergendosi nella mostra di
cimeli e fotografie adibita lungo i
corridoi sulla via d’uscita. Forse
portando a casa la memoria storica
e le riflessioni della giornata.
Direttore
Biagio Agnes
Direttore Responsabile
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Coordinamento
Mimmo Liguoro
Marco Pellegrini
Redazione
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Bello, Marina Cavaliere,
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Mariarosaria Di Cicco, Maria
Di Napoli, Pietro Esposito,
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Francesco Giordano,
Elena Chiara Liguori, Assunta
Lutricuso, Matteo Marcelli,
Federica Massari, Giorgia
Mennuni, Davide Savino,
Francesco Serrone, Imma
Solimeno, Simone Spisso .
Le Firme
Giulio Anselmi, Antonio Caprarica,
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Tullio De Mauro, Aldo Falivena,
Antonio Ghirelli,
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Pierluigi Magnaschi, Renato
Mannheimer, Ezio Mauro,
Raffaele Nigro, Mario Pendinelli,
Arrigo Petacco Vanni
Ronsisvalle, Mario Trufelli,
Walter Veltroni, Sergio Zavoli
UNIVERSITA
DEGLI STUDI
DI SALERNO
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Rettore dell'Università
Prof. Annibale Elia
Direttore del Dipartimento
di Scienze Politiche, Sociali
e della Comunicazione
Prof. Emilio D'Agostino
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Tecnico-Scientifico
della Scuola di Giornalismo
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‘

TERZA PAGINA Domenica 17 aprile 2011
Nei diari del generale Persano passato ai piemontesi, c’è la prova
che Cavour destinò danaro per corrompere l’esercito napoletano
3
Da sinistra una postazione dell’esercito borbonico,
il generale Persano
e Camillo Benso Conte di Cavour
Borbonici, l’onore venduto
NICOLA FORTE
Noi abitanti dell'antico
Regno delle Due
Sicilie, siamo testimoni
e attori del nostro
tempo, siamo quindi
responsabili dei ricordi che
abbiamo ereditato, i cui
archivi rischiamo di dissipare
perdendone la memoria.
Memoria è fatto della
mente (come suggerisce la
parola di-menticare), ma
anche del cuore, come è
inscritto nella parola ricordare.
Dunque coraggio,
ricordiamoci di ricordare.
Ed allora la nostra Storia, i
fatti che ne danno testimonianza,
ed i fattarielli che la
pervadono potrebbero in
questo viaggio nella memoria
persa essere una carrozza
virtuale, che attraverso
un itinerario di storie
nostre, ci avvicini motivandoci
al sentimento dell'orgoglio
di essere meridionali.
Perchè un viaggio nella
memoria? Voglia di
archeologia?
Romanticismo?
Campanilismo? La memoria
storica è una luce per la
continuità dei popoli, è la
base e il fondamento dell'avvenire.
Allora la domanda
alla quale cerca di dar risposta
questo "viaggio" è: può
esservi futuro là dove l'indifferenza
riesce a far
dimenticare ed ignorare le
proprie radici e la propria
storia? Credo che molti
aspetti negativi del nostro
quotidiano sono frutto
anche di questa mancanza
di conoscenza del nostro
passato, conseguenza anche
di quella damnatio memoriae
legata al Sud borbonico.
I
l
modo con cui spesso
amministratori indigeni
sovrintendono i nostri
Saccheggi,
arresti,
e stragi
dei soldati
savoiardi:
rivolta
popolare
nel Regno
delle due
Sicilie
territori, il vandalismo verso
i luoghi e le opere del
nostro Sud, la sottomissione
psicologica che spesso pervade
gli eredi di chi fu
costretto ad emigrare, sono
sicuramente anche il frutto
di una mancata conoscenza
della propria storia. E di
questa cancellazione della
nostra storia, ne è testimone
la toponomastica, potente
strumento di indagine
conoscitiva che attraverso la
denominazione dei luoghi,
rappresenta l'eco delle
vicende storiche che vi si
sono svolte. Ancor oggi, la
civiltà meridionale è scarsamente
ricordata.
Nel 1860 Il Regno
delle Due Sicilie era
diventato uno Stato
veramente indipendente e
capace di uno sviluppo economico
rilevante, "un terzo
incomodo" quindi per la
Francia e l'Inghilterra le
quali usarono la diplomazia
e la forza per annientarlo.
Questi i suoi "numeri"; 51%
(150.000 operai) della forza
lavoro complessiva italiana,
5000 fabbriche, 4/5 del
naviglio italiano, 100.000
bastimenti (100 a vapore),
Castellammare 1800 operai:
il più grande cantiere del
mediterraneo, 17 piroscafi,
20 locomotive (7 esportate
nel Regno di Sardegna),
solo a Gragnano 83 macchine
per manifattura di maccaroni,
10 birrerie Caflish,
9000 studenti universitari
contro i 6000 di tutta Italia,
55% dei libri editi in Italia
pubblicati da case editrici
napoletane, 15 teatri aperti
contro uno di Milano, stabilimenti
tessili con più di
mille operai, 90% produzione
mondiale di zolfo (chimica
industriale ed esplodenti
per le armi).
C
entocinquanta
anni
fà avviene l'invasione
del Regno da parte
prima dei garibaldini (con le
loro camice rosse, uguali
alle uniformi delle "giubbe
rosse" inglesi, - e' baccalaiuol
- come li chiamava
Ferdinando che li scortarono
sino al possedimento,
sempre inglese, di Marsala...
ovviamente interessati allo
zolfo siciliano nda.), e poi
dell'esercito sabaudo.
L
'antico esercito napoletano
si sfasciò in
breve, parte tradito dai
generali e parte sbandato
per mancanza di ordini e di
duci. A ciò contribuì più
l'oro che il ferro, ossia poterono
assai i biglietti di
banca più che l'onore e il
giuramento di parecchi capi
dell'esercito delle Due
Sicilie. Nei diari del generale
Persano, passato ai piemontesi,
sono meticolosamente
segnate le somme messe a
sua disposizione da Cavour,
per corrompere gli ufficiali
borbonici. Fra l'altro si raccontò
subito che il generale
Lanza, comandante delle
forze borboniche a Palermo,
cedè la piazza a Garibaldi
per duecentocinquantamila
lire, ma aggiungo ancora,
che i biglietti di banca, dati
al generale fedifrago, erano
tutti falsi; accortosene, il
traditore si suicidò.
L 'insorgenza
Meridionale, che erroneamente
è detta
Brigantaggio, fa ardere il
fuoco patriottico per circa
un decennio. La resistenza
Duosiciliana iniziò con
spontanei piccoli isolati episodi
nell'agosto del 1860,
subito dopo lo sbarco dei
garibaldini provenienti dalla
Sicilia. Inizialmente fu
soprattutto la popolazione
delle campagne che si
rivoltò contro i comitati
liberali filogaribaldini, ripristinando
i simboli duosiciliani
e i legittimi poteri nei
vari paesi dell'entroterra. La
resistenza divenne più consistente
subito dopo la burletta
del plebiscito, (votò
solo il 10% della popolazione
nda), che oltre a cambiare
il nome alla piazza dell'antico
Largo di Palazzo,
con l'annessione al neonato
Regno d'Italia, conclude per
Napoli il ciclo della sua storia
sette volte secolare, di
capitale politica e morale di
un regno autonomo.
D
ivenne,
poi, una vera
e propria rivolta
popolare quando le
truppe savoiarde iniziarono
una feroce repressione con
esecuzioni sommarie e con
arresti in massa. Dal 1861
fu tutto un intero popolo
che si sollevò, tanto che
furono perseguitati anche il
clero e i nobili lealisti che
dovettero emigrare lasciando
la resistenza priva di
guida politica. Il compito di
eseguire questa criminale
azione di repressione fu
affidato principalmente al
generale Cialdini che ordinò
eccidi, rappresaglie, saccheggi
e distruzioni di centinaia
di centri abitati per
impedire che l'insurrezione
diventasse del tutto incontrollabile.
Questo il suo proclama:
" ... siate inesorabili
come il destino. Contro
nemici tali la pietà è delitto
... annienteremo ... purificheremo
col ferro e col
fuoco ..questa terra di
beduini...".
Chiudo la Storia con
un'ultima considerazione
sul grande odio
dei Savoia verso i Borbone,
odio che continuò a manifestarsi
con imponenti azioni
di cancellazione di ogni
Un alto
ufficiale
cedette
la piazza
di Palermo
a Garibaldi:
pagato
con soldi
falsi
si suicidò
memoria, perpetrata con la
distruzione dei monumenti,
delle lapidi e della toponomastica
che li ricordava.
Pensate che ancora oggi,
non esiste un cimitero, un
luogo, dove si possano
ricordare i soldati napoletani,
i Borboniani del
Volturno, di Caiazzo, di
Gaeta, sono senza ricordo.
In Italia esiste ancora per
esempio, la Galleria Estense
a Modena, mentre il Real
Museo Borbonico è stato
immediatamente ribattezzato
Museo Nazionale. E
cito a mo' di esempio il
corso Maria Teresa ribattezzato
corso Vittorio
Emanuele, in nome di un
rozzo Re, che mentre criticava
la dinastia Borbone per
gli usi di corte, sposava
morganaticamente Rosina,
figlia di una guardia di
palazzo,che elevò al rango
di contessa di Mirafiori.
N
on
esistono quasi
più monumenti, statue
e ogni nome
borbonico è sparito da tutte
le città dell'antico Regno.
Unica consolazione: il gioco
del destino ha voluto che
Vittorio Emanuele, discendente
di quei Savoia che
misero a ferro e a fuoco
soprattutto la Basilicata, si
sia fatto un periodo di carcere
nel suo capoluogo,
Potenza.
M
a
alle nuove generazioni,
ai nostri
figli, ai figli dei
nostri figli, occorrerà raccontarla
la verità, occorrerà
che sia raccontata e ricordata,
affinché sia recuperato il
nostro passato che è un passato
di grandezza di cui
andare orgogliosi.

4 Domenica
17 aprile 2011

ITALIA: PREGIUDIZI E ORGOGLIO
EDITORIALE Domenica 17 aprile 2011
5
La sconfitta della diversità
Giovani e canali d’informazione abbattono le barriere tra Nord e Sud
e il revisionismo corregge la pigrizia della storia processando il passato
(continua dalla prima pagina)
VANNI RONSISVALLE
Questo per dire che se l’invenzione glottologica
terroni è senza dubbio coniata dai bauscia
lumbard, a sostenerne lo spirito spregiativo
fu paradossalmente proprio quell’esemplare
di meridionale in fuga dalle miserie
postbelliche del sud, che come per guadagnarsi
un merito nella sua nuova ‘patria’ ne
assecondava i pregiudizi; un trucco psicologico
ed autolesionista che però è stato di
sostegno decennio dopo decennio (sino ad
accumulare la bellezza di centocinquanta
anni), a quel pregiudizio mastodontico a cui
attinsero senza riguardi e scrupoli scientifici
i due inventori dell’esistenza di una ‘questione
meridionale”, Sonnino e Franchetti. Che
cosa ha ingenerato un complesso di inferiorità,
addirittura un diffuso senso di colpa e
pariteticamente istanze nevrotiche di
incompatibilità tra Nord e Sud se non quelle
pittoresche letterature?
L’orgoglio meridionale rimase relegato in
sonnolenti circoli di una aristocrazia di grande
lignaggio ma di depauperate fortune (fine
del latifondo, eccetera) e di una certa piccola
borghesia che però si tolse temporaneamente
di dosso tutte quelle ragnatele con il fascismo,
sotto il cui regime mettere in forse
l’Unità spirituale e concreta della Nazione,
dubitare delle glorie del Risorgimento era
rischiare quanto meno il confino al sud …A
Lipari, a Lampedusa.
Ma va accadendo qualcosa a cui i frastorni di
questi giorni gettano addosso una involontaria
cortina fumogena; da farli passare inosservati
se non ci aiutasse, noi meridionali
più irritabili, quel sesto senso che presente il
nuovo sul punto di verificarsi.
Il revisionismo è un buon lievito per correggere
la pigrizia della storia. E’ un catalizzatore
intellettuale, e non vi è nulla di più utile al
progresso dell’umanità, a movimentare le
idee che mettere sotto processo il suo passato.
Ma il revisionismo del revisionismo così
come oggi si manifesta, ha effetti migliori,
ancora più interessanti. Vuoi vedere che si
affaccia proprio nel bel mezzo di scenari
nazionali ed internazionali così agitati, nell’intrecciarsi
di ricorrenze anniversarie con
crisi planetarie che esplodono sino a risolversi
in guerra, un nuovo, vero Orgoglio del
Sud? Non da contrapporre ma da intrecciare
a quello di quel Nord non arrogante, non
bottegaio ma che guarda anch’esso con
rispetto ai grandi valori fondanti dell’Italia
Unita. Il sogno dei padri comuni.
E’ un fenomeno che si coglie attingendo nel
diluvio di pubblicazioni erudite, di libelli
appassionati, di ‘riflessioni in rete’, quella
moderna piazza mediatica che al di là dal
mare accende gli spiriti di intere popolazio-
ni in rivolta, le genti del Maghreb lungo la
costa sud del nostro Mediterraneo: contro
variegate tirannie, alcune non solamente
oppressive, ma follemente sanguinarie, vendicative
alla Gheddafi. Abbiamo dimenticato
che all’indomani del colpo di stato con cui
fece fuori Re Idris il “colonnello” galvanizzò
le variegate tribù libiche al grido di “caccia
all’italiano”, confiscò, perseguitò, cancellò
quanto di buono aveva portato laggiù il lavoro
di contadini veneti e siciliani?
Condivisione di destini, senso di fratellanza
di italiani dello ‘stivale’ al di là dei mal di pancia
della politica, dei suoi errori, dei suoi tradimenti.
Poi arrivano i grandi appuntamenti,
le Grandi Svolte come il Risorgimento, come
la Resistenza a rimettere a nudo la verità.
Se fin qui con rozzezza si è pasticciato con la
Storia sputando addosso anche ai propri
eroi, a quei martiri che sono lombardi, padani,
veneti quanto napoletani, siciliani, romani
ai quali è dovuta l’Unità del Paese, ciò che
sta andando in liquidazione tra le giovani
generazioni è proprio uno dei più vieti luoghi
comuni: quello di una Patria calata
addosso a popolazioni diverse ed indifferenti
con un’operazione concepita a tavolino. Da
qui una pattuglia di intellettuali anche del
Sud, forse i più sognatori e donchisciotteschi
di tutta l’operazione, e dall’altra parte
ciò che oggi si direbbero i poteri forti tutti
prosperanti al nord; i futuri cummenda che
scaldavano i motori di strategie industriali,
finanziarie, ‘sociali’ a spese di quella miniera
d’oro in assoluto che fu in realtà il Regno
delle Due Sicilie. Ciò che va al macero è il
complesso di inferiorità del Sud non meno
esiziale dell’egoismo rampino del nord.
Ingredienti di una visione folkloristica
(denunciata da Ernesto de Martino in polemica
postuma con Gramsci) di una realtà
travisata al punto che il dramma diventa
farsa e i personaggi tragici macchiette.
I travagli politici che stiamo vivendo, in una
situazione internazionale che li ingloba – la
guerra in Libia e l’inarrestabile afflusso di
migranti nel nostro Sud – rivela ogni giorno
di più il progredire di una realtà che va
facendo giustizia del luogo comune. In questo
scenario così occupato da fermenti globali
avverto, nonostante tutto, per la nostra
Italia come una febbre sottopelle che percorre
la parte più interessante del Paese: i giovani,
(i rottamatori ?) quelli di face book e dei
glober, ciò che ormai va pensato come il
sistema nervoso del mondo; i canali di informazione
per cui un evento, positivo o negativo,
riverbera da un continente all’altro; i
fatti, anche i più disparati, finiscono per collegarsi.
Non più divaricazioni, non più gap
socio-culturali come li si additava ai tempi di
Giustino Fortunato, fondati su verità relative;
e non ineccepibili. Ma la consapevolezza
per il Nord e per il Sud di eguali motivi d’orgoglio
per essere un popolo che si completa
nella sua diversità e può sempre più eccellere
consapevole che ognuno ha portato del
suo a far più bello ciò che era bello, a fare
ottimo ciò che era già di per se buono.
Quanto accade sull’altra sponda del Mediterraneo
è dovuto essenzialmente alle
fasce giovani di popolazioni che si infiammano
contro vecchie tirannidi secondo il
principio dei vasi comunicanti, (sino ad attaccare
la Siria scavalcare il Maghreb e raggiungere
il Medio Oriente). Mi piace credere
più a queste idealità che alle ipotesi arcigne
dei sospettosi analisti, ravvisanti dietro tutto
questo, trappole dei governi come al tempo
delle Sette Sorelle. Nello stesso spirito perché
non riconoscere ai giovani italiani del
sud e del nord, da quest’altra parte del
mare, siano operai, studenti, tecnici, precari,
occupati o in attesa di occupazione
(come si dice con ipocrita eufemismo) il
superamento di un vecchiume antistorico a
cui forse, tra i giovani di buona famiglia,
soltanto il Trota può fingere di credere
ancora per far piacere al padre?

6 Domenica 17 aprile 2011 PRIMO PIANO
Il made in Italy sbarca in Africa
con Edificio Italia. A Fisciano si è
svolto il primo dei tre incontri tra
la Camera di Commercio Ital-
Africa e le imprese, tra cui la
maggior parte campane, destinate
a entrare nel piano e a Kinshasa
nascerà il complesso edilizio.
Un progetto che prevede di
esportare, e quindi far conoscere,
i nostri prodotti nel Continente
nero, in particolare nella Repubblica
Democratica del Congo con
la costruzione di un edificio di
ben undici piani nella capitale.
Un investimento di circa cinquanta
milioni che sarà completato
nel 2012. E’ stato Tommaso
Annibale sindaco di Fisciano a
moderare il dibattito che ha visto
partecipare ingegneri e responsabili
della Camera di Commercio
ItalAfrica, insieme al direttore
della Simest Enrico d’Angeli, e al
presidente della Bcc di Fisciano
Domenico Sessa. Per adesso le
aziende che fanno parte del progetto
sono sessanta, soprattutto
meridionali, tra cui grandi supermarket,
show room, negozi grandi
firme e locali commerciali. La
superficie sarà pari a 5.660 metri
Nel 2012 nascerà a Kinshasa un mega centro costato 50 milioni di euro
Congo: arriva il made in Italy
In un complesso edilizio di undici piani
market, show room, un albergo e 18 appartamenti
quadrati. I primi tre piani saranno
destinati a centri commerciali
con annesso un grande magazzino
per lo stoccaggio dei beni. Il
quarto, quinto e sesto piano
saranno realizzati per accogliere
settantotto uffici e diciotto appartamenti.
I piani settimo, ottavo e
nono saranno destinati, invece,
completamente a un Hotel. Per
costruire l’edificio è stata scelta
una tipologia mista di materiali:
dal cotto per esaltare l’espressività
artistica del luogo, al vetro
utilizzato per la leggerezza e l’illuminazione,
e l’acciaio. Alfredo
Cestari presidente dell’ItalAfrica
ha cercato di invogliare gli
imprenditori a investire nel progetto,
che secondo lui potrebbe
riservare grandi soddisfazioni.
«Per chi non conosce l’Africa – ha
detto Cestari – questo potrebbe
sembrare un investimento rischioso,
invece non lo è affatto.
L’Africa è uno dei Continenti più
ricchi del mondo per risorse
energetiche e continua a migliorare
la sua posizione economica.
Per le imprese italiane e soprattutto
del Sud è un’occasione da
non farsi scappare. Cerchiamo in
tutti i modi di darvi certezze e
informazioni per compiere questo
passo importante e decisivo
per il nostro Paese. La dimostrazione
che il progetto sia un progetto
serio è anche la presenza di
aziende importanti come la
Simest e la Bcc di Fisciano».
Entrambe le aziende cercheranno
attraverso finanziamenti di
accompagnare e sovvenzionare le
nostre imprese all’estero.«La Simest
- ha ribadito D’Angeli -
vaglierà le proposte delle aziende
e insieme la seguirà nell’esperienza
in Africa. Un aerea che potrebbe
diventare al più presto il nuovo
mercato di sbocco per garantire al
nostro Paese non solo un miglior
rapporto con l’estero, ma anche
una possibilità di arginare la crisi
economica». Quello a Kinshasa
non è l’unico progetto ambizioso
che il nostro Paese ha deciso di
realizzare in Congo. Nel 2007,
infatti, fu inaugurata l’iniziativa
“cinque cantieri”: infrastrutture,
salute e formazione, acqua ed
elettricità, edilizia residenziale e
creazione di lavoro. Strategie preposte
all’ammodernamento del
tessuto strutturale urbane del
Paese, individuate per rilanciare
l’economia del Congo, puntando
su investimenti turistici.
Servizi di
ALESSIO FUSCO
Ricostruzione virtuale
di uffici e case
nell’Edificio Italia
BUONA TAVOLA, I CORSI
Saranno riservati
agli abitanti
della Capitale
La Foodled di Salerno è una delle aziende
che nel 2012 presenterà i suoi prodotti in
Congo. L’azienda si occupa di distribuzione
alimentare e attraverso Edificio Italia
esporterà in Africa i nostri prodotti.
Corrado Caramico, responsabile dell’azienda,
è ottimista sul rendimento economico
che un Paese come l’Africa potrà
fruttare. « In Italia – ha detto Caramico -
il settore alimentare è in sofferenza, non
esiste più la fidelizzazione del consumatore
al prodotto. Abbiamo effettuato delle
ricerche e in Congo i prodotti italiani
sono poco presenti. Esiste invece un fenomeno
che è quello di spacciare per italiani
alcuni articoli,
cambiandogli lievemente
il nome,
per poi venderli a
prezzi molto alti».
Per quanto riguarda
l’attivita pratica
il personale impiegato
alle vendita
verrà integrato con
operatori congolesi.
«Abbiamo già
contattato i supermercati del posto – ha
ribadito Caramico - e sono entusiasti dei
nuovi prodotti che porteremo loro a
conoscenza. In più cercheremo di inserire
gli abitanti del posto attraverso corsi di
formazione ed educazione alimentare».
Per quanto riguarda i costi di partenza per
dar vita all’attività, la Camera di Commercio
ItalAfrica ha pensato a tutto. «Ci
hanno offerto tecnici che lavorano sul
posto – ha continuato Caramico - e personale
di qualità che ci consiglia».

Viaggiare da Napoli a Bari via
treno in appena 2 ore al posto
delle attuali 3 e 40’. E’ questo l’ambizioso
progetto delle Ferrovie
dello Stato che prevede il collegamento
diretto tra i 2 capoluoghi
regionali. Un progetto, di vecchia
data, del quale se n’è iniziato a parlare
fin dal 1960 ma che solo ora,
dopo le ripetute sollecitazioni da
parte delle rispettive autorità
regionali, sta trovando finalmente
attuazione. Un’opera ritenuta fondamentale
per lo sviluppo del
Mezzogiorno e che si innesta in
un più ampio progetto di collegamento
dell’Unione Europea. La
linea costituirà infatti il punto di
giunzione tra l’asse ferroviario
numero 1 (Berlino-Palermo) con il
corridoio 8 (Bari-Varna) e, dunque,
i versanti tirrenico e adriatico.
Il Mezzogiorno svolgerà il ruolo
strategico di piattaforma logistica
per i traffici con i paesi dell’Est
europeo e dell’area mediterranea.
Vi sarà inoltre una riduzione dei
tempi di percorrenza sia per quanto
riguarda i collegamenti regionali
interni (che verranno aumentati)
Obiettivo: ridurre i tempi di percorrenza a 2 ore
Napoli-Bari, basta
treni lumache
Partiti i lavori di ammodernamento della linea
sia per quanto riguarda quelli
interregionali (sarà possibile andare
da Roma a Bari in 3 ore invece
che in 4 e 30’). Si prevede un notevole
aumento di passeggeri (15
mila in più al giorno) e di merce
trasportata (più di 6mila tonnellata
al giorno) con un notevole ritorno
economico (Puglia e Campania
raggiungono una quota di oltre il
40% della produzione di mercato
nel meridione). La linea, è bene
ricordarlo, sarà ad alta capacità,
non ad alta velocità. I convogli
potranno cioè sostenere una velocità
massima di 180 km all’ora che
è comunque oro colato rispetto a
quella odierna che si attesta
mediamente sui 70/80 km (il picco
minimo nella zona di Montaguto
dove sono ancora in corso i lavori
di messa di sicurezza dell’imponente
frana verificatasi lo scorso
anno). L’investimento complessivo
previsto sarà di oltre 5 miliardi di
euro e prevede la suddivisione
della tratta in 4 tronchi (Cancello-
Frasso Telesino, Frasso Telesino-
Vitulano, Apice-Orsara e Orsara-
Cervaro) sui quali effettuare le
opportune modifiche. Tempi di
realizzazione previsti, 10 anni (dal
PRIMO PIANO Domenica 17 aprile 2011
2010 al 2020). Da un lato sarà raddoppiata
e modernizzata l’obsoleta
linea esistente (risalente al 1860)
dall’altro saranno realizzate nuove
tratte. Come quella che da Valle di
Maddaloni arriverà fino a Vitulano
(i primi due tronchi) che prevede
la realizzazione di numerose gallerie
e, vista la difficoltà, ancora in
fase di progettazione. E’ ancora
invece alle fasi preliminari il progetto
per il tratto che va da Apice
ad Orsara che prevede una realizzazione
in variante rispetto alla
linea esistente e la costruzione di
una nuova stazione a servizio
7
dell’Irpinia. La linea proseguirà
quindi verso nord, attraversando
lo spartiacque appenninico grazie
ad una galleria di circa 25 km.
Sono in corso lavori di adeguamento
lungo il tronco Orsara-
Cervaro in variante tra Orsara e
Bovino e in affiancamento tra
Bovino e Cervaro. Il completamento
dei lavori è previsto in due
fasi: il raddoppio in affiancamento
sarà completato entro il 2013, il
raddoppio in variante entro il
2016. Lungo il percorso saranno
realizzate nuove stazioni a Ponte
Albanito e Bovino. Tra le stazioni
oggetto di interventi di riqualificazione
quella di Foggia risulterà
centrale per il traffico dei passeggeri.
L’augurio è che i lavori vengano
realizzati nel rispetto dei tempi
previsti e che possa essere colmato
quel gap infrastrutturale che ha da
sempre bloccato lo sviluppo del
territorio.
Pagina a cura di
FRANCECO SERRONE
IL NUOVO ITINERARIO
L’itinerario Napoli-Bari è stato inserito tra
le infrastrutture strategiche e di preminente
interesse nazionale con la delibera
del Cipe del 15 luglio 2009. Saranno realizzate
o ristrutturate 15 nuove stazioni,
eliminati buona parte dei passaggi a livello
e creato un comando centralizzato di
controllo del traffico tramite l’ausilio di
nuove tecnologie. Il tutto lungo un percorso
di 146,6 km.
Si prevedono un aumento dei collegamenti
nazionali e regionali (sia merci che
passeggeri) con 54 treni al giorno (44 in
più di oggi) sulle lunghe percorrenze e
144 treni al giorno ( 118 in più di oggi) sui
collegamenti tra Napoli, Benevento,
Caserta, Capua e Foggia. L’intensificarsi
dei collegamenti avrà un impatto anche a
livello ambientale visto che l’aumento dei
viaggiatori farà diminuire il numero di
auto in circolazione con una notevole
riduzione delle emissioni di anidride carbonica
e ossidi d’azoto.
Sempre per quanto riguarda l’ambiente,
Previsto aumento
di merci
e passeggeri
massima attenzione sarà inoltre dedicata
alla costruzione delle nuove opere in un’area
che possiede straordinarie ma delicate
risorse naturali ma che presenta (specie
nel tratto campano) elevati livelli di sismicità
ed instabilità
Ad oggi sono stati completati gli interventi
di raddoppio, prevalentemente in
variante, tra Vitulano e Apice, a cavallo
della stazione di Benevento ed è in corso
di realizzazione il tratto in territorio
pugliese Bovino-Cervaro il cui completamento
è previsto entro il primo trimestre
dell’anno 2013.
CALABRIA
Roma - Reggio
in quattro ore
MARCHE
Binario unico
incubo continuo
SICILIA
Un primato
poco invidiabile
BASILICATA
Matera capoluogo
senza ferrovia
Come per la più
nota e omonima
autostrada, anche
questo tratto soffre
di notevoli problemi
di congestionamento.
La linea è
parte integrante
dell’Asse ferroviario
numero 1 della
Rete ferroviaria convenzionale trans-europea
Ten-T che da Berlino arriva fino a
Palermo. Il progetto è tuttora in fase d’approvazione.
Fermo restando il quadruplicamento
del tratto Salerno-Battipaglia (25
km), si stanno prendendo in considerazione
diverse ipotesi di tracciato e diverse modalità
realizzative. In particolare la realizzazione
di una nuova linea da Ogliastro a
Sapri (90 km) che prosegua verso sud a
fianco dell’autostrada. I lavori porteranno
alla riduzione del tempo di percorrenza da
Roma a Reggio Calabria da 7 a 4 ore.
Sui 300 km di linea
che collega la capitale
al capoluogo
marchigiano attraverso
gli Appennini,
125 sono a
binario unico. Visto
l’elevato traffico
che si registra
sulla tratta con
l’alternarsi di treni regionali, intercity ed
eurostar sono iniziati lavori di potenziamento
e raddoppio (parte in affiancamento
e parte in variante) e riqualificazione di
alcune stazioni. Il tratto interessato va da
Orte fino a Falconara (una delle linee trasversali
che mette in collegamento la direttrice
Roma-Firenze e la direttrice Adriatica)
e prevede la realizzazione di alcune
gallerie nel rispetto delle notevoli problematiche
ambientali delle zone attraversate.
Il costo complessivo degli interventi è di
330 milioni di euro.
La Sicilia detiene il
record del minor
numero di km di
strade ferrate a
doppio binario (appena
169). Occorrono
oltre 4 ore per
andare da Catania
a Palermo distanti
appena 210 km.
Una situazione intollerabile più volte denunciata
dalle autorità e da esponenti politici
locali. Per questo è in fase di progettazione
una linea ad alta capacità che collegherà il
capoluogo alla città etnea. Il progetto prevede
la realizzazione di oltre 15 gallerie per evitare
le elevate pendenze e i terreni instabili
della Sicilia interna dove, attualmente, la
massima velocità raggiungibile è di 80 km/h.
Costo totale stimato oltre 4 miliardi di euro
per 7 anni di lavori. La linea si collegherà
alla Palermo-Messina e alla Catania-
Siracusa.
La città di Matera
è l’unico capoluogo
di provincia a
non possedere una
stazione. A dire il
vero la stazione ci
sarebbe ma mancano
i collegamenti.
La stazione di
La Martella non è
mai stata raggiunta da alcun treno. Si tratta
di un fabbricato vuoto per il quale non
sono stati realizzati nemmeno i binari. I
lavori, iniziati nel 1986 non sono mai stati
portati a termine. La linea esistente, a scartamento
ridotto gestita dalle Ferrovie
Appulo-Lucane, va da Bari fino a Ferrandina
(1 ora e mezza di viaggio per coprire
62 km). Da Ferrandina per raggiungere la
città dei Sassi c’è un servizio di bus navetta.
Per completare la linea occorrono 118
milioni di euro ma i lavori, previsti per il
2009, non sono mai iniziati.

8 Domenica
17 aprile 2011 PRIMO PIANO
La Lega Navale di Pozzuoli e il Sert dell’Asl Na1 navigano insieme
per combattere la tossicodipendenza: nasce così il progetto “Il mare nelle vene”
Vento amico spazza via la droga
Il “mare nelle vene” non è solo un
progetto, ma anche un simbolico
invito ai tossicodipendenti a vivere
diversamente, ad intraprendere un
“viaggio” verso una nuova vita.
Sulla barca a vela si impara un
nuovo linguaggio e a diventare un
equipaggio per il raggiungimento
di un obiettivo comune, quello di
tornare alla vita.
Poco più di sei anni fa è nata questa
idea dal lavoro coordinato del
Sert (servizio tossicodipenze)
dell’Asl Na 1 e del Dipartimento
Farmacodipendenze. Con l’aiuto
della Lega navale di Pozzuoli, che
mette a disposizione alcune delle
proprie imbarcazioni, è stato possibile
dar vita al progetto e aiutare,
dal 2004 ad oggi, ben 180 ragazzi.
Il progetto mira a prevenire, se
possibile, le gravi conseguenze
della droga, e a riabilitare e reinserire
il tossicodipendente nella società.
L’obiettivo principale è fare
in modo che i ragazzi riacquistino
i rapporti, talvolta compromessi,
con la famiglia, gli amici e il territorio
di appartenenza. Negli ultimi
anni il problema della droga è
cambiato molto perché sono cambiate
le sostanze, è cambiato il loro
prezzo così come è cambiato il
target di consumatori. L’operatore,
così, non si trova più di fronte a
tossicodipendenti con caratteristiche
sociali e anagrafiche ben definite;
oggi la tossicodipendenza
abbraccia tutte le fasce d’età e tutte
le classi sociali. Il Sert, come spiegano
gli esperti, quindi non è solo
il luogo, come spesso viene erroneamente
considerato, in cui
viene distribuito il metadone. Sicuramente
la somministrazione è
la prima tappa, ma serve anche a
rompere il “giro” di cui è vittima il
tossicodipendente ed è anche il
primo contatto che si ha con gli
operatori. Quando i ragazzi arrivano
al Sert, i rapporti con i parenti
e gli amici sono ormai lacerati
e si è sempre più isolati.
Luigi Massa, vice presidente della
Lega Navale di Pozzuoli, spiega l’iter
attraverso cui i ragazzi dai Sert
arrivano sulla barca: «La prima
parte della selezione viene fatta
In alto un’immagine
della barca governata
dai ragazzi del progetto,
a destra
manovre in porto
prima di salpare
e sotto l’approdo
della Lega navale
dalle Asl che individuano i soggetti
che, meglio di altri, potrebbero
migliorare il rapporto con se stessi
e con gli altri attraverso il progetto.
Una volta selezionati, i ragazzi
si dividono tra la parte teorica,
con lezioni in sede, e la parte pratica
che consiste in uscite settimanali
in barca. Sia in sede che
fuori, vengono seguiti da operatori
e istruttori che li seguono nel
percorso e li aiutano a rielaborare
l’esperienza».
Così come il mare racconta tante
storie di rinascita e riscatto, la vela
diventa il simbolo per risalire la
corrente e andare contro vento
per dimostrare, soprattutto a se
stessi, di essere più forti del male
della droga. E a giudicare dall’entusiasmo
sul volto dei ragazzi che
si apprestano a salire a bordo per
seguire la nuova lezione di vela, si
può dire che la strada percorsa è
quella giusta.
«Abbiamo avuto – dice Maurizio
Cuccurullo, psicoterapeuta e responsabile
del progetto – ragazzi
che per la prima volta sono saliti a
bordo di un natante. Non hanno
mai avuto un rapporto con il mare
e questo la dice lunga sulle difficoltà
in cui tante persone sono vissute
e le poche opportunità che
offre la città. Per loro è un’esperienza
sensoriale che da un senso
di fiducia; si tratta di esperienze
minimali, ma che per loro hanno
una grande importanza».
E così, in una soleggiata mattina di
marzo, dopo aver preparato la
barca a salpare tra scherzi e risate,
entusiasti, ci invitano a salire per
dimostrarci quello che sanno fare.
La giornata è trascorsa piacevolmente
in loro compagnia e di cose,
di vela e non, ne abbiamo imparate
tante. Quando scendiamo, stanchi
ma ricchi di qualcosa in più,
siamo coscienti che ora hanno una
consapevolezza maggiore di essere
loro i timonieri della loro vita e
di non voler fallire la seconda
opportunità che gli è stata data.
Pagina a cura di
MARINA CAVALIERE
Due testimonianze
Il nuovo
sapore
della vita
Vincenzo e Cristopher sono l’emblema del
successo. Due uomini, molto diversi tra
loro, accomunati dallo stesso destino e,
adesso, dalla stessa passione.
Entrambi hanno attraversato momenti di
difficoltà ma la fortuna di incontrare chi era
disposto ad aiutarli e la loro caparbietà, ha
cambiato il corso delle loro vite.
Vincenzo, napoletano, ha 50 anni ma,
quando parla di sé e di come il progetto l’ha
cambiato, sembra di trovarsi di fronte all’innocenza
di un bambino. I suoi occhi fanno
trasparire un po’ di emozione e la sua voce
si fa tremolante. «Da due anni sto nel progetto
- dice - e da allora la mia vita è cambiata
radicalmente. Ho imparato a governare
una barca e a conoscere tutte le sue
particolarità. Io prima una cosa del genere
non l’avrei mai concepita, il mio era un
modo di vivere completamente diverso. Il
mio unico rammarico è quello di non averlo
fatto prima ma, come si usa dire, non è
mai troppo tardi».
Seduto accanto a lui c’è Cristopher che,
invece, arriva dalla Polonia e da un anno fa
parte del progetto “Il mare nelle vene”:
«Mi piace tanto andare a vela - dice
Cristopher - uscivo in barca anche quando
vivevo nel mio Paese ma non sapevo
manovrarla e neanche conoscevo tutti i
nomi delle varie attrezzature che si trovano
in barca a vela. Sono molto entusiasta
di questa esperienza, ci divertiamo molto
quando stiamo insieme e per me è un
modo per socializzare con gli altri, riacquistando
fiducia negli altri ma soprattutto in
me stesso». È un percorso lungo e complesso
ma non impossibile e sia Vincenzo
che Cristopher ne sono la dimostrazione.
Parlano i responsabili
«Dal 2004
risultati
notevoli»
La tossicodipendenza, talvolta, non da
scampo e spesso può cambiare radicalmente
la vita di chi ne soffre e di chi gli sta accanto.
Per questo, il percorso di ritorno alla
vita, quando a volerlo sono proprio i tossicodipendenti,
non è semplice da affrontare
ma i risultati sono quelli che contano e i traguardi
raggiunti dal progetto “Il mare nelle
vene” in questi sei anni dimostrano che talvolta
la determinazione premia, anche contro
un grave problema come quello della
tossicodipendenza. «È gratificante, per chi
dà qualcosa come noi a vario titolo coinvolti
nel progetto, sentire che i ragazzi
rispondono e lo fanno anche nel migliore
dei modi» afferma Luigi Massa, vicepresidente
della Lega Navale di Pozzuoli e
responsabile del progetto.
Non è solo un’opportunità per “uscire dal
tunnel” e abbandonare una vita di rischio e
sofferenza ma anche un modo per tentare
di riprendere un posto nel mondo e il possesso
di quella vita che, prima della droga,
era sicuramente migliore.
«Quattro ragazzi hanno preso la patente
nautica e uno è diventato anche istruttore,
quindi, questo percorso può aprire anche
opportunità lavorative importanti - aggiunge
lo psicoterapeuta Cuccurullo - ma
quello che più conta per noi è il ritorno di
desideri e stimoli che spinge i ragazzi a
recuperare un aspetto terapeutico, che
prima veniva rifiutato, e a riprendere i
contatti con la famiglia. Molti di loro sono
già perfettamente reintegrati nella società,
alcuni hanno anche un lavoro ma, nonostante
questo, non perderebbero una
lezione con noi per nessun motivo al
mondo»

PRIMO PIANO Domenica 17 aprile 2011
CAMPIONATI ASSOLUTI
A maggio Napoli
ospiterà l’evento
per la prima volta
Per la prima volta Napoli ospiterà i
Campionati Italiani assoluti di tennis in
carrozzina, che si svolgeranno dal 24 al 29
maggio. I Campionati italiani assoluti si
collocano nel panorama sportivo cittadino
e regionale come un appuntamento di
prestigio e di sensibilizzazione, capace di
attirare un pubblico di appassionati sportivi
e l’attenzione di tutti i media, anche le
numerose iniziative che faranno da contorno
alla manifestazione. La Federazione
Italiana Tennis Campania guarda al tennis
in carrozzina come ad un forte elemento
fondante per l’integrazione e per la valorizzazione
sociale di chi è costretto sulla
9
sedia a rotelle. Una
disciplina nata negli
Stati Uniti nel
1976, praticata originariamente
in 8
nazioni, oggi è diffusa
in più di 70
paesi. In Italia è
nata nel 1987 ed
attualmente è praticata
sia a livello
amatoriale che a
livello agonistico da atleti che partecipano
a tornei nazionali ed internazionali che
formano un circuito al pari del tennis dei
giocatori normodotati. Le regole sono le
stesse del tennis normale e ciò rende possibile
giocare con chiunque condivida
questa passione. In Campania questa
disciplina sta muovendo i primi passi
mostrando la sua grande capacità di
aggregare gli sportivi grazie all’asd
Vesuvio, la prima associazione sul territorio
nata per promuovere questo sport.
Un inno alla vita: lo sport. Quello
sano, praticato in nome dei valori
in cui si crede; quello che può cambiarti
la vita, facendotela in qualche
modo riscoprire. E’ lo spirito
con il quale opera l’Associazione
napoletana Sport per Disabili
Vesuvio, che si propone di avvicinare
il mondo della disabilità campana
alla pratica sportiva del tennis
in carrozzina, utilizzando lo
spirito agonistico quale occasione
per reagire e ritrovare se stessi e le
proprie abilità. Un progetto importante
nato nel 2008 grazie
all’impegno di Mario Alfredo Naselli,
oggi presidente dell’associazione,
costretto su una sedia a
rotelle dopo un incidente stradale.
«Tutto ha avuto inizio – racconta
– dopo l’incidente. Ho fatto un
lungo periodo di riabilitazione in
un centro vicino Imola, dove ho
avuto l’opportunità di poter praticare
sport, in particolare il tennis.
Mi hanno aperto nuove possibilità
sportive che non conoscevo e non
pensavo neanche fossero possibili».
Tornato a Napoli, Mario si rese
conto che in città, ma più in generale
in Campania e nel Sud Italia,
Tennis in carrozzina, l’avvincente sfida per ricominciare
La volée migliore
è su due ruote
Una nuova realtà in crescita in Campania
non c’era alcun centro sportivo che
consentisse ai disabili di praticare il
tennis. «Magari molte associazioni
organizzano il nuoto o la vela –
afferma Naselli – ma il tennis no. E
allora mi sono detto che dovevo
fare qualcosa. Per me, per riprendere
in mano la mia vita, ma anche
per tutti quelli che vivono la mia
stessa situazione». Non essendo
uno sport di squadra, il tennis ha il
merito di far sentire chi gioca,
anche senza l’uso delle gambe,
uguale a qualunque altra persona.
Posso giocare e sfidare a tennis
chiunque – dice Naselli sorridendo
– e mi piacciono le sfide, e tutto è
nato così e a piccoli passi». E, come
tutte le sfide, anche creare dal nulla
un’associazione che vuole abbattere
i limiti per chi crede di non
avere più speranza di farlo, presenta
degli ostacoli. «Le apposite carrozzine
per poter giocare, – spiega
Naselli – purtroppo costano molto.
Sono particolari perché più
scampanate in modo da dare la
possibilità di muoversi in sicurezza
e agilità. Il maestro Luigi Aprile,
tecnico dell’asd Vesuvio – continua
- è stato il primo a offrire una
carrozzina, a disposizione di tutti.
Abbiamo anche trovato uno sponsor
nel centro ortopedico “Corpora”
di Gricignano d’Aversa, che
ha donato due carrozzine». De
Coubertin avrebbe detto che l’importante
è partecipare. Ma, come
sostiene Mario Naselli, in questo
caso fare sport è molto di più che
gareggiare. «Qui a Napoli molti
fanno riabilitazione e non fanno
sport, precludendosi l’opportunità
di stare all’aria aperta e relazionarsi
con altre persone», afferma Naselli,
che conduce una vita molto attiva
tra gli impegni con l’associazione,
il lavoro, gli amici. «Il nostro obiettivo,
- continua - è far star bene le
persone e coltivare talvolta anche
lo spirito agonistico». Oggi la
regione Campania conta molte più
persone che praticano tennis in
carrozzina e l’asd è aperta anche a
persone che non hanno disabilità.
L’attività promozionale dell’associazione
si svolge attraverso iniziative
varie, tornei, esibizioni. «È uno
sport che mi sta dando tanto - conclude
Naselli - e che voglio far
conoscere, anche a chi non lo
intende in modo più competitivo
come me. Inconsapevolmente si
può trasmettere ad altri la propria
forza. Come ho detto, adoro le
sfide e una di queste è abbattere la
disabilità che spesso non è fisica,
ma è principalmente nella mente
delle persone». E Mario Naselli la
sua l’ha già vinta.
Pagina a cura di
EMANUELA DE VITA
MARIAROSARIA DI CICCO
Salerno
Laurea
su sport
e disabilità
All’Università di Salerno ginnastica e
disabilità sono diventati materia di studio.
Da due anni, la Facoltà di Scienze
della Formazione ha attivato il corso di
laurea magistrale in Scienze della valutazione
motorio - sportiva e tecniche di
analisi e progettazione dello sport per
disabili. Gli studenti sono circa ottanta e
il corso nasce in seguito a un’indagine
conoscitiva riguardo le esigenze legate
alle attività, soprattutto motorie, rivolte
al disabile.
Nell’Ateneo salernitano è attivo, inoltre,
un laboratorio handicap, di cui è responsabile
il professor Maurizio Sibilio, che
utilizza tecnologie all’avanguardia per lo
studio, per esempio, del movimento
della mano, o possiede delle pedane
dinamometriche adattabili anche all’esterno,
o ancora
sistemi
di video analisi.
Numerosi
sono anche
i lavori e i
progetti presentati
a livello
internazionale.
Un
laboratorio di
ricerca tra i
più moderni
nel Centro –
Sud in cui gli allievi del corso di laurea
magistrale, coordinati dal professor
Gomez Paloma e dalla professoressa
D’Elia, imparano a utilizzare questi
strumenti.
L’offerta formativa della laurea magistrale
va dunque dalla progettazione
tecnologica, alla pedagogia, alla biomedica,
alla psicologia e alla medicina
dello sport avvalendosi della collaborazione
con altre facoltà. Il corso ha
anche convenzioni con enti sportivi
consolidati e istituzionalmente validi.
«Il corso di laurea magistrale – conclude
il professore Sibilio – si candida
all’abilitazione dei propri studenti per
l’insegnamento dell’educazione fisica
nelle scuole, con uno sguardo più attento
e specializzato alla disabilità».
Benevento
Sul palco
attori
speciali
“È più bello insieme”, centro polifunzionale
per disabili nato nel 2001 a Benevento,
ha tra le sue attività la rappresentazione di
spettacoli teatrali che hanno come protagonisti
attori decisamente speciali. «Il
motivo per cui nasce il centro - racconta
Angelo Moretti, responsabile della struttura
– è di migliorare la qualità di vita delle
persone disabili e l’organizzazione di rappresentazioni
teatrali è uno degli strumenti
più belli e validi perché permette di far
gruppo e giocare di squadra a persone che
spesso vivono in solitudine. I nostri ragazzi
- continua Angelo - ricevono una grande
energia vitale e molti stimoli dal dover
parlare davanti a un pubblico, sforzandosi
di scandire le parole e soprattutto di vincere
la timidezza». Nel 2003 è stata creata la
compagnia
stabile del
centro e da allora
sono andati
in sce-na
quattro spettacoli
riproposti
nel gennaio
2011 in
occasione del
decennale di
“È più bello
insieme”:
Non ti pago, Camomilla a colazione e
8,13 e 90.
Nella preparazione i ragazzi, affetti per lo
più da disabilità mentali, sono seguiti da
un’operatrice specializzata nel teatro e dai
volontari dell’associazione.
“È più bello insieme” cerca di creare per i
suoi utenti un clima familiare e gli strumenti
che utilizza, oltre al teatro, sono
attività che favoriscano la socializzazione,
come l’organizzazione di gite o vacanze, e
l’apprendimento: corsi di avviamento al
lavoro in cui i ragazzi si sperimentano
nelle abilità operative e manuali più
diverse come piccoli traslochi, manutenzione
del verde, allestimento di feste e la
cura dei locali del centro, lezioni per
imparare a utilizzare il computer ed esercizi
di educazione fisica.

10 Domenica
17 aprile 2011 PRIMO PIANO
Aperte le iscrizioni ai corsi di Musicoterapia all’Isfom del capoluogo campano,
realtà sempre più presente sul territorio con laboratori in scuole e ospedali
Sentire il mondo a suon di note
Alzi la mano chi non ha mai cambiato
umore ascoltando una canzone,
una melodia o semplicemente
un suono. La musica in
ogni sua manifestazione influenza
gran parte della nostra vita.
Questo l’hanno ben capito all’
Isfom (Istituto di formazione di
musicoterapia) che ha sede a
Napoli. E’ un’istituzione molto
antica che si occupa della promozione
della musicoterapia e svolge
la sua attività terapeutica in
sede e in diverse strutture.
Nell’immaginario comune, questa
pratica è spesso vista come l’ultimo
tentativo fatto su un malato in
fase terminale, sperando che si
risvegli. Episodio che purtroppo
accade piuttosto raramente. La
musicoterapia non è solo questo
ma molto di più: è utilizzata per la
cura di soggetti diversamente
abili, ma anche per curare disturbi
mentali. Un calo delle difese nervose
di una comune persona, prodotto
da una grande quantità di
stress, può essere gestito dal rapporto
che si istaura tra un musicoterapista
e il soggetto interessato,
sia individualmente che in gruppo.
Non si utilizzano quasi mai
canzoni già preconfezionate,
infatti «C’è uno strumentario di
lavoro: strumenti ritmici, melodici,
armonici». Come spiega Diana
Facchini, direttrice dell’Isfom. «Se
un bambino autistico produce un
rumore con un oggetto – aggiunge
- noi riproduciamo questo suono.
Se il paziente canta, si parte da
una canzone. Anche un passo, un
vocalizzo, un grido possono essere
riprodotti. La musica dipende
dal soggetto». C’è un rapporto di
scambio tra il terapista e il paziente,
il primo canta o suona, il
secondo ascolta e viceversa. All’interno
dell’Isfom c’è una struttura
fondamentale che è la scuola
di formazione di musicoterapisti
di durata triennale. Si creano delle
figure di terapisti che agiscono in
contesti riabilitativi ma anche in
contesti “normali” come le scuole.
In un istituto scolastico ci sono
bambini sia con handicap che normodotati.
Si lavora per l’integrazione
di alcuni soggetti “difficili”
per favorire la socializzazione e
quindi per migliorare la qualità
della vita della classe. Tra le scuole
statali coinvolte in questi progetti
ci sono la “Lettieri”, la “Tito
Livio”, la “D’Ovidio - Nicolardi” e
il circolo didattico di Grumo
Nevano. Mentre gli ambiti più
squisitamente ospedalieri dove
sono state richieste le conoscenze
dei musicoterapeuti sono il
reparto di fonometria del Nuovo
Policlinico e i centri di igiene
mentale, nelle Asl 1 e 2.
Durante i tre anni di formazione,
gli aspiranti musicoterapisti hanno
conoscenze teoriche ma anche
pratiche: al secondo anno fanno
tirocini di osservazione sul territorio,
incominciano a vedere le
La storia/1
Al centro di riabilitazione
mentale di Ponticelli, una
paziente psicotica con il laboratorio
di musicoterapia
stabilì un rapporto attraverso
le maracas che hanno il
suono di uno sbuffo, cioè lo
stesso rumore che produceva
lei di continuo. Col passar
del tempo ha cominciato
a raccontarsi con delle
parole in musica E attraverso
questa canzone ha lavorato
sulle sue emozioni.
Così ha iniziato a parlare e
si è anche fidanzata.
caratteristiche cliniche dei soggetti.
Al terzo anno c’è un tirocinio
pratico. I musicoterapisti incontrano
un paziente con il quale
andranno a lavorare con il monitoraggio
di un tutor e la supervisione
clinica di due grandi esperti
di musicoterapia internazionale,
che afferiscono alla scuola ormai
da 20 anni, Rolando Omar Benenzon
e Tony Wigram. I requisiti
d’accesso alla scuola sono un
diploma superiore e una buona
musicalità, acquisita sia al conservatorio
che da autodidatta.
Ottimizzare queste capacità sarà
il compito della scuola. Per capire
chi è disposto a intraprendere
questo impegno c’è un test d’ingresso.
In questi giorni e fino a
settembre/ottobre ci sarà la selezione
fino ad esaurimento.
Pagina a cura di
FEDERICA MASSARI
La storia/2
Una ragazza che chiameremo
A. studia in una Scuola Media
di Napoli. Ha subito abusi
in famiglia. Prima era solo
molto capace sul piano cognitivo
ma non su quello emotivo.
Si muoveva poco.
Aveva problemi a rapportarsi
con gli altri. Attraverso
la musicoterapia è
riuscita a mobilitare moltissime
energie sul piano
fisico e morale. Adesso si
confronta con i suoi compagni
che l’hanno vista
diversa, rinata.
Il dottor Pietro Vitiello,
musicoterapista e docente
di Musicoterapia all’Isfom
attualmente lavora con soggetti
normodotati. Annovera
però nel suo curriculum
esperienze forti. Ha
lavorato, per dirne una, all’
Ospedale psichiatrico giudiziario
di Aversa. «La
musicoterapia – testimonia
– può essere messa in pratica
con il paziente psichiatrico
attraverso un linguaggio
non verbale e risulta più
efficace degli altri trattamenti
come la psicoterapia.
Perché pur lavorando senza
parole si hanno aspetti
positivi che si ripercuotono
anche nella capacità di parlare
del paziente».
Negli Opg, i detenuti oltre
ad essere reclusi fisicamente
lo sono anche mentalmente
perché la “follia” è
una reclusione della psiche.
Vitiello racconta di un
rumeno, in stato autistico
che se ne stava sempre in
un angolo accovacciato,
nell’ Opg di Aversa. Inserito
nel gruppo di musicoterapia,
nello stato in cui era, il
ragazzo cominciò dapprima
a dirigere lo sguardo
verso gli altri e poi ad allun-
Il docente Pietro Vitiello
Diamo fiato
alla psiche
gare una mano verso uno
strumento. Successivamente
si alzò in piedi e iniziò ad
interagire con gli altri pur
senza parlare. «Il concetto di
base è – continua Vitiello –
che bisogna accogliere la
persona così com’è e valorizzare
le sue componenti
positive. Ogni patologia ha
uno spazio sano nella psiche,
bisogna individuarlo e
agire da lì. Anche se certe
persone non potranno mai
guarire, almeno le si aiuta ad
avere una vita più vivibile».
Pietro Vitiello è supervisore
del modello Benenzon, che è
tra i principali modelli applicativi
di musicoterapia del
mondo e prende il nome dal
suo inventore. Secondo
questo modello, la comunicazione
nella musicoterapia
non deve avvenire soltanto
attraverso la musica
ma attraverso i codici non
verbali come il suono, la
voce, il movimento ed
anche il silenzio. L’universo
di comunicazione
sonoro” può permettere
ad una mente troppo oppressa
di respirare.
Il dottor Gianluca Catuogno
Discorsi
da supereroe
Il dott Gianluca Catuogno
è musicoterapista all’Isfom
e lavora a Capri. Si occupa
di bambini. Racconta la sua
prima esperienza di musicoterapia:
«Ho iniziato ad
incontrare Marco quando
aveva 6 anni. La diagnosi
parlava di disturbo pervasivo
dello sviluppo ed iperattività.
Quando l'ho incontrato
per la prima volta a
scuola in un progetto di
musicoterapia preventiva,
mi "colpì"... ma letteralmente!
Sfuggendo al controllo
dell'insegnante, si
arrampicò su un armadio
da ufficio, e da lassù mi lanciò
un pollo di plastica con
cui stava giocando poco
prima, giusto dietro la testa».
Marco divenne il suo
primo paziente. Non sapeva
parlare, anche se con la
bocca emetteva suoni in
continuazione. Gli altri
terapisti che lo seguivano
scartavano l'ipotesi che
quella sua incessante produzione
vocale avesse un
qualche valore comunicativo,
ma attraverso una serie
di giochi/attività che univano
suono e movimento, il
dottor Catuogno capì che
Marco utilizzava interi dialoghi
di cartoni animati per
esprimere concetti e stati
d'animo chiaramente contestualizzati.
«Ora Marco è un ragazzo di
13 anni – aggiunge il dottor
Catuogno - che, seppure
con qualche difficoltà di
pronuncia di alcuni fonemi,
parla in maniera comprensibile,
possiede una
buona autonomia personale,
incredibili capacità mnemoniche
soprattutto legate
al visivo. Continua a fare
sedute di Musicoterapia con
me che alterna con degli
incontri decisamente più
didattici: gli sto insegnando
a leggere e suonare le note al
pianoforte». Ora Marco è
perfettamente in grado di
leggere e suonare semplici
canzoncine. Suonare per
lui è diventata un'attività
così normale, che il prossimo
obiettivo sarà quello
di fargli capire che adesso
è in grado di fare qualcosa
che nessuno tra i suoi
compagni di classe sa fare,
e per cui può esserne
decisamente fiero.

PRIMO PIANO Domenica 17 aprile 2011
11
Nel 1992 a San Francisco nasce “Critical Mass” per cacciare le auto dalle strade
L’uso della bici come alternativa di trasporto. E a Napoli si pensa ad una pista ciclabile
Arrivo in volata ai piedi del Vesuvio
Da quando l’automobile si è imposta
come mezzo di trasporto per
le masse, le strade delle città di
tutto il mondo sono state invase
dalle autovetture, spodestando i
pedoni. Ogni giorno la giungla
urbana è percorsa da milioni di
veicoli che strombazzano, sgommano,
rombano e intasano le strade
delle metropoli.
Tutto questo ha reso grandi servigi
alla mobilità delle persone, ma
ha aumentato il tasso di inquinamento
e reso le città caotiche
come le conosciamo oggi.
Una situazione insostenibile per
chi non voglia usare l’auto in città
e usare mezzi alternativi. Così nel
1992 a San Francisco, USA, un
gruppo di insoddisfatti decise di
fare qualcosa, lanciare un grido:
basta auto, riprendiamoci le strade.
Nel pomeriggio del 25 settembre
1992 ben 48 ciclisti si dettero
appuntamento per girare in città.
Un successo dal quale nacque
“Critical Mass” (la massa critica),
movimento internazionale che si
batte affinché i pedoni si riprendano
le strade invase dalle auto.
Il concetto è semplice, non ci sono
leader, non ci sono associazioni,
solo uno slogan: «Noi non blocchiamo
il traffico, noi siamo il
traffico». Ci si dà appuntamento
in un punto della città, ad un certo
orario, possibilmente con la bicicletta,
e insieme si decide l’itinerario
da seguire: il punto di forza è la
massa. Più si è meglio è, così nel
corso del tempo il fenomeno si è
espanso, ed il grido è arrivato
anche qui da noi.
È dal 2007, infatti, che “Critical
Mass” opera anche a Napoli. Gli
appuntamenti sono fissi ed aperti
a tutti i cicloamatori. Luogo di
ritrovo, piazza del Gesù, nel centro
storico di Napoli, ogni primo
A destra,
Il centro SKA
a piazza del Gesù
dove si trova
la ciclofficina dedicata
a Massimo Troisi
Sotto, ragazzi all’opera
con una vecchia
bici da riparare
L’OFFICINA IL CICLISTA IL CITTADINO
sabato del mese ore 11:00. Ogni
terzo venerdì del mese ore 18:30.
«Ai primi incontri c’era poca gente
– dice Mario, organizzatore e partecipante
storico – ma poi sono
aumentati.
Gli incontri del 2009 sono stati i
più numerosi». Certo sembra
assurdo che si possa passare una
giornata in bicicletta a Napoli. La
città è tutta un saliscendi, il dissesto
stradale non aiuta e poi c’è il
traffico. Ma Mario assicura: «Si è
tutto vero ma ci sono anche molti
tratti in pianura, poi per il traffico
non è un problema, perché di solito
usciamo nel fine settimana e
comunque siamo una massa critica
di tutto rispetto. Incutiamo
“timore” agli automobilisti». L’iniziativa
della “Critical Mass” non è
solo divertente ma può risultare
un movimento utile.
Infatti se la popolazione partenopea
si sensibilizzasse sempre più
all’uso della bicicletta si potrebbero
risolvere diversi problemi:
oltre al traffico, il caos e l’inquinamento.
Il Comune di Napoli
sembra aver recepito il messaggio,
visto che di recente si è parlato
di un progetto ambizioso:
una pista ciclabile da Bagnoli a
San Giovanni a Teduccio.
Un’opera straordinaria, che potrebbe
risolvere qualche problema
di viabilità alla città e che sarebbe
una vera manna dal cielo per i
cicloamatori partenopei e per la
massa critica napoletana. Quindi
non resta altro da fare che ingrassare
bene la catena, riempire la
borraccia, mettere occhiali da sole
e saltare in sella alla bicicletta.
Pagina a cura di
DAVIDE SAVINO
Se rompi la catena
te la riparano
“Tanta fatica,
immensa gioia”
“Alla prossima
non mancherò”
“Critical Mass” a Napoli
non è solo giornate da passare
in bici e la diffusione
della filosofia della massa
critica. A
piazza del
Gesù, al centro
SKA, esiste
la “Ciclofficina
popolare
Massimo
Troisi”. Qui
tutti i cicloamatori
possono
far riparare
le
proprie bici gratuitamente,
l’unica spesa da sostenere è
per i pezzi di ricambio se
l’officina non ne dispone.
Qui non si riparano solo
bici, ma si creano. Già da
diverso tempo, infatti,
alcuni appassionati si cimentano
a costruire prototipi
di ogni genere con
pezzi presi da vecchie
biciclette. Così si ricicla
e si crea. Il lavoro principale
però è riparare le
biciclette.
Il centro è
aperto tutti i
martedì
dalle 18,30
in poi, tutti
abbiano bisogno
di una
riparazione,
o di una registrata
ai
freni qui è il
benvenuto.
«Ripari la bici
e puoi proporre itinerari
per gli incontri della
massa critica.
È fantastico» dice Alessandra
A., 25 anni, cliente
dell’officina, «da quando
ho scoperto il centro –
continua Alessandra –
porto sempre qui la mia
bicicletta e non mi sono
mai trovata male».
Le iniziative della Critical
Mass di Napoli sono rivolti
a tutti: sportivi e non,
cicloamatori e semplici
pedoni.
Quello che
conta è fare
m a s s a .
Abbiamo
chiesto a chi
ha partecipato
agli incontri
alcune
domande.
Giorgio P., 56
anni, è uno
di questi, da
giovane era un ciclista a
livello agonistico e può spiegarci
anche qualche difficoltà
più tecnica degli itinerari
partenopei.
Come si svolge un incotro?
«Ci incontriamo ogni primo
sabato del mese a piazza del
Gesù alle 11:00, poi tutti
insieme decidiamo l’itinerario
da seguire, una volta
deciso si parte, in genere
stiamo fuori mezza giornata
non di più».
Che difficoltà si incontrano
lungo il percorso?
«Per lo più
legate al dissesto
stradale,
è capitato
che qualcuno
sia caduto
per colpa di
una buca, ma
in sostanza
non sono
percorsi difficili,
qua non
ci sono professionisti
solo amatori, bambini e
ragazzi».
Come ti senti alla fine
dell’incontro?
«Molto stanco, si pedala
tanto, però fai sport nella
tua città e sulla bici hai una
visuale diversa dei posti
che ogni giorno percorri in
macchina, alla fine è una
gioia immensa».
Chi partecipa ne è entusiasta,
ma che né pensa chi non
ne sa nulla? Abbiamo chiesto
ai cittadini comuni se
conoscono il
movimento o
il progetto.
Antonio F.,
34 anni impiegato
ci ha
risposto.
Conosci il
movimento
Critical
Mass o cosa
promuove?
«No, non né
ho mai sentito parlare, non
so dire nemmeno di cosa si
faccia promotore questo
movimento».
Sa che qui a Napoli si organizzano
incontri-tour in
bicicletta?
«Non lo sapevo, sinceramente
ho sempre creduto
che fosse impossibile girare
per Napoli in bicicletta,
visto il dissesto delle strade,
il traffico e poi quante salite
per spostarsi da una
parte all’altra».
Hai mai
visto girare
a Napoli folti
gruppi di
biciclette?
«No anche
perché non
vivo molto la
“strada”, oltre
il tragitto lavoro-casalavoro,
non
faccio altro
troppo traffico in questa
città».
Ora che ne è a conoscenza
parteciperà a qualche incontro?
«Certo. Per me, poi, è l’ideale
per fare un po’ di
sport. Il mese prossimo
gonfio le ruote alla bici e mi
precipito a piazza del Gesù,
non mancherò».

12 Domenica 17 aprile 2011 EVENTI
Presentato all’Università di Salerno, il libro di Demarco dove si affronta
un fenomeno speculare nel nostro Paese: duosicilianità e nordestraneità
Sotto attacco terronistico
La creatività di uno scrittore si alimenta
talvolta attraverso stimoli e
sollecitazioni provenienti dalla
realtà quotidiana. Questa volta
l’ispirazione per un libro è nata da
una bizzarra affermazione del
ministro dell’Interno, Roberto
Maroni: quest’ultimo, interrogato
su chi avrebbe preferito “buttare
dalla torre” tra il brigante
Musolino e Vittorio Emanuele II,
scelse di sacrificare il primo re
d’Italia. La stranezza e la particolarità
di quest’episodio è stata
infatti la molla che ha spinto
Marco Demarco, direttore del
Corriere del Mezzogiorno, a
cimentarsi nella scrittura di
“Terronismo – Perché l’orgoglio
(sudista) e il pregiudizio (nordista)
stanno spaccando l’Italia in
due”. La presentazione del libro si
è tenuta nell’Aula dei Consigli di
Facoltà dell’Università di Salerno,
con personalità importanti del
mondo accademico come il
Rettore Raimondo Pasquino, il
direttore della Scuola di Giornalismo
Biagio Agnes, il professore
Vittorio Dini e il professore
Emilio D’Agostino.
L’autore ha risposto alle numerose
domande degli studenti e degli
allievi della Scuola di Giornalismo,
argomentando l’esistenza di un
fenomeno speculare che si è affermato
in Italia, una duosicilianità
contrapposta a nordestraneità,
due facce di una stessa medaglia.
Gli esponenti di entrambe sarebbero
accumunati da un unico
desiderio: tornare ad un’Italia prerisorgimentale.
«Il terronismo è la convergenza di
due opposti localismi […] è a
geografia illimitata, nel senso che i
terronisti sono ovunque, al Nord,
al Sud e anche al Centro […]
Nell'unire i fondamentalismi del
Nord e del Sud, il terronismo lacera
l'Italia unita e, in fin dei conti,
altro non è che un aspetto dello
sfilacciamento dell'identità nazionale».
Secondo Demarco, il successo
che un libro, come “Terroni”
di Pino Aprile, ha avuto non solo
al Sud ma anche al Nord si spiega
proprio nell’ottica di una convergenza
di interessi, seppur nati da
due sentimenti contrapposti.
Essere terronisti è più semplice di
quanto si creda: un modo di pensare
che accomuna le menti più
lucide del nostro Paese, che per
Demarco vanno «dallo scrittore
Andrea Camilleri al musicista
Pino Daniele, dal politico di sinistra
Nichi Vendola al giornalista
Giuseppe D’Avanzo».
Eppure proprio l’autore si dice
legato alle sue origini: nel libro
racconta «Con un padre nato a
Licata e una madre napoletana, io
la duosicilianità ce l’ho nel sangue.
È così: la sento pulsare al minimo
accenno dialettale, mi prende a
ogni scatto di memoria». Rivela
però che esiste un limite, oltre il
quale un sentimento di attaccamento
alla propria terra sconfina
in un disvalore, quando «diventa
l’unico metro di giudizio che
caratterizza la pratica politica». E
a questo proposito, Demarco
ricorda che nella politica è invece
essenziale guardare a progetti che
Identità
nazionale
sfilacciata
da opposti
localismi
e ancoraggio
al passato
possano sovrastare i localismi.
Nonostante questo, però, il direttore
del Corriere del Mezzogiorno
non si dice contrario alla nascita di
un partito del Sud, sul modello
della Lega Nord, qualora «presentasse
un progetto politico ben
definito e selezionerebbe una
classe dirigente capace e intelligente,
non ancorata a valori del
passato». Il libro si snoda attraverso
i centocinquant’anni della storia
A sinistra
Marco Demarco
In basso il pubblico
alla presentazione del libro
Da sinistra
il professore
Emilio
D’Agostino,
Marco Demarco,
il Rettore
Raimondo
Pasquino,
Biagio Agnes,
Direttore della
Scuola di
Giornalismo
e il professore
Vittorio Dini
«L’amore
per le origini
non si deve
trasformare
nell’unico
metro
di giudizio»
dell’Italia unita, passando trasversalmente
dall’analisi degli estremismi
agli aneddoti più svariati su
personaggi della cultura, della
politica e della storia. Come
l’episodio del professore Renato
Caccioppoli, raccontato nel primo
capitolo, dove lo studioso napoletano
in piena occupazione nazista,
suonava provocatoriamente la
Marsigliese al pianoforte, proprio
come avrebbe fatto più tardi il
Ricky di Casablanca, interpretato
da Humphrey Bogart. Un altro
aneddoto riguarda Riccardo Muti,
che racconta di un’incontro “nella
fredda Milano degli anni Sessanta”
con un suo amico che lo prende in
giro. “Muti – scrive Demarco – il
grande maestro che ha diretto le
migliori orchestre del mondo e
incantato ogni tipo di pubblico,
era stato sfottuto esattamente
come poteva capitare a un comune
mortale”. Episodi che simboleggiano
un salutare orgoglio delle
proprie origini, lo stesso che
dovrebbe animare le nuove generazioni,
nelle quali Demarco
individua la speranza del futuro:
«I giovani che emigrano sono
circa 100mila all’anno, protagonisti
di una rivoluzione silenziosa,
la più forte che il Sud
abbia mai conosciuto».
Pagina a cura di
ELENA CHIARA LIGUORI
IMMA SOLIMENO
Gli interventi
Dibattito
su orgoglio
e pregiudizi
«In questi ultimi anni assistiamo
a una battaglia dialettica che
nasconde un risentimento del
Nord verso il Sud, ricambiato
dal Mezzogiorno, e che provoca
grande disagio». Con queste
parole, il Magnifico Rettore
Raimondo Pasquino ha introdotto
la presentazione di “Terronismo”,
il libro di Marco Demarco.
Un privilegio, secondo il
Rettore, ospitare uno dei giornalisti
e scrittori che ha cercato
di scavare alle radici dei pregiudizi
che da sempre accomunano
le due facce dell’Italia. E
questo, in un luogo come l’Università,
dove «la formazione dei
giovani – ha spiegato Pasquino
– passa proprio attraverso queste
letture e questi incontri».
A supporto delle parole del
Rettore, il professore Vittorio
Dini, direttore del Dipartimento
di Sociologia e Scienza della
politica, ha ribadito come il
testo di Demarco sia un saggio
che riesce a coniugare insieme
«una narrazione di facile lettura
ma anche un filone di giornalismo
serio, documentato, polemico
che possa rappresentare uno
spunto di riflessione per tutti i
giovani che si avviano a questa
professione».
Un altro merito riconosciuto da
Dini è quello di aver coniugato
un termine innovativo: “terronismo”,
con una chiara allusione
al termine “terrorismo”. Un concetto
legato ad un sostantivo,
“terrone”, che ormai da anni è
entrato a far parte del bagaglio
linguistico comune a connotare
negativamente il meridionale. Il
sottotitolo del saggio, secondo il
professore, sarebbe ancora più
allusivo, perché in esso è contenuto
l’impianto polemico, che
si contrappone ad un altro libro
di grande successo, “Terroni” di
Pino Aprile. Demarco mette in
discussione, infatti, la tesi di
fondo del testo di Aprile: il
Meridione visto come vittima di
una conquista da parte del Nord
d’Italia, «ipotesi condivisibile –
ha spiegato Dini – se non
arrivasse ad una conclusione
che ha il sapore di una sentenza:
il Meridione prosperava sotto i
Borbone e con l’Unità d’Italia
avrebbe conosciuto un regresso
economico, sociale e politico».
A conclusione dell’intervento,
nel dare la parola al direttore del
Corriere del Mezzogiorno, il
professore Dini ha fatto suo l’invito
rivolto ai giovani nell’ultima
parte del libro di «liberarsi dall’orgoglio
e dal pregiudizio, per
darsi da fare e prendere in mano
le sorti del proprio destino».

EVENTI Domenica 17 aprile 2011
Bianca Berlinguer incontra i giovani praticanti della Scuola di Giornalismo
13
L’immagine prima del testo
L’immagine prima del testo.
Un’idea scontata, quasi una banalità
volendo spiegare il si-gnificato
vero del giornalismo televisivo.
Eppure in questa banalità
vi è il senso dell’incontro
che il 29 marzo scorso ha visto
Bianca Berlinguer dialogare con
gli studenti dell’ateneo di Salerno.
Il direttore del Tg3 alla
presenza di Biagio Agnes e del
Rettore Pasquino, ha condiviso
le sue esperienze professionali
con i praticanti della Scuola di
Giornalismo e ha risposto alle
domande degli universitari presenti
al convegno.
«L’immagine è una componente
determinante del servizio televisivo».
Anche un'affermazione
del genere potrebbe apparire superflua,
ma è in questa tautologia
che va ricercata l’idea guida
che ha mosso il percorso professionale
della Berlinguer, dall’incontro
con Minoli alla direzione
del Tg3. È necessario far sì che il
giornalista non sia un semplice
collettore, un qualcosa che in
maniera acritica unisce un testo
al video. No, un servizio di telegiornale
non si esaurisce nell’addizione:
giornalista più immagine.
E' la forza stessa del video a
dettare legge. Le sue immagini e
i suoi suoni sono l’input che un
bravo redattore deve essere in
grado di seguire. Prima si vede
l’immagine poi si scrive il testo,
perché «attraverso le immagini
possiamo trasmettere delle e-
mozioni, delle sensazioni che lo
scritto non è assolutamente in
grado di dare, il fine ultimo è
rendere partecipe il telespettatore
come non potrà mai fare un
pezzo di carta stampata». Bisogna
tener conto che «un servizio
televisivo di un minuto e mezzo
richiede un pezzo di 15-20 righe»,
allora diviene ancora più
chiaro che non è il testo ad avere
la priorità. Sostenere che «si ha
il grande vantaggio, rispetto alla
carta stampata, di usufruire della
forza delle immagini» non significa
ridurre il lavoro del giornalista,
che quindi avrebbe semplicemente
bisogno di scrivere
meno perché aiutato da un ulteriore
supporto, ma piuttosto a-
deguarlo a ciò che è immediatamente
visibile agli occhi del consumatore
del prodotto televisivo.
Premesse semplici dunque, ma
sono davvero poi così scontate?
A ben vedere l'informazione attuale
non sembra tenerne conto
infatti «ormai assistiamo ad una
regressione: si scrive il testo e ci
si butta dentro quello che capita».
Più giusto sarebbe, anche
quando non si ha la possibilità di
uscire per girare e anche qualora
si lavori su immagini di repertorio
«innamorarsi delle immagini
e del lavoro che le produce, dalle
riprese al montaggio». La Berlinguer
ha raccontato di come,
in tal senso, abbia avuto modo di
fare esperienza seguendo i registi
e gli autori, «rubando con gli
occhi il loro lavoro».
Non si presta attenzione a molte
cose che sono invece importanti,
al di là dei contenuti politici, che
anzi li precedono: «Da un punto
di vista qualitativo – ha tagliato
corto la giornalista - stiamo tor-
Il direttore del Tg3 racconta la sua esperienza:
da Minoli all’ingresso nella terza rete Di Curzi
A destra, l’incontro
nell’Aula dei Consigli
«Non credo
nell’obiettività
dei colleghi,
ma nella loro
correttezza»
nando indietro». E questo dipende
dalla capacità del singolo
giornalista, dalla sua passione:
la caratteristica che più di ogni
altra (e come per ogni altro
lavoro) fa la differenza tra un
servizio ben fatto ed uno debole.
Ma c'è un avvertimento: non
è l'obiettività a definire questo
stato di cose semmai, tenuto
fermo il lavoro sulle immagini, è
la correttezza. Bisogna fare in
modo che al telespettatore rimanga
una scelta più ampia:
non si tratta di difendersi da
un’informazione standardizzata
ma di avere la possibilità in un
ventaglio di proposte differenti
e di poter guardare un servizio
Bianca Belinguer
ospite della Scuola
di Giornalismo
dell’Università di Salerno
ben fatto. Citando Santoro la
Berlinguer è stata lapidaria:
«C'è il sistema, è vero , ma la libertà
è comunque nelle nostre
mani». Il direttore del Tg3 ha
anche espresso un parere in
merito al tanto discusso emendamento
sui talk show televisivi
portato dalla maggioranza in
Commissione vigilanza Rai. «Se
venisse approvato – ha detto
poche ore prima che, in seduta
di commissione, Sergio Zavoli
bocciasse l’emendamento – renderebbe
la vita impossibile ai
programmi di dibattito politico,
i quali quindi non potrebbero
più andare in onda». La questione
del binomio Rai-Politica è da
LA BIOGRAFIA
Bianca Berlinguer è nata a Roma il 9 dicembre
del 1959. Primogenita dei quattro figli di Enrico
Berlinguer – storico leader del partito comunista
italiano – e di Letizia Laurenti. Laureata in
lettere, non ha voluto seguire le orme della carriera
del padre e ha sempre detto di «non aver
mai pensato di fare un lavoro diverso da quello
della giornalista». Dopo un periodo di praticantato
al “Radiocorriere Tv”, ha iniziato a lavorare
a “Il Messaggero”. Poi, la svolta: la prima
esperienza televisiva come redattrice in
“Mixer” accanto a Giovanni Minoli («l’incontro
con lui è stato una svolta») e l’accesso in pianta
stabile al Tg3 di Sandro Curzi, dove ha lavorato
al fianco di Michele Santoro e Corradino Mineo.
Il primo ottobre 2009 è stata nominata
direttore del telegiornale della terza rete e lo è
attualmente. Chiamarsi Berlinguer non ha rappresentato
una rendita di posizione, meno che
mai economica. Glielo riconobbe nel 2001
Stefania Craxi: «Né mio padre né Berlinguer
hanno lasciato eredità o tesori, lo sa bene
Bianca che si è sempre guadagnata la vita lavorando,
come ho fatto io».
sempre al centro del dibattito tra
il pubblico di telespettatori e gli
esperti del settore. Perché lo Stato
non si occupa di dare linfa vitale
alla televisione pubblica?
Perché non vuole dimostrare di
tenere alla Rai quanto effettivamente
tiene? «Nonostante quello
che si dice da una parte e dall’altra
dello schieramento bipartitico
– ha detto il direttore del
Tg3 – la politica tiene molto alla
Rai. Il motivo è che, tramite lo
strumento della televisione, cerca
di gestire l’opinione pubblica
e di esercitare il consenso. La tripartizione
politica dei giornali
ha fatto il suo tempo e ora andrebbe
superata. Ma questo non
è compito di noi giornalisti, bensì
degli uomini che occupano le
cariche più alte dello Stato».
Il lavoro del giornalista è raccontare,
informare, dare le notizie.
«È una vita fatta di sacrificio.
Chi vuole fare questo mestiere
– ha spiegato agli studenti
che sognano di fare i giornalisti
– deve avere un ingrediente fondamentale:
la passione. Spesso,
nel relazionarmi con alcuni colleghi,
mi capita di pensare che
“un lavoro come impiegati del
catasto sarebbe a loro più consono”.
Perché se si cerca un mestiere
con orari fissi e stabiliti, con
un inizio e una fine giornata,
con trasferte programmate e
brevi, con guadagni alti e determinati…allora
meglio lasciar
perdere il giornalismo. Chi ha la
fortuna di fare questo lavoro,
perché di fortuna si tratta, deve
essere sempre pronto e disponibile.
Deve amare a fondo ciò che
fa; tutto il resto lo si può imparare».
Imparare: per strada, come
si faceva un tempo, o nelle scuole,
oggi uniche responsabili (o
colpevoli?) di sfornare i giornalisti
del futuro. Alla domanda
«cosa ne pensa delle scuole che
insegnano il mestiere del giornalista»,
Bianca Berlinguer ha risposto
che le sembrano «un
buon meccanismo d’accesso»
anche se poi «solo la strada e il
lavoro sul campo possono formare
le ossa del vero professionista».
Le ossa, Bianca Berlinguer,
se le è fatte lavorando a
“Mixer” con Giovanni Minoli e
poi a “Radiocorriere Tv”, dove ha
eseguito il praticantato. Poi, entrata
al Tg3, non l’ha più lasciato:
prima redattore, poi conduttore
e infine il salto a direttore.
Uno studente le ha chiesto il
motivo per cui – nonostante sia
diventata direttore del telegiornale
– abbia deciso di continuare
l’attività di conduzione. «Ho
fatto questa scelta – ha risposto
– per la stessa ragione per cui
l’hanno fatta Fede e Mentana.
Siamo giornalisti che veniamo
dal video, quindi è stato naturale
per noi decidere di continuare
la conduzione. Diversa è invece
la situazione dei giornalisti che
arrivano a fare i direttori dopo
un lavoro cosiddetto “di macchina”.
Responsabili di settore che
diventano vicedirettori e poi
direttori. Non hanno esperienza
con il video quindi è logico che
non conducano il telegiornale».
La scelta inoltre nasce anche
dall’esigenza di rendere il prodotto
televisivo più flessibile:
quando arriva una notizia la si
manda in onda senza farla passare
per altri filtri decisionali.
Una donna instancabile, dal cognome
altisonante e forse un po’
ingombrante. Bianca Berlinguer
ama il suo lavoro e non ha mai
pensato di fare altro nella vita.
«Giornalisti ci diventano tutti –
ha detto citando Scalfari – ma
pochi vi nascono». Probabilmente,
lei vi è nata.
Pagina a cura di
GIORGIA MENNUNI
MATTEO MARCELLI

14 Domenica
17 aprile 2011

EVENTI Domenica 17 aprile 2011
Incontro tra i praticanti e il presidente regionale dell’Ordine, Ottavio Lucarelli
L’umiltà, madre del giornalismo
Presentato l’Albo professionale 2011 della Campania: un lavoro durato due anni
«È l’umiltà la qualità principe di
un buon giornalista». Questa la
dichiarazione con cui Ottavio
Lucarelli, presidente dell’Ordine
regionale dei Giornalisti della
Campania, ha introdotto agli studenti
della Scuola di Giornalismo
dell’Università di Salerno l'Albo
professionale 2011. Il libro, presentato
in anteprima ai giovani
praticanti dell'Ateneo, è una registrazione
precisa e accurata di
tutti i giornalisti pubblicisti e professionisti
della Campania. Ogni
nome è accompagnato dai dati
anagrafici, dall’indirizzo e dall’eventuale
altra professione, se si
tratta di un pubblicista. A fine
volume è presente un'appendice
dedicata alle leggi ed ai regolamenti
in materia di stampa, tra
cui spiccano la Legge istitutiva
dell'Ordine dei Giornalisti e la
Legge sulla stampa n. 47 dell' 8
febbraio 1948.
Lucarelli ha introdotto il volume
con parole di orgoglio, perché
frutto di un lavoro lungo e meticoloso.
Soprattutto, si tratta del
primo Albo professionale interamente
autofinanziato dall'Ordine:
negli anni precedenti la realizzazione
del volume era stata
sempre appaltata a editori esterni.
«Il libro - ha tenuto a precisare
il presidente - non è in vendita,
ma ha un’esclusiva funzione di
servizio. La nostra non è stata
un'iniziativa commerciale. Ci sono
voluti due anni per risanare i
conti dell'Ordine e per ricostruire
la sezione anagrafica. Il risultato è
un'opera molto curata, sull'esempio
degli albi che vengono pubblicati
dagli altri ordini regionali, ai
quali ci siamo ispirati».
La presentazione dell’albo è stata
solo il punto di partenza per
approfondire tutti i temi fondamentali
inerenti al mondo dell'informazione.
Le figure del giornalista
pubblicista e del professionista
sono due facce della stessa
medaglia, complementari e indispensabili,
oppure due categorie
che si ostacolano, tanto che vivrebbero
meglio l’una senza l’altra?
Per Ottavio Lucarelli sono
assolutamente indispensabili entrambe:
il presidente considera
anzi i pubblicisti «un elemento di
ricchezza». I futuri professionisti,
ha aggiunto Lucarelli, «non devono
guardare ai pubblicisti come
dei nemici. Il nostro è l'unico
Ordine in Italia che ha un elenco
dei pubblicisti in cui tutta la
società civile è rappresentata».
Molti gli esempi di prestigio fra
gli appartenenti alla categoria: tra
di essi magistrati, commercialisti,
avvocati, medici, ingegneri ed
imprenditori. Non mancano all'appello
ben due vescovi. Tra i
nomi di maggior spicco, lo scrittore
don Gennaro Matino ed il
presidente emerito della Corte
costituzionale, Francesco Paolo
Casavola. Stando all’albo, sono
solo 1420 i professionisti, contro
gli 8707 pubblicisti. Un pugno di
mosche contro un esercito agguerrito.
La domanda è: quante
possibilità concrete ci sono per
un professionista di essere assunto
oggi, quando una schiera di
pubblicisti può fare lo stesso lavo-
ro senza grandi pretese in termini
di contratti e stabilità? «Se guardiamo
i dati degli ultimi due anni,
le assunzioni sono diminuite,
mentre i prepensionamenti aumentano»,
ha detto Lucarelli.
I pubblicisti, o aspiranti tali, sono
ancora i più richiesti dal mercato.
In molti casi vengono preferiti ai
professionisti disoccupati o ai
Sopra,
il presidente
dell’Ordine
regionale
dei giornalisti,
Ottavio Lucarelli.
A destra,
la copertina dell’
Albo professionale
2011
colleghi free-lance per la loro attitudine
a sacrificarsi nel lavoro di
collaborazione in cambio di
paghe molto basse. «L'Ordine
della Campania - ha annunciato
però Lucarelli - è intervenuto per
garantire un aumento del limite
minimo dei pagamenti, nel biennio,
per i pubblicisti che collaborano
con i giornali. Siamo arriva-
«Il futuro
di questo
mestiere
è nelle nuove
tecnologie»
«Per i giovani
le parole
d’ordine
sono impegno
e passione»
ti a mille euro, ma abbiamo intenzione
di innalzare gradualmente
l'asticella nei prossimi anni».
Poiché risulta sempre più difficile
farsi strada in un mondo così
selettivo ed esigente, un bravo
giornalista deve essere preparato
a tutto. La nuova frontiera sono le
tecnologie: l’uso del computer e
della telecamera, l’abilità nel
montaggio televisivo e radiofonico.
Non è più sufficiente saper
scrivere bene, perché oggi si
richiedono nozioni tecniche e
versatilità nello svolgimento della
professione. La dedizione e l’impegno
sono le uniche armi a
disposizione di un giovane che da
grande vuole farsi largo in questo
mestiere. «E' importante non
Giubileo Napoly
15
Si intitola “Giubileo per Napoly” l’evento
organizzato dal quotidino “Il Denaro” al
Teatro Mediterraneo della Mostra d’
Oltremare e nell’ambito del Giubileo della
cultura: molte iniziative per valorizzare le
chiese che per anni sono rimaste chiuse.
Si tratta di un altro importante intervento
per migliorare Napoli, per dare maggiore
visibilità ad una città in piena crisi.
Il convegno ha visto la partecipazione di
Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine
regionale dei giornalisti, vari direttori di
testate, ed esponesti dell’economia campana.
che hanno aderito al Giubileo.
Durante l’incontro, proiettato un film dal
titolo “New York”, diario di un percorso:
dai dialoghi con la città ad oggi. Nel filmato
di 40 minuti è raccontato l’ incontro
che l’arcivescovo di Napoli, Crescenzio
Sepe, ha tenuto a New York.dal 17 al 21
gennaio. Nel corso della sua visita alla
metropoli del nord-est americano, il cardinale
ha avuto modo di raccontare
Napoli al mondo senza nasconderne i mali
e le contraddizioni, parlando della sua
bellezza e della sua concreta speranza di
riscatto. Tra gli eventi anche l’inaugurazione
a via Morelli del parcheggio
«Giubileo»: l’1% degli incassi sarà devoluto
in beneficenza alla curia.
limitarsi ad un segmento, ma
sfruttare tutte le opportunità nell'ambito
del giornalismo» ha ribadito
Lucarell, riconoscendo l’importanza
del lavoro svolto dalla
Scuola di Giornalismo di Salerno
sul piano formativo. .«L’aspetto
giornalistico è coltivato in modo
eccellente». La distanza non è più
un limite. Oggi possiamo essere
presenti con lo stesso media in
tutto il mondo, nello stesso
momento e naturalmente, anche
il tempo è una dimensione che in
qualche modo, è stata annullata
Viviamo in una era di distanza
zero e di tempo zero. Queste
«I pubblicisti
una vera
ricchezza
da difendere
e tutelare»
rivoluzioni non faranno scomparire
la carta stampata, che resterà.
Cambierà il tipo di lavoro
giornalistico, che sarà declinato
sui vari mezzi di informazione.
Il giornalista del futuro lavorerà
contemporaneamente per la televisione,
per Internet, per la radio
e per la carta stampata. In un
futuro prossimo il giornalista riuscirà
ad essere ovunque e a raccontare
ciò che succede nel momento
esatto in cui succede.
Pagina a cura di
ASSUNTA LUTRICUSO
SIMONE SPISSO

16 Domenica 17 aprile 2011 TERRITORIO
Fenomeni di consumo e di illegalità mettono in ginocchio l’industria culturale
I dolori del vecchio libraio
Le piccole realtà sono minacciate dai megastore
e dallo sconto selvaggio delle vendite on line
«Fra i diversi strumenti dell’uomo,
il più stupefacente è senza dubbio
il libro. Gli altri sono estensioni del
suo corpo. Il microscopio, il telescopio,
sono estensioni della sua
vista; il telefono è estensione della
voce; poi ci sono l’aratro e la
spada, estensioni del suo braccio.
Ma il libro è un’estensione della
memoria e dell’immaginazione».
Lo scriveva Jorge Luis Borges, riferendosi
allo strumento culturale
più antico e più in crisi del
momento. Come accade quasi per
tutti i settori, laddove c’è un
momento di difficoltà, a Napoli
sembra sempre acuirsi e diventare
più grande del resto del paese.
In Campania risiede il 10% della
popolazione italiana e nel capoluogo
partenopeo si concentra il 4,5%
del mercato del libro nazionale.
Tutto il resto della regione conta
soltanto per l’1%, dato che fa riflettere
e che evidenzia lo storico contributo
culturale della città. I cardini
dell’editoria napoletana attraversano
un momento di grande
difficoltà, dovuto sia a problemi
logistici, come accaduto per lo
sfratto della Libreria Internazionale
“Treves”, sia per motivi commerciali,
che colpiscono anche
questo settore. Anche nel campo
della letteratura, soprattutto più
popolare, la grande distribuzione
gioca il ruolo dello spietato predatore.
Catene di ipermercati, ma
perfino grandi negozi di elettronica,
utilizzano alcuni testi come “civette”
per attirare pubblico, proponendoli
con sconti che il piccolo e-
sercizio non può permettersi. Come
se non bastasse, a chiudere il
quadro ci sono i megastore delle
case maggiori e la vendita diretta,
perlopiù online, operata dagli stessi
editori.
«Siamo incuneati in una strettoia –
dice Raimondo Di Maio, titolare
della libreria “Dante & Descartes”,
con sedi in via Port’Alba e in via
Mezzocannone, a Napoli – e i piccoli
esercenti indipendenti non
fanno cassa per via del consumo.
Non si apprezza più l’evento culturale,
ma contano solamente le copie
vendute. Colpa dei grandi distributori
e dei supermercati del libro
come Mondadori, Ubik, Feltrinelli
o Fnac».
A mettere un tutore alle piccole
realtà, però, è arrivato il ddl Levi,
che disciplina il settore e mette un
freno agli sconti selvaggi operati
nei canali di vendita non tradizionali.
La legge è stata fortemente voluta
dal presidente dell’Associazione
Librai Italiani: Paolo Pisanti,
napoletano, titolare della nota
libreria “Scientifica Editrice”, che si
trova sul corso Umberto I di
Napoli. La legge istituisce il tetto
massimo di sconto del 25% sul
prezzo di copertina, che si abbassa
al 15% per le vendite online.
Impone, inoltre, il divieto di effettuare
promozioni nel mese di
dicembre e il limite del 20% per le
vendite alle biblioteche.
Nel periodo in cui a Napoli anche il
secondo libro stampato al mondo,
il De Civitate Dei di Sant’Agostino,
è in pericolo a causa della carenza
di fondi della Biblioteca di “Storia
Patria”, si cercano soluzioni per risollevare
il mercato. Secondo
Gianfranco Lieto, presidente dell’Ali
di Napoli, in una provincia in
cui gran parte del fatturato deriva
dalla vendita dei libri di testo, bisognerebbe
affrontare il problema
della diffusione illegale e delle “fotocopie
fuorilegge”. La proposta è
l’istituzione di una tessera magnetica
su cui l’Adisu verserebbe agli
studenti i fondi per l’acquisto dei
libri. «Con questo sistema – spiega
Lieto - si ovvierebbe all’illegalità e
si vedrebbero anche più ragazzi
nelle librerie». Non si sa quale sarà
lo scenario futuro. A Napoli ci sarà
ancora spazio per gli storici piccoli
librai-editori, o anche questo mercato
diventerà globalizzato?
Pagina a cura di
PIETRO ESPOSITO
LA VIA DELLA CARTA
Nuovi o usati che
siano, i libri sono i
padroni incontrastati
di via Port’Alba,
a Napoli.
Pochi metri, da
Piazza Dante a
Piazza Bellini, concentrano
il mercato
editoriale della
città. Non si contanto
le librerie che
si susseguono come note di uno spartito
per formare una grande opera di carta,
dall’inconfondibile odore che solo lo sfogliare
delle pagine può dare. Nell’era degli
e-book, dello scambio di informazioni via
web e degli iPad, il mercato dei libri di
Port’Alba resiste, non senza qualche difficoltà,
al cambiamento dei tempi. “Comprare
libri usati qui – dice Giuseppe, studente
universitario – è quasi un dovere di
ogni napoletano. Ci vengo dai tempi delle
“cedole” delle elementari. È l’unico posto
In strada a Port’Alba
testi scolastici e usato
animano il mercato
dove puoi trovare tutto e, data la concorrenza,
a un prezzo vantaggioso”. Anche in
questo periodo la via è affollata di giovani
carichi di volumi nei loro zainetti: camminano
a zigzag, uscendo ed entrando dai
vari Pironti, Guida, Alba, Pacifico ecc.
Sulle spalle hanno i testi di cui vogliono
disfarsi e si affannano a cercare l’acquirente
che possa fare l’offerta migliore.
Negozi si, ma anche bancarelle. Libri
tematici, di argomento musicale o artistico,
che attirano ogni giorno curiosi e
appassionati, che cercano la rarità, la
prima edizione, o magari un po’ di quiete
sotto le arcate della Porta.
TREVES
Ricomincio
dal Plebiscito
ALFREDO GUIDA
Tradizione
di famiglia
MARIO GUIDA
Cancellata
dal più forte
COLONNESE
Tra violini
e soprani
TULLIO PIRONTI
Il boxeur
dell’editoria
Un’istituzione,
non può essere
altrimenti per
chi ha gli stessi
anni dell’Unità
d’Italia. Per
centoquarantacinque
anni
la sua casa è
stata in via Toledo ma, a causa di
una lunga vertenza di sfratto, la
piccola culla della cultura cittadina
cambiò casa, trasferendosi nei
locali del colonnato di piazza del
Plebiscito. Il portico, secondo i progetti
di Palazzo San Giacomo,
doveva diventare un’agorà della
cultura napoletana, ma qualcosa è
andato storto. La stessa Treves è
stata oggetto di atti vandalici, spesso
opera di ragazzini, e di quel progetto
non se n’è fatto più nulla.
Ospita, ogni anno, la manifestazione
“Una piazza per la Poesia”.
Era il 1908
quando nacque
nella celebre
via Port’Alba,
nel cuore della
Napoli più verace,
la libreria
Alfredo Guida.
L’esercizio riuscì
a superare durissime insidie
dovute alla guerra e al dopoguerra,
e aprì punti vendita anche in Piazza
dei Martiri e in via Benedetto
Croce. Negli anni '60 si ampliò e al
piano superiore allestì una sala per
conferenze e incontri culturali.
Cominciarono a gravitare attorno
alla libreria numerosi intellettuali,
fra gli altri, Pasolini, Ungaretti,
Simenon, Moravia, Kerouac e
Ginsberg. Quelle quattro mura non
potranno mai parlare, ma dal 1993
sono insignite del titolo di “Bene
Culturale dello Stato”.
A Piazza dei
Martiri, la tradizione
dei fratelli
Guida fu
portata avanti
da Mario, insieme
al figlio
Luciano. La
gloriosa storia
della libreria del “salotto buono”
della città, subì un colpo letale
quando nel luglio del 2001 Feltrinelli
decise di aprire un proprio
megastore al posto dei locali della
appena chiusa Coin. Va detto che
tutti speravano nell’intervento della
casa editrice, vista la minaccia dell’apertura
di un mega fastfood targato
McDonald’s. La Libreria Internazionale
Guida riuscì a ritagliarsi
uno spazio, forte del radicamento
territoriale e del motore dell’antiquariato.
Ma il tempo di un
lustro bastò a cancellare cent’anni.
Fondata nel
1965 da Gaetano
Colonnese,
la libreria
diventa subito
punto di riferimento
per la
diffusione di libri
e riviste sul
movimento operaio, oltre che per i
libri non reperibili sul mercato tradizionale.
Fin dagli anni Settanta,
la libreria Colonnese ha significativamente
dato impulso al mercato
delle cartoline d’epoca, pubblicando
numerosi cataloghi tematici e
valorizzando il Futurismo. Attualmente
la libreria antiquaria Colonnese
è specializzata in letteratura
dell'Otto e del Novecento, libri
rari e di pregio dal XVI al XX secolo.
Ubicata nel mezzo di via San
Pietro a Majella, sventò il tentato
sfratto da parte del Conservatorio.
Dopo la carriera
sportiva,
Tullio Pironti
ha portato nel
panorama nazionale
la Tullio
Pironti Editore,
facendo
conoscere in I-
talia autori stranieri del calibro di
DeLillo, Easton Ellis e il Premio
Nobel Naghib Mahfuz. Particolare
eco tuttora per i libri-reportage
sulle vicende finanziarie del
Vaticano e sulla morte di Papa
Luciani. Fra gli autori italiani, l’editore
Pironti ha annoverato Giò
Marrazzo: il suo «Il camorrista»,
sulla vita di Raffaele Cutolo, vendette
50mila copie. Fernanda
Pivano ha pubblicato con Pironti
una serie di saggi sulla letteratura
nordamericana degli anni ruggenti,
intitolata “Dopo Hemingway”.

Torna l’evento di aprile
col tema dell’Unità d’Italia:
circuiti d’arte, musica
e teatro sperimentale
La città si tinge di tricolore
con appuntamenti
e rassegne per 4 giorni
A destra una scena tratta dal film
“Il cerchio” del regista Jafar Panahi
I luoghi
La sedicesima edizione
di Linea d’Ombra si
terrà a Salerno dal 13 al
17 aprile. Oltre alla consueta
location del complesso
monumentale di
Santa Sofia e del Teatro
Augusteo, l’evento avrà
luogo in due nuove sedi:
il Teatro delle Arti e il
cinema di Madonna di
Fatima a Pastena.
TERRITORIO
Domenica 17 aprile 2011
17
Il direttore artistico D’Antonio
Salerno incorona
i giorni della creatività
Siamo nel pieno delle celebrazioni
dei 150 anni dell'Unità
d'Italia, quel fatidico
momento storico nel quale
un popolo si riconobbe in
una Nazione. Da allora ci
siamo chiamati italiani, abbiamo
finalmente ancorato
una parola al suolo, scavato
una trincea, eretto un confine
da difendere. E' la nostra
storia, tragica per il sangue
costato, gloriosa per l'esito
atteso, che oggi s'incrina e
non certo per le critiche di
parte politica. S'incrina perché
da anni facciamo i conti
con confini mobili e identità
sfumate. L'altro, l'altrove, ci
è venuto incontro, ci vive
accanto: lo riconosciamo
nella badante ucraina, nella
camicia "made in Turchia" o
nel giocattolo tecnologico
costruito da giovani mani
cinesi. La storia dell'operaio
di Pomigliano è più intimamente
legata a coloro che
sono insegnanti a Chicago o
industriali a Shanghai di
quanto si possa immaginare.
Le nostre esistenze
lasciano solo una lieve traccia
e scavano segni profondi
nel tempo: dobbiamo intercettare
il mondo qui, un qui
che è anche altrove. Dovremmo
forse interrogare la
nostra storia per cogliere,
dove possibile, i momenti
IL “CORTO”
“Armandino
e il Madre”
Nel cuore di
Napoli, tra vicoli
stretti e antichi
palazzi c’è
il Madre, Museo
d’Arte Contemporanea.
Qui è ambientato
il cortometraggio
della
regista Valeria Golino. Il protagonista è
Armandino, un vero scugnizzo napoletano
di origini Rom, abituato a scorrazzare
nelle grandi sale del museo fin da
piccolissimo. Suo fratello maggiore Roberto,
ha una certa fama tra le ragazze
che lavorano al Madre. Sara, da poco
laureata e appassionata di arte contemporanea,
si è specializzata in restauro e
manutenzione delle opere e da qualche
mese lavora al museo. Sara e Roberto si
piacciono e Il piccolo Amandino si
propone da intermediario tra i due.
Linea d’Ombra incontra
i cineasti italiani ed europei
della sua apertura, il suo
farsi madre, e lasciarsi attraversare
da altre narrazioni.
In realtà, la domanda andrebbe
posta al nostro presente
e alle figure ancora
sfuggenti del nostro futuro.
Mentre il passato ha per noi
un volto, un padre, una
madre, le generazioni future
IL FILM
appaiono oggi, orfane e
senza memoria. È questa la
chiave di lettura per la XVI
edizione di Linea d'Ombra-
Festival Culture Giovani:
“Madre/Patria: tra qui e l’altrove”.
Il Festival, che si terrà
a Salerno dal 13 al 17 aprile,
si conferma un evento capace
di mettere in circuito
“Pietro”
l’incompreso
Uno dei film della
rassegna è “Pietro”,
di Daniele
Gaglianone. Pietro
vive in una
periferia di Torino
e guadagna pochi
soldi distribuendo
volantini. Il fratello
Francesco è
tutta la sua famiglia, ma il loro è un rapporto
difficile: Francesco è tossicodipendente,
legato ormai in modo irreversibile
al suo “amico” spacciatore
NikiNiki. Pietro cerca di mantenere un
contatto con il fratello assecondando il
ruolo di ritardato affibbiatogli dai suoi
amici. Qualcosa sembra cambiare
quando, Pietro conosce una ragazza,
con la quale sembra instaurarsi un rapporto
diverso, dove possono avere spazio
la tenerezza e la comprensione.
diverse forme di arte: dal
cinema alla musica, dalla
letteratura alla video arte,
così da capire le tendenze,
tensioni, convergenze ma
anche i conflitti che si determinano
tra diversi sguardi
d’artista. Per la sezione cinema
si partirà da CortoEuropa:
30 cortometraggi
di finzione, realizzati da
giovani autori europei, a cui
si aggiunge Campania-Corto,
concorso di 10 opere, riservato
alle produzioni indipendenti
di cortometraggi
della regione Campania. La
novità interessante dell’edizione
2011 è “Fratelli d’Italia,
di notte”: un gruppo di
eroici cinefili trascorrerà
un’intera notte all’interno
del complesso monumentale
di Santa Sofia per visionare
7 film scelti, definiti “parenti
poveri”, perché non
vengono citati accanto ai
grandi nomi d’autore ma
che ugualmente hanno fatto
la storia del costume nel
nostro Paese: L’allenatore
nel pallone, Totò contro
Maciste e l’Armata Brancaleone
del grande maestro
Mario Monicelli.
Pagina a cura di
VALENTINA BELLO
I DOCUMENTARI
“Gunpania”,
cinque video
Arte, quartieri
popolari, dialetto,
monnezza, ribellione
e morte sono
i temi che costituiscono
la Linea
d’Ombra gunpana.
Cinque video.
Cinque, proprio
come le dita
della mano di Gunpania che puntualmente
"ra' 'nfacc" al sistema di cattiva
gestione del territorio che ci governa
tutti i giorni. Schiaffetto correttivo,
dunque, in cinque estratti video a cura
di Vincenzo Luca Forte, Elio Truono e
Valentino De Petro, (Benvenuto al Sud,
Natale in Gunpania, Rall ‘nfacc a sti
ruvin, Sangue e milza, Rall ‘nfacc a sta
speranza) che mostrano la linea d'ombra
della Gunpania, il territorio che
vive per antonomasia nel chiaroscuro,
per uno street-show di 35 minuti.
«La cultura
ridotta
all’osso»
Peppe D’Antonio è direttore artistico e ideatore
di Linea d’Ombra Festival Culture Giovani.
Qual è il significato del tema “Madre/Patria:
tra qui e l’altrove”?
Quello della Madre/Patria, dedicato ai 150 anni
dell’unità d’Italia, presenta la doppia declinazione:
la madre (patria) accogliente, la terra, la concordia,
ma anche patria intesa come luogo della
nomos, della legge, della forza del Paese.
E la retrospettiva omaggio dedicata al regista
iraniano Jafar Panahi?
Nonostante abbia vinto numerosi premi ai
Festival di Venezia, Cannes e Berlino, Panahi
vive ormai in una condizione di
semiprigionia nella sua stessa
patria, l’Iran. Dunque abbiamo
deciso, grazie alla collaborazione
di don Andrea Vece che ha messo
a disposizione il cinema Fatima,
di proiettare le sue due opere più
significative: Il cerchio e Oro
rosso. L’omaggio a Panahi, condannato
a 6 anni di carcere e alla
proibizione di girare film per i
prossimi 20 anni, è dettato dalla
volontà di protestare contro quest’ingiustizia:
del resto qualsiasi
patria senza voce di chi la canta,
anche con termini critici, non è
una patria.
Cosa ne pensa dei recenti tagli
alla cultura?
Anche quest’anno ci siamo sacrificati
pur di riuscire a realizzare
un festival d’eccezione. La provincia
non ci ha finanziati e il
ministero dei beni culturali ha tagliato
drammaticamente i fondi,
circa del 30%, dunque siamo stati
sovvenzionati solo dal comune di
Salerno. Spero che in futuro, la
cultura possa essere finanziata
dalle imprese private, ragionando
con una logica “liberale” come
accade in altri Paesi.
Come nasce l’idea di utilizzare
gli stinchi per lo spot pubblicitario
2011?
L’origine
Linea d’Ombra è un
evento consolidato
da tempo.
La manifestazione,
nata a Salerno quindici
anni fa, è dedicata
al cinema e alle
arti performative,
aperta alla produzione
e alla creatività
delle nuove
generazioni. Nel
1998 viene fondata
l’Associazione
SalernoInFestival
che ha prodotto e
gestito l’evento fino
all’edizione 2005.
Dal 2006 al 2010
Linea d’Ombra è
stata direttamente
gestita dal Comune
con finanziamenti
della Regione nell’ambito
dei Piani
organizzativi
regionali.
La scelta di riportare graficamente questa parte
del corpo umano è per trasmettere al pubblico il
messaggio: «Siamo ridotti all’osso». La nostra
madre/patria, la nostra terra è ormai stremata in
una condizione di disagio generale. Nello spot,
gli stinchi si alternano ripetutamente in verde,
bianco e rosso, i colori della nostra bandiera.
Cosa le piace di più di Linea d’Ombra?
Siamo riusciti a tirar fuori un festival variegato,
grazie alla collaborazione di un gruppo di lavoro
estremamente affiatato. L’evento non è attraversato
solo da un pubblico giovanile ma anche da
chi ama i documentari, il cinema d’autore, la
musica e il teatro, in particolare quello sperimentale
e di ricerca.Il miracolo finale consiste
nel veder sbocciare questo meraviglioso bouquet
di fiori differenti, che uniti insieme si combinano
l’uno con l’altro.

18 Domenica 17 aprile 2011 TERRITORIO
Cinema, teatro, fotografia: zia Lidia aveva fatto del suo appartamento il luogo più alternativo di Avellino
Buena vista a “casa mia” club
Ora che lei non c’è più i “nipoti” non si arrendono e cercano una nuova sede
Mentre la politica culturale della
città era rappresentata solo da
dibattiti autocelebrativi che nulla
avevano a che fare con il futuro
della comunità, una signora, che
non era né sindaco, né amministratore,
né deputato di alcunchè
dava vita ad una storia nuova ad
Avellino facendo diventare la sua
casa il luogo più alternativo della
città: lo ZiaLidiasocialclub ha
aperto il primo novembre del
2002, al civico 39 di via Roma.
Lidia Zarrella, Zia Lidia per una
schiera di “nipoti” acquisiti (così si
chiamavano i frequentatori della
casa), con un gesto semplice ma
del tutto rivoluzionario nella
nostra società, ha aperto il privato
della sua ampia casa ad un pubblico
curioso per sperimentare un
modo nuovo di aggregazione fatto
di rassegne cinematografiche,
incontri e dibattiti con gli autori,
discussioni tra amici ma anche
mostre e teatro per bambini.
«Zia Lidia ci ha insegnato quanto
la partecipazione, l’aggregazione,
la condivisione fossero importanti.
Abbiamo imparato che “insieme”
avremo reso tutto possibile: il
cineforum, il teatro, il laboratorio
di creatività, la protesta. La proposta
culturale rivolta ai giovani della
nostra città ci appariva morta,
ripetuta, vecchia. Abbiamo sentito
il bisogno di non continuare a
subire quella proposta ma di
diventare noi stessi protagonisti
attivi di un’esperienza nuova,
autentica», dice Michela, nipote
vera di zia Lidia. «Si viveva – continua
- un'atmosfera rara. Zia Lidia
era capace di abbattere i confini tra
l’individuale e il collettivo. Chi
entrava nella sua casa, entrava nel
suo cuore, immediatamente in
intimità con lei e in comunità con
gli altri. Un’esperienza unica per
chi l’ha vissuta. Aveva la capacità
di rompere subito le distanze e
creare attorno a sè una straordinaria
rete di affetti. Ci riusciva con
estrema naturalezza, alle volte con
una battuta, altre volte con un sorriso.
Questa apertura permetteva a
tutti di sentirsi protagonisti attivi
di quella esperienza collettiva».
Donna di eccezionale intelligenza
e cultura, con i suoi ottant’anni
Lidia Zarrella, in pochi anni ha
costruito una grande famiglia
allargata accettando di accogliere
Zia Lidia Zarrella nella sua casa di Avellino
in casa frotte di giovani sconosciuti
arrivati per vedere un film, una
mostra fotografica, una rappresentazione
teatrale o partecipare ad
una festa.
Il privato che diventa pubblico, in
una città come Avellino lascia il
segno. Ora che lei non c’è più i tantissimi
nipoti, veri e acquisiti, sono
cresciuti e reclamano un ruolo
attivo in città per il loro circolo culturale.
Servizi di
CARMEN GALZERANO
SCHERZOSO
DECALOGO
DELLE REGOLE
DEL CIRCOLO
Primo: puoi bussare senza
scrupoli alla porta del terzo
piano di Via Roma n° 39.
L’unica regola dello ZiaLidiaSocialClub
è sempre
stata, per otto anni: citofonare
Zarrella e bussare al
terzo piano. In programma
per la serata poteva esserci
un film, una mostra o un
dibattito. Nella serata fortunata,
un piatto caldo e un
bicchiere di vino.
Lo ZiaLidiaSocialClub ha
rotto un modello culturale
dominante, quello "televisivo",
secondo cui la cultura
genera noia. La storia di zia
Lidia e della sua associazione
è, invece, la storia di uno
spazio socioculturale felice,
libero, contagioso, impegnato.
«Ora che lei non c’è più –
dice Michela - stiamo cercando
una sede definitiva.
Speriamo in una risposta
concreta delle amministrazioni
locali. Lo ZiaLidiasocialClub
in ogni caso continuerà
a rappresentare per la
città di Avellino il luogo dell’incontro
e del confronto, lo
spazio vivo, in continuo fermento
dove far circolare
idee, iniziative, mai soldi o
interessi personali».
Il coraggio
della scelta
politica
Figlia del cameriere Domenico
“Dominick” Ferraro
nato a Marcianise, in
provincia di Caserta, e di
una sarta salernitana, Antonietta
Corrieri, Geraldine
nacque a Newburgh,
nello stato di New York, il
26 agosto del 1935, dopo
che i genitori si erano già
trasferiti in America.
La scalata al successo professionale
cominciò nel
1974, quando fu nominata
assistente del procuratore
distrettuale della
Contea di Queens.
L’anno della svolta fu però
il 1984, quando Geraldine
si presentò alla candidatura
per la vicepresidenza
degli Stati Uniti correndo
insieme a Walter Mondale
nelle presidenziali per il
Partito Democratico, lanciando
la sfida al repubblicano
Ronald Reagan,
evento che la consegnò
definitivamente agli annali
della storia americana
e mondiale, sebbene
riportò una sconfitta elettorale
in quell’occasione.
Morta la Ferraro: sfidò Reagan alle presidenziali dell’84
Il mito Geraldine
Fu la prima candidata alla vicepresidenza Usa
Marcianise, culla delle origini, celebra il ricordo
C’è un filo che lega, in maniera
subliminale, l’identità nazionale a-
mericana e quella italiana. E’ un filo
di speranza in tensione, affinchè la
politica possa diventare un giorno
terreno di giustizia sociale e di conquista
dei diritti umani; fiducia che
la determinazione e la passione per
il benessere dello Stato non siano
poi, dopotutto, ambizioni così utopistiche
e che le disparità sessuali di
carattere storico siano barriere franate
ormai da tempo. Anche dopo
A sinistra
la Ferraro in visita
a Marcianise
nel 1985,
a destra
l’ex sindaco
Squeglia
tica e carismatico baluardo dei diritti
delle donne.
Una lacrima le rigò il volto quando
il 16 luglio del 1984, durante uno
storico collegamento televisivo con
la terra delle sue origini, l’allora sindaco
di Marcianise Piero Squeglia le
conferì la cittadinanza onoraria tra
la commozione e il vivo entusiasmo
del pubblico. «Una donna che - nelle
parole dello stesso Squeglia – rappresentava,
nel contesto generale
dell’epoca, una possibilità concreta
di identificarsi sotto un denominatore
comune e di elevare l’immagine
della città, fortemente compromessa
da numerosi elementi legati alla
crisi dell’economia e al proliferare
della malavita. Geraldine era per
tutti un esempio di solenne umanità
e di immensa umiltà. Il suo “sentire
profondo” e la sua semplicità rivelavano
in pieno lo spirito del suo forte
legame verso Marcianise».
Le proposte per la commemorazione
della Ferraro riguardano il
progetto di dedicarle una strada
della città o, probabilmente, di
ribattezzare l’aula consiliare per
che Geraldine Ferraro è scomparsa
all’età di 75 anni lo scorso 26 marzo
per il mieloma multiplo contro il
quale combatteva da tempo, la fiammella
della speranza resta accesa nel
cuore di quelli che l’hanno seguita
per tanti anni nelle sue battaglie
politiche e civili o solo intravista per
qualche attimo in tv o sui giornali.
Così Geraldine ha lasciato il segno,
sballottata tra i due continenti che
hanno fatto da sfondo alla sua intensa
vita da strenua combattente poliimmortalarne
il ricordo.
La scomparsa di Geraldine ha
generato, un’immensa ondata emotiva
che ha toccato le corde più
profonde dell’animo dell’intera
Marcianise, la città che diede i
natali a suo padre e che ora si adopera
per imprimere nella memoria
storica del territorio il ricordo di
colei che, morendo, ha lasciato
intatti i fili della speranza.
Servizi di
MARIO PIO CIRILLO

TERRITORIO Domenica 17 aprile 2011
19
I terreni collinari
del piccolo comune irpino
si sposano perfettamente
con la tradizione vitivinicola
Clima ed escursioni termiche
danno vita a uva pregiata
Primato ai “bianchi”
La Campania non segue i classici gusti italiani.
Se lungo lo stivale si consumano soprattutto
vini rossi di qualità, in terra campana
si preferiscono i bianchi di classe, tra
cui lo storico Greco di Tufo, chiamato così
per i coloni greci che impiantarono le prime
viti lungo il tratto meridionale della regione,
oltre 2000 anni fa. Un vino aromatico che
ben si abbina con i piatti della costiera.
Bacco si è fermato a Castelfranci
Tra i vigneti del borgo avellinese c’è ancora chi fa il vino alla vecchia maniera
Tutto nasce per gioco. Tutto
nasce dall’eredità di un vecchio
e caro nonno vissuto
tra i vigneti di un piccolo
borgo dell’alta Irpinia, Castelfranci.
Uno di quei nonni
generosi, del Sud, che, andato
in pensione, lascia i suoi
25 ettari di terra ai figli e ai
nipoti. Ed è così che da un’unione
familiare, forse oggi
sconosciuta ai più, sorge la
Cantina Colli Castelfranci.
Un’azienda vitivinicola giovane,
immersa nel verde
tipico della zona, che dal
2002 combina tradizione e
tecnologia. Una scommessa
vinta dalla famiglie Colucci-
Gregorio che oggi, grazie
all’entusiasmo, alla passione,
alla dedizione al lavoro, producono
vini pregiati e apprezzati
non solo sul territorio
campano, ma anche sul
mercato nazionale.
La cantina si distingue per la
produzione dei tipici vini
irpini: l’aglianico, il fiano a-
vellinese e il greco di tufo.
Fiore all’occhiello è il cosiddetto
taurasi, una variante
del classico aglianico, un vino
pregiato che sedimenta
nelle botti per ben quattro
anni divenendo sempre più
tagliente, fresco, piacevole.
E il Dio Bacco di Castelfranci
è protagonista non
solo delle tavole campane,
ma anche di quelle settentrionali
e di alcune francesi
riportando alla memoria la
storia del piccolo borgo
avellinese. Prima del terremoto
degli anni ’80, infatti,
Marco Gregorio nella sua cantina
ad attraversare il paesino vi
era una ferrovia utilizzata
unicamente nel periodo
della vendemmia. Serviva a
trasportare le uve o il vino
nelle regioni del Nord e
nella bassa Francia.
Il vino, si sa, favorisce la
convivialità, lo stare insieme;
è uno degli alimenti
che, sin dagli antichi greci e
romani, ha predominato
nella cultura italiana. Ma a
Castelfranci rappresenta
davvero un elemento naturale,
dal quale non si può
prescindere. I terreni collinari,
infatti, sono ben esposti
e caratterizzati da un clima,
freddo e con forti escursioni
termiche, pessimo per
gli uomini, ma ideale per le
uve. Da cui si ricavano vini
di pregio.
“Il vino buono si fa in vigna”.
E’ questo il motto delle famiglie
Colucci-Gragorio.
Ecco perché insieme "allevano"
i loro vigneti a spalliera,
raccolgono l’uva interamente
a mano al calar del
sole. E sebbene il loro obiettivo,
nei prossimi anni, sia
quello di diventare una realtà
sempre più diffusa e blasonata,
vogliono conservare
il marchio di piccola realtà
agricola e non trasformare
un’azienda familiare in
un’industria.
Servizi di
MARIA DI NAPOLI
Un aroma per ogni malanno
Brindisi alla salute
Con i rimedi della nonna
non si sbaglia mai e stando
alla tradizione orale è possibile
sapere quale tipo di vino
bere in presenza di alcuni
tra i più diffusi disturbi fisici.
Per gli ansiosi sono consigliati
i vini rossi comuni, da
pasto, o i rosati poco alcolici.
Se si è molto stanchi
bisogna optare per vini
bianchi e rossi di ottima
qualità, secchi, aromatici o
amabili. Ipertensione arteriosa?
Meglio vini leggeri,
preferibilmente bianchi,
dalla gradazione non troppo
alta. Per chi ha problemi con
l’intestino, in particolare
soffre di stitichezza, la
nonna consiglia vini chiaretti
giovani e non molto alcolici.
L’anemia, poi, è un ottima
scusa per poter bere più
vino, soprattutto rosso e
corposo. Perché stando ai
nostri avi “buon vino fa
buon sangue”. Insomma c’è
n’è per tutti i gusti, o meglio
ancora, c’è n’è per tutti i
mali. Oltre alle numerose
funzioni salutari per l’organismo
non bisogna dimenticare
le potenzialità più di
carattere estetico offerte dal
vino. È possibile parlare di
veri e propri effetti benefici
per la cura e la bellezza del
nostro organismo. L’uva e i
suoi composti chimici sono,
infatti, la base per numerosi
trattamenti estetici e per la
preparazione di creme e
prodotti cosmetici, in pratica
gli alleati perfetti contro
l’invecchiamento della pelle.
Celebriamo e osanniamo,
dunque, la divina bevanda
perché, citando lo scrittore
tedesco Goethe, forse “dopo
il denaro è la più importante
delle cose”.

20 Domenica 17 aprile 2011 IL PERSONAGGIO
Giovane parrucchiere casertano batte francesi e russi e diventa campione mondiale
Ogni taglio, una vittoria
Angelo Frasca, figlio d’arte, primo del Sud ad aver conquistato la medaglia d’oro
Da parrucchiere tuttofare nel piccolo
negozio paterno nel centro di
Caserta a campione mondiale di
acconciatura all’ “Omc (Organisation
mondiale de la Coiffure)
HairWorld Paris 2010”. Il salto è
stato difficile ma è arrivato presto
per uno come lui, abituato a salire
sul podio e a gareggiare, sotto lo
sguardo attento e compiaciuto di
numerosi spettatori. Angelo Frasca,
25 anni, non fa altro che vincere.
Lavora come parrucchiere da
quando era solo un bambino e aiutava
il papà Vincenzo nel suo negozio
a Caserta, in via Cesare Battisti,
dove trascorreva interi pomeriggi
rubando i trucchi del mestiere. Un
lavoro che è diventato tutto per
Angelo: la sua passione, il suo
svago, la spinta per crescere e
migliorarsi, in poche parole tutta la
sua vita. Sin da subito ha cominciato
ad affiancare Vincenzo, e ha
imparato a trattare con capelli,
tagli, colori, acconciature e tutto
quello che un bravo parrucchiere
deve conoscere e saper fare.
Il primo premio è arrivato prestissimo,
quando ancora bambino, a
soli 10 anni, ha partecipato ai campionati
provinciali di Forchia e ha
vinto, battendo col suo estro e la
sua fantasia gli altri concorrenti,
anche più grandi, lasciando senza
parole il suo papà. Oggi che è un
hairstylist affermato, conosciuto in
tutto il mondo e vincitore agli ultimi
mondiali di Parigi, Angelo non
smette di studiare e ogni settimana
fa la spola tra Roma e Bergamo per
allenarsi e partecipare a corsi di
aggiornamento. «Il nostro è un
mestiere difficile - spiega Vincenzo
Frasca, padre di Angelo –
perché bisogna seguire la moda e,
soprattutto, accontentare le ‘voglie’
e i capricci di clienti diversissimi.
La scelta di Angelo di intraprendere
la mia stessa carriera è da
sempre stata una grande gioia per
me, oltre che un motivo di grande
orgoglio, perché per mio figlio
sono sempre stato un esempio e un
modello da seguire».
Il giovane Frasca, infatti, fa parte
della nazionale italiana di parrucchieri,
una squadra a tutti gli effetti,
costituita da nove hairstylists,
un allenatore e un’estetista che
ogni settimana si incontrano per
lezioni di aggiornamento e prove
pratiche. Ai campionati mondiali,
però, è possibile partecipare anche
singolarmente - a latere - e nel
2008, ai campionati di Chicago,
Angelo partecipò da solo, come
riserva e conquistò l’undicesimo
posto, per farsi conoscere e cominciare
a scoprire un mondo diverso
e più complicato. Poi nel 2010, lo
scorso novembre, è arrivata la soddisfazione
più grande per lui e i
suoi familiari. Il giovane ha partecipato
con la sua squadra ai mondiali
di Parigi, una sfida particolarmente
dura, perché i concorrenti
erano tantissimi e provenienti da
tutto il mondo. «Dal 2008 ci allenavamo
duramente - racconta
Angelo - in attesa di quello che per
noi era un evento importantissimo.
Conquistare la vittoria, contro
63 nazioni in gara, e soprattutto
battere Francia e Russia è stata una
grande soddisfazione per me e la
mia squadra. Ci allenavamo dal
2008, con corsi e trasferte a nostro
carico. Ma, se lavori con passione e
impegno, le soddisfazioni arrivano.
Io ne sono la prova». A Parigi
Angelo si è esibito in taglio e
acconciatura. Al suo fianco l’allenatore
Alessandro Iannaccone e
altri due giovani colleghi che fanno
parte della sua squadra e hanno
condiviso con lui il primo premio,
Sopra,
Angelo Frasca,
(primo a sinistra)
con la sua squadra
al momento
della premiazione
a destra,
un’acconciatura
realizzata a Parigi
Antonio Messina e Pablo
Villaverde Gonzales. Faceva parte
di due diverse squadre: la ‘Full
Fashion’, che esegue acconciature e
tagli su modelli, e la Juniores, specializzata
soprattutto nel ‘trend
cut’ i tagli per clienti giovanili che
se guono l’ultima moda.
Dopo qualche giorno di pausa,
Angelo ha subito ripreso corsi e
«Servono
disciplina
e impegno
in questo
lavoro»
«Non ho
intenzione
di fermarmi
Devo molto
a mio padre»
allenamenti perché stavolta ad
attenderlo c’è il campionato 2011
di Milano, dove parteciperà singolarmente.
«Non ho intenzione di
fermarmi – spiega – e, in attesa del
prossimo concorso continuo gli
incontri settimanali con la mia
squadra, lavoro nel mio salone a
Caserta e alleno giovani aspiranti
parrucchieri. Ci vuole disciplina e
molta passione in questo lavoro.
Soprattutto quando decidi di superare
i tuoi limiti e di metterti in
gioco affrontando nuove sfide». E
di sfide Angelo ne ha superate
tante e ancora prova a dare il massimo
per fare di più. Dal 2006,
infatti, ha lasciato il negozio del
padre per cominciare a lavorare in
proprio, e ha aperto un salone per
La formazione
Angelo Frasca nasce a Maddaloni, in
provincia di Caserta, il 15 agosto 1985.
Comincia prestissimo a lavorare nel
negozio di parrucchiere del padre
Vincenzo in via Cesare Battisti e, contemporaneamente,
prosegue i suoi studi. Nel
2003 si diploma all’istituto tecnico commerciale
“Orsini” di Caserta, come
ragioniere e perito commerciale, e frequenta
un corso di informatica. I viaggi
all’estero cominciano subito, perché
Angelo ha le idee chiare e sa di voler
diventare un affermato hairstylist. Nasce
così il bisogno di conoscere le lingue,
soprattutto il francese e il tedesco.
Frequenta corsi a Caserta con docenti
madrelingua e trascorre 6 mesi in
Germania. I riconoscimenti non tardano
ad arrivare. Già nel 2003 Angelo insegna
e, dal 2004, tiene corsi sperimentali
nell’Istituto tecnico professionale “E.
Majorana” di Santa Maria a Vico. Dal 2004
entra a far parte dell’associazione Frau,
come docente e direttore tecnico femminile
e, il 31 gennaio 2006, apre il salone
in via Marchesiello, a Caserta. Dal 2008 fa
parte dell’Anam, l’accademia nazionale di
acconciatori misti. Nel novembre 2010
partecipa al campionato mondiale dell’acconciatura
di Parigi e conquista il primo
posto, diventando campione del mondo.
uomo e donna dove, nonostante i
tantissimi premi e riconoscimenti,
ancora lava e asciuga i capelli ai
clienti. Non si è mai montato la
testa e, anche se cerca di andare
avanti da solo, continua a collaborare
con Vincenzo e a chiedergli
consigli. Suo padre è infatti il presidente
dell’ associazione Frau, una
scuola accreditata alla Regione
Campania che prepara giovani
aspiranti alla carriera di parrucchieri,
e gli permette di partecipare
ai campionati nazionali. Angelo
è direttore tecnico della scuola, e,
per gli ultimi campionati del sud
Italia ha allenato le due vincitrici
«Se c’è
la passione
tutti i giorni
superi
nuove sfide»
per acconciatura raccolta e disco
style: Vincenza Vigliotti e Paola
Della Monaca. E’ inoltre l’unico
rappresentante per il sud Italia
dell’Anam, l’Accademia nazionale
acconciatori misti.
Basta dare un’occhiata al suo negozio
per capire che di stoffa ne ha e
che è difficile batterlo. Ma la sua
vita continua, come sempre, tra
lavoro, corsi e allenamenti perché
tanto, a ricordargli che non si tratta
di un sogno, ci sono le coppe e le
medaglie.
Pagina a cura di
VALENTINA DE LUCIA

SPORT
Domenica 17 aprile 2011
Lo sport più amato dagli italiani intaccato dalle scommesse clandestine
La gomorra del calcio
21
Vi sono puntate in scommesse già
perse in partenza, ma prima di
tutto van tutte giocate che l'allibratore
si diverta un po'! Un calciatore
deve correre con i sogni nel
cuore, non con i soldi nel portafogli.
Ma il denaro annebbia la
mente. E nessuno vuole essere
“uno dei tanti”. La realtà è più
cruda e nuda rispetto ai sogni. La
via di quel treno che aspetta solo
di essere preso per raggiungere
un sogno, viene infangato per
l’odore dei soldi. Henry Morgan
diceva che “ Un allibratore è un
borseggiatore che ti lascia fare
tutto da solo”. Niente di più vero.
Il 23 Marzo 1980, quel giorno, in
quel preciso istante, il calcio italiano
con le sue storie e i suoi
ricordi, fu sbattuto in galera. Fu
chiaro a tutti che quello non era
uno scandalo come gli altri. Era,
per molti italiani, la fine di una
passione: la scoperta di un tradimento.
La conferma di un inganno,
il pallone scoppiato come una
bolla di sapone sotto il “magheggio”
di calciatori e sistema annesso:,
Mentre non si comprava il
pane per esaltarsi negli stadi e
trascorrere una giornata scaricando
lo stress di una settimana
lavorativa asfissiante, i propri
beniamini pilotavano le partite.
Cruciani è lo snodo fondamentale
della vicenda. E’ un commerciante
di frutta romano sull'orlo
di una crisi economica. Al magistrato
racconta che le sue disgrazie,
hanno avuto inizio quando
tale Alvaro Trinca, ristoratore
noto, presenta alcuni dei suoi clienti
eccellenti: Wilson, Manfredonia,
Giordano e Cacciatori. Fare
amicizia fu semplice, anche a
causa del suo interesse per il calcio
e per le scommesse, clandestine
e non, che ruotano intorno al
mondo del pallone. Il giochino
era semplice: i calciatori prendevano
accordi con colleghi di altre
squadre per aggiustare una tal
partita, Cruciani punta, anche
per conto loro, una bella somma
al totonero e alla fine ci si spartisce
il gruzzolo. Ma l’ex commerciante
anticipa i danari per tutti e
ormai rovinato da perdite e minacciato
dagli allibratori denuncia
tutto all'autorità giudiziaria. È
il crepuscolo degli dei, l'opinione
pubblica è attonita, la Nazionale
mutilata. Vennero presi provvedimenti
in ambito calcistico,
venne provata l'accusa di illecito
sportivo. Il Milan fu retrocesso,
mentre calciatori illustri squalificati
per 2 anni.
Il 2 maggio 1986 veniva arrestato
Armando Carbone, che confessò
l'esistenza di un giro di scommesse
riguardanti alcune partite
di calcio, dalla Serie A fino alla
Serie C2, dal 1984 al 1986.
Nel 1987 vince lo scudetto il
Napoli. Alcuni giornali titolano:
"Lo scudetto del Napoli sbanca la
camorra". I partenopei avevano
scommesso grandi somme al
Totonero. Nella stagione successiva,
il Napoli macina punti ed è
al primo posto, i napoletani
scommettono alla grande, con
quote anche di "1 a 13". Il Napoli
è in testa alla classifica, ma le
cosche non appaiono intimorite.
Eppure, se il Napoli s'aggiudicherà
lo scudetto, perderanno
Dagli anni ‘80 il sistema è sempre lo stesso:
combinare partite con l’ausilio delle cosche
La via di quel treno
che aspetta solo
di essere preso
per un sogno
infangato dai soldi
Nel 2006 inizia a delinearsi la “Calciopoli” tedesca
una vera e propria “piovra” calcistica. Un’ organizzazione
di circa 250 persone, secondo i magistrati
della Procura di Bochum, avrebbe messo le mani su
circa 300 partite tra campionati e competizioni
europee. Circa 1,5 milioni di euro sarebbero stati
usati per corrompere arbitri, dirigenti e giocatori e
ammonterebbero a 7,5 milioni gli utili del giro di
scommesse. In una sola agenzia in Gran Bretagna
sarebbero state effettuate circa 6mila scommesse. L’
organizzazione era capeggiata da un tedesco di
La genesi
La storia delle scommesse affonda le proprie
radici nell’antichità. È cosa nota che gli
antichi Romani fossero soliti scommettere
sui vincitori delle varie battaglie che si
tenevano ad esempio nel Colosseo. Le sfide
tra i gladiatori erano un po’ lo sport
nazionale dei tempi, come il calcio lo è per
gli italiani ai giorni nostri. E infatti, quando
il fenomeno-calcio ha cominciato ad
esplodere in maniera prepotente, diventando
un fenomeno di massa, è nato il calcio
scommesse. Le scommesse applicate al
mondo del calcio hanno origine in
Inghilterra. I bookmakers, come vengono
chiamati gli addetti ai lavori, trasferirono lo
stesso principio che usavano per le corse
ippiche anche nel calcio. Ciò significa che
esistono delle quote (il più forte ha una
quota più bassa rispetto al più debole e via
dicendo) in base alle quali gli scommettitori
vengono pagati a seconda dell’importo
scommesso. Esistono delle quote in base alle
quali gli scommettitori vengono pagati a
seconda dell’importo scommesso.
Sapina organizzava le puntate e truccava le partite
Fango in Germania
Si convincevano i giocatori a suon di pugni
origine croata, Ante Sapina detto il “berlinese”, e
sarebbe riuscita nel suo intento criminale grazie al
condizionamento di calciatori, dirigenti e arbitri. Le
partite “gestite” da Sapina e dai suoi quattro complici
finiti in carcere sarebbero una ventina. L’organizzazione
investiva somme ingenti e non amava che,
calciatori potessero sballare i loro piani e li convinceva,
anche a suon di pugni, ad essere sostituiti
con altri malleabili. Come nel caso accertato del
portiere del Verl, squadra della serie C tedesca, pestato
alla vigilia della partita con il Sarbrücken.
circa 260 miliardi di Lire. L'auto
di Maradona viene danneggiata e
Bagni subisce furti a casa ed in
auto. Sembrano avvertimenti camorristici.
Il 28 febbraio 1988 il
Napoli conquista la settima vittoria
consecutiva, battendo il Pescara
in trasferta. Ha cinque
punti di vantaggio sulla seconda
(il Milan) e ha totalizzato ben 35
punti in 20 partite - la vittoria valeva
ancora due punti.
Sembra fatta ma la camorra fa l’
”indiano”; accetta ancora puntante
sul Napoli vincitore dello
scudetto, impegnandosi a pagare
cinque volte la somma giocata.
Migliaia di persone corrono a
scommettere, attratte dal miraggio
del facile guadagno.
Il Napoli inizia a perdere colpi.
Finché, il primo maggio del
1988, è battuto in casa dal Milan
e viene sorpassato.
Mancano due giornate alla fine e i
tifosi e gli scommettitori degli
azzurri, hanno ancora flebili
speranze. Il Milan ottiene 2 punti,
il Napoli 0. Tanti perdono milioni,
la camorra guadagna miliardi.
L'ultimo avvertimento è sempre
per giocatori più rappresentativi:
tenete la bocca chiusa.
La partita di Coppa Italia Atalanta-Pistoiese
del 20 agosto 2000
fu combinata sul risultato del
pareggio da giocatori delle due
squadre. Secondo l' accusa in una
cena, Aglietti, Allegri, Siviglia,
Gallo e Zauri, i cui paenti e amici
scommisero sul risultato esatto,
erano al corrente della combine
Nel dicembre 2010 un altro caso
esplode. "Se prende i soldi e poi
lo Stabia non vince, dobbiamo
solo ucciderlo". Quanto vale la
vita di un calciatore? Se c’è di
mezzo la camorra, 25 mila euro e
una gara da taroccare. Juve
Stabia-Sorrento dell’ aprile 2009
deve finire con la vittoria dei
padroni di casa. Lo ha deciso il
clan D’Alessandro: il nuovo business
della criminalità si chiama
scommesse. Legali e clandestine.
L’uomo giusto per indirizzare la
partita è Cristian Biancone: una
carriera spesa tra B e C, e amico
di Francesco Avallone che nell’intercettazione
spiega quale
sarebbe la fine del calciatore in
caso di sgarro.
Lo "Stabia" vince 1-0 grazie al gol
propiziato da una papera del
portiere Spadavecchia, che secondo
i giudici mette 20 mila
euro sul k.o. della sua squadra e
diventa l'assicurazione "salvapelle"
di Biancone. Benvenuti
nella Gomorra del pallone. Fiumi
di denaro riciclati, partite truccate,
scommesse, usura, giocatori
e dirigenti collusi Quella che
sembrerebbe una inchiesta circoscritta
a Castellammare è in
realtà una cartina di tornasole: la
camorra si arricchisce grazie al
calcio e alle sue appendici.
Nel mondo del pallone continua
ad aleggiare un vento di misfatti:
in questo mondo,dove la passione,
può divenire solo un ricordo
sbiadito.
Pagina a cura di
FRANCESCO GIORDANO

22 Domenica
17 aprile 2011 RUBRICHE
«Il linguaggio
è la prima marcia
di una serie televisiva
per la creazione
di un universo
possibile, non reale
ma verosimile»
L’autrice
Simona Messina è assegnista
di ricerca del Dipartimento di
Scienze Politiche, Sociali e
della Comunicazione dell’Università
di Salerno, dove
collabora alle attività di ricerca
delle cattedre di Analisi
delle forme testuali, Linguistica
e Semiotica. Si occupa
attualmente dell’analisi linguistica
delle fiction televisive.
Simona Messina
in basso il libro “Ciao famiglia”
La fiction incontra la ricerca
Nel libro di Simona Messina, nuove prospettive di analisi
a partire dal lessico a più voci di “Un medico in famiglia”
IMMA SOLIMENO
Quando una fiction televisiva, anche di
successo, come “Un medico in famiglia”,
diventa materia di studio, possono aprirsi
prospettive inedite della ricerca scientifica.
È questo l’obiettivo che si pone il libro
di Simona Messina, assegnista di ricerca
del Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali
e della Comunicazione dell’Università
di Salerno.
Presentato alla libreria Loffredo di Napoli,
il volume “Ciao famiglia”, Rubbettino
Editore, ha come argomento cardine l’analisi
della lingua della prima serie della
popolare fiction, dall’autrice definita “Family
Fiction”. La famiglia come luogo per
eccellenza in cui sono presenti le varietà
dell’italiano. «In quello che io definisco un
fatale incontro tra me e la fiction – spiega
la Messina - nella casualità di un fenomeno
di massa, quando personalmente maturavo
le mie passioni, ho intuito come
una serie popolare potesse diventare argomento
di interesse linguistico». Non a caso,
già il titolo è indicativo di una scelta
precisa da parte dell’autrice: “ciao famiglia”
è l’espressione utilizzata da Lele, il medico
protagonista per salutare i suoi cari.
Lo spunto a partire viene da un concetto
ovvio, ma non per questo meno degno di
interesse: la ricerca della Messina comincia
dalla consapevolezza che «l’uomo, in
ogni epoca storica, ha sempre sentito il bisogno
di narrare. E le narrazioni sono fatte
di parole. Partendo dai miei studi linguistici
sulla parola, ho voluto analizzare come
si rappresenta il linguaggio di epoca contemporanea».
Nella prefazione del professore
Emilio D’Agostino, si comprende come
questo libro abbia il merito di «andare
in una zona di confine che aiuta a capire
scaffale
che la ricostruzione di un mondo fittizio,
ma linguisticamente verosimile, è decisiva
per la fidelizzazione del pubblico». La
conclusione a cui arriva la Messina è che
la lingua è la prima marcia di una fiction
per creare un universo possibile, non vero
ma verosimile.
Una prospettiva di ricerca non solo sincronica
ma anche diacronica, nella misura in
cui permette di operare un parallelo tra il
linguaggio delle family fiction degli anni
’60 e, in particolare “La famiglia Benvenuti”,
con quelle degli anni ’90. «Si è passati
– spiega l’autrice - da un italiano modello,
senza inflessioni dialettali e dizione
perfetta, a un italiano specchio, quanto più
simile alla realtà del parlato quotidiano». E
le fiction sono state il banco di prova che
ha incontrato il risultato più maturo in
“Un medico in famiglia”.
Il successo della fiction si può spiegare
anche con l’uso degli idioletti: «Si tratta di
un abito che si adatta ad un personaggio –
spiega la Messina – se c’è una corrispondenza
tra il personaggio e la lingua da lui
usata, allora significa che è ben riuscito e il
pubblico si affeziona». In effetti, come
dimenticare il personaggio di Cettina, con
il suo tormentone “veloce, veloce” o la
nonna con i suoi ostentati francesismi?
Stare all’erta, stato di allerta
«Stare all’erta, ecco la vita; essere cullato nella
tranquillità, ecco la morte» scriveva Oscar
Wilde. “Stare all’erta” oggi probabilmente, passando
dalla lingua dei Padri al gergo in uso, si trasformerebbe
in “stare allerta”. Perché si pensa che
sia la stessa espressione, con il tempo mutuata e
semplificata all’udito. E, invece no.
Con la locuzione “stare all’erta” si intende il grido
o l’esortazione di controllo delle sentinelle fra
loro; questo modo di dire deriva dal termine
“all’erta”, grido notturno con il quale nelle piazze
si chiamano i soldati a stare in guardia, a tenere
la fronte verso “l’erta” (la cima). Per estensione,
nel linguaggio corrente, la locuzione si è trasformata
in una voce d’incitamento a fare attenzione,
a essere vigili o – meno comune – ad alzarsi,
a operare. La parola “allerta” è un sostantivo,
quindi dire “stare allerta” non è corretto sintatticamente
perché il termine non può trasformarsi
in un nome del predicato. Corretto è invece
mantenere l’uso della parola come sostantivo e
limitarsi a questo: “Stare in allerta”, “stato di allerta”,
“situazione di allerta”.
Stage (alla francese)
o steig (all’inglese)?
A tutti, presto o tardi, capita di imbattersi in questo
dilemma: il celebre e fantomatico tirocinio
all’italiana come si dice tradotto nella lingua dell’etere
globalizzato? “Stage” (si pronuncia come
si scrive, con la “g” alla francese) o “stage” (si pronuncia
“steig” perché deriva dall’inglese)?
La risposta è una e una sola.
Se diciamo «Ho appena cominciato uno “steig”
in una società di consulenza», in inglese abbiamo
detto «Ho appena cominciato un “palcoscenico”
in una società di consulenza». Dov’è l’equivoco?
Se si usa il termine all’inglese, si utilizza
una parola che sta a significare tutt’altro (palco,
palcoscenico) mentre se si usa la parola francese
si sceglie la via corretta.
In conclusione, due sono le strade possibili per
non cadere nell’errore: parlare la lingua della
terra che ci ha generato oppure lanciarsi in paesi
stranieri ma avere la consapevolezza del significato
delle parole che si usano.
arte
a cura di
GIORGIA MENNUNI
Santo Padre
Le omelie di Benedetto XVI
per Giovanni Paolo II
a cura di Francesco Antonio Grana
L’Orientale Editrice
pagine 124 – euro 20
«L’idea di questo libro me l’ha data Papa Benedetto XVI.
Quando sono stato ricevuto da lui nella Biblioteca privata
del Palazzo Apostolico insieme con il cardinale
Michele Giordano – ricorda il giornalista Francesco
Antonio Grana – ho potuto constatare di persona il grande
affetto che il Santo Padre nutre per il suo diretto predecessore.
Lo sente accanto ogni giorno nella sua difficile
missione sulla cattedra di Pietro». «Mi sembra di sentire
la sua mano forte che stringe la mia; mi sembra di vedere
i suoi occhi sorridenti e di ascoltare le sue parole, rivolte
in questo momento particolarmente a me: “Non avere
paura!”», disse Benedetto XVI dopo la sua elezione ai cardinali
elettori riuniti nella Cappella Sistina. «Rendo grazie
a Dio per la presenza e l’aiuto del cardinale Ratzinger,
che è un amico fidato», scrisse Giovanni Paolo II nel suo
penultimo libro.
Dal grande legame tra Joseph Ratzinger e Karol Wojtyla
è nata l’idea di pubblicare le omelie di Benedetto XVI
per Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione
del grande Papa polacco, fortemente voluta dal suo successore.
«Spero che la Provvidenza conceda presto la
beatificazione e la canonizzazione del nostro amato
Papa Giovanni Paolo II», parola di Benedetto XVI.
Il volume sarà presentato sabato 7 maggio alle ore 16,30
nella Sala della Loggia del Maschio Angioino di Napoli
dai giornalisti Donatella Trotta, Ermanno Corsi e Paola
Saluzzi.
Viva la vida
Passioni e sofferenze
di Frida Kalho
di Pino Cacucci
Feltrinelli Editore
pagine 77 - euro 8
È un inno alla vita che lo scrittore Pino Cacucci, in un
immaginario monologo, fa recitare alla pittrice messicana
Frida Kalho. Un’esistenza accompagnata dalla
costante presenza della Pelona, la morte, fin da quando
a 18 anni un incidente l’ha resa disabile: “Ho contato gli
anni della mia vita con il mutare delle protesi sul mio
corpo, dei busti di gesso e acciaio che ho dipinto e decorato
con mille colori come fossero armature per affrontare
battaglie carnevalesche, bare variopinte per una farsa di
funerale”. Una tragedia che non l’ha abbattuta ma che
l’ha spinta a vivere intensamente e riversare la sua energia
nell’impulso creativo. Un artista, il muralista Diego
Rivera, l’altra sua passione. Un sentimento vitale e logorante,
un amore intenso e fedifrago: “Diego: nome d’amore.
Non lasciare che patisca la sete quest’albero che tanto
ti ha amato, che ha cristallizzato la vita alle sei del mattino.
Non permettere che patisca la sete quest’albero per
cui tu sei sole”.
Un amore che ha come sfondo la lotta politica con il partito
comunista e i colori del Messico.
¡Viva la vida! è l’opera che conclude il trittico in cui
Cacucci racconta tre donne “diverse in tutto ma unite da
quel tutto totalizzante che fu il Messico della loro eterna
giovinezza, sicuramente condivisero sensibilità e dolore,
sogni e delusioni, amores y disamores”: la fotografa di origine
italiana Tina Modotti, la modella Nahui Olin e la
stella intramontabile Frida Kalho.
Raffaello Lucadamo:
l’arte incontra la letteratura
Raffello Lucadamo è un architetto. L’attenzione
ai materiali, ai loro rapporti, alla maniera in
cui interagiscono, si appoggiano tra loro e si
supportano l’un l’altro, è ciò che principalmente
conferisce a questo tipo di professionista la
dimestichezza necessaria al loro uso più adatto.
Dal 18 al 27 Marzo, l’Arena del Mulino (ex
Salid) di Salerno ha ospitato l’allestimento
“Marmo terrecotte e pietra” in cui l’artista ha
potuto presentare l’espressione più compiuta
del connubio tra l’arte e l’architettura attraverso
le sue opere. I lavori rimandano immediatamente
alle geometrie architettoniche ma anche
al contempo al mondo rurale. La macchina, per
ammissione dello stesso artista, assume nelle
sue opere un ruolo centrale ed è così che pietra,
legno, terracotta e marmo si uniscono in equilibri
quasi meccanici. C’è la proporzione dunque,
propria del rigore architettonico, ma c’è anche il
mondo del lavoro, quello passato, antico che
tenta di imporsi e fondersi con le istanze dell’architettura
moderna. Il cerchio e la ruota nella
loro perfezione matematica saltano subito
all’occhio e allora la mente ritorna alla realtà
rurale degli strumenti di lavoro del mondo contadino:
la macina, l’aratro, la trebbiatrice
divengono opere alla ricerca della perfezione e
degli equilibri e, senza che ne sia snaturato il
loro orgoglio originale, tentano con forza di
scontrarsi con una modernità che cerca di
annullarli.

ITALIA/MONDO Domenica 17 aprile 2011
23
Nel mare di Lampedusa la tragedia dei migranti che sognano la libertà
Le speranze naufragate
Si susseguono gli sbarchi dei senzaterra nell’isola siciliana
Obiettivo dell’Italia è quello di rilasciare un permesso temporaneo
La traversata degli immigrati verso
Lampedusa è molto simile al
disperato ritorno di Ulisse nella
sua amata Itaca. Così come l’eroe
greco, questi disperati cercano di
far rotta verso un lido sicuro, verso
sogni, emozioni, sicurezze, gioie
che covano da tempo, ma che la
propria patria non può offrire. I
risparmi di una vita dati a contrabbandieri
senza scrupoli, imbarcati
in barconi fatiscenti, senza acqua
né cibo, stretti fra loro come sardine,
sembra di assistere ai viaggi
della tratta dei negri del XVII sec.
Chissà cosa immaginano quando
sono in viaggio, con i loro occhi
sbarrati, ma pieni di vita, sperano
solo in un futuro migliore e vedono
l’ Italia come L’Eldorado
(un luogo leggendario in cui vi
sarebbero immense quantità di oro
e pietre preziose, oltre a conoscenze
esoteriche antichissime. I bisogni
materiali sono appagati e gli
esseri umani vivono in pace tra
loro godendo della vita).
Ma il meteo e il mare non sempre
sono benevoli con questi disperati.
Come Scilla e Cariddi che, con la
loro voracità inghiottivano le
imbarcazioni di Ulisse, così il
Mediterraneo ha deciso di prendersi
le anime e le ambizioni di
questi naufraghi della vita. Quel
barcone ribaltato e la corsa affannosa
per riuscire a salvarli, è stato
l'ultimo tributo della disperazione
umana. I circa 250 migranti morti
(quarantotto sono stati salvati dalla
Guardia Costiera, altre tre da un
peschereccio), sono probabilmente
il velo visibile di un'indicibile
tragedia della libertà umana, che
ha trasformato le acque del piccolo
Mediterraneo in uno dei più grandi
cimiteri dei senza nome del
mondo. Bimbi annegati senza
vedere il futuro tra le braccia terrorizzate
di madri che cercavano nel
mare mai conosciuto e navigato la
pace di una vita senza fame e violenza,
con una casa e un focolare
dove poter cantare una soave
ninna nanna ai loro pargoli.
Adesso sarà facile immedesimarsi
nelle condizioni di miseria che
spingono i popoli al di là del
Mediterraneo a rischiare una fine
orribile.
Platone diceva che “possiamo
facilmente perdonare un bambino
che ha paura del buio; la vera tragedia
della vita è quando gli uomini
hanno paura della luce”. Questi
ragazzi, invece, non hanno visto la
luce del sole, ma, le loro vite sono
state un fiume interrotto di cuori e
speranze, di disperazione e sogni,
di fughe da guerre e persecuzioni,
di ritorni sperati. Molti distolgono
lo sguardo da questa immane tragedia,
di questa ecatombe. «Dolore
e sgomento» è stato espresso
dal presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi, che ha sottolineato
come «le forze navali italiane
hanno fatto anche in questo caso,
come in tanti altri, tutto il possibile
per salvare il maggior numero di
naufraghi». Dal molo di Lampedusa
sono ripartite le motovedette
della Guardia Costiera e aerei
per cercar di vedere qualche mano
alzata nel mare in tempesta. Le
navi che trasferiranno gli immigrati
in altre zone d’Italia sono pronte,
ma il loro destino è più che incerto
e mentre in Italia fioccano le polemiche
per l’arrivo di questi disperati
sognatori, la politica litiga
invece di creare un’azione comune
e far in modo che queste tragedie
non accadano più. Con i barconi
che continuano ad arrivare ed una
direttiva precisa da parte dell’ Ue,
che tarda ad arrivare.
Un’impasse assurda, che vede da
una parte l’Italia accogliere gli
immigrati e gli altri Stati chiudere
le frontiere. E mentre il Governo
italiano dice sì al permesso temporaneo
e ad accogliere gli immigrati
in centri di accoglienza e non in
tendopoli, la Francia, attraverso il
ministro dell’Interno, Claude Guéant,
ha emanato una circolare
destinata a tutti i prefetti che chiarisce
la condotta da tenere quando
gli immigrati si presenteranno con
il loro documento provvisorio rilasciato
dall’Italia. L’obiettivo è evitare
che il permesso temporaneo sia
giudicato sufficiente per restare sul
territorio francese, con 5 condizioni
da soddisfare.
Al peggio non c’è mai fine e per gli
uomini politici, parlare di morte è
come parlare di denaro. Noi non
sappiamo né il prezzo né il valore.
(Charles Bukowski docet).
Direttive
dell’Unione
europea
In Italia la Lega vorrebbe vedere
i profughi approdati a Lampedusa
“foera di ball”, in Europa
chiede misure eccezionali, che
prevedono una protezione temporanea
eccezionale ai rifugiati.
La normativa Ue permetterebbe
di ricevere un titolo di soggiorno,
il diritto all’occupazione, a
un alloggio, all’assistenza sociale
e alle cure mediche. Un trattamento
di tutto rispetto con la
possibilità per i parenti di chiedere
la ricongiunzione familiare.
Il commissario Ue per gli Affari
Interni, Cecilia Malmstrom,
durante il suo intervento sul
caso Lampedusa ha spiegato
che in caso di aumento dei flussi
di sfollati dalla Libia, la
Commissione europea attiverà
la direttiva 55 del 2001 che permette
di concedere asilo per
almeno un anno nel territorio
degli stati membri. Una procedura
eccezionale per far fronte
all’afflusso massiccio di profughi
del Nord Africa, garantendo
accoglienza temporanea. Offrire
una protezione e far scattare una
gara di solidarietà tra i Paesi.
Nuovi disordini e migliaia di civili uccisi anche in Costa D’Avorio
I popoli del dolore
Monito del Segretario di Stato Usa Hillary Clinton, ma le rivolte continuano
La democrazia e il rispetto dei diritti umani
fondamentali sono importanti per gli africani e
per gli asiatici come per gli europei e gli americani.
Le rivolte che vi sono nei Paesi mediorientali
e in Africa scaturiscono da ideali di libertà
e da sogni che sono stati infranti dalle dittature
preesistenti. Tutti i popoli hanno bisogno di
essere uguali dinanzi allo Stato e la democrazia
è due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare
a colazione. La libertà è un agnello bene
armato che contesta il voto. Pieni di odio per i
loro sogni spezzati da un Governo che li considera
come semplici puntini su di una cartina
geografica, hanno cominciato a urlare, inveire,
gridare le loro ragioni a chi attanaglia la loro
intelligenza. La speranza è che serva per un
cambiamento in meglio. Chi scende in strada
in Egitto, Tunisia, Libia, Siria, Yemen, Costa
D’Avorio chiede democrazia, lavoro, libertà.
Ma tutto deve accadere nell’interesse di quei
popoli, non di nuove élite o, peggio, di poteri
stranieri. L’ autodeterminazione è un passaggio
importante, ma, poi, alle dominazioni straniere
non si deve sostituire la dominazione di
pochi. In questi ultimi giorni la Costa D’Avorio
è lo Stato dove vi sono nuovi disordini e
migliaia di civili uccisi. Il Segretario di Stato
americano, Hillary Clinton, ha detto che
Laurent Gbagbo deve ritirarsi «immediatamente».
Gbagbo è il presidente uscente che si
rifiuta di lasciare il potere ad Alassane Ouattara
nonostante abbia perso le elezioni dello scorso
novembre nel paese dell'Africa occidentale e
chiedere che Gbagbo «si ritiri immediatamente».
La Clinton ha dichiarato che la sua resistenza
porta il Paese all'«anarchia». La rivoluzione
araba sta continuando, raggiungendo
un’altra fase molto delicata per il Medio
Oriente. Le nuove protagoniste sono lo Yemen
e la Siria. La disoccupazione crescente, l’aumento
del costo della vita, l’assenza di sostegni
statali e la sfiducia nelle istituzioni ha determinato
l’esplosione di un risentimento contro
regimi oppressivi, che è stato covato per anni.
La Siria è un Paese chiave in Medio Oriente per
gli Stati occidentali. Fondamentale per Israele
preoccupata di conservare la fragile stabilità
Pagina a cura di
FRANCESCO GIORDANO
della regione ed importante per l’Iran con il
quale ha stretto alleanza strategica. La Siria è
un interlocutore strategico nel Medio Oriente.
Buoni rapporti anche con gli Stati Uniti che
non hanno intenzione di interferire negli affari
interni siriani. Fin dall’inizio delle operazioni,
Francia, Regno Unito e Stati Uniti non hanno
mai smesso di affermare che questa non è una
guerra occidentale. A supportare la tesi, adducono
il sostegno di cui la coalizione godrebbe
da parte dell’ Unione Africana e della
Lega Araba. In realtà, l’Unione Africana ha sì
condannato la repressione e ha affermato la
legittimità delle rivendicazioni democratiche,
ma si è sempre opposta ad un intervento militare
straniero.
Per quanto riguarda la Lega Araba, essa riunisce
essenzialmente regimi che sono minacciati
da rivoluzioni analoghe. Un elemento sta però
emergendo in comune a tutti: il crollo del muro
della paura. I problemi economici del Medio
Oriente sono stati acuiti dall'aumento dei prezzi
dei generi alimentari, ma non sono estemporanei.
Quelli politici erano noti a tutti da decenni.
Le popolazioni dell'area stanno mostrando
in questi giorni di non aver paura della repressione,
in alcuni casi violentissima, da parte dei
regimi contro cui manifestano e di esser pronti
a rischiare la vita per un futuro diverso. L'esito
delle rivolte è incerto, ma la pressione popolare
richiederà in ogni caso una risposta forte da
parte dei dittatori in carica o dei futuri governanti
democratici.