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Malati e senza fissa dimora

Numero 57 - Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno

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Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno<br />

Direttore Sergio Zavoli<br />

Redazione - Via Ponte Don Melillo, 84084 Fisciano - Salerno<br />

tel. 089.969437 - fax 089.969618 - www.ilgiornalista.unisa.it<br />

email: giornalismo@unisa.it<br />

Sped. Abb. Post. - 70% -<br />

CNS/CBPA Sud/Salerno<br />

Anno VI n. 57 € 0,50 Domenica 11 marzo 2012<br />

Salerno<br />

Al “Catalogo”<br />

festa della cultura<br />

per Carotenuto<br />

FRANCESCO SERRONE<br />

Pagina 3<br />

Museo Plart<br />

Design e tecnologia,<br />

a Napoli la plastica<br />

si trasforma in arte<br />

ESPOSITO e LUTRICUSO<br />

Pagina 16<br />

Steve McCurry<br />

Mostra a Roma:<br />

nascita e morte<br />

in duecento foto<br />

GIORGIA MENNUNI<br />

Pagina 17<br />

A febbraio 2013 si chiuderà l’inquietante pagina degli ospedali psichiatrici giudiziari<br />

<strong>Malati</strong> e <strong>senza</strong> <strong>fissa</strong> <strong>dimora</strong><br />

Oltre mille internati saranno affidati al servizio sanitario regionale<br />

Entro il 1 febbraio 2013 i<br />

sei ospedali psichiatrici<br />

giudiziari italiani dovranno<br />

essere chiusi. Lo stabilisce<br />

il decreto carceri approvato<br />

in Senato lo scorso<br />

25 gennaio. Calerà così<br />

il sipario su una delle pagine<br />

più drammatiche e inumane<br />

della storia del nostro<br />

Paese. Gli oltre mille<br />

internati saranno affidati<br />

ai servizi sanitari regionali<br />

in una logica di territorializzazione.<br />

Ma le associazioni<br />

avvertono: attenzione<br />

a non creare tanti piccoli<br />

manicomi.<br />

DE VITA, GALZERANO<br />

e SOLIMENO<br />

Pagine 12 e 13<br />

Assistenza<br />

Cardarelli:<br />

i ricoverati<br />

vengono<br />

curati<br />

in barella<br />

FUSCO eMASSARI<br />

Pagina 9<br />

Campus, prospettive per 7000 studenti<br />

Unisa, bussola dei giovani<br />

FRANCESCO SERRONE Pagina 2<br />

Inflazione da record<br />

Prezzi impazziti,<br />

dalle stalle alle stelle<br />

Crescono latte, pane,<br />

uova e verdure<br />

Consumi diminuiti<br />

DAVIDE SAVINO<br />

Pagina 6<br />

Raccolta testi per Rebibbia<br />

Leggere in carcere<br />

rende liberi<br />

Progetto Papillon:<br />

educazione<br />

all’uguaglianza<br />

VALENTINA BELLO<br />

Pagina 15<br />

Cosa cambia con la manovra del 2011<br />

Scuole in Campania<br />

lavori in corso<br />

Dal prossimo anno<br />

accorpamenti<br />

e tagli al personale<br />

CAVALIERE e LIGUORI<br />

Pagina 7<br />

A Battipaglia<br />

Nord e Sud<br />

uniti<br />

da Baratta<br />

Sfogliare, misurare e catalogare<br />

le numerose fotografie<br />

della famiglia Baratta è stato<br />

un po’ come restaurare un<br />

grande ciclo di affreschi di<br />

una cittadina della provincia<br />

di Salerno, Battipaglia. La<br />

fotografia come documentazione,<br />

infatti, permette di<br />

spettacolarizzare la storia<br />

contemporanea e di condividerla<br />

con le nuove generazioni:<br />

ai testi è stato richiesto,<br />

in questo particolare studio,<br />

di accompagnare le immagini,<br />

di divenire allargamento<br />

della conoscenza. È su questo<br />

incontro che si stabilisce<br />

la relazione affascinante tra<br />

comunicazione per immagini<br />

e informazione.<br />

Dalla disponibilità di Cecilia<br />

Baratta, proprietaria delle<br />

foto e figlia di Ettore Baratta,<br />

di Savì Marano, genero di<br />

Ettore Baratta e profondo<br />

conoscitore delle attività<br />

imprenditoriali della famiglia,<br />

e di Bianca Rolli Montuori,<br />

autrice di una memoria<br />

degli eventi familiari,<br />

nasce un affresco dell'attività<br />

produttiva meridionale della<br />

prima metà del '900, attraverso<br />

la vita di una delle<br />

prime famiglie di imprenditori<br />

che dal Nord si trasferirono<br />

al Sud e che, con la loro<br />

capacità e dedizione al lavoro,<br />

divennero referenti della<br />

vita di un intera comunità.<br />

PAOLA CAPONE<br />

continua a pagina 5<br />

Ancora negata la cittadinanza ai neonati degli immigrati<br />

L’altra faccia dell’Italia<br />

Infanticidio<br />

Sempre<br />

più donne<br />

uccidono<br />

i figli<br />

MARIA DI NAPOLI<br />

Pagina 11<br />

Reinventarsi un futuro, per<br />

un Paese vuol dire abbattere<br />

gli ostacoli che impediscono<br />

di realizzare il senso di comunità.<br />

Oggi è ancora negata<br />

la cittadinanza ai nati in<br />

Italia da genitori stranieri.<br />

Ma questa contraddizione<br />

sta forse per essere superata.<br />

DE LUCIA e DI CICCO<br />

Pagina 8<br />

San Paolo<br />

Allo stadio<br />

parcheggio<br />

dove<br />

non si sosta<br />

FRANCESCO GIORDANO<br />

Pagina 21<br />

LA VIGNETTA di Dado<br />

IL PUGNO<br />

Lo Stato (e i suoi monopoli) sanno<br />

come tutelarti. Non cantare, sogna<br />

con la schedina in mano. Il ritornello<br />

di Cutugno è un evergreen perfetto<br />

per lo spot del Superenalotto. E chi se<br />

ne frega se è boom di disoccupati e<br />

l’inflazione vola. In maniche di camicia<br />

si pensa a chi dispensare milioncini,<br />

mentre le donne bramano<br />

champagne a tutte le ore, ammiccando<br />

in una vasca da bagno. Suffragettes<br />

della fortuna, per cui è un<br />

azzardo pensare che qualcuno, magari,<br />

si è rovinato sentendosi italiano.<br />

Pietro Esposito


2 Domenica 11 marzo 2012 News CAMPUS<br />

Oltre settemila studenti agli incontri e ai seminari promossi dal Caot<br />

UnisaOrienta, ottavo atto<br />

Obiettivo: creare una sinergia Scuola-Università<br />

unisa news<br />

Pagina a cura di FRANCESCO SERRONE<br />

Il giudizio<br />

Vittoria<br />

incerta<br />

«Visiterò altri atenei<br />

prima di iscrivermi»<br />

Chiara ha diciannove<br />

anni e, assieme<br />

alle sue amiche Vittoria<br />

e Anna, viene<br />

da Sorrento dove<br />

frequenta il liceo linguistico.<br />

Vorrebbe<br />

iscriversi a lingue e<br />

letterature straniere<br />

anche se non ha<br />

ancora deciso dove.<br />

«Oltre al Campus di Fisciano ho già visitato con<br />

la scuola il Suor Orsola Benincasa di Napoli e,<br />

probabilmente andrò ad informarmi sui piani di<br />

studio di altre università campane» dichiara.<br />

E’ rimasta positivamente impressionata dalle<br />

strutture dell’Unisa anche se, probabilmente,<br />

non si iscriverà.<br />

Dello stesso parere ma più possibiliste Vittoria e<br />

Anna che vorrebbero fare Scienze della<br />

Formazione. L’unico appunto che Vittoria<br />

muove è, a suo parere, «il rapporto un po’ freddino<br />

stabilito con i docenti e i tutor durante gli<br />

incontri di orientamento che non ci aiuta nella<br />

scelta dell’università a cui iscriversi». «Vorrei<br />

essere seguita più da vicino per poter essere<br />

sicura di fare la scelta giusta ma mi rendo conto<br />

che non sempre questo è possibile».<br />

Anna ha già preso visione del piano di studi che<br />

ritiene interessante e confacente ai sui interessi e<br />

alle sue aspirazioni e, per questo motivo, tra le<br />

tre è la più probabile candidata a iscriversi per il<br />

prossimo anno.<br />

La scelta dell’Università e del relativo<br />

corso di laurea da seguire<br />

costituisce da sempre uno dei<br />

momenti più difficili nel percorso<br />

d’istruzione di uno studente.<br />

A diciotto-diciannove anni, di<br />

fronte ad una miriade di corsi e di<br />

offerte formative proposte, scegliere<br />

la facoltà che più si addice<br />

alle proprie caratteristiche e aspirazioni<br />

diventa infatti impresa<br />

assai ardua. In caso di scelta sbagliata<br />

alle normali difficoltà che si<br />

incontrano negli Atenei e nei<br />

Campus del Belpaese si aggiunge<br />

il problema di dover studiare<br />

argomenti e discipline poco attinenti<br />

con la professione che si<br />

vorrebbe svolgere. C’è quindi chi<br />

opta per un cambio di corso arrivando<br />

a perdere uno o più anni di<br />

studi. Conseguenza di ciò è un<br />

aumento del numero degli studenti<br />

fuoricorso e un allungamento<br />

dei tempi necessari a prendere<br />

la laurea. Risultato: in Italia ogni<br />

dieci studenti iscritti, quattro<br />

sono fuoricorso. Una percentuale<br />

elevatissima sulla quale così si è<br />

espresso il viceministro al Welfare<br />

Michel Martone: «Dobbiamo dire<br />

ai nostri giovani che se a 28 anni<br />

non sei ancora laureato sei uno<br />

sfigato». Affermazioni che hanno<br />

L’indeciso<br />

Claudio<br />

in dubbio<br />

sollevato una marea di polemiche.<br />

Proprio per fornire un supporto ai<br />

diplomandi dei licei e degli istituti<br />

campani è nata UnisaOrienta, la<br />

serie di incontri e di eventi volti a<br />

far conoscere agli studenti il<br />

Campus di Fisciano. Ogni giorno<br />

per sette giorni più di settemila<br />

alunni, accompagnati da quattrocento<br />

docenti, hanno partecipato<br />

agli incontri ed ai seminari organizzati<br />

da professori universitari e<br />

tutor per approfondire concretamente<br />

la conoscenza degli obiettivi<br />

formativi e degli sbocchi occupazionali<br />

dei corsi di studio offerti<br />

dalle dieci facoltà dell’Ateneo<br />

«Studierò al Campus<br />

medicina o farmacia»<br />

Claudio viene da Napoli<br />

e fa parte di quell’esercito<br />

di diplomandi<br />

ancora indecisi su<br />

quale corso di laurea<br />

frequentare.<br />

«La scelta è tra Medicina<br />

e Farmacia. Preferirei<br />

Medicina ma<br />

voglio prendermi ancora<br />

del tempo per decidere» spiega. «Per me<br />

si tratta della prima università che visito<br />

quindi non posso esprimermi più di tanto<br />

anche se per quello che ho visto mi è sembrata<br />

molto accogliente».<br />

La possibilità di poter effettuare la simulazione<br />

dei test d’ingresso lo ha impressionato<br />

positivamente così come le grandi aule e gli<br />

incontri con i docenti. «Voglio iscrivermi a<br />

un’Università che mi permetta di essere<br />

seguito e non avere disagi ma anche che offra<br />

opportunità ricreative e di svago» specifica.<br />

Come tutti i suoi coetanei Claudio, dunque,<br />

chiede non solo di avere la possibilità di<br />

dedicarsi bene allo studio ma anche di potersi<br />

divertire e fare nuove amicizie. Tutto questo<br />

<strong>senza</strong> perdere tempo prezioso.<br />

«Voglio rimanere il meno possibile sulle<br />

spalle dei miei genitori e inserirmi subito nel<br />

mondo del lavoro. Per questo considero fondamentale<br />

l’organizzazione dei corsi e degli<br />

esami e di poter interagire con i professori»<br />

conclude.<br />

salernitano. Per chi è interessato<br />

v’è anche la possibilità di poter<br />

effettuare una simulazione dei test<br />

d’ingresso per le facoltà a numero<br />

chiuso. Una manifestazione giunta<br />

all’ottava edizione che, a riprova<br />

della sua importanza, ha visto la<br />

pre<strong>senza</strong> di studenti giunti anche<br />

dalla Basilicata e dalla Calabria.<br />

«Se un ragazzo sbaglia la scelta del<br />

corso di laurea è un danno per<br />

tutti» spiega Mariagiovanna<br />

Riitano, direttore del Centro di<br />

Ateneo per l’orientamento e il<br />

tutorato (Caot). «Per questo motivo<br />

- continua - il nostro obiettivo è<br />

stabilire un rapporto sinergico con<br />

le scuole superiori per offrire un’adeguata<br />

offerta informativa ai<br />

ragazzi del quarto e del quinto<br />

anno. Molti di loro sono confusi e<br />

tendono a rimandare la questione<br />

a dopo gli esami. Vogliamo fornire<br />

loro le possibilità per poter effettuare<br />

una scelta mirata il prima<br />

possibile. Abbiamo allestito un<br />

punto informativo per fornire<br />

ulteriori delucidazioni a chiunque<br />

ne faccia richiesta». A partire<br />

dallo scorso anno, mentre gli studenti<br />

partecipano ai seminari,<br />

docenti delle superiori e vertici<br />

dell’università si riuniscono per<br />

ottenere, dichiara Rosalba Normando,<br />

responsabile di UnisaOrienta,<br />

«piena rispondenza tra<br />

mondo della scuola e il nostro<br />

Ateneo». Negli anni precedenti<br />

molti neodiplomati «andavano a<br />

Sogno nel cassetto<br />

Giovanni<br />

soddisfatto<br />

«Mi piace l’ambiente<br />

che ho trovato qui»<br />

Giovanni di Sala Consilina<br />

fa l’istituto industriale<br />

e sogna di<br />

diventare ingegnere. A<br />

quale corso della facoltà<br />

di Ingegneria<br />

vorrebbe iscriversi è<br />

molto vago «non lo so,<br />

forse Ingegneria meccanica<br />

ma può essere<br />

che cambio idea».<br />

Giovanni lancia una frecciatina ai suoi professori<br />

«troppo impegnati nel chiudere i programmi<br />

al più presto che a darci consigli sulla<br />

facoltà più giusta per le nostre attitudini».<br />

Per lui l’opportunità offerta da UnisaOrienta<br />

è stata molto importante. «Sono contento di<br />

essere venuto qui oggi. Ho conosciuto per la<br />

prima volta l’atmosfera che si respira in<br />

un’Università ed è un’atmosfera che mi<br />

piace» dice.<br />

«A differenza dei miei amici voglio proseguire<br />

con gli studi. Sogno di laurearmi entro<br />

i tempi previsti dal corso ma so che per chi<br />

fa ingegneria si tratta di un compito molto<br />

difficile».<br />

Tra i suoi auspici c’è la concreta possibilità di<br />

svolgere «di laboratorio e di stage, anche all’estero<br />

se possibile, per poter meglio apprendere<br />

i trucchi del mestiere» afferma.<br />

Nel caso queste condizioni non dovessero<br />

verificarsi Giovanni è categorico: «cambierei<br />

sicuramente universtà».<br />

studiare fuori regione perché non<br />

sapevano cosa c’è a Salerno».<br />

Un trend che è stato invertito<br />

tanto che ora «abbiamo molti<br />

ragazzi iscritti che provengono<br />

dalle regioni limitrofe» (Basilicata,<br />

Calabria e Puglia). Non a caso,<br />

il Campus di Fisciano ha superato<br />

la soglia dei 40 mila iscritti. Cifre<br />

importanti che sottolineano una<br />

crescita costante nel tempo.<br />

Direttore<br />

Sergio Zavoli<br />

Direttore Responsabile<br />

Giuseppe Blasi<br />

Coordinamento<br />

Mimmo Liguoro<br />

Marco Pellegrini<br />

Redazione<br />

Valentina Bello, Marina Cavaliere,<br />

Mario Pio Cirillo,<br />

Valentina De Lucia, Emanuela<br />

De Vita, Mariarosaria<br />

Di Cicco, Maria Di Napoli,<br />

Pietro Esposito, Alessio Fusco,<br />

Carmen Galzerano,<br />

Francesco Giordano, Elena<br />

Chiara Liguori, Assunta Lutricuso,<br />

Matteo Marcelli, Federica<br />

Massari, Giorgia Mennuni,<br />

Davide Savino, Francesco<br />

Serrone, Imma Solimeno,<br />

Simone Spisso<br />

Le Firme<br />

Giulio Anselmi, Antonio Caprarica,<br />

Ferruccio De Bortoli,<br />

Tullio De Mauro, Aldo Falivena,<br />

Antonio Ghirelli,<br />

Gianni Letta, Arrigo Levi,<br />

Pierluigi Magnaschi, Renato<br />

Mannheimer, Ezio Mauro,<br />

Raffaele Nigro, Mario Pendinelli,<br />

Arrigo Petacco Vanni<br />

Ronsisvalle, Mario Trufelli,<br />

Walter Veltroni<br />

UNIVERSITA<br />

DEGLI STUDI<br />

DI SALERNO<br />

Prof. Raimondo Pasquino<br />

Rettore dell'Università<br />

Prof. Annibale Elia<br />

Direttore del Dipartimento<br />

di Scienze Politiche, Sociali<br />

e della Comunicazione<br />

Prof. Emilio D'Agostino<br />

Presidente del Comitato<br />

Tecnico-Scientifico<br />

della Scuola di Giornalismo<br />

Prof. Luca Cerchiai<br />

Preside della Facoltà<br />

di Lettere e Filosofia<br />

Autorizzazione del Tribunale di Salerno<br />

e del R.O.C. n.14756 del 26.01.2007<br />

Arti Grafiche Boccia di Salerno<br />

telefono: 089. 303311<br />

Distribuzione alle edicole<br />

Agenzia DI CANTO S.p.a. di Vito Di Canto<br />

Località Pezzagrande Zona ind. Eboli<br />

tel.0828. 340927<br />

fax: 0828. 340924<br />


TERZA PAGINA Domenica 11 marzo 2012<br />

La monografia di Massimo Bignardi presentata a Salerno al Catalogo di Lelio Schiavone<br />

Carotenuto, poeta della pittura<br />

3<br />

Ritratti e paesaggi della costiera amalfitana esposti in occasione dei 90 anni del maestro<br />

Nemo propheta in patria, nessuno<br />

è profeta in patria dicevano gli<br />

antichi romani. Un detto che vale<br />

ancora oggi e che si adatta perfettamente<br />

alla parabola artistica del<br />

pittore Mario Carotenuto. Nato<br />

nell’ottobre del ‘22 nel piccolo<br />

comune di Tramonti, situato alle<br />

pendici dei Monti Lattari, Carotenuto<br />

è balzato agli onori della<br />

cronaca locale nel 1956 dopo una<br />

mostra tenuta a Roma che riscosse<br />

grande successo. Prima di allora<br />

il pittore salernitano non solo era<br />

poco conosciuto nei salotti del<br />

capoluogo campano ma era in<br />

aperta polemica con buona parte<br />

dei suoi “colleghi” che si ispiravano<br />

alla scuola napoletana e della<br />

costiera amalfitana. Oggi, a più di<br />

cinquant’anni di distanza da quegli<br />

eventi, Salerno ha voluto onorare<br />

Carotenuto, ora chiamato “il<br />

maestro”, con la cittadinanza onoraria<br />

conferitagli dal sindaco<br />

Vincenzo De Luca il primo aprile<br />

scorso. E alcune tra le sue più belle<br />

opere sono esposte in una mostra<br />

alla galleria Il Catalogo, nella centralissima<br />

via De Luca, dal 17 febbraio<br />

fino al 6 marzo. Ne “I dipinti<br />

del gallerista amico” curiosi e<br />

appassionati d’arte possono ammirare<br />

diciotto rari dipinti (realizzati<br />

tra il ’49 e il ’67) facenti parte<br />

della collezione dell’amico Lelio<br />

Schiavone , titolare e padrone de Il<br />

Catalogo. Il giorno dell’inaugurazione<br />

della mostra si è tenuta<br />

anche la presentazione della<br />

monografia realizzata da Massimo<br />

Bignardi, docente di storia dell’Arte<br />

all’Accademia delle Belle<br />

Arti di Napoli, intitolata Mario<br />

Carotenuto. La pittura come esperienza<br />

del reale (Plectica editrice,<br />

2011). Presentazione che è diventata<br />

l’occasione per “il maestro”,<br />

prossimo a festeggiare il traguardo<br />

dei novant’anni, di rispondere alle<br />

domande e curiosità poste dall’autore,<br />

dai giornalisti Paolo Romano<br />

(Tele-Diocesi) e Francesca Salemme<br />

(Lira Tv), moderatori dell’evento,<br />

e del folto pubblico che ha<br />

riempito la storica galleria d’arte<br />

salernitana.<br />

«La mia pittura molto semplice -<br />

“Ho sempre cercato<br />

di interiorizzare<br />

la realtà<br />

per imprimervi<br />

il mio marchio”<br />

Mario Carotenuto (a sinistra)<br />

con Lelio Schiavone<br />

In basso da sinistra<br />

Francesca Salemme,<br />

Massimo Bignardi,<br />

Mario Carotenuto<br />

e Paolo Romano<br />

spiega Carotenuto - era considerata<br />

un’imitazione delle opere di<br />

Matisse e per questo poco apprezzata<br />

dalle elite locali che preferivano<br />

un altro genere di opere». In<br />

effetti ammirando e rimirando<br />

“Natura morta con candela” si<br />

rimane colpiti dalla semplicità con<br />

la quale Carotenuto è riuscito a<br />

realizzare in maniera così dettagliata<br />

oggetti del vivere quotidiano.<br />

Non solo oggetti e nature<br />

morte (queste ultime, in particolare,<br />

a cui il pittore è molto legato)<br />

ma anche gli splendidi paesaggi<br />

della costiera amalfitana che<br />

hanno fornito l’ispirazione per<br />

opere quali, ad esempio, “Spiaggia<br />

di Minori con cabina gialla”. «Paradossalmente<br />

- prosegue il maestro<br />

- essere conosciuto a Salerno<br />

è stato più difficile che a Roma e<br />

Milano». La grandezza di Carotenuto<br />

è dimostrata anche dai rapporti<br />

intrattenuti con figure di<br />

spicco della scena culturale:<br />

Alfonso Gatto, Filiberto Menna,<br />

Michele Prisco, Domenico Rea,<br />

Vasco Pratolini, Gore Vidal, Mario<br />

Mafai. In alcune delle tele esposte<br />

(«Non ve n’è una che preferisco in<br />

particolare. Sono tutte figli miei»<br />

sottolinea l’autore con un pizzico<br />

d’orgoglio) è possibile ritrovare<br />

un’altra costante della pittura di<br />

Carotenuto: la rappresentazione<br />

di farfalle. Un’abitudine nata nel<br />

’62 dovuta ai molteplici studi compiuti<br />

dal maestro su questi piccoli<br />

insetti, che assurgono a simbolo<br />

della «caducità della vita». A chi<br />

gli chiede dopo tanti anni cosa<br />

pensa del suo percorso e della sua<br />

carriera artistica Carotenuto risponde:<br />

«Ho sempre cercato di<br />

interiorizzare la realtà per poi<br />

imprimervi nelle mie opere, il mio<br />

marchio e la mia impronta. Questo<br />

è il consiglio che darei a un giovane<br />

pittore alle prime armi.<br />

Credo di esserci riuscito». E, visto<br />

il successo ottenuto, è difficile dargli<br />

torto.<br />

Pagina a cura di<br />

FRANCESCO SERRONE<br />

Il gallerista<br />

Idealista<br />

con l’amore<br />

per l’arte<br />

Fin dalla giovane età Lelio Schiavone ha<br />

sempre avuto il pallino per l’arte. Negli anni<br />

’40 avvenne l’incontro con Mario<br />

Carotenuto, dovuto alla comune frequentazione<br />

del Circolo del Cinema. Nacque un<br />

sodalizio, una fraterna amicizia che prosegue<br />

fino ai giorni nostri. Nel ’63 Schiavone,<br />

sostenuto dal leader del Pci Feliciano<br />

Granati fondò la galleria l’Incontro, la prima<br />

a Salerno. L’esperimento fu positivo anche<br />

se ben presto la galleria venne trasferita a<br />

Roma. Nell’autunno del ’68 Schiavone<br />

fondò Il Catalogo e, nel febbraio del ‘69,<br />

organizzò la prima significativa antologica<br />

di dipinti realizzati da Carotenuto (ventennio<br />

1943-1963). Nel corso degli anni vi si<br />

sono tenute mostre e pubblicazioni riguardanti<br />

alcuni tra i più grandi artisti del ‘900.<br />

Salerno è diventata quindi epicentro di<br />

eventi culturali di primo livello. Un percorso<br />

che ha sorpreso lo stesso Schiavone.<br />

«A un certo punto non ci siamo accorti di<br />

quanto grande fosse il numero di cose che<br />

abbiamo fatto, degli amici che abbiamo<br />

visto, delle immagini che abbiamo proposto»<br />

confessa. Certo non sono mancate<br />

anche le difficoltà e «gli infiniti problemi<br />

quotidiani ai quali rispondere per proseguire<br />

nella nostra ostinata attività».<br />

Convinto sostenitore dell’arte figurativa<br />

Schiavone ha sempre cercato di perseguire<br />

l’ideale che l’ha visto prima ragazzo desideroso<br />

di cultura, poi adulto gallerista<br />

dalle scelte oculate e coerenti del suo<br />

modo di vedere. Non sono parole qualunque.<br />

A pronunciarle è lo storico poeta<br />

salernitano Alfonso Gatto col quale<br />

Schiavone intrattenne per anni un rapporto<br />

di stretta collaborazione.<br />

Lo studioso<br />

Testimone<br />

e artefice<br />

della cultura<br />

Laurea in Lettere all’Università degli Studi<br />

di Salerno, specializzazione in Storia<br />

dell’Arte all’Università degli Studi di<br />

Urbino, Massimo Bignardi insegna Storia<br />

dell’Arte all’Accademia delle Belle Arti di<br />

Napoli. Collabora inoltre con le riviste<br />

Critica d’Arte e Artigianato. Autore di<br />

diverse pubblicazioni e organizzatore di<br />

numerose mostre in tutta Italia, Bignardi<br />

conobbe Mario Carotenuto nel ’72. Ritiene<br />

che attualmente il nostro Paese stia vivendo<br />

un «periodo di pochezza culturale che si<br />

rispecchia nell’arte e, quindi, anche nella<br />

pittura». A questa pochezza fa invece da<br />

contraltare l’esperienza artistica di<br />

Carotenuto, definito una sorta di «cronista<br />

del quotidiano che, scavando negli<br />

archivi della memoria, realizza opere in<br />

grado di trasmetterci la storia di un volto,<br />

un paesaggio, una persona». «La sua pittura<br />

colta - scrive nella monografia sul maestro<br />

dove raccoglie i risultati e le osservazioni<br />

di oltre trent’anni di studi - è espressione<br />

di una capacità compositiva attenta a<br />

mettere a registro la plasticità dei corpi o<br />

degli oggetti nello spazio, grazie ad una<br />

gamma di colori spinta sempre alla costruzione<br />

di una luminosità di origine surreale,<br />

con la libertà di un disegno che, fondamentalmente,<br />

resta immediata rivelazione<br />

del pensiero». Carotenuto, conclude<br />

Bignardi, «è stato ed è testimone e artefice<br />

del rinnovamento culturale che ha segnato<br />

la storia salernitana del secondo dopoguerra,<br />

di una città che, come l'ltalia intera,<br />

usciva dal silenzio della guerra e si<br />

avviava verso l'incontro con l'arte europea,<br />

il confronto fra figurazione ed astrazione,<br />

il vento dei movimenti d’oltreoceano».


4 Domenica 11 marzo 2012 PRIMO PIANO<br />

Baratta: una famiglia, un’industria<br />

Una veduta aerea dello stabilimento nel 1933<br />

Angelo Damiano alle Olimpiadi di Tokio del 1964<br />

Linee automatiche per la confezione di barattoli di banda stagnata<br />

Umberto di Savoia tra i dirigenti della fabbrica<br />

Il reparto segheria<br />

“Le Zebrette” con Primo Baratta nel campionato 1933-34<br />

Ingresso dello stabilimento, ora viale Primo Baratta


PRIMO PIANO Domenica 11 marzo 2012<br />

Le immagini raccolte nel volume documentano eventi e vicende<br />

che hanno caratterizzato la Piana del Sele tra gli anni Venti e Cinquanta<br />

La terra promessa di Battipaglia<br />

5<br />

PAOLA CAPONE*<br />

continua dalla prima pagina<br />

Parte essenziale della ricerca<br />

è il lavoro di tesi di laurea<br />

di Anna De Santis che<br />

ha catalogato le foto, recuperato<br />

la memoria della Rolli Montuori,<br />

intervistato le persone che hanno<br />

gravitato attorno alla famiglia<br />

Baratta e riportato ogni cosa nel<br />

suo elaborato di tesi del quale nel<br />

libro Baratta, una famiglia una<br />

industria si avvale. Di grande<br />

interesse è anche la nota di Savì<br />

Marano che chiarisce i diversi<br />

rami d'azienda della famiglia<br />

Baratta e ne fornisce la relativa<br />

documentazione.<br />

Le numerose foto sono in massima<br />

parte stampate su carta in<br />

bianco e nero, di vari formati e<br />

tecniche. Intrecciano vita pubblica<br />

e privata di alcuni componenti<br />

della famiglia in relazione alle<br />

numerose attività da loro svolte,<br />

suffragate da lettere, documenti,<br />

ritagli stampa. Esse sono state<br />

suddivise per temi: il primo capitolo<br />

esamina La Ditta Baratta con<br />

specifica attenzione alla raffigurazione<br />

dei luoghi nei quali si è<br />

sviluppata fattività imprenditoriale.<br />

II secondo capitolo, Ricordi<br />

di famiglia, ripercorre la vita di<br />

Primo, Ettore e il suo nucleo<br />

familiare, nonché dei diversi rami<br />

della famiglia. Il terzo si occupa<br />

delle attività sociali: Il gruppo<br />

sportivo Baratta testimonia l'impegno<br />

degli imprenditori sia in<br />

una squadra di calcio, "Le Zebrette”;<br />

sia nella promozione<br />

ciclistica della Coppa Baratta. Il<br />

quarto capitolo ricorda La visita<br />

del Principe Umberto di Savoia a<br />

Battipaglia. Il quinto è la testimonianza<br />

di Savì Marano sulle numerose<br />

e intrecciate attività imprenditoriali<br />

della Famiglia. L'ultimo<br />

capitolo, Appendici, accoglie<br />

documenti, testi, disegni e<br />

l'intervista al ragioniere Fereoli,<br />

collaboratore amministrativo dei<br />

Baratta.<br />

La fabbrica di Battipaglia con il<br />

grande cancello di accesso, il<br />

viale, la ciminiera, le boulles, i<br />

magazzini e la loro distruzione<br />

dopo i bombardamenti del 1943,<br />

e una foto aerea del 1950 che ne<br />

testimonia la faticosa rinascita,<br />

sono solo una parte dei numerosi<br />

ricordi visivi presenti nei materiali<br />

schedati. Le foto, infatti, occupano<br />

tutti gli spazi che un tempo<br />

erano consegnati ai libri di famiglia<br />

e ai racconti orali e diventano<br />

il punto di partenza sul quale ogni<br />

altra forma di memoria converge.<br />

É guardando le foto che si raccontano<br />

le storie e si ricordano luoghi<br />

e persone collegandole nella memoria.<br />

In questo caso, esse hanno<br />

un valore testimoniale essenziale,<br />

perché quasi ogni cosa non esiste<br />

più e, ciò che resta, versa in uno<br />

stato di abbandono "esemplare": Il<br />

ricordo fotografico familiare si<br />

intreccia col ricordo collettivo: la<br />

Grande Guerra passa come una<br />

falciatrice su Battipaglia e proprio<br />

la posizione geografica che ne<br />

aveva fatto un nodo stradale e ferroviario<br />

importantissimo nel<br />

Mezzogiorno, diventa fattore di<br />

pericolo. Le truppe tedesche, infatti,<br />

cominciano a bombardare la<br />

città il 21 Gennaio del 1943 per<br />

terminare il 14 Settembre, sei<br />

giorni dopo l'annuncio di Badoglio<br />

dell'armistizio dell'Italia con<br />

gli anglo-americani.<br />

Ancora la fabbrica fa da sfondo<br />

alla visita privata che nel '33<br />

Umberto di Savoia effettuò a<br />

Battipaglia: nelle foto, oltre alla<br />

firma del Principe e al gruppo<br />

dirigenziale che lo accompagna in<br />

visita, è ben evidente l'as<strong>senza</strong> di<br />

Primo e Paolo ad un evento così<br />

importante, testimonianza del<br />

dissenso politico e culturale che la<br />

famiglia manifestava nei confronti<br />

del fascismo. Si racconta che i<br />

Baratta si presentassero d'abitudine<br />

con un fazzoletto rosso al collo<br />

al tavolo del ristorante "Treglia”;<br />

di fronte alla stazione ferroviaria<br />

di Battipaglia, dove pranzavano<br />

quasi ogni domenica, e che le<br />

autorità del fascio locale, per questo<br />

vistoso segno, provassero<br />

fastidio al punto da organizzare<br />

una sortita contro la famiglia.<br />

Messi sull'avviso, i Baratta, nel<br />

giorno stabilito, attesero in fabbrica<br />

l'arrivo del drappello punitivo,<br />

comandato dal Barone Nino<br />

Negri di Spiano. Il gruppo si presentò<br />

al viale di ingresso dello<br />

Stabilimento, ma trovò i cancelli<br />

ben serrati. Al loro schiamazzo,<br />

alcuni dipendenti apparvero, al di<br />

là delle grate, tenendo bene in<br />

vista lucidi fucili da caccia che,<br />

più eloquentemente di ogni parola,<br />

costrinsero i male intenzionati<br />

a tornare sui propri passi. La<br />

famiglia abitava all'interno della<br />

fabbrica nella "Casa rossa”; miracolosamente<br />

salvatasi dai bombardamenti,<br />

presente in molte<br />

foto. Nel '33 Ettore fece costruire<br />

per sé una villa della quale esistono<br />

numerose raffigurazioni che<br />

restituiscono l'idea ispiratrice dell'edificio<br />

come luogo della famiglia,<br />

della vita privata e dei suoi<br />

eventi, oggi di proprietà di Cecilia.<br />

Degli stessi anni sono le foto<br />

del coinvolgimento degli imprenditori<br />

nell'attività sportiva calcistica<br />

con l'iniziale sistemazione<br />

del campo da gioco intitolato dal<br />

Comune "Littorio"; in località<br />

Pozzesa, con tribunetta centrale<br />

di legno e spogliatoi muniti d'acqua<br />

fredda, quasi in aperta campagna.<br />

La squadra dei Baratta,<br />

Donne<br />

e uomini<br />

straordinari<br />

protagonisti<br />

della crescita<br />

economica<br />

sportiva<br />

e culturale<br />

affiancati nella dirigenza da<br />

Gaetano Jemma, da Oscar Pastore<br />

e da Armando Rolli, conquistò<br />

subito il titolo di<br />

Campania, Molise e Lucania e<br />

sfiorò, nella doppia finale contro<br />

l’Alcamo, la promozione nella<br />

categoria superiore.<br />

La storia delle attività calcistiche<br />

di Battipaglia rappresenta lo<br />

spaccato di un periodo storico<br />

caratterizzato oltre che da<br />

profondi sconvolgimenti politico-sociali<br />

anche da un imponente<br />

fervore sportivo. Nello stesso<br />

anno della fondazione del<br />

Comune, nacque anche l'U.S.<br />

Battipagliese e, quindi, un ulteriore<br />

esempio di come la storia<br />

del massimo sodalizio calcistico<br />

della Piana abbia marciato insieme<br />

con lo sviluppo della città.<br />

Come è avvenuto in molti<br />

Comuni, il distacco dalle più<br />

grandi istituzioni di appartenenza,<br />

per sopraggiunte condizioni<br />

economiche e sociali fu la molla<br />

che, accanto all'autonomia politica<br />

raggiunta, fece nascere il desiderio<br />

di mostrare la propria nuova<br />

condizione attraverso le forme<br />

dello sport più facilmente accessibili<br />

alla comprensione popolare:<br />

il calcio e il ciclismo. In questo<br />

ambito i Baratta dettero vita al<br />

Gruppo Sportivo Baratta che unificò<br />

i campi del loro impegno<br />

nello sport. È del 1935 anche l'istituzione<br />

della Coppa Baratta,<br />

una gara ciclistica della quale<br />

sono presenti, tra le foto di<br />

Cecilia Baratta, numerosi esemplari,<br />

che confermano l'importanza<br />

di questi materiali privati<br />

per rivivere anche aspetti sociali<br />

più ampi: la "Topolino" con la<br />

pubblicità delle testate giornalistiche,<br />

il raduno dei partecipanti,<br />

In alto,<br />

dipendenti della fabbrica<br />

con Ettore Baratta<br />

a lato<br />

il reparto<br />

controllo qualità<br />

il passaggio dei corridori nel<br />

corso del paese, il traguardo con<br />

il camion dotato di megafono, il<br />

trionfo del vincitore sono, infatti,<br />

le immagini bloccate dall'obbiettivo<br />

dalle quali guardare ad una<br />

intera società. É una umanità al<br />

maschile quella che appare in<br />

queste immagini: sono uomini i<br />

protagonisti, uomini il pubblico<br />

che vuole riconoscersi negli atleti<br />

sia sulla tribuna del campo di calcio,<br />

sia ai bordi della strada dove<br />

passano i ciclisti; ad essi è affidata<br />

la continuità narrativa degli eventi,<br />

nella singolarità dei protagonisti<br />

e nella pre<strong>senza</strong> indistinta nel<br />

gruppo.<br />

Le figurazioni femminili dispongono<br />

ad un'analisi del ceto<br />

operaio e di quello borghese: il<br />

primo è rappresentato al lavoro,<br />

con l'identica connotazione di un<br />

fazzoletto bianco nei capelli, e<br />

testimonia la conquista di un<br />

ruolo che prima la donna non<br />

aveva; infatti, il suo lavoro, fino<br />

allora confinato soprattutto entro<br />

la sfera domestica, tende ad emergere<br />

e ad essere visibile anche<br />

all'esterno. Le storie sono, però,<br />

sconosciute nelle individualità di<br />

ciascuna ed anche poco note e<br />

poco indagate come moltitudine e<br />

coralità femminile. Differente è la<br />

rappresentazione delle donne<br />

borghesi, puntuale nella raffigurazione<br />

e nella appartenenza familiare:<br />

ciò, ad un primo impatto,<br />

potrebbe far pensare ad un ruolo<br />

femminile più consapevole ma,<br />

analizzando le sedi nelle quali<br />

esse appaiono, familiari, ludiche o<br />

conviviali, le immagini rimandano<br />

solo al loro ruolo di moglie,<br />

madre, figlia, sorella e la pre<strong>senza</strong><br />

serve a sottolineare la forza sociale<br />

dell'uomo.<br />

Dal capostipite della famiglia,<br />

Paolo, e da Laura Del Grosso nacquero<br />

sei figli: di Primo e, soprattutto,<br />

di Ettore numerose sono le<br />

testimonianze fotografiche e sulla<br />

stampa locale dell'epoca. Per gli<br />

altri, solo qualche immagine<br />

accompagna la loro pre<strong>senza</strong> in<br />

questo lavoro. Le foto della famiglia<br />

di Ettore Baratta, padre di<br />

Cecilia, "formano il quadro della<br />

vita domestica": il matrimonio, lo<br />

svilupparsi della famiglia con la<br />

nascita delle cinque figlie, la loro<br />

crescita, i matrimoni, le vacanze<br />

alle terme e al mare, le feste nella<br />

casa e nei luoghi simbolo della<br />

società, gli amici e le occasioni da<br />

ricordare.<br />

Ricostruire la storia dei Baratta<br />

attraverso le immagini autoprodotte<br />

non è solo tracciare le origini<br />

della famiglia, ma è anche sottolineare<br />

riti di passaggio e documentare<br />

eventi che hanno caratterizzato<br />

il territorio di Battipaglia<br />

tra gli anni '20 e '50. Questa<br />

ricerca, piccola ricognizione nei<br />

vissuti narrativi familiari tramite<br />

gli strumenti della scrittura e delle<br />

interviste, congiunti a quello della<br />

memoria fotografica, filo d’Arianna<br />

per il ritrovamento dei<br />

sentieri percorsi, è una "voce per<br />

far parlare le immagini". Essa<br />

prende spunto dalla storia della<br />

famiglia per comunicare anche la<br />

storia sociale e politica di una<br />

cittadina meridionale e ribadisce,<br />

accanto alla funzione di<br />

memoria la funzione conoscitiva,<br />

quella particolare forma di<br />

conoscenza che consiste nel mettersi<br />

in diretto contatto con i<br />

contenuti per introdurre riflessioni<br />

e operazioni più mediate. È<br />

soprattutto attraverso le testimonianze<br />

visive che gesti, costumi,<br />

ambienti si sono impressi nella<br />

mente e sono diventati materiale<br />

per quella immaginazione storica<br />

che è parte non secondaria<br />

della conoscenza.<br />

*Professore di Storia dell’arte moderna<br />

all’Università degli Studi di Salerno<br />

curatrice della collana Luoghi<br />

e del libro Baratta una famiglia un’industria


6 Domenica 11 marzo 2012 PRIMO PIANO<br />

Con la moneta unica tutto è aumentato, colpa del cambio e di pratiche scellerate<br />

€uro-£ira, la strage dei prezzi<br />

I nostri nonni cantavano “se potessi<br />

avere 1.000 lire al mese...”, con la<br />

speranza di avere una sicurezza<br />

economica su cui contare. Era il<br />

1939, oggi la lira non esiste più, c’è<br />

l’euro e con l’equivalente di 1.000<br />

lire, cioè 50 centesimi, non ci si<br />

compra più neanche un caffè.<br />

Colpa dell’ aumento dei prezzi e<br />

del cambio di moneta da lira ad<br />

euro. Chi conosce l’economia sa<br />

che questo fenomeno è naturale e<br />

si chiama inflazione, ma nel 2001,<br />

dal passaggio dalla moneta italiana<br />

alla moneta unica, questo dato è<br />

cresciuto in modo estremo ed<br />

innaturale. Normalmente, infatti, i<br />

prezzi dei prodotti che acquistiamo<br />

crescono per varie ragioni, tra<br />

cui: l’aumento delle materie prime,<br />

la crescita dei prezzi dell’energia,<br />

l’aumento dei costi di trasporto<br />

merci che sono legati all’andamento<br />

della benzina, il costo del lavoro,<br />

della pubblicità, le tasse e tutto ciò<br />

L’inflazione alle stelle nei primi anni 2000<br />

Mentre il potere d’acquisto si è dimezzato<br />

che necessita la produzione stessa<br />

dei beni. Quindi l’aumento di prezzo<br />

di un bene da un anno all’altro è<br />

normale ed è, in genere, di qualche<br />

centesimo. Ad esempio: generalmente<br />

il prezzo aumenta del 2/3%<br />

l’anno, quindi se nel 2011 un bene<br />

costava 1 euro per via dell’aumento<br />

dei prezzi (inflazione) del 2% nel<br />

2012 il nostro bene costerà 1,02<br />

euro. Nel corso degli anni questi<br />

aumenti sono stati regolari, ma se<br />

si va a guardare la serie storica<br />

dell’Istat (al sito internet: http://dati.istat.it/,<br />

alla voce prezzi) si<br />

nota subito l’estremo aumento che<br />

c’è stato negli anni 2000, 2001,<br />

2002 e 2003 (gli anni dell’arrivo<br />

dell’euro). Poi l’aumento è stato più<br />

regolare, meno devastante, mentre<br />

negli ultimi anni, quelli della crisi,<br />

l’aumento dei prezzi è contenuto,<br />

in alcuni casi inferiore rispetto<br />

all’anno precedente. Dunque l’ingresso<br />

nella moneta unica è stato<br />

un vero salasso per le tasche degli<br />

italiani, ma perché è successo tutto<br />

questo? Partiamo dall’inizio. Il<br />

nostro Paese stampava la lira, che<br />

era la carta vincente per la crisi,<br />

infatti in tempi di recessione, il<br />

Governo svalutava la moneta,<br />

quindi i prodotti italiani, per gli<br />

stranieri, costavano di meno e così<br />

si rimetteva in moto l’industria e di<br />

conseguenza il lavoro ed i consumi.<br />

In questo modo si abbatteva la<br />

crisi, ma anche la lira che nei confronti<br />

delle altre monete costava<br />

poco; di conseguenza per gli italiani<br />

comprare prodotti esteri costava,<br />

invece, molto caro. Questo<br />

fenomeno è continuato fino ai<br />

primi anni 90’, quando sono cominciate<br />

le strette economiche imposte<br />

dall’Europa per entrare nella<br />

moneta unica, ed ha comportato,<br />

nel tempo, forti perdite nel potere<br />

d’acquisto delle famiglie, per questo<br />

se nel 1939 bastavano 1.000 lire<br />

al mese per poter sognare, negli<br />

anni 80’ ce ne volevano almeno 3<br />

milioni. Poi, con l’ingresso nell’euro,<br />

abbiamo perso l’opportunità di<br />

stampare e svalutare la moneta,<br />

inoltre per via della poca “consistenza”<br />

della lira, abbiamo pagato il<br />

cambio con l’euro quasi al doppio<br />

(1 € contro 1.936,27 £), poi la conversione<br />

dei prezzi dei prodotti è<br />

stata di 1 a 1, cioè quello che prima<br />

del 2001 costava 1.000 lire, dopo ha<br />

cominciato a costare 1 euro, non<br />

50 centesimi, mentre gli stipendi<br />

sono stati convertiti in modo giusto,<br />

cioè chi guadagnava 1 milione<br />

di lire prima del 2001, dopo ha<br />

preso 500 euro, non 1.000 come<br />

per i prezzi. Nessun controllo delle<br />

autorità competenti ha evitato il<br />

peggio ed oggi in tempi di crisi con<br />

1.000 euro non si arriva alla fine del<br />

mese. Questo scellerato comportamento,<br />

unito al fatto che alcuni<br />

prodotti non potevano avere troppe<br />

differenze di prezzo da una<br />

nazione ad un’altra ha generato la<br />

spirale perversa dell’aumento dei<br />

prezzi a cui abbiamo assistito in<br />

questi anni.<br />

Pagina a cura di<br />

DAVIDE SAVINO<br />

COME È GRANDE IL “PANIERE”<br />

Dal 1928 ad oggi,<br />

come crescono<br />

i bisogni italiani<br />

L’aumento di prezzi si basa su vari fattori,<br />

ma non tutti sanno come si fa a calcolare<br />

questo aumento. Ovviamente si fanno dei<br />

rilievi sul campo. Mensilmente operatori<br />

addetti rilevano i prezzi di alcuni prodotti<br />

nei negozi e riportano il dato che viene<br />

pubblicato dall’Istat, lo stesso ente pubblica<br />

il dato annuale sull’inflazione. Ma quali<br />

sono i prodotti su cui vengono rilevati i<br />

dati? Si tratta di alcuni beni e servizi di<br />

cui, gli italiani, ne fanno un largo uso<br />

generalizzato. Ad esempio uno di questi<br />

prodotti è la pasta. Questo insieme di beni<br />

e servizi prende il nome di “paniere”. La<br />

lista dei prodotti del paniere è molto<br />

lunga, nel 2012<br />

essa è composta da<br />

1.398 prodotti, le<br />

novità in-trodotte<br />

per quest’anno<br />

sono: l’e-book reader,<br />

l’e-book download<br />

e la mediazione<br />

civile (fonte<br />

Istat). Il paniere<br />

non è stato sempre<br />

così “corposo”, nel<br />

tempo si è ampliato perché i bisogni delle<br />

persone sono aumentati, facendo diventare<br />

dei prodotti, che prima erano per pochi<br />

ricchi, di uso comune. Ad esempio nel<br />

1928 c’erano 5 capitoli di spesa: alimentazione,<br />

abitazione, riscaldamento e luce,<br />

vestiario e varie. Ogni capitolo aveva delle<br />

“posizioni”, per esempio sotto il capitolo<br />

alimentazione c’era la posizione pane. Nel<br />

1928 tutte le posizioni dei 5 capitoli di<br />

spesa erano 59, oggi sono 12 capitoli di<br />

spesa per un totale di 597 posizioni.<br />

SALUMERIA<br />

Sempre più su<br />

latte, pane e uova<br />

MACELLERIA<br />

Salsicce<br />

anziché filetto<br />

PESCHERIA<br />

Il pesce, caro<br />

prima e adesso<br />

ORTOFRUTTA<br />

Senza mercato<br />

si lascia marcire<br />

Per capire come<br />

tutto questo aumento<br />

di prezzo ha<br />

influito sui conti<br />

degli italiani siamo<br />

andati in giro<br />

con la signora Lina<br />

R. 65 anni, casalinga.<br />

La signora Lina<br />

è una vera esperta,<br />

visto che va a fare la spesa a Napoli a via<br />

Pignasecca da oltre trent’anni. Ci racconta<br />

che in salumeria «è aumentato tutto, da<br />

quando c’è l’euro costa tutto il doppio, pane,<br />

pasta, latte qualunque cosa tu fai per risparmiare<br />

è inutile, non arrivi alla fine del mese».<br />

Tra gli alimenti aumentati di più ci confessa<br />

il salumiere della signora Lina ci sono «uova,<br />

pasta, farina e latte e continuano ad aumentare,<br />

ma non è tanto il problema degli<br />

aumenti dei prezzi, è che sono aumentati i<br />

piccoli furti, inoltre in questi anni ho perso<br />

molto clienti».<br />

Sempre con la<br />

signora Lina ci dirigiamo<br />

dal suo macellaio<br />

di fiducia,<br />

mentre andiamo ci<br />

racconta «la carne è<br />

aumentata, ma si<br />

riesce ancora a<br />

comprare, certo<br />

non il primo taglio,<br />

ma in un modo o nell’altro si può ancora<br />

comprare». Entrando non si vedono prezzi<br />

assurdi, inoltre ci sono delle buone offerte,<br />

con 20 euro si portano via 5/6 chili di diversi<br />

tagli di carne. Il macellaio ci racconta «con<br />

questa crisi ho dimezzato le vendite, ma il<br />

prodotto in sé non è aumentato tanto, a<br />

parte il cambio lira euro che non è dipeso da<br />

noi commercianti, ma a monte, visto che<br />

pagavo un capo di bestiame intorno alle 6<br />

700 mila lire e dopo sono diventati 6 700<br />

euro, i nostri aumenti sono legati per lo più<br />

al trasporto e al costo di allevamento».<br />

Come fare un confronto<br />

<strong>senza</strong> considerare<br />

il pesce? La<br />

signora Lina, mentre<br />

andiamo dal<br />

pescivendolo, ci illumina<br />

esclamando<br />

«il pesce andava<br />

caro ed ora va<br />

ancora più caro».<br />

La saggezza della signora Lina non sbaglia,<br />

guardando i prezzi ci dice «prima con la lira<br />

le alici costavano 5 mila lire al chilo, in alcuni<br />

periodi anche 4 e addirittura 3 mila lire,<br />

oggi il prezzo è sui 5/7 euro al chilo, ma la<br />

cosa strana è la pezzatura dei pesci, prima<br />

erano piccoli, diciamo giusti per una alice,<br />

oggi sono enormi, la pezzatura è più grande<br />

ed il sapore non è lo stesso». Il pescivendolo ci<br />

fa notare che se il prezzo di alcuni pesci freschi<br />

aumenta è per via della scarsità di<br />

pescato nei nostri mari, oltre che dalle condizioni<br />

del tempo.<br />

E siamo arrivati alla<br />

frutta. La signora<br />

Lina ci confessa che<br />

«il prezzo di frutta<br />

e verdura è raddoppiato<br />

con l’euro,<br />

però, se si comprano<br />

gli ortaggi di stagione<br />

si può ancora<br />

comprare, ma se si<br />

pretendono le fragole a dicembre il prezzo<br />

sale perché è tutta roba che viene da fuori».<br />

Ed è proprio così, il verduraio della signora<br />

Lina ci conferma ogni punto e poi aggiunge<br />

«con la crisi che c’è ora la gente compra di<br />

meno rispetto a prima, in più io pago più<br />

tasse e spesso capita che se non c’è mercato,<br />

il costo per raccogliere è superiore del guadagno<br />

che si ottiene vendendo, quindi succede<br />

che la frutta marcisce sugli alberi e la verdura<br />

nei campi, questo fenomeno capitava<br />

anche prima, ma di rado, ora invece è sempre<br />

più frequente».


PRIMO PIANO Domenica 11 marzo 2012<br />

Già dal prossimo anno scolastico sono previsti 151 istituti in meno in Campania<br />

Minori autonomie e carenze nel personale: le difficoltà causate dal dimensionamento<br />

Per chi suona la campanella<br />

7<br />

Se dovessimo usare lo stesso<br />

sistema di valutazione, la scuola<br />

pubblica italiana probabilmente<br />

sarebbe rimandata a settembre.<br />

Almeno dal punto di vista di<br />

infrastrutture e servizi.<br />

È questa l’opinione di chi ogni<br />

giorno nella scuola ci lavora e ci<br />

studia, alle prese con mille difficoltà:<br />

aule sovraffollate, materiale<br />

scolastico mancante, edifici<br />

vecchi e non a norma sono<br />

solo alcuni dei più visibili problemi<br />

che penalizzano l’istruzione<br />

pubblica in Italia. Basta<br />

pensare che nella penisola più<br />

del 40% delle scuole sono situate<br />

in zone a rischio sismico,<br />

circa il 10% in aree soggette al<br />

dissesto idrogeologico e il 7,54%<br />

si trovano nelle vicinanze di un<br />

vulcano. Nonostante i rischi,<br />

più del 60% degli edifici scolastici<br />

sono stati costruiti prima<br />

del 1974, cioè quando le norme<br />

antisismiche non erano ancora<br />

in vigore.<br />

Il momento di crisi si riflette<br />

anche nella difficoltà per gli enti<br />

locali di garantire lo standard di<br />

alcuni servizi fondamentali: le<br />

mense scolastiche sempre più<br />

esternalizzate (le cucine interne<br />

alla scuola sono ormai solo<br />

intorno al 21%); la costante<br />

diminuzione del servizio di<br />

scuolabus, ormai presente nei<br />

capoluoghi di provincia solo per<br />

circa un 32% di scuole; della<br />

scarsa pre<strong>senza</strong> di piste ciclabili,<br />

giardini, poco sopra il 70%, e<br />

strutture per lo sport, di cui<br />

quasi metà delle scuole ne sono<br />

sprovviste.<br />

La situazione è ancora più problematica<br />

al Sud dove, in media,<br />

una scuola su due necessita<br />

d’interventi di manutenzione<br />

urgenti e metà degli edifici si<br />

trova in aree a rischio sismico.<br />

Secondo il rapporto Ecosistema<br />

Scuola 2011di Legambiente,<br />

quasi la metà degli edifici scolastici<br />

in Campania avrebbe bisogno<br />

di interventi urgenti di<br />

manutenzione.<br />

Il nuovo anno scolastico porterà<br />

diverse novità, non tutte positive.<br />

Verrà infatti messo in atto il<br />

piano di dimensionamento previsto<br />

dalla legge n. 111 del 2011:<br />

già da settembre, 151 tra scuole<br />

dell’infanzia, primaria e secondaria<br />

di primo grado, perderanno<br />

l’autonomia e verranno<br />

accorpati in istituti comprensivi.<br />

In tutte le province della<br />

regione, la diminuzione degli<br />

istituti porterà come conseguenza<br />

diretta l’esubero di personale:<br />

se prima c’era un preside<br />

a gestire ogni scuola, dall’anno<br />

prossimo ce ne sarà uno per due<br />

o anche tre istituti.<br />

Meno presidi, meno istituti ma<br />

molti più alunni: il Ministero<br />

dell’Istruzione ha provveduto a<br />

innalzare il numero degli studenti<br />

creando le cosiddette<br />

“classi pollaio”. Dai 26 alunni<br />

per aula previsti dalla legge sulla<br />

prevenzione degli incendi il<br />

numero sale a 29 nella scuola<br />

materna, a 27 nella scuola primaria<br />

e a 30 in quella secondaria<br />

di primo e secondo grado.<br />

L’accorpamento porterà anche a<br />

una perdita di autonomie: i<br />

maggiori tagli si registreranno a<br />

Napoli e provincia, che rinunceranno<br />

a 57 strutture contro le<br />

38 di Salerno e le 27 di Caserta;<br />

meno drastico il passaggio ad<br />

Avellino, con 15 istituti in meno<br />

e a Benevento, con 14. Lo scopo<br />

è raggiungere alla fine del triennio<br />

2012-2014 quota 285 scuole,<br />

prevista dal ministero della<br />

Pubblica Istruzione.<br />

La Regione, fa sapere l’assessore<br />

regionale all’Istruzione ed Edilizia<br />

scolastica Caterina Miraglia,<br />

si impegnerà a rendere l’applicazione<br />

della legge meno<br />

traumatica: è già stato stanziato<br />

un milione di euro per potenziare<br />

il servizio scuolabus per i<br />

comuni che hanno approvato il<br />

dimensionamento.<br />

Tagli sofferti ma necessari alla<br />

Regione per poter recuperare lo<br />

svantaggio accumulato nei confronti<br />

delle altre, che hanno già<br />

fatto importanti operazioni di<br />

accorpamento e di riorganizzazione<br />

della rete scolastica.<br />

Pagina a cura di<br />

MARINA CAVALIERE<br />

ELENA CHIARA LIGUORI<br />

Il preside Diamante Marotta<br />

«Troppi tagli<br />

meno servizi»<br />

Quanto è difficile essere un<br />

dirigente scolastico ai<br />

tempi della crisi? Quali<br />

sono le problematiche da<br />

affrontare ogni giorno? E<br />

quali sono le prospettive<br />

per la scuola? Siamo andati<br />

a chiederlo a Diamante<br />

Marotta, preside del liceo<br />

“Federico Quercia” di<br />

Marcianise.<br />

Quali sono i cambiamenti<br />

previsti per il prossimo<br />

anno scolastico?<br />

In base alla legge 111/2011,<br />

in Campania sono previsti<br />

151 accorpamenti solo nel<br />

primo anno del triennio<br />

2012-2014. Negli anni<br />

seguenti il dimensionamento<br />

sarà ancora più duro<br />

perché il numero degli istituti<br />

accorpati aumenterà.<br />

Come si traduce questa<br />

riforma in termini di perdita<br />

di posti di lavoro?<br />

In Campania se ne sono<br />

persi già 2mila. Solo nella<br />

provincia di Caserta, ce ne<br />

saranno 300 in meno tra<br />

docenti e personale ATA.<br />

La situazione si prospetta<br />

abbastanza critica, anche<br />

perché noi abbiamo già<br />

tante classi in esubero.<br />

Senza contare il dramma<br />

dei soprannumerari della<br />

scuola primaria che, nonostante<br />

i pensionamenti, non<br />

riusciranno a essere assunti.<br />

E le conseguenze per gli<br />

alunni?<br />

Anche loro subiranno gli<br />

effetti di questa riforma:<br />

nelle scuole stanno diminuendo<br />

i servizi, a partire da<br />

quelli legati alla sicurezza,<br />

alla vigilanza e agli aspetti<br />

igienico-sanitari. In Campania,<br />

inoltre, è stato tagliato<br />

il tempo prolungato: questo<br />

significa perdere docenti<br />

di lingua straniera, laboratori<br />

e assistenti tecnici, che<br />

sono diventati tutti soprannumerari.<br />

Queste difficoltà<br />

costringono talvolta i dirigenti<br />

scolastici a guidare più<br />

plessi o talvolta addirittura a<br />

chiuderli.<br />

Qualche caso da raccontarci?<br />

Emblematica è la vicenda di<br />

una scuola di Caserta dove<br />

c’è un solo collaboratore<br />

scolastico in organico. Un<br />

giorno si è messo in malattia<br />

e gli alunni sono entrati<br />

a scuola con un’ora di ritardo<br />

perché non c’era nessuno<br />

ad aprire i cancelli.<br />

«Un Paese come il nostro<br />

non può pensare di svilupparsi<br />

tagliando l’istruzione,<br />

creando una forbice tra le<br />

regioni». Rosalba Visone,<br />

segretario generale Cisl<br />

Scuola, su questo punto<br />

non ammette eccezioni. La<br />

sua posizione decisa nasce<br />

dalla convinzione che l’istruzione<br />

nel nostro Paese<br />

necessita di essere tutelata<br />

anziché di subire ulteriori<br />

penalizzazioni.<br />

Come reagite alla riforma?<br />

Per noi è come un boomerang.<br />

Nella scuola noi cerchiamo<br />

di trasmettere ai<br />

ragazzi una formazione<br />

intesa come etica, coerenza<br />

e rispetto delle regole, ma<br />

se viviamo in un contesto<br />

in cui le regole non vengono<br />

applicate non andremo<br />

lontano. Bisogna stabilizzare<br />

l’istruzione sul territorio.<br />

Quali saranno i cambiamenti<br />

per gli istituti superiori?<br />

Le trasformazioni per le<br />

scuole superiori in realtà<br />

sono già in atto. La novità<br />

sta nelle duplicazione di<br />

indirizzi all’interno di uno<br />

stesso istituto, cioè nell’aumento<br />

di corsi di studio,<br />

Rosalba Visone, CISL Scuola<br />

«Ci vuole<br />

qualità»<br />

perdendo così la peculiarità<br />

di ciascuno e creando difficoltà<br />

ai dirigenti scolastici<br />

nel gestire plessi così eterogenei<br />

e ampi.<br />

Chi pagherà maggiormente<br />

i danni del dimensionamento?<br />

Questa riforma è stata pensata<br />

<strong>senza</strong> una giusta distribuzione<br />

sul territorio sia dal<br />

punto di vista strutturale sia<br />

dal punto di vista del personale.<br />

Quindi questo andrà a<br />

gravare soprattutto sugli<br />

alunni, che pagheranno lo<br />

scotto di una norma dettata<br />

esclusivamente dall’esigenza<br />

di tagliare guardando solo<br />

alle cifre del bilancio.<br />

Quali impegni vi assumente<br />

come sindacato?<br />

Abbiamo già dimostrato<br />

alla Regione il nostro disaccordo,<br />

ma allo stesso<br />

tempo vogliamo applicare<br />

la legge nella maniera<br />

meno traumatica. In particolare<br />

cercheremo di<br />

non far accorpare istituti<br />

sottodimensionati, per<br />

evitare l’esubero di numerosi<br />

dirigenti scolastici.


8 Domenica<br />

11 marzo 2012 PRIMO PIANO<br />

LA RICERCA DI UN FUTURO<br />

Integrarsi è difficile<br />

soprattutto<br />

nelle metropoli<br />

Il Consiglio nazionale dell’economia e del<br />

lavoro (Cnel), in collaborazione con il<br />

ministero del Lavoro e delle Politiche<br />

sociali, ha stilato una serie di rapporti sull’andamento<br />

dell’integrazione degli immigrati<br />

in Italia. Dagli indici è più volte<br />

emerso che i fattori oggettivi che spingono<br />

un cittadino straniero a trasferirsi nel<br />

nostro Paese sono soprattutto il bisogno<br />

di un lavoro e di una casa, la necessità di<br />

alcuni servizi di base indispensabili per<br />

l’uomo e la possibilità di accedere a status<br />

giuridici che ne affermino la piena partecipazione<br />

al sistema di diritti e doveri<br />

dello Stato, come la cittadinanza. Non<br />

vanno però trascurati<br />

tutti quei fattori<br />

soggettivi e psicologici<br />

che suscitano<br />

il bisogno di<br />

sentirsi rispettato e<br />

riconosciuto dagli<br />

autoctoni, per stabilire<br />

una relazione<br />

in cui possano sentirsi<br />

a casa propria.<br />

Stando all’ultimo<br />

rapporto pubblicato il16 febbraio scorso,<br />

l’Italia, con tutti i limiti e i requisiti previsti<br />

dall’attuale legge sulla naturalizzazione<br />

degli immigrati, conferma quanto sia difficile<br />

acquisire la cittadinanza fisiologica.<br />

E’ anche emerso che, soprattutto nei grandi<br />

agglomerati urbani, come a Roma,<br />

Milano e Napoli, i processi di inserimento<br />

sociale, di radicamento territoriale e di<br />

identificazione sono molto lenti, se non<br />

impossibili, a causa della già forte complessità<br />

sociale di questi contesti.<br />

Le storie dei migranti sono più o<br />

meno sempre le stesse. Da anni, da<br />

qualunque Paese essi provengano.<br />

Persone che lasciano la propria<br />

terra d’origine, non <strong>senza</strong> tormenti,<br />

in cerca di un futuro migliore<br />

per sé, per i propri figli. Sogni, speranze,<br />

sacrifici spesso ricompensati<br />

e ancora più spesso vani.<br />

Ci sentiamo tutti fieri e liberi nell’era<br />

moderna, globalizzata, multietnica.<br />

Eppure ci limitiamo a<br />

guardare da lontano chi ha un<br />

colore della pelle diverso dal<br />

nostro, una lingua che non capiamo<br />

e una pesante sfida da affrontare:<br />

vivere con dignità. Quella<br />

dignità che è un diritto di tutti,<br />

quella dignità che i nostri stessi<br />

antenati, soprattutto nel secondo<br />

Dopoguerra, hanno cercato a loro<br />

volta lasciando l’Italia in cerca di<br />

giorni migliori. Allora anche noi<br />

eravamo migranti, sofferenti e con<br />

l’etichetta del “pizza-mandolino”<br />

da sopportare.<br />

Oggi, secondo i dati forniti<br />

dall’Istat, gli stranieri residenti in<br />

Italia (4 milioni 859 mila) rappresentano<br />

l’8% della popolazione<br />

totale, con un incremento di 289<br />

L’8% della popolazione nel nostro Paese è straniera<br />

Italiani di fatto<br />

ma non di diritto<br />

La cittadinanza negata ai figli di immigrati<br />

mila unità rispetto al 1° gennaio<br />

2011. Già da qualche anno ormai<br />

la giornata del primo marzo è<br />

diventata una data importante per<br />

ricordare il sostanziale apporto<br />

degli immigrati all’economia italiana,<br />

svolgendo quei lavori che<br />

nessuno è più disposto a fare,<br />

pagando le tasse come tutti gli<br />

altri cittadini, con figli che parlano<br />

italiano eppure non possono<br />

dire di avere radici nel nostro<br />

Paese. Eppure, chi nasce in Italia<br />

da genitori stranieri non acquista<br />

immediatamente la cittadinanza,<br />

ma mantiene quella dei genitori e<br />

può diventare cittadino italiano<br />

solo al compimento del diciottesimo<br />

anno d’età: un impedimento<br />

alla piena realizzazione di un<br />

diritto fondamentale, sul quale si<br />

è espresso anche il Capo dello<br />

Stato Giorgio Napolitano, che ha<br />

definito «un’autentica follia» tenere<br />

in piedi una legge anacronistica<br />

e obsoleta.<br />

Un ossimoro, quindi, negare un<br />

diritto strettamente connesso al<br />

concetto stesso di modernità, che<br />

suffraga la cittadinanza universale,<br />

l’uguaglianza civile e politica <strong>senza</strong><br />

nessuna discriminazione. Per queste<br />

ragioni 19 organizzazioni della<br />

società civile hanno promosso la<br />

campagna “L’Italia sono anch’io”<br />

che, oltre al riconoscimento del<br />

diritto di voto amministrativo,<br />

chiede che venga applicato lo ius<br />

soli per i nativi: devono essere riconosciuti<br />

cittadini italiani i nati in<br />

Italia che abbiano almeno un genitore<br />

legalmente soggiornante, il<br />

quale ne faccia richiesta.<br />

L’iniziativa ha avuto successo e le<br />

firme raccolte approderanno alla<br />

Camera il 6 marzo. Nei giorni<br />

scorsi, i promotori hanno incontrato<br />

i parlamentari della commissione<br />

Affari costituzionali della<br />

Camera per chiedere un impegno<br />

preciso nella calendarizzazione e<br />

nei tempi di discussione per le proposte<br />

di legge. I membri della commissione<br />

hanno ascoltato con<br />

attenzione l’esposizione dei contenuti<br />

delle due proposte di legge e,<br />

nonostante i diversi orientamenti<br />

sulla materia, è sembrata emergere,<br />

da parte dei parlamentari dei<br />

diversi gruppi, una comune<br />

volontà a riprendere l’iter del testo<br />

di riforma della legge sulla cittadinanza,<br />

la cui discussione era stata<br />

sospesa. «Un segnale incoraggiante»,<br />

secondo i promotori della<br />

campagna, perché dimostra «un<br />

interesse condiviso dalle varie<br />

forze politiche ad affrontare un<br />

argomento così importante per<br />

tante persone che vivono nel<br />

nostro Paese».<br />

Pagina a cura di<br />

VALENTINA DE LUCIA<br />

MARIAROSARIA DI CICCO<br />

L’Arci di Salerno<br />

È solo<br />

questione<br />

di civiltà<br />

L’Arci di Salerno (Associazione ricreativa<br />

e culturale italiana) ha promosso una<br />

campagna di sensibilizzazione per sostenere,<br />

attraverso una raccolta firme, e presentare<br />

in Parlamento due proposte di<br />

legge di iniziativa popolare che propongono<br />

cambiamenti radicali in tema di cittadinanza<br />

e di diritto al voto per migranti<br />

regolari.<br />

I cittadini stranieri che vivono nel nostro<br />

Paese, infatti, con regolare permesso,<br />

iscritti all’anagrafe, lavorando e pagando<br />

le tasse, non hanno diritto al voto; così<br />

come chi nasce in Italia da genitori stranieri<br />

deve attendere il compimento dei<br />

18 anni per chiedere la cittadinanza,<br />

affrontando una lunga e difficile trafila<br />

burocratica.<br />

«La campagna “L’Italia sono anch’io”<br />

vuole sollecitare<br />

innanzitutto<br />

una ri<br />

flessione culturale<br />

sul te<br />

ma della cittadinanza<br />

e<br />

del futuro dei<br />

figli di questo<br />

nostro Paese<br />

– ha spiegato<br />

il presidente<br />

dell’Arci di Sa<br />

lerno, Giusep<br />

pe Cavaliere -. Quella del passaggio dallo<br />

ius sanguinis allo ius soli è una questione<br />

di democrazia, di equità, di civiltà.<br />

Che riguarda tutti. Quale futuro di crescita<br />

e di concordia sociale possiamo<br />

mai immaginare per un Paese che nega a<br />

tanti suoi ragazzi il diritto di appartenenza<br />

alla comunità nazionale?».<br />

La legge in vigore, infatti, riconosce lo<br />

ius sanguinis,ovvero il diritto a diventare<br />

cittadino italiano a chi è nato da cittadini<br />

italiani. La proposta, invece, introduce<br />

lo ius soli, il diritto alla cittadinanza<br />

per chi, nato in Italia, abbia almeno un<br />

genitore che vi soggiorna legalmente da<br />

un anno e prevede, inoltre, che siano italiani<br />

anche i nati da genitori nati in<br />

Italia, a prescindere dalla loro condizione<br />

giuridica.<br />

Centri, sportelli e uffici<br />

Caritas<br />

in prima<br />

linea<br />

Anche la Caritas, l’organismo pastorale<br />

della Conferenza episcopale italiana (Cei)<br />

per la promozione della carità, della giustizia<br />

sociale e della pace, ha avviato una serie<br />

di iniziative volte a migliorare e favorire<br />

l’inserimento degli immigrati nel nostro<br />

Paese. Collaborando con le associazioni e<br />

le parrocchie delle diverse realtà regionali,<br />

ha creato una serie di sportelli e centri di<br />

accoglienza che assistono e seguono gli<br />

stranieri fin dal loro arrivo in Italia, controllando<br />

che trovino un lavoro legale e<br />

sicuro, un alloggio stabile e, soprattutto, il<br />

rispetto e la comprensione dell’intera<br />

comunità.<br />

Dal 1995 la Caritas italiana ha aperto un<br />

Ufficio immigrazione con un coordinamento<br />

unico, articolato in commissioni<br />

tematiche, cui<br />

partecipano i<br />

rappresentanti<br />

delle 16<br />

regioni ecclesiastiche,<br />

per<br />

pianificare le<br />

strategie operative<br />

da at<br />

tuare nell’ambito<br />

del fenomeno<br />

migratorio<br />

in Italia.<br />

L'ufficio si occupa anche del la gestione e<br />

del controllo di parte dei progetti 8x1000,<br />

pubblica studi e articoli sul fenomeno<br />

migratorio, cura la formazione e l'informazione,<br />

intraprende visite in loco a<br />

sostegno delle Caritas diocesane, rappresenta<br />

l’Associazione nei contesti istituzionali<br />

nazionali (ministeri, Parlamento,<br />

Governo, enti pubblici) e internazionali, e<br />

cura i rapporti di intesa e di collaborazione<br />

con gli organismi nazionali, italiani ed<br />

esteri, e con gli organismi internazionali<br />

di ispirazione cristiana che svolgono attività<br />

a favore degli immigrati.<br />

Il centro d’ascolto diocesano è il vero<br />

punto di riferimento per gli stranieri che,<br />

nel sostegno di una equipe di volontari e<br />

di collaboratori specializzati, trovano una<br />

risposta concreta ai propri bisogni.


PRIMO PIANO Domenica 11 marzo 2012<br />

9<br />

Una giornata all’ospedale napoletano che vive il dramma del sovraffolamento<br />

Cardarelli: vite appese alle barelle<br />

Condizioni precarie e mancanza di posti letto<br />

i pazienti cercano conforto nei paramedici<br />

Ore 8:30 del mattino, il pronto soccorso<br />

dell’ospedale Cardarelli è già<br />

pieno. La stanza che ospita i malati<br />

non è molto grande: le persone<br />

aspettano il loro turno sulle barelle.<br />

Un silenzio mortale viene interrotto<br />

dalle grida di dolore di una<br />

signora anziana che si lamenta per<br />

un forte dolore alla testa. A fianco<br />

a lei, proprio attaccato perché lo<br />

spazio è davvero poco, un ragazzo<br />

che ha avuto un incidente con il<br />

suo motorino: ha i pantaloni stracciati<br />

e il sangue gli è stato tamponato<br />

con dell’ovatta. Attorno a lui<br />

ci sono anche degli amici che cercano<br />

di rincuorarlo. Lo scenario si<br />

ripete: nella stanza ci sono circa 6<br />

barelle, una di fianco all’altra. I<br />

malati sono per lo più anziani: ci<br />

sono anche due donne, una è<br />

coperta dalle lenzuola, non si capisce<br />

bene cosa le sia successo, ma il<br />

suo volto non è rassicurante.<br />

Vicino non c’è nessuno, solo un’infermiera<br />

che le inietta una flebo.<br />

Poi si allontana e la donna aspetta<br />

il suo turno per capire se dovrà<br />

essere ricoverata. L’altra signora,<br />

invece non sembra stare tanto<br />

male: si mantiene un braccio, ma<br />

non è stesa sulla barella, bensì<br />

seduta, anch’essa ad aspettare il<br />

proprio turno.<br />

Al di fuori della stanza c’è tantissima<br />

gente che gira per i corridoi e<br />

che entra e esce dall’ospedale.<br />

Sono i familiari dei pazienti.<br />

Qualcuno piange disperato, qualche<br />

altro fuma sigarette a ripetizione<br />

e altri addirittura non sembrano<br />

preoccupati. Visto che l’attesa<br />

non è breve c’è anche una sala<br />

d’aspetto con vista degenti sulle<br />

barelle. A dirla tutta un po’ angosciante:<br />

le sedie sono girate tutte<br />

verso la stanza del pronto soccorso<br />

e a divedere i due vani c’è solo<br />

una vetrata.<br />

Ore 10 la situazione sembra scorrere,<br />

qualche persona è stata ricoverata,<br />

qualcun altro sta ancora<br />

aspettando il proprio turno. Ecco,<br />

però, che un frastuono assordante<br />

arriva fuori il pronto soccorso. È il<br />

sibilo delle sirene dell’ambulanza.<br />

Gli infermieri entrano tutti in<br />

fibrillazione. Dall’autoambulanza<br />

esce un signore molto anziano e le<br />

sue condizioni sono molto gravi. Di<br />

corsa viene trasferito a medicina<br />

d’urgenza e ricoverato al reparto<br />

rianimazione. Lo ritroviamo poco<br />

più tardi proprio nel reparto medicina<br />

d’urgenza posizionato su una<br />

barella dopo essere stato rianimato.<br />

In quel reparto la situazione è<br />

molto critica, gli spazi sono davvero<br />

pochi e l’uomo è stato posizionato<br />

su una barella nel corridoio,<br />

intorno a lui ci sono due infermiere,<br />

certo non è il massimo della<br />

comodità dirà uno di loro ma intanto<br />

lo abbiamo salvato. Camminando<br />

per il corridoio del reparto<br />

vediamo che di pazienti nel corridoio<br />

ce ne sono abbastanza. Per<br />

non farli cadere dalle barelle sono<br />

stati posizionati con un lato attaccato<br />

al muro. Le infermiere eseguono<br />

le loro mansioni come se stessero<br />

in camera. C’è chi deve farsi la<br />

siringa e scopre il fondoschiena,<br />

chi deve cambiare la flebo e addirittura<br />

chi ha bisogno del catetere.<br />

Verso le 13:30 siamo di nuovo al<br />

piano terra al pronto soccorso, la<br />

situazione sembra essersi calmata.<br />

Sono poche le persone che aspettano<br />

di sapere quale sarà il loro destino.<br />

Mentre il pronto soccorso si<br />

svuota, ecco che arriva l’ora di visita,<br />

i reparti già pieni di barelle nei<br />

corridoi si riempiono di visitatori.<br />

Qui i dottori però non transigono:<br />

la visita dura massimo un’ora poi<br />

tutti fuori <strong>senza</strong> nessun favoritismo.<br />

Scene viste e riviste, condizioni<br />

precarie che non sono gradite a<br />

nessuno ma che a volte diventato<br />

indispensabili per salvare vite. Se<br />

questo sia giusto o meno non spetta<br />

a noi dirlo, certo, fare da osservatori<br />

passivi non aiuta il sistema.<br />

Pagina a cura di<br />

ALESSIO FUSCO<br />

FEDERICA MASSARI<br />

L’EMERGENZA SI COMBATTE CON L’ASSISTENZA<br />

L’emergenza<br />

sovraffollamento<br />

che in questi giorni<br />

ha portato gli occhi<br />

dei media sull’ospedale<br />

Cardarelli<br />

è un problema che<br />

si ripete ormai tutti<br />

gli anni in diversi<br />

periodi dell’anno,<br />

grazie anche alla<br />

chiusura di alcuni pronto soccorso degli<br />

ospedali limitrofi. Ma come affronta l’ospedale<br />

Cardarelli questa preoccupante<br />

difficoltà? L’abbiamo chiesto a Franco<br />

Paradiso, responsabile del dipartimento<br />

di direzione sanitaria e farmacia.<br />

«Dire che il problema non esiste è dire<br />

una bugia, noi però ci siamo rimboccati le<br />

maniche cercando di darci da fare il più<br />

possibile per non far mancare nulla ai<br />

pazienti. Secondo il mio punto di vista il<br />

nostro problema sono solo gli spazi, non<br />

Franco Paradiso:<br />

«La nostra politica<br />

è di non buttare<br />

fuori nessuno»<br />

abbiamo la possibilità di ospitare tutte le<br />

persone nelle stanza perché il rapporto<br />

pazienti-letti è inefficiente.<br />

Ma dalla nostra parte abbiamo un servizio<br />

assistenziale sempre adeguato.<br />

Offriamo ai nostri pazienti le cure<br />

migliori e cerchiamo di evitargli qualunque<br />

disagio. Non è sempre facile ma<br />

sono sicuro che tutti i medici e gli infermieri<br />

che lavorano in quest’ospedale<br />

diano il massimo per cercare di favorire<br />

il più possibile i degenti».<br />

Ma lei non pensa che, a volte, sia meglio<br />

rifiutare un paziente invece di esporlo a<br />

condizioni logistiche inadeguate che<br />

potrebbero mettere la persona a rischio di<br />

essere contagiata anche da altre malattie?<br />

«La nostra politica è del tutto inversa, noi<br />

non buttiamo fuori nessuno e mai lo faremo.<br />

Abbiamo la consapevolezza di non<br />

avere mezzi logistici sempre adeguati, ma<br />

non per questo ci sentiamo in diritto di<br />

mandare a casa o da un’altra parte persone<br />

che hanno bisogno di aiuto. Per quanto<br />

riguarda il rischio di contagio, è vero<br />

che non è da escludere, ma nella stessa<br />

misura può avvenire con pazienti sistemati<br />

nelle proprie stanze».<br />

Come può risolversi questa situazione?<br />

«La Regione ha messo a disposizione dell’ospedale<br />

una struttura temporanea fino<br />

al 30 Aprile, questa però non basta e<br />

soprattutto è un provvedimento straordinario<br />

e quindi alla scadenza non l’avremo<br />

più a disposizione».<br />

IL DOTTORE<br />

I cittadini<br />

devono aiutarci<br />

L’INFERMIERA<br />

Gli angeli<br />

dei corridoi<br />

STORIA/1<br />

Mio marito salvo<br />

non conta altro<br />

STORIA/2<br />

La privacy<br />

che non esiste<br />

«In una situazione<br />

di sovraffollamento<br />

bisogna adeguarsi,<br />

certo la<br />

percentuale di errore<br />

si alza, quindi<br />

noi medici dobbiamo<br />

fare molta attenzione<br />

e cercare<br />

di dare il meglio di<br />

noi». A dirlo è il dottor Vincenzo Piedimonte,<br />

medico nel reparto di medicina<br />

d’urgenza. Che poi continua: «Il nostro<br />

ospedale è forse il migliore a livello di qualità<br />

assistenziale e ha mezzi tecnici che<br />

altri ospedali non hanno, ma le persone<br />

non devono abusare di tutto ciò. A volte<br />

alcuni pazienti vengono qui anche solo per<br />

un semplice mal di testa o per precauzione,<br />

per questi sintomi ci sono altri enti sanitari<br />

che se ne occupano, noi non vogliamo<br />

mandare via nessuno ma ci affidiamo al<br />

buonsenso del cittadino».<br />

Assunta lavora da<br />

ormai dieci anni,<br />

come infermiera,<br />

all’ospedale<br />

Cardarelli reparto<br />

di medicina d’urgenza<br />

e di queste<br />

emergenze ne ha<br />

viste tante: «Il nostro<br />

lavoro è quello<br />

di cercare di offrire al paziente la miglior<br />

assistenza possibile –ha ribadito Assunta- e<br />

penso che tutte le infermiere di questo<br />

reparto ci riescano nel migliore dei modi.<br />

Non si può nascondere la problematica della<br />

mancanza dei posti, ma bisogna anche dire<br />

che ogni paziente posto sulle barelle nei corridoi<br />

ha la medesima assistenza di quelli che<br />

sono nelle camera, anzi nella maggior parte<br />

delle volte sono anche più tutelati visto le<br />

condizioni precarie in cui si trovano. Noi<br />

inferimere cerchiamo di capire tutte le situazioni<br />

e di fare il possibile».<br />

Incontriamo la signora<br />

Antonella<br />

fuori dal reparto: è<br />

uscita dalla stanza,<br />

dove c’è il marito<br />

ricoverato per un<br />

infarto. Antonella è<br />

uscita per fumare<br />

una sigaretta e<br />

prendere un po’ d’aria.<br />

«Ho sentito molte critiche rivolte a questo<br />

ospedale da parte dei media e della gente. Ho<br />

letto anche che qui si comprano i posti sulle<br />

barelle per passare avanti agli altri ed essere<br />

ricoverati. Io non ci credo tanto, la gente parla<br />

poi la verità è sempre diversa. La mia verità è<br />

quella di una donna entrata nell’ospedale con<br />

il marito malato e uscita con un marito salvo,<br />

per me questo basta per dire che qui si salvano<br />

le vite. Non sempre tutto può essere perfetto,<br />

sento persone che si lamentano per la pulizia<br />

dei bagni o per gli orari di visita, ma secondo<br />

me l’importante è il risulatato finale».<br />

Alfredo, Antonio e<br />

Laura non sono affatto<br />

contenti della<br />

sistemazione riservata<br />

al loro padre.<br />

Il più arrabbiato<br />

sembra Alfredo :<br />

«Non è possibile<br />

essere ricoverati in<br />

queste condizioni:<br />

mio padre è posizionato su una barella in<br />

corridoio molto scomoda. Ha bisogno<br />

almeno di un parente che gli stia vicino e<br />

uno di noi a rotazione rimane qui ed è<br />

costretto a rimanere sveglio tutta la notte.<br />

Non possiamo neanche sederci con una<br />

sedia vicino alla barella perché non c’è spazio.<br />

Ma la cosa peggiore è la privacy, non è<br />

possibile che un uomo della sua età debba<br />

fare pipi davanti ad altre persone che sono<br />

nel corridoio tra cui donne anziane. Io non<br />

voglio attaccare l’ospedale ma sicuramente<br />

c’è qualcosa che non funziona».


10 Domenica<br />

11 marzo 2012


PRIMO PIANO Domenica 11 marzo 2012<br />

Sempre più donne uccidono i loro figli, ma a compiere gli infanticidi sono anche i padri<br />

Tra le cause più frequenti le depressioni post-partum. Negli uomini agisce la vendetta<br />

Bebè, cuore e odio di mamma<br />

11<br />

Madri che uccidono i loro figli. La<br />

sindrome di Medea colpisce le<br />

donne di tutto il mondo, donne<br />

che dopo il parto non accettano<br />

più la loro identità sessuale e di<br />

madre, perdono il contatto con il<br />

passato. Tuttavia a compiere gli<br />

efferati infanticidi o figlicidi sono<br />

anche i padri. Eppure il legame<br />

padre-figlio, ma soprattutto quello<br />

madre-figlio dovrebbe essere sacro,<br />

indissolubile, incondizionato.<br />

Cosa succede allora? Dove si<br />

blocca il meccanismo biologico,<br />

vitale? Ce ne parla la dottoressa<br />

Mara Porcaro, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale.<br />

Come si spiega l’infanticidio?<br />

«Si tratta di momenti di natura<br />

depressiva che le persone vivono;<br />

spesso parliamo di una vera e propria<br />

psicosi che si manifesta dentro<br />

di loro, un’alienazione chiamata in<br />

termini tecnici depersonalizzazione:<br />

la persona depressa il più delle<br />

volte ritiene che la cosa più giusta<br />

da fare sia l’infanticidio, magari per<br />

far risparmiare al figlio una vita<br />

dura. Di solito sono le madri che<br />

commettono questo genere di o-<br />

micidio e solitamente non uccidono<br />

tutti i figli, ma soltanto uno».<br />

Cosa spinge una madre ad uccidere<br />

un figlio? E un padre?<br />

«Intanto bisogna dire che il fenomeno<br />

è molto più frequente nelle<br />

madri. Il più delle volte nelle donne<br />

il motivo dell’infanticidio è la<br />

depressione post-partum di natura<br />

psicotica: ciò che nel preparto viene<br />

vissuto in maniera negativa dalla<br />

madre spesso diventa, dopo la<br />

nascita del piccolo, una vera malattia<br />

psicologica e può innescare<br />

un comportamento di tipo criminale.<br />

La mamma, magari, vede il figlio<br />

deforme e non accetta quella<br />

deformità perché non adeguata al<br />

proprio modo di essere; non riconosce<br />

il bambino come un suo<br />

frutto oppure lo considera la causa<br />

della sua depressione e vuole pertanto<br />

eliminarlo. Nel padre, invece,<br />

si può parlare di ripicca, vendetta<br />

nei confronti della moglie, anche<br />

Nella foto in basso<br />

la psicoterapeuta Mara Porcaro<br />

A destra la tela di Delacroix<br />

esposta al Museo Louvre di Parigi<br />

che raffigura Medea<br />

mentre uccide i suoi figli<br />

se le motivazioni sono disparate.<br />

Ad ogni modo quello che accomuna<br />

l’infanticidio materno con quello<br />

paterno è sicuramente una dissociazione<br />

emotiva, un allontanamento<br />

dalla propria personalità: è<br />

come se la persona si vedesse mentre<br />

compie l’azione».<br />

Spesso questi omicidi avvengono<br />

in piccole realtà, secondo lei<br />

c’è un legame tra piccola realtà e<br />

infanticidio o è un caso?<br />

«Ci potrebbe essere una correlazione<br />

non poco trascurabile. Penso<br />

che ci sia sempre una componente<br />

culturale che incide in queste avvenimenti<br />

perché le depressioni colpiscono<br />

quelle persone che si percepiscono<br />

in un modo differente<br />

rispetto alla realtà culturale, religiosa<br />

e sociale in cui vivono. Le<br />

piccole realtà possono influenzare<br />

maggiormente le ideologie di fondo<br />

di una persona, definite nel settore<br />

cognitivo-comportamentale<br />

convinzioni di base. Quindi il valore<br />

che la persona attribuisce al giudizio<br />

e alla critica dell’altro e l’impatto<br />

che la società e la cultura in<br />

cui vive ha sulla persona, madre o<br />

padre che sia, è molto più forte».<br />

Come giustifica il dilagare del<br />

fenomeno?<br />

«C’è un’ignoranza di fondo tra le<br />

persone. Molti medici di base (attualmente<br />

non esiste la figura dello<br />

psicologo di base che potrebbe tenere<br />

sotto controllo alcune situazioni<br />

di questo tipo) tendono a minimizzare<br />

alcuni sintomi della<br />

depressione post-partum e ritengono<br />

che con una semplice chiacchierata<br />

si possa risolvere il problema<br />

di una donna che manifesta<br />

tristezza, apatia. Bisognerebbe a-<br />

nalizzare il vissuto emotivo interno<br />

di quella madre e vedere se quel<br />

vissuto possa innescare dentro di<br />

lei reazioni pericolose».<br />

Pagina a cura di<br />

MARIA DI NAPOLI<br />

Tra mito e rituale<br />

I casi<br />

Medea<br />

e Isacco<br />

L’uccisione da parte dei genitori dei propri<br />

stessi figli è presente in varie tradizioni<br />

sul piano mitico come su quello rituale.<br />

I casi sono tanti, ma quelli più emblematici<br />

appaiono il sacrificio di Isacco e<br />

quello dei figli di Medea. Nel primo<br />

abbiamo un padre pronto a sacrificare il<br />

proprio figlio unigenito ed amatissimo<br />

quale prova di massima devozione religiosa,<br />

di fede; l’altro, invece, appartenente<br />

ad un testo del teatro greco, mette in<br />

scena una madre che compie l’assassinio<br />

brutale dei propri figli per soddisfare un<br />

mero proposito di vendetta. Una madre,<br />

dunque mostruosa, malata o indegna.<br />

L’istinto materno, secondo ormai la maggior<br />

parte degli studiosi, non esiste e se<br />

esiste non è così determinante in positivo:<br />

storia, mitologia, letteratura e cronaca<br />

ci raccontano infatti nei secoli di<br />

terribili madri assassine. Non solo<br />

Medea, a Sparta le madri gettavano<br />

dalla rupe Tarpea i neonati deformi.<br />

Ancora oggi in Cina, complici le<br />

mamme, si uccidono le figlie eccedenti<br />

il numero legale. Platone suggeriva di<br />

sterminare i figli nati da donne ultraquarantenni<br />

e da padri ultracinquantenni.<br />

Un tempo in Bulgaria - e le madri<br />

non si opponevano - si seppelliva un<br />

piccolo bimbo sotto le fondamenta di<br />

un edificio per propiziare la fortuna<br />

degli abitanti.<br />

Psicologicamente il legame materno è<br />

un legame ambivalente molto forte nelle<br />

due polarità estreme: una madre può<br />

amare e prendersi cura del bambino<br />

oppure può odiarlo fino ad ucciderlo.<br />

Secondo gli studiosi del settore chi uccide<br />

il proprio bambino a volte è una persona<br />

malata, ma sempre più spesso vi è<br />

la prova che si tratta di un uomo o una<br />

donna inadatti a dare la vita, perché<br />

incapaci anche di governare la propria.<br />

E spesso le cause, che non diminuiscono<br />

la responsabilità degli assassini verso il<br />

loro delitto, sono di natura socio-culturale<br />

e morale.<br />

Il ruolo dei media<br />

I giornali<br />

creano<br />

paure<br />

I giornali e i programmi televisivi trattano<br />

le madri assassine come l’ennesimo mostro<br />

da sbattere in prima pagina. Pochi approfondiscono,<br />

si interrogano a fondo sulle<br />

motivazioni di questi gesti estremi, apparentemente<br />

così innaturali. La maggior<br />

parte degli uomini e delle donne che non<br />

hanno avuto figli pensa che l’istinto materno<br />

sia naturale, scontato, anzi, obbligatorio.<br />

Mariti, genitori, suoceri danno per scontato<br />

che la donna che ha appena partorito<br />

stia passando il momento più bello della<br />

propria vita e che riesca per istinto a fare e<br />

dare il meglio. Non è così. Per la maggior<br />

parte delle donne il momento in cui si<br />

mette al mondo un figlio è il momento di<br />

massima stanchezza e fragilità della propria<br />

vita. C’è bisogno intorno di calore, di<br />

comprensione, di aiuto, di affetto, di dialogo.<br />

Gesti e sentimenti a volte completamente<br />

assenti e magari corredati dall’angoscia<br />

di perdere il proprio posto di lavoro<br />

“a causa” della maternità.<br />

E poi i media spesso creano allarmismo<br />

rispetto a queste situazioni e di conseguenza<br />

accade che dagli specialistici vadano<br />

persone che, magari una sola volta,<br />

abbiano pensato di “uccidere” il figlio.<br />

«Quel tipo di pensiero - dice Porcaro - non<br />

è una forma di depressione, è un altro tipo<br />

di disturbo detto ossessivo-compulsivo. La<br />

persona, ad esempio, sogna immagini<br />

macabre in cui uccide il figlio, lo martella,<br />

lo affoga, si spaventa, si allarma e decide di<br />

andare in terapia preso dall’ansia di non<br />

esser una buona madre o un buon padre».<br />

Quel tipo di immagini le vedono tutti, ma<br />

se le persone sane di mente allontanano<br />

quei pensieri e non manifestano alcun tipo<br />

di reazione emotiva, le persone ansiose<br />

catturano quei flash, li fermano e si colpevolizzano.<br />

Quante volte sarà capitato ad<br />

una madre di pensare “è meglio che mio<br />

figlio stia zitto, lo strozzerei per le continue<br />

urla”? La depressione è tutt’altra cosa<br />

rispetto ad un pensiero dettato dalla stanchezza<br />

o da una routine stressante.


12 Domenica 11 marzo 2012 SPECIALE<br />

La legge prevede l’abolizione dei manicomi giudiziari dal primo febbraio 2013<br />

Dietro le sbarre della follia<br />

Sei strutture in Italia con oltre mille internati allontanati dalla società<br />

Edifici fatiscenti, sporcizia, ratti: è la vergogna di un Paese civile<br />

Questo non è un luogo dove la<br />

gente viene per curarsi. Lo dicono<br />

le sbarre alle finestre, i padiglioni<br />

chiusi, gli agenti di polizia che dal<br />

gabbiotto dell’ingresso alle scale ti<br />

chiedono, nemmeno tanto gentilmente,<br />

di andare via. Lo confermano,<br />

inequivocabili, i numeri: 6<br />

medici di base, 6 psichiatri, 2 psicologi,<br />

73 infermieri, contro oltre<br />

100 poliziotti. È l’ospedale psichiatrico<br />

giudiziario di Aversa.<br />

Fotogrammi di una realtà dimenticata<br />

che si scatena oltre i cancelli di<br />

tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari<br />

italiani.<br />

Un deposito per tutti coloro che<br />

creano problemi all’interno della<br />

società. Non scontano una pena,<br />

perché non possono ritenersi<br />

colpevoli dei reati che hanno<br />

commesso, ma vengono rinchiusi<br />

perchè potrebbero reiterare i crimini<br />

che li hanno portati davanti al<br />

giudice. Qui la malattia mentale è<br />

ancora uno stigma, una ferita da<br />

nascondere alla società. Eppure,<br />

oltre agli autori di crimini efferati,<br />

negli Opg italiani c’è anche chi è<br />

finito dentro 25 anni fa per essersi<br />

travestito da donna e aver spaventato<br />

i bambini di una scuola.<br />

Rinchiudere, si sa, è meglio che curare.<br />

La pena qui si chiama misura<br />

di sicurezza, non ha limite massimo<br />

e si sconta tra immondizia,<br />

urina, letti arrugginiti, ratti, stanze<br />

da quattro dove si sta in nove, ed<br />

ancora torture, farmaci usati come<br />

sedativi continui.<br />

Chi entra in un Opg, anche per un<br />

reato risibile, rischia di non uscirne<br />

più. Il meccanismo che si innesca è<br />

quello della stecca: chi potrebbe u-<br />

scire, se non ha una famiglia - e,<br />

spesso, non ce l’ha - dovrebbe essere<br />

curato dalle Asl, come una<br />

qualunque persona con malattie<br />

mentali. Ma le Asl, a volte, non<br />

possono o non vogliono offrire<br />

Emilio Lupo, Psichiatria Democratica<br />

«LA BATTAGLIA<br />

NON È VINTA»<br />

«C’è ancora<br />

il retaggio<br />

del matto pericoloso»<br />

Emilio Lupo, segretario nazionale<br />

di Psichiatria Democratica, l’associazione<br />

fondata nel 1973 da<br />

Franco Basaglia, ritorna con la<br />

mente al 1978: «Quando chiudemmo<br />

i manicomi, ci fu un grande<br />

allarme e molte resistenze<br />

create ad arte intorno alla 180.<br />

Come è possibile in uno Stato di<br />

diritto, nel terzo millennio, accettare<br />

che esistano gli ospedali psichiatrici<br />

giudiziari?».<br />

Segretario Lupo, a che punto<br />

siamo?<br />

Con la legge approvata questo<br />

mese, che ne prevede la chiusura<br />

entro il 2013, si è fatto sicuramente<br />

un grande passo in avanti<br />

ma la battaglia non è ancora<br />

vinta. Certo, che tutti i partiti<br />

abbiano riconosciuto che fosse<br />

una situazione vergognosa è culturalmente<br />

rilevante, ma l’esperienza<br />

dopo la legge Basaglia ci<br />

dice che i processi sono lunghi,<br />

non facili e non scontati. Penso<br />

innanzitutto al fantasma del<br />

matto pericoloso, ancora retaggio<br />

nell’opinione pubblica.<br />

Quali sono i prossimi passi?<br />

Contestualizzarsi in uno scenario<br />

europeo, fare in modo che ci siano<br />

strutture sanitarie e un sistema di<br />

welfare adeguati è uno step fondamentale,<br />

ma la prima cosa da fare<br />

è mettere mano alle perizie psichiatriche,<br />

al concetto di imputabilità<br />

per non arrivare ai numeri a<br />

quattro cifre che si sono raggiunti<br />

in questi anni.<br />

Il processo di regionalizzazione<br />

previsto dalla legge aiuterà<br />

a concentrarsi di più<br />

sulle persone?<br />

Sicuramente. Nelle nuove strutture,<br />

che devono essere piccole e<br />

flessibili, ci dovranno essere operatori<br />

formati, risorse certe per<br />

arrivare al risultato che, con il pas-<br />

“percorsi alternativi” ed allora<br />

rinviano tutto al magistrato che<br />

non fa altro che firmare proroghe<br />

su proroghe.<br />

Ignazio Marino, senatore del Pd, lo<br />

ricorda in Senato prima del voto<br />

che poi darà il via libera all'emendamento<br />

che prevede la chiusura<br />

sare degli anni ci sia sempre meno<br />

bisogno di soluzioni del genere.<br />

Una sorta di case famiglia?<br />

Esatto. I centri che dovranno<br />

accogliere le persone internate<br />

oggi negli ospedali psichiatrici<br />

giudiziari dovranno avere le caratteristiche<br />

delle case famiglia, inserite<br />

nel tessuto sociale, proprio<br />

perché è sbagliato il concetto che<br />

per curare bisogna rinchiudere.<br />

La memoria, come diceva Levi, è<br />

un dovere. Per mettere fine a questa<br />

vergogna, non dobbiamo<br />

dimenticare che migliaia di persone<br />

si sono perse nei manicomi<br />

civili prima e in quelli giudiziari e<br />

ancora oggi, nei campi di identificazione<br />

ed espulsione in cui sono<br />

rinchiuse persone pericolose in<br />

quanto straniere.<br />

degli Opg entro l’1 febbraio 2013.<br />

La situazione degli Opg del resto<br />

non poteva più attendere.<br />

Gli ultimi matti, dimenticati dalla<br />

giustizia e offesi da uno Stato che<br />

ha continuato ad internarli per<br />

trent’anni dopo l’approvazione<br />

della legge 180 che nel 1978 chiuse<br />

i manicomi, usciranno dall’inferno<br />

di Reggio Emilia, Pozzo di Gotto,<br />

Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino,<br />

Castiglione delle Stiviere.<br />

Calerà finalmente il sipario su una<br />

vergogna insopportabile.<br />

«È un primo passo - commenta<br />

Cesare Bondioli, responsabile<br />

nazionale carceri e Opg di<br />

Psichiatria Democratica - ma c’è<br />

ancora da combattere. Il problema<br />

è queste persone sono diventate<br />

degli sconosciuti, si è costruito un<br />

immaginario collettivo per cui<br />

sono diventate mostri: sono matti,<br />

sono delinquenti e vengono da un<br />

ospedale giudiziario. La territorializzazione<br />

è l’unica risposta possibile:<br />

i servizi di salute mentale<br />

dovrebbero essere in grado di<br />

gestirli perché prendersi cura di un<br />

paziente psichiatrico vuol dire<br />

prendersi cura di tutti suoi bisogni,<br />

da quelli legati ai suoi problemi<br />

psichici a quelli assistenziali come<br />

il lavoro e le relazioni sociali.<br />

Senza correre il rischio di trasformare<br />

queste nuove strutture sanitarie<br />

che la legge prevede in piccoli<br />

manicomi, perché, dice Giuseppe<br />

Ortano, psichiatra di Aversa «il<br />

manicomio uno se lo porta in<br />

testa, non è una questione di dove<br />

lo fai, non è l’edificio che ti condiziona.<br />

Se c’è l’idea del malato<br />

come soggetto pericoloso che va<br />

isolato, dovunque lo sistemi sarà<br />

sempre un manicomio. Magari<br />

più bello, più pulito, ma la logica<br />

dominante sarà sempre quella<br />

dell’esclusione e non dell’inclusione».<br />

Iter legislativo<br />

Dal codice<br />

Rocco<br />

ad oggi<br />

“Qual può essere il diritto che si<br />

attribuiscono gli uomini di trucidare<br />

i loro simili?”. Cesare<br />

Beccaria ha scritto Dei delitti e<br />

delle pene nella seconda metà<br />

del ’700, è di quest’anno il decreto<br />

legislativo che <strong>fissa</strong> per il 2013<br />

la chiusura degli Opg.<br />

Il primo manicomio giudiziario<br />

viene aperto a Sant’Eframo, a<br />

Napoli, con un decreto ministeriale<br />

del 1923. Con il codice<br />

Rocco del 1930, il ricovero del<br />

folle reo in queste strutture viene<br />

direttamente disciplinata dal<br />

codice penale: entra così all’interno<br />

del sistema giudiziario il<br />

concetto di pazzia, sinonimo di<br />

“pericolosità sociale”.<br />

In particolare, l’articolo 222 stabilisce<br />

che “nel caso di proscioglimento<br />

per infermità psichica<br />

è sempre ordinato il ricovero<br />

dell’imputato in un manicomio<br />

giudiziario per un<br />

tempo non inferiore a due<br />

anni…”. Nel 1975 viene approvato<br />

il nuovo ordinamento penitenziario<br />

e i manicomi giudiziari<br />

passano a chiamarsi o-<br />

spedali psichiatrici: una riforma<br />

formale, ma che riflette l'idea<br />

che i folli rei debbano essere<br />

curati prima che puniti.<br />

La legge Basaglia del 1978 non si<br />

occupa degli Opg dal punto di<br />

vista legislativo, ma dà il via a un<br />

vivace dibattito culturale, politico<br />

e sociale sulla questione.<br />

Ci sono state diverse sentenze<br />

della Corte Costituzionale negli<br />

anni, ma la più significativa<br />

arriva nel 2003, quando il giudice<br />

relatore Valerio Onida decreta<br />

che «il magistrato possa<br />

adottare, fra le misure che l’ordinamento<br />

prevede, quella che in<br />

concreto appaia idonea a soddisfare<br />

le esigenze di cura e<br />

tutela della persona, da un lato,<br />

di controllo e contenimento della<br />

sua pericolosità sociale dall’altro<br />

lato».<br />

Nel decreto del 2008, si prevede<br />

anzitutto il passaggio di<br />

competenza sugli Opg dall'Amministrazione<br />

penitenziaria<br />

alle Regioni.<br />

La terza e ultima fase, che finalmente<br />

dovrebbe attuarsi grazie<br />

al lavoro della commissione<br />

Marino, prevede entro due anni<br />

dall'entrata in vigore «la restituzione<br />

ad ogni Regione italiana<br />

della quota di internati in Opg,<br />

attraverso programmi terapeutici<br />

e riabilitativi da attuarsi<br />

all’interno della struttura, anche<br />

in preparazione alla dimissione<br />

e all’inserimento nel contesto<br />

sociale di appartenenza».


SPECIALE Domenica 11 marzo 2012<br />

L’associazione Antigone da anni si occupa di monitorare la situazione negli istituti di pena<br />

Non chiamateli ospedali<br />

«L’obiettivo è superare il modello di reclusione e di esclusione sociale»<br />

13<br />

«L’onda lunga della riforma<br />

di Basaglia, che ha portato<br />

alla scomparsa dei manicomi<br />

civili, non è riuscita a<br />

scardinare il sistema degli<br />

Opg e con il tempo è andata<br />

sfumando. Sono stati per<br />

anni nascosti all’opinione<br />

pubblica sotto il nome rassicurante<br />

di ospedali psichiatrici<br />

giudiziari». A parlare è<br />

Dario Stefano Dell’Aquila, il<br />

presidente dell’associazione<br />

Antigone Campania, nata<br />

alla fine degli anni ’80.<br />

Associazione “per i diritti e<br />

le garanzie nel sistema penale”<br />

si occupa di monitorare<br />

la situazione della realtà<br />

carceraria italiana, tramite<br />

un Osservatorio nazionale.<br />

Effettuano visite in tutti gli<br />

istituti penitenziari d’Italia e<br />

annualmente pubblicano il<br />

rapporto sulle condizioni<br />

detentive. A occupare un<br />

posto di rilievo negli studi di<br />

Antigone è anche «la situazione<br />

degli Opg che, dopo i<br />

lavori della commissione<br />

Marino, ormai è sotto gli<br />

occhi di tutti ed è vergognosa<br />

– spiega ancora Dell’Aquila<br />

–. Si può dire che si<br />

tratta di manicomi a tutti gli<br />

effetti; del resto è il codice<br />

penale a definirli manicomi<br />

giudiziari, in cui le condizioni<br />

detentive sono al di sotto<br />

di qualsiasi livello di tolleranza<br />

e umanità».<br />

D’altro canto, fu lo stesso<br />

Franco Basaglia a usare l’espressione<br />

di “letamai infernali”.<br />

Ora con la nuova legge<br />

che impone la chiusura per<br />

il 1 febbraio 2013 degli Opg,<br />

il problema potrebbe avvicinarsi<br />

ad una soluzione. Ma,<br />

come spiega dell’Aquila, «la<br />

questione non è solo la chiusura<br />

di questi posti: non si<br />

tratta solo di chiudere una<br />

scatola, per aprirne tante<br />

altre più piccole. Il problema<br />

è superare il modello di<br />

internamento». Le parole di<br />

Dell’Aquila che ha davvero<br />

varcato quei cancelli ci<br />

fanno toccare con mano la<br />

terribile realtà che affrontano<br />

ogni giorno gli internati<br />

degli ospedali psichiatrici:<br />

«Immagina un luogo<br />

dove c’è un solo bagno, sei<br />

posti letto per cella: questi<br />

internati passano la loro vita<br />

a fumare e litigare l’un con<br />

l’altro. Se ripercorriamo il<br />

racconto di Basaglia sui<br />

manicomi civili, possiamo<br />

riprenderlo per quello che<br />

sono oggi gli Opg: in essi si<br />

perpetuano ancora violenze,<br />

abusi, condizioni inumane e<br />

degradanti. Questo a dimostrazione<br />

che ogni modello<br />

manicomiale non può che<br />

produrre queste condizioni<br />

di disagio e di inumanità».<br />

Pagine a cura di<br />

EMANUELA DE VITA<br />

CARMEN GALZERANO<br />

IMMA SOLIMENO<br />

Il castello dei dimenticati<br />

Violenze e abusi erano all’ordine del giorno<br />

Due aspetti vengono subito alla mente pensando<br />

alla città di Aversa: le mozzarelle, buonissime, e i<br />

pazzi. Già Napoleone, nel suo editto, individuava<br />

il centro casertano come sede adatta ad ospitare<br />

le persone affette da malattie psichiatriche.<br />

La città continua ad obbedire a quell’editto con<br />

l’ospedale psichiatrico giudiziario “Filippo Saporito”,<br />

tra gli Opg più grandi d’Europa. Costruito al<br />

centro della città nel 1876 fu destinato ad ospitare<br />

i “folli rei”, i matti che commettevano un<br />

delitto, e i “rei folli”, quelli che invece impazzivano<br />

in carcere.<br />

AVERSA<br />

Il lavoro della commissione Marino ha svelato la<br />

vergogna di un ospedale che privava gli internati<br />

della propria dignità di persone e ha messo l’acceleratore<br />

sul disegno di legge approvato poche settimane<br />

fa. Violenze e abusi erano all’ordine del<br />

giorno. Tanto che negli ultimi anni il numero dei<br />

suicidi è aumentato notevolmente.<br />

Persino la struttura che era un castello aragonese<br />

mostra le sue carenze: i pochi lavori di restauro<br />

fatti non bastano a mascherare i segni del tempo,<br />

che ci porta inesorabilmente a quegli anni in cui<br />

i manicomi erano una realtà.<br />

NAPOLI<br />

L’inferno nel vecchio monastero<br />

Nel 2008 la chiusura e il trasferimento in un’ala del carcere di Secondigliano<br />

priva i pavimenti e i letti e l’odore di<br />

urina era fortissimo. La struttura<br />

cadeva a pezzi, nonostante già nel<br />

1996 le ripetute ispezioni della Asl<br />

ne avessero fatto notare l’inadeguatezza.<br />

Per questo, il ministero della<br />

Giustizia, sollecitato a intervenire,<br />

ne aveva predisposto la chiusura.<br />

Ma le proteste della polizia penitenziaria<br />

e dei medici fecero abbandonare<br />

l’ipotesi.<br />

Solo nel 2008, in una conferenza<br />

La storia di Nabuc<br />

La rivista<br />

più pazza<br />

del mondo<br />

“Signor dirigente di questo istituto,<br />

faccio presente alla<br />

Signoria Vostra che non sono<br />

né pazzo, né scemo o tantomeno<br />

menomato. Per cui la<br />

prego di non farmi diventare<br />

tale, ma di farmi curare i dolori<br />

alla testa e agli occhi e di non<br />

tenermi insieme a personaggi<br />

pericolosi. Grazie”. Così scrive<br />

un internato nel numero 0 di La<br />

storia di Nabuc, la rivista<br />

dell’Opg di Aversa. È il periodico<br />

più “pazzo” del mondo, che<br />

raccoglie le testimonianze di chi<br />

altrimenti non avrebbe voce.<br />

"Parliamo di Nabucodonosor<br />

(per gli amici, Nabuc), il Re di<br />

Babilonia che impazzì per troppa<br />

superbia, e pazzo rimase per<br />

sette anni. E poi guarì": così, nel<br />

loro sito Internet, i "redattori"<br />

del giornale raccontano chi è il<br />

Nabuc che compare nella loro<br />

testata. “Un'utopia dove utopica<br />

è la comunicazione che si<br />

muove in uno spazio burocraticamente<br />

trasgressivo in cui la<br />

sofferenza è rappresentata<br />

<strong>senza</strong> fronzoli”, si legge in una<br />

nota del sito.<br />

Un vecchio monastero del ’500,<br />

Sant’Eframo è stato la sede dell’ospedale<br />

psichiatrico giudiziario di<br />

Napoli. Avrebbe dovuto essere<br />

un’oasi di pace e tranquillità. Ma le<br />

condizioni in cui hanno vissuto<br />

fino al 2008 circa 100 internati non<br />

erano umanamente accettabili. A<br />

partire dall’as<strong>senza</strong> delle elementari<br />

norme igienico-sanitarie: celle<br />

minuscole in cui erano ammassate<br />

sei persone, dove la sporcizia ricostampa<br />

il sottosegretario con delega<br />

alle carceri Luigi Manconi, visto lo<br />

stato di degrado denunciato da alcune<br />

associazioni, annuncia lo stanziamento<br />

di 300mila euro per i lavori di<br />

ristrutturazione. Ma la magistratura<br />

interviene a sorpresa, stabilendo la<br />

chiusura di Sant’Eframo. Nel marzo<br />

del 2008, internati e personale vengono<br />

trasferiti nel carcere di<br />

Secondigliano, in un blocco detentivo<br />

autonomo.


14 Domenica<br />

11 marzo 2012


‘<br />

SOCIETA Domenica 11 marzo 2012<br />

In Italia si registra un incremento della popolazione straniera nelle carceri<br />

“Papillon” è il progetto di raccolta libri in diverse lingue da destinare a Rebibbia<br />

Detenuti “condannati” a leggere<br />

15<br />

La civiltà, quella autentica, si trova<br />

spesso nelle cose che non si vedono,<br />

che non piacciono.<br />

Nei luoghi remoti, oscuri del vivere,<br />

quelli del dolore, della sofferenza<br />

e delle privazioni. Uno di questi<br />

è il carcere, dove ogni giorno la<br />

parola civiltà deve essere alimentata,<br />

sostenuta, tenuta in vita, con<br />

rigore e perseveranza, da chi vi<br />

opera e da chi è in stato di detenzione.<br />

Una condizione quella dei<br />

reclusi che ha bisogno di essere<br />

rivitalizzata anche dall’esterno:<br />

con l’intervento degli uomini liberi,<br />

che non devono rimanere indifferenti,<br />

come se il carcere fosse<br />

altro da loro, un luogo distante.<br />

A sostegno dei detenuti stranieri,<br />

che in Italia sono circa 17mila<br />

e rappresentano il 30% della<br />

popolazione carceraria, tra cui<br />

marocchini, albanesi, tunisini,<br />

romeni e algerini.<br />

L’Ong – Voci di Popoli del Mondo,<br />

inaugura una raccolta permanente<br />

di libri in lingua straniera da destinare<br />

a tutti i reclusi.<br />

Il progetto, esteso sul territorio<br />

nazionale, prevede la raccolta di<br />

riviste e volumi, principalmente<br />

romanzi, poesie, opere contemporanee<br />

e grammatiche in lingua<br />

originale per lo studio dell’italiano.<br />

La prima donazione è<br />

diretta alla biblioteca centrale di<br />

Rebibbia “Papillon” e si pone l’obiettivo<br />

di fornire i testi principalmente<br />

in ungherese, polacco,<br />

bulgaro, serbo, croato, turco,<br />

spagnolo e portoghese, lingue<br />

maggiormente compatibili con<br />

l’utenza media dei detenuti.<br />

«L’iniziativa – spiega la responsabile<br />

del progetto, Igiea Lanza<br />

di Scalea - creando un contatto<br />

tra donatori e le biblioteche<br />

centrali delle istituzioni penitenziarie,<br />

desidera realizzare<br />

una connessione tra la realtà<br />

carceraria e quella della restante<br />

società “libera”».<br />

I detenuti stranieri sono vittime di<br />

un percorso di esclusione che inizia<br />

prima del carcere, e continua<br />

poi all'interno delle strutture che<br />

dovrebbero riabilitarli. Molti di<br />

essi sono clandestini, <strong>senza</strong> permesso<br />

di soggiorno o colpevoli di<br />

piccoli reati. Devono scontare due,<br />

cinque o dieci anni, ma per loro è<br />

più difficile rispetto a molti italiani,<br />

ottenere il rito alternativo e lo<br />

sconto di pena. Perché sono<br />

immigrati in un Paese straniero. I<br />

più non ricevono visite. Sono condannati<br />

ad un isolamento totale<br />

dalle circostanze.<br />

Abbandonati a sé stessi, dietro le<br />

sbarre, compiono atti di autolesionismo.<br />

Per giustificare le loro azioni<br />

sanno solo rispondere tra l’altro:<br />

«Non riuscivo ad avere alcun contatto<br />

con la famiglia». Spesso,<br />

infatti, in una cella di tre metri per<br />

due convivono più persone, il<br />

tempo non passa mai, è vuoto,<br />

Chi è VPM<br />

Voci popoli del mondo è un’associazione<br />

presente in Africa<br />

da oltre 25 anni con progetti di<br />

cooperazione e sviluppo in<br />

ambito sanitario e agricolo,<br />

sostenuta da istituzioni pubbliche<br />

e private. Ha già realizzato<br />

progetti in Mali, Kenya e<br />

Brasile. Negli ultimi anni,<br />

opera in Corno d'Africa dove<br />

gestisce progetti ospedalieri in<br />

Eritrea, Etiopia e Somalia.<br />

Inoltre, sostiene le aree colpite<br />

recentemente da crisi belliche.<br />

inutile. Non ci sono abbastanza<br />

lavori da assegnare a tutti e così si<br />

finisce per fare i conti con lo<br />

sconforto e con la voglia di morire.<br />

Certo, chi ha sbagliato deve pagare<br />

ma non per questo deve essere<br />

privato di dignità. Poter leggere un<br />

libro nella propria lingua sarebbe<br />

un passo verso l’esistenza civile, da<br />

concedere anche se chi è colpevole<br />

è un immigrato. Il carcere rappresenta<br />

l’altra faccia del salotto<br />

buono, con cui fare i conti fino in<br />

fondo. Ma è pur vero che la civiltà<br />

comprende tutto e tutti, altrimenti<br />

non si potrebbe definire tale. Un<br />

libro può rendere sopportabile,<br />

meno crudele questo luogo. Un<br />

libro in cui la parola civiltà lasci<br />

intravedere, seppure in lontananza,<br />

un disegno di libertà. Si dice<br />

che la lettura nobilita l’animo,<br />

dunque è un peccato negarla a chi<br />

ne sente il bisogno per evadere da<br />

una tremenda realtà.<br />

Pagina a cura di<br />

VALENTINA BELLO<br />

Contatti<br />

La sede “Vpm” dove si<br />

effettuerà il banco raccolta e<br />

smistamento libri, è sito in via<br />

Lugnano di Teverina 9 a Roma.<br />

Per sostenere l’iniziativa contattare<br />

i seguenti referenti<br />

locali: Milano, Simona Galisi<br />

(333 7802316) Roma, Igiea<br />

Lanza (3395778637) Salerno,<br />

Simona Sabato (3402447023)<br />

Co<strong>senza</strong>, Gabriella Occhipinti<br />

(388 6536112) Palermo, Maria<br />

Eugenia Lo Bue (347<br />

2436323)<br />

Igiea Lanza di Scalea è presidente<br />

dell’Ong – Voci di<br />

popoli del mondo, nonché<br />

responsabile del progetto<br />

“Papillon”.<br />

Com’è nata l’iniziativa?<br />

Da sempre abbiamo rivolto<br />

un pensiero ai reclusi stranieri.<br />

Il vissuto detentivo è<br />

oltremodo complesso, se<br />

pensiamo ad un immigrato<br />

lontano dalla famiglia e non<br />

alfabetizzato. La carcerazione,<br />

dunque, diventa una<br />

sfida alla sopravvivenza.<br />

L’idea di raccogliere testi in<br />

lingua straniera è nata da<br />

una precedente esperienza<br />

a Rebibbia, quando nel<br />

discutere con il personale<br />

del carcere, abbiamo appreso<br />

della carenza di libri non<br />

in italiano. Il nostro banco<br />

di raccolta raggruppa volumi<br />

in tutte le lingue, anche<br />

quella magrebina, in questo<br />

caso richiesta specifica<br />

della biblioteca.<br />

Si stanno ottenendo risultati<br />

positivi?<br />

È molto difficile reperire<br />

letture in specifiche lingue,<br />

dunque, stiamo cercando<br />

prevalentemente contatti<br />

con ambasciate, consolati,<br />

centri culturali e accademie.<br />

Ogni stampa recupe-<br />

La responsabile Igiea Lanza<br />

«Immigrati<br />

con dignità»<br />

rata rappresenta per l’associazione<br />

un passo in avanti.<br />

Abbiamo riscontrato un<br />

interesse a doppio senso. In<br />

negativo, dai quanti confiderebbero<br />

nell’espulsione immediata<br />

dei prigionieri stranieri,<br />

ma anche in positivo<br />

grazie alla partnership del<br />

Global university network e<br />

agli sponsor che hanno aderito<br />

al progetto: l’Aiasu, la<br />

casa editrice “Pensa Multi-<br />

Media”, la masseria “La<br />

Madonnina” e i referenti<br />

locali, preziosi volontari,<br />

impegnati ognuno nella<br />

propria area di riferimento.<br />

Le piccole realtà penitenziarie,<br />

infatti, possono avanzare<br />

richieste di pochi volumi<br />

facilmente reperibili.<br />

Come si potrebbe migliorare<br />

la situazione?<br />

Puntando sui mediatori<br />

sociali e culturali, potenziando<br />

i corsi di alfabetizzazione,<br />

i corsi di formazione<br />

professionale e, infine,<br />

educandoci allo scambio<br />

culturale, all’uguaglianza<br />

e al rispetto dei diritti<br />

umani.<br />

In veste di presidente Aiasu<br />

(Associazione internazionale<br />

per le applicazioni<br />

delle scienze Umane) il criminologo<br />

e docente di E-<br />

ducazione degli adulti ed<br />

Educazione permanente<br />

alla facoltà di Lettere e<br />

Filosofia dell’Università della<br />

Calabria, Francesco Bruno,<br />

esprime il suo giudizio<br />

in merito all’iniziativa.<br />

« Il fenomeno della popolazione<br />

detenuta straniera ad<br />

oggi - dice - raggiunge circa<br />

il 40% della realtà carceraria<br />

ed è in crescita continua.<br />

Il cosiddetto trattamento,<br />

già difficilmente<br />

attuabile a fronte delle gravi<br />

condizioni in cui versa il<br />

nostro sistema penitenziario,<br />

diviene ancora più<br />

complesso a fronte di un’utenza<br />

straniera in crescita<br />

continua: nella fattispecie,<br />

da più parti si segnala la<br />

carenza di personale e<br />

ancor più grave, la carenza<br />

di personale multilingua. Il<br />

detenuto straniero, già<br />

“penalizzato” proprio perché<br />

immigrato, si vede<br />

limitato alla fruizione dei<br />

suoi stessi diritti, anche dei<br />

più elementari».<br />

Il criminologo Francesco Bruno<br />

«Poche righe<br />

per evadere»<br />

«Appoggiamo quest’iniziativa<br />

perché nella sua semplicità<br />

riveste comunque un<br />

forte impatto tratta mentale:<br />

un buon libro facilita lo<br />

sviluppo di capacità cognitive,<br />

tecniche, sociali e<br />

pedagogiche – conclude il<br />

dott. Bruno - può agevolare<br />

la persona reclusa ad una<br />

possibile trasformazione<br />

(che può trovarsi allo stadio<br />

iniziale di un possibile cambiamento)<br />

e non ultimo, la<br />

lettura colma i vuoti di un<br />

vissuto detentivo contribuendo<br />

anche ad una strutturazione<br />

morale di chi ne<br />

fosse deficitario».<br />

Francesco Bruno, svolge<br />

un’intensa attività mediatica,<br />

è docente di Criminologia<br />

e di Psicopatologia forense<br />

in varie sedi universitarie.<br />

Attento alle tematiche<br />

politiche, sociali e di formazione,<br />

ripropone la centralità<br />

e la soggettività dell'uomo,<br />

modello che la<br />

società delle nuove tecnologie<br />

sembra ridurre.


16 Domenica 11 marzo 2012 ARTE<br />

La Fondazione Plart festeggia il suo quarto anno di allestimenti e ricerca scientifica<br />

Plastica+arte+tecnologia<br />

Dal plexiglass con la seta per i gioielli, al polipropilene delle bambole e dei vasi<br />

Nel 1860 lo statunitense J.W.<br />

Hyatt scopre la celluloide, primo<br />

materiale plastico usato, in quel<br />

caso, per produrre pellicole<br />

fotografiche e cinematografiche.<br />

La plastica: che meravigliosa<br />

scoperta! Duttile, malleabile, economica<br />

e colorata viene utilizzata,<br />

a partire da quel momento,<br />

per costruire una serie infinita di<br />

oggetti. L’industria di tutti i tipi se<br />

ne appropria come una scoperta<br />

sensazionale: la rivelazione del<br />

secolo. Tanto che anche l’arte<br />

contemporanea ne fa un suo elemento<br />

primario. Anzi, di più: la<br />

assurge ad arte stessa.<br />

Il Plart, a Napoli, (via Martucci,<br />

48), meglio conosciuto come<br />

Museo della plastica, è il luogo di<br />

culto di questo materiale. Grazie<br />

alla felice intuizione di unire arte<br />

e tecnologia, la fondazione Plart è<br />

diventata una vera istituzione nel<br />

settore. Con la collaborazione di<br />

importanti centri di ricerca universitari<br />

(Politecnico di Milano, la<br />

II Università di Napoli e l’Università<br />

di Salerno), il museo si<br />

impegna nella ricerca scientifica e<br />

tecnologica per approdare a<br />

nuovi e sempre più ingegnosi usi<br />

della plastica. Lo scorso 25 gennaio<br />

il museo ha festeggiato i suoi<br />

quattro anni di attività. Sorprendente<br />

per una struttura all’avanguardia<br />

aver raggiunto questo<br />

traguardo così importante, soprattutto<br />

se si pensa agli obiettivi<br />

che si è impegnata a raggiungere.<br />

Alle mostre e esposizioni si aggiungono<br />

le attività didattiche.<br />

Non solo allestimenti, ma anche<br />

scienza, questo il suo punto di<br />

forza. Ma com’è fatto il Plart?<br />

All’ingresso c’è un grande spazio<br />

adibito all’ esposizione di oggetti<br />

delle collezioni storiche di plastica<br />

più conosciute. Entrando in<br />

un'altra sala, una lunga teca di<br />

vetro mostra una serie di oggetti e<br />

opere d’arte in plastica della<br />

Collezione Incutti, secondo percorsi<br />

tematici diversi che si rinnovano<br />

periodicamente. La teca,<br />

oltre a contenere gli oggetti,<br />

diventa anche una sorta di viaggio<br />

culturale e storico del nostro<br />

Paese: una bambola, un telefono,<br />

delle carte, una casetta, un<br />

motorino. Poi, ancora, utensili da<br />

cucina, scarpe, giocattoli, borse,<br />

occhiali e altro.<br />

Formata da leghe polimeriche<br />

(più catene di molecole complesse)<br />

la plastica ha però lo svantaggio<br />

di essere altamente inquinante.<br />

Il Plart, grazie alle<br />

avanzate ricerche, utilizza la bioplastica,<br />

a partire dalla molecola<br />

di Mater-Bi che non ha impatti<br />

distruttivi sull’ambiente. Questo<br />

materiale, dagli usi molteplici e<br />

sorprendenti, è ancora parte integrante<br />

delle nostre vite. Luoghi<br />

come il Plart, che approfondiscono<br />

la ricerca su metodologie<br />

non distruttive e contribuiscono<br />

allo sviluppo tecnologico di<br />

prodotti industriali, meritano<br />

sempre più attenzione e partecipazione.<br />

Pagina a cura di<br />

PIETRO ESPOSITO<br />

ASSUNTA LUTRICUSO<br />

«Far conoscere questa realtà proiettandoci<br />

nel mondo, attraverso l’unicità delle nostre<br />

ricerche». Lo spirito del Plart nelle parole di<br />

Marco Petroni, della Fondazione del<br />

museo. Napoli, la città nuova, a cui però<br />

viene sempre associato il vecchio, delle sue<br />

strutture e della sua arte, ignorando l’avanguardia<br />

e la sperimentazione prepotentemente<br />

presenti. «Il territorio – confessa<br />

Marco Petroni – purtroppo non è molto<br />

attento. Abbiamo circa quarantamila visitatori<br />

l’anno, ma un buon settanta percento di<br />

questi vengono da fuori Regione».<br />

Un disinteresse non giustificato, soprattutto<br />

se si pensa che alla creatività vengono<br />

associate problematiche del quotidiano<br />

particolarmente sentite in Campania, come<br />

il tema della raccolta e del trattamento dei<br />

rifiuti, con progetti che inglobano anche<br />

diversi istituti scolastici.<br />

«Il designer – continua Marco Petroni– è<br />

una figura molto più complessa di quello<br />

che si pensi. Non si tratta di uno “stilista”,<br />

ma il suo compito è quello di interpretare la<br />

realtà e avere la capacità di prefigurare<br />

mondi futuri». E proprio in questo caso, la<br />

tecnologia viene in soccorso all’arte, perché<br />

con la tecnologia si riesce a interpretare la<br />

complessità del tempo.<br />

A sinistra<br />

un modellino<br />

di donna<br />

In basso,a sinistra,<br />

l’opera “Claudia Quinta”,<br />

di Anselm Kiefer<br />

In basso, a destra,<br />

dei giocattoli<br />

Percorso multimediale<br />

Mater-Bi:<br />

dal petrolio<br />

ai girasoli<br />

Nel percorso multimediale, dal<br />

titolo “Da un mare di petrolio a<br />

un campo di girasoli”, viene<br />

spiegata ai visitatori la scoperta<br />

del Mater-Bi e la sua importanza.<br />

Molto divertente per i bambini<br />

perché ricca di colori vivaci<br />

e di suoni accattivanti, la sala<br />

multimediale è un modo per<br />

imparare giocando. Sottili tubi<br />

fluorescenti, non appena ci si<br />

passa di sotto, mostrano filmati<br />

sulla plastica: i suoi inventori e<br />

le sue innovazioni. Il percorso<br />

continua con lampadari e anelli<br />

tiranti che mostrano le varie<br />

molecole che compongono i<br />

diversi materiali plastici.<br />

Calpestando dei rettangoli di<br />

diverso colore viene riprodotto<br />

il suono di alcuni oggetti di uso<br />

comune (ovetto kinder, scotch,<br />

tappo di bottiglia, spazzolino).<br />

Poi, un capannone con all’interno<br />

dei piccoli animaletti ispirati<br />

al film della Disney “Fantasia”,<br />

realizzati da tre studenti della<br />

Dundee University. Gli animaletti<br />

si animano, parlano e<br />

mordono, persino. A concludere<br />

il tour il passaggio su un<br />

finto campo girasoli, circondato<br />

da pareti con delle scritte che<br />

riconducono al concetto di<br />

sostenibilità.<br />

Le opere di Roberto Dalisi, Wanda Romano, Anselm Kiefer e Haim Steinback<br />

Le forme del futuro a Napoli<br />

«Il designer non è un semplice stilista ma un interprete della realtà»<br />

Gli occhi della creatura Plart, però, guardano<br />

in due diverse direzioni. Oltre alla promozione<br />

sul territorio lo sguardo è rivolto<br />

allo scouting sul panorama internazionale.<br />

Ai noti designer campani o italiani, come<br />

Roberto Dalisi, Wanda Romano, Piero<br />

Gilardi e Chiara Scarpitti (in mostra dall’8<br />

marzo con una collezione di gioielli in seta<br />

e plexiglass), si affiancano i nomi di artisti<br />

di fama internazionale, quali Tony Cragg,<br />

Anselm Kiefer e Haim Steinback (con un’esposizione<br />

al Moma di New York). Il museo<br />

è stato dichiarato l’unico “giacimento del<br />

design” del sud Italia e in virtù di questa<br />

eccellenza ha attivato delle collaborazioni<br />

con i più importanti istituti d’Europa, come<br />

la Royal College of Arts di Londra e la<br />

Design Academy di Eindhoven, considerata<br />

il top nel settore.<br />

«Il grande gap da colmare con il resto del<br />

continente – secondo Marco Petroni –<br />

riguarda la preparazione offerta dalle<br />

Università. In altri Paesi gli istituti danno<br />

già gli strumenti per capire il presente,<br />

mentre in Italia, spesso, si conosce tutto del<br />

passato, ma poco delle realtà nuove su cui<br />

bisogna confrontarsi».<br />

Il Plart, comunque, rappresenta una ricchezza<br />

nuova per la città, anche se ha da<br />

poco festeggiato i suoi quattro anni dall’apertura,<br />

che entra in sinergia con la “Napoli<br />

contemporanea” che appartiene anche ad<br />

altre strutture come il Madre, il Pan e il<br />

Nitsch. «L’unione – conclude Petroni –<br />

potrebbe fare la forza. Sono realtà che si<br />

trovano in parti differenti della città, ognuna<br />

con il proprio fascino e le proprie difficoltà,<br />

ma il futuro passa per le reti, le collaborazioni,<br />

magari immaginando anche un<br />

marchio e lanciando un validissimo percorso<br />

turistico».


ARTE<br />

Domenica 11 marzo 2012<br />

Il Macro Testaccio di Roma ospita la mostra del fotografo americano Steve McCurry<br />

Giro del mondo in 200 scatti<br />

Camminando tra gli espositori del<br />

Macro Testaccio di Roma è facile<br />

perdersi. Sembrano tutti uguali e<br />

l’aria che si respira è così ammaliante<br />

da non lasciare spazio alla<br />

ragione e alla consapevolezza di<br />

capire dove si è e cosa si sta facendo.<br />

All’esiguo prezzo di otto euro, il<br />

centro di produzione culturale “La<br />

Pelanda” consente di fare una viaggio<br />

nel mondo. E bastano un paio<br />

d’ore; niente a che vedere con gli<br />

ottanta giorni che impiegano il<br />

londinese Phileas e il suo cameriere<br />

Passepartout nell’avventura di<br />

Jules Verne.<br />

I padiglioni del complesso ottocentesco<br />

dell’ex Mattatoio romano,<br />

dal 3 dicembre al 29 aprile, ospitano<br />

la mostra fotografica di Steve<br />

McCurry. Oltre duecento scatti in<br />

cui l’artista americano pluripremiato<br />

racconta le sfaccettature del<br />

mondo che ha incontrato e con il<br />

quale più volte si è scontrato. I suoi<br />

reportage per “Time”, “Life”, “Newsweek”,<br />

“Geo” e “National Geographic”<br />

hanno reso McCurry famoso<br />

in tutto l’etere e la fotografia<br />

della “Ragazza afghana” -pubblicata<br />

come copertina del “National<br />

Geographic Magazine” nel giugno<br />

del 1985 – gli ha permesso di vincere<br />

nello stesso anno il prestigioso<br />

riconoscimento “World Press Photo”.<br />

McCurry ha detto più di una<br />

volta che «se sai aspettare, le persone<br />

si dimenticano della tua<br />

macchina fotografica e la loro<br />

anima esce allo scoperto». Aspettare.<br />

Lui sì che sa farlo bene.<br />

Basti pensare che ha dovuto<br />

attendere 17 anni prima di rincontrare<br />

la ragazza afghana della<br />

foto, Sharbat Gula, e scattarle<br />

un’altra istantanea. «La sua pelle<br />

è segnata, ora ci sono le rughe,<br />

ma lei è esattamente così straordinaria<br />

come lo era tanti anni fa»<br />

ha detto, dopo averle donato<br />

parte della sua fortuna.<br />

Il viaggio tra le foto di McCurry è<br />

un viaggio attraverso le storie dei<br />

cittadini del mondo. Uomini, donne,<br />

bambini, anziani. Mani, occhi,<br />

naso, petto, gambe, braccia, piedi.<br />

India, Afghanistan, Usa, Giappone,<br />

Filippine, Brasile, Sri Lanka, Nepal,<br />

Yemen, Tibet, Pakistan, Vietnam. I<br />

suo personaggi non sono semplici<br />

soggetti che sono stati fotografati<br />

un certo giorno in un certo luogo.<br />

Sono anime che raccontano storie<br />

e comunicano a chi le vede qual è<br />

la loro idea di posto nel mondo.<br />

Anime, piccole e grandi anime racchiuse<br />

in un clic. Come quella del<br />

piccolo bimbo peruviano in lacrime<br />

che si punta la pistola alle tempie.<br />

Non si conoscono le sue generalità<br />

e su di lui non si sa niente<br />

più di quello che si vede nella foto<br />

di McCurry. Ma la sua voce si sente,<br />

si sente eccome. I suoi occhi<br />

parlano e le lacrime riusciamo a<br />

sentirle. A stento però, perché il<br />

bimbo è timidamente spaventato e<br />

ha paura di attirare l’attenzione di<br />

qualcuno. La pistola è di grosso calibro<br />

e il suo braccino ne sostiene<br />

appena il peso. «Perché – sembra<br />

chiedersi e chiedere il bambino –<br />

perché sta accadendo proprio a<br />

me?». Il piccolo racconta la sua<br />

storia a noi che lo guardiamo, anche<br />

se forse è l’ultima cosa che mai<br />

vorrebbe fare. Le foto di McCurry<br />

sono esposte in alcune cupole che<br />

sovrastano e avvolgono lo spettatore.<br />

La sensazione è che infondano<br />

un senso di immensità e allo<br />

stesso tempo di piccolezza della<br />

natura umana. I colori sono ben<br />

studiati e così anche le sequenze<br />

degli scatti che sembrerebbe seguire<br />

il cursus nascita-morte. Tra<br />

tutte le fotografia, 50 sono state<br />

A destra<br />

Steve McCurry<br />

ha fotografato<br />

la finestra<br />

di un albergo<br />

romano<br />

che si affaccia<br />

sulla Fontana<br />

di Trevi<br />

fatte in Italia: McCurry ha visitato<br />

in lungo e largo il nostro Paese e si<br />

è soffermato soprattutto sulle<br />

bellezze delle città di Venezia e<br />

Roma. La foto che ritrae la finestra<br />

di un albergo sulla fontana di Trevi<br />

è magnetica: tutto in questa istantanea<br />

– luci, cibo, armonia, sole,<br />

bellezza, calore, serenità – sembra<br />

voler raccontare l’Italia e la sua<br />

vera es<strong>senza</strong>.L’Italia <strong>senza</strong> stereotipi.<br />

Steve McCurry dà voce e colore<br />

al suo viaggio attraverso il<br />

mondo. E ha il potere di portar con<br />

se chiunque si soffermi anche solo<br />

un attimo sui suoi meravigliosi<br />

scatti. Regalando la sensazione e<br />

convinzione che ben più importante<br />

dell’arrivo è senz’altro il viaggio.<br />

Il suo, come il nostro.<br />

A sinistra<br />

la brutale<br />

immagine<br />

di un bambino<br />

peruviano<br />

con la pistola<br />

puntata<br />

alla nuca<br />

17<br />

Esposta anche “La ragazza afghana” con cui l’artista ha vinto il World Press Photo<br />

Immagini<br />

che fermano<br />

il tempo<br />

La vita è fatta di immagini. E se<br />

le immagini hanno la fortuna di<br />

essere fotografate, allora prima<br />

o poi vengono alla luce foto che<br />

raccolgono attimi di vita. E attimi<br />

di vita che si raccolgono nelle<br />

foto. A volte basta un momento,<br />

una piccola sequenza di fotogrammi<br />

e può accadere l’inimmaginabile:<br />

un dito fermo e veloce,<br />

spinto dall’animo di chi<br />

vuole catturare istantanee del<br />

mondo, ha il potere di fermare il<br />

tempo. E di ritrarre una persona,<br />

una cosa, un odore, un sapore,<br />

un rumore. Un’imma-gine<br />

cristallizzata che il tempo non<br />

avvilirà né consumerà. So-no<br />

quelle fotografie che non<br />

muoiono mai e, anzi, diventano<br />

storia. Come “Migrant mother”,<br />

l’immagine che Dorothea Lange<br />

scatta nel 1936 e diventa icona<br />

della Grande Depressione. Florence<br />

Owens Thompson, la<br />

donna ritratta nell’istantanea, è<br />

una madre trentaduenne di sette<br />

figli che lavora in un campo di<br />

piselli in California. È un donna<br />

come tante che ha dei figli come<br />

tante e fa un lavoro come tante.<br />

Eppure l’occhio della fotografa<br />

l’ha trasforma nella Donna della<br />

Grande Depressione, simbolo di<br />

un’orgogliosa nazione che deve<br />

e vuole resistere a una crisi mai<br />

vista prima. Nove anni dopo<br />

Alfred Eisenstaedt scatta “The<br />

kiss”: è il 14 agosto del 1945 e un<br />

marinaio bacia un’infermiera.<br />

La guerra è finita e tutti corrono<br />

per le strade inneggiando alla<br />

pace. Un marinaio comincia a<br />

baciare ogni donna che incontra.<br />

L’infermiera Edith Shain è<br />

una delle malcapitate (o fortunate<br />

che dir si voglia) che si trovano<br />

sulla sua via ed è lì con loro<br />

anche la macchina fotogra-fica<br />

di Eisenstaedt. Uno scatto e in<br />

un’attimo la guerra è finita. A<br />

volte poi accade che la gente si<br />

cristallizzi in un’immagine, pur<br />

a tratti rifiutandola e contestandola.<br />

Richard Drew scatta “The<br />

falling man” l’11 settembre del<br />

2001: un uomo si getta dal<br />

World Trade Center perché sceglie<br />

di che morte morire e l’inesorabile<br />

volere delle coincidenze<br />

vuole che il fotografo sia proprio<br />

lì sotto. A vedere la vita che si<br />

toglie la vita.<br />

La fotografia può far soffrire,<br />

commuovere, sorridere, sorprendere,<br />

incantare. “È un’austera<br />

e sfolgorante poesia dal vero”<br />

(Ansel Adams) che è allo stesso<br />

tempo “una pseudo pre<strong>senza</strong><br />

e l’indicazione di un’as<strong>senza</strong>”<br />

(Susan Sontag). Fotografare la<br />

vita che scorre per immagini o<br />

immaginare la vita che scorre per<br />

fotografie. Magari la differenza<br />

alla fine non è poi così tanta.<br />

Pagina a cura di<br />

GIORGIA MENNUNI


18 Domenica 11 marzo 2012 TERRITORIO


TERRITORIO Domenica 11 marzo 2012<br />

Anche l’acquedotto romano nel degrado tra sporcizia e rischio crolli: l’allarme dei cittadini<br />

Una storia di ordinario degrado,<br />

ambientata nel cuore della vecchia<br />

Napoli. Lì dove la cultura è costretta<br />

a rivelare il suo volto ferito, a<br />

causa dell’abbandono, anche la<br />

sicurezza dei cittadini non è più<br />

garantita come diritto.<br />

Accade a via Ponti Rossi, l’arteria<br />

lunga quasi 2,5 chilometri che congiunge<br />

le zone di Capodimonte e<br />

dell’Arenaccia. Un’area nota fin dai<br />

tempi antichi per la fertilità dei<br />

suoi terreni, e per questo destinata<br />

all’agricoltura.<br />

I segni dell’insediamento romano<br />

sono tutt’oggi visibili nel tratto di<br />

acquedotto risalente al I secolo<br />

d.C. da cui la strada prende il<br />

nome. La struttura di epoca claudia,<br />

in tufo e laterizi rossi, è divenuta<br />

il simbolo dell’incuria che<br />

caratterizza l’intero territorio.<br />

I caratteristici archi che dominano<br />

il tratto stradale versano infatti in<br />

un grave stato di decadimento, tra<br />

«Abbiamo le mani<br />

legate».<br />

Così Giuliana Di<br />

Sarno, presidente<br />

del Consiglio municipale<br />

Stella - San<br />

Carlo all’Arena,<br />

spiega i mancati<br />

interventi per la<br />

messa in sicurezza<br />

e la riqualificazione<br />

di via Ponti Rossi. «Il regolamento delle<br />

municipalità varato nel 2005 - spiega Di<br />

Sarno - classifica la strada come principale.<br />

L’esecuzione dei lavori, quindi, è di<br />

competenza del Comune di Napoli».<br />

Le opere rientrano in un progetto C.o.r.<br />

per il quale sono stati stanziati 10 milioni<br />

di euro, ma il finanziamento è stato bloccato<br />

dalla Regione Campania. «Le ditte<br />

aggiudicatarie dell’appalto non ricevono<br />

soldi da 4 anni, per questo i lavori sono<br />

sospesi» prosegue il presidente, che sullo<br />

stato di abbandono dell’acquedotto roma-<br />

Ponti Rossi, crisi nera<br />

Strade dissestate e as<strong>senza</strong> di marciapiedi<br />

Soldi congelati alla Regione, lavori mai finiti<br />

erbacce ed immondizia, con rischi<br />

per la tenuta statica.<br />

A testimoniarlo, la pre<strong>senza</strong> di<br />

alcune impalcature risalenti al<br />

periodo del post-terremoto. La<br />

mano dei vandali ha distrutto<br />

anche le panchine di recente<br />

costruzione: unico segno di<br />

modernità, eccezion fatta per gli<br />

edifici di natura residenziale.<br />

Ma a preoccupare maggiormente è<br />

la viabilità. Una vera e propria<br />

emergenza, quella denunciata dai<br />

residenti: i lavori di manutenzione<br />

e messa in sicurezza della strada,<br />

iniziati un anno fa, non sono mai<br />

stati portati a termine.<br />

I fondi stanziati dalla Comunità<br />

europea, che dovrebbero essere<br />

«SBLOCCARE I FONDI SUBITO»<br />

La preoccupazione<br />

del presidente<br />

della Municipalità<br />

no denuncia un incredibile paradosso.<br />

«Gli archi sono considerati un bene storico<br />

dalla Soprintendenza, ma quest’ultima<br />

si oppone alla rimozione dei sampietrini,<br />

in quanto l’asfalto guasterebbe la coerenza<br />

del territorio» dichiara Di Sarno, che<br />

sottolinea come nessun intervento di<br />

manutenzione è stato previsto in questi<br />

anni, nonostante le pressioni della municipalità,<br />

e le continue denunce di uno<br />

stato d’emergenza che è sotto gli occhi di<br />

tutti. «La Soprintendenza intende tutelare<br />

un bene della comunità: ma come, se l’acquedotto<br />

crolla?».<br />

erogati dalla Regione Campania,<br />

sono infatti congelati nei forzieri di<br />

palazzo Santa Lucia.<br />

Per l’ex acquedotto esiste un progetto<br />

della Soprintendenza, che<br />

prevede lo stanziamento di oltre<br />

un milione di euro per gli interventi<br />

di riqualificazione urbana. Il<br />

ministero ai Beni Culturali, tuttavia,<br />

non ha mai approvato il piano.<br />

Vittime del continuo rimpallo istituzionale,<br />

i cittadini: preoccupati<br />

per l’incolumità propria e dei<br />

rispettivi familiari. Circolare in<br />

auto e soprattutto a piedi è diventato<br />

infatti rischiosissimo. Donne,<br />

anziani e diversamente abili sono<br />

costretti a fare lo slalom tra le macchine<br />

in movimento e quelle in<br />

sosta selvaggia, che occupano<br />

entrambi i lati della strada, vista<br />

anche l’as<strong>senza</strong> di paletti.<br />

I vigili urbani sono assenti, ed il<br />

mancato rifacimento della segnaletica<br />

orizzontale e verticale è causa<br />

di frequenti ingorghi, ma anche di<br />

tragici incidenti, in una zona densamente<br />

abitata, per la pre<strong>senza</strong> di<br />

scuole, palestre e attività commerciali.<br />

Nell’ultimo anno, due passanti<br />

sono stati investiti dagli autobus<br />

in transito: l’ultimo episodio ha<br />

visto coinvolta un’anziana signora,<br />

poco prima di Natale.<br />

Strisce pedonali dipinte e subito<br />

cancellate, pavimentazione dissestata,<br />

totale as<strong>senza</strong> di marciapiedi:<br />

sono questi alcuni tra gli elementi<br />

19<br />

che compongono un quadro d’insicurezza<br />

e degrado inaccettabile.<br />

Ad aggravarlo, paradossalmente,<br />

hanno contribuito i lavori di<br />

manutenzione. Dopo la chiusura<br />

del cantiere, infatti, la sede stradale<br />

non è stata ripulita dal sabbione e<br />

dal pietrisco avanzati.<br />

Le caditoie pluviali, otturate da<br />

anni, non garantiscono un adeguato<br />

sistema di drenaggio: l’acqua<br />

piovana rimane così in superficie e,<br />

mescolandosi alla ghiaia, costituisce<br />

un ulteriore fonte di pericolo<br />

per quanti si muovono a piedi o in<br />

auto.<br />

Tra i cittadini cresce l’esasperazione,<br />

mentre via Ponti Rossi muore<br />

soffocata dalla sporcizia e dall’abbandono.<br />

Pagina a cura di<br />

SIMONE SPISSO<br />

RENATO<br />

«Stop a sosta<br />

selvaggia»<br />

CARLO<br />

«Dove sono<br />

i vigili?»<br />

SALVATORE<br />

« Un inferno<br />

da 40 anni»<br />

IMMACOLATA<br />

«Vogliamo<br />

sicurezza»<br />

GIANLUCA<br />

«Alto rischio<br />

di incidenti»<br />

Renato Cirillo,<br />

vigile del fuoco,<br />

guida la<br />

protesta dei<br />

residenti di<br />

via Ponti Rossi:<br />

«Dopo la<br />

rimozione del<br />

cantiere la situazione<br />

è peggiorata. Non c’è<br />

stato il <strong>fissa</strong>ggio definitivo dei<br />

sampietrini con la pece catramata<br />

- spiega - e i cubetti sono saltati<br />

in diversi tratti. Chiediamo lo<br />

sgombero dalle auto in sosta selvaggia,<br />

e la realizzazione di<br />

nuovi marciapiedi con paletti,<br />

per consentire ai pedoni di circolare<br />

<strong>senza</strong> il rischio di essere investiti,<br />

come purtroppo è già successo».<br />

Manca un servizio di pulizia<br />

stradale: «La spazzatura comune,<br />

ma anche altri rifiuti speciali<br />

giacciono in strada per giorni».<br />

Carlo Ballerino,<br />

imprenditore,<br />

sottolinea<br />

la situazione<br />

di profondo<br />

degrado<br />

in cui versa<br />

l’ex acquedotto<br />

romano di<br />

via Ponti Rossi: «Gli archi necessitano<br />

di un urgente restauro, e<br />

tutta l’area circostante dovrebbe<br />

essere riqualificata. Sulla sommità<br />

della struttura ci sono<br />

erbacce e radici invadenti che<br />

potrebbero determinare crolli.<br />

Inoltre - prosegue - gli archi sono<br />

danneggiati in più punti dai<br />

camion che vi si incastrano<br />

durante il passaggio, poiché<br />

manca la segnaletica stradale e i<br />

vigili urbani sono assenti. L’intera<br />

struttura rischia di crollare.<br />

Servono interventi d’urgenza».<br />

Salvatore<br />

B o e r i o ,<br />

imprenditore,<br />

è uno dei residenti<br />

“storici”<br />

di via Ponti<br />

Rossi: «Abito<br />

qui dal 1971,<br />

ed è sempre<br />

stato un inferno. Gli ingorghi<br />

stradali sono all’ordine del giorno<br />

e l’inquinamento, sia acustico che<br />

ambientale, ha superato i livelli<br />

di guardia». La pre<strong>senza</strong> sulla<br />

sede stradale del sabbione e del<br />

pietrisco, avanzati dopo i lavori<br />

di manutenzione, hanno peggiorato<br />

la viabilità: «La scorsa settimana<br />

ho assistito al ribaltamento<br />

di un’auto. Abbiamo chiesto<br />

alla polizia municipale un maggior<br />

presidio, ma ci hanno risposto<br />

che le auto sono poche e non<br />

hanno i soldi per la benzina».<br />

Immacolata<br />

Sigillo è una<br />

casalinga. La<br />

sua preoccupazione<br />

è rivolta<br />

in primo<br />

luogo alla sicurezza<br />

di anziani<br />

e bambini:<br />

«Non ci sono marciapiedi, e le<br />

macchine sostano su entrambi i<br />

lati della strada. Non abbiamo<br />

neanche una fermata dell’autobus,<br />

per cui siamo costretti a<br />

camminare e ad aspettare l’arrivo<br />

dei pullman in mezzo alla strada.<br />

In questa zona vivono molti<br />

ragazzi e pensionati, c’è un centro<br />

di riabilitazione per disabili, ma<br />

anche scuole e chiese». Quella dei<br />

cittadini è una battaglia di<br />

civiltà: «Non chiediamo abbellimenti<br />

e decorazioni, ci interessa<br />

solo la sicurezza».<br />

Gianluca<br />

Cameretti,<br />

operaio, è padre<br />

di tre<br />

bambini, e vive<br />

quotidianamente<br />

i rischi<br />

per la circolazione<br />

in<br />

via Ponti Rossi: «Il pericolo di<br />

essere investiti dalle auto o dai<br />

camion è altissimo. Infatti prendo<br />

la macchina anche per gli spostamenti<br />

più brevi, come fare la<br />

spesa o accompagnare i miei figli<br />

a scuola. Anche mia moglie è<br />

stata costretta a prendere la<br />

patente, perché attraversare la<br />

strada con la carrozzina era<br />

impossibile. La pavimentazione<br />

in cubetti è sconnessa in molti<br />

punti, ci sono buche molto ampie.<br />

Anche le caditoie della fognatura<br />

sono otturate da anni».


20 Domenica 11 marzo 2012 TERRITORIO<br />

Doris, mago quattordicenne di Marcianise, vincitore del “Concorso Nazionale giovani talenti”, torna su RaiDue<br />

Piccoli trucchi, grandi magie<br />

MARIO PIO CIRILLO<br />

L’enfant prodige intreccia anelli di acciaio e divide una donna in due<br />

Tirar fuori un coniglio da un<br />

cilindro o far levitare una ragazza<br />

non è da tutti. Se poi a<br />

riuscirci è un quattordicenne<br />

con un talento innato per l’illusionismo<br />

e un carisma di tutto<br />

rispetto, allora c’è da strabuzzare<br />

gli occhi. Sì, perché il piccolo<br />

Giuseppe Cicala, ormai balzato<br />

alle cronache come Mr. Mago<br />

Doris, ha già calcato tanti palcoscenici<br />

in pochi anni tanto da<br />

diventare una star acclamata<br />

non solo nella città di Mar-cianise,<br />

dove vive con la sua famiglia,<br />

ma anche oltre i confini<br />

della Campania.<br />

Occhi vispi e timidi, sorriso<br />

contagioso, Giuseppe frequenta<br />

il terzo anno di scuola media<br />

a Marcianise ma, tra i compiti a<br />

casa e il relax familiare, si dedica<br />

assiduamente alla sua passione<br />

per i giochi di prestigio e<br />

l’illusionismo.<br />

«Quando avevo dieci anni –<br />

racconta il piccolo Doris - ho<br />

assistito ad uno spettacolo di<br />

magia in cui era protagonista il<br />

mio attuale maestro Hamadi.<br />

Sono rimasto talmente stupito<br />

dai giochi di magia che ho<br />

espresso ai miei genitori la<br />

voglia di cimentarmi in questa<br />

bellissima arte, o almeno provarci.<br />

E loro sono rimasti entusiasti<br />

dell’idea e non hanno esitato<br />

ad iscrivermi alla scuola di<br />

magia di Hamadi a Napoli».<br />

Seguito e incoraggiato da papà<br />

Michele, Giuseppe ha già collezionato<br />

una serie di vittorie da<br />

quando ha cominciato la sua<br />

avventura nel mondo dell’illusio-<br />

Il piccolo Giuseppe<br />

con il mago Silvan<br />

negli studi televisivi<br />

e sotto, Doris<br />

mostra la targa<br />

della vittoria<br />

allo “Star Sprint”<br />

nismo. L’enfant prodige marcianisano<br />

ha infatti conquistato il<br />

primo posto nell’ edizione 2010<br />

dello “Star Sprint”, il Concorso<br />

nazionale per giovani talenti, a<br />

cui hanno preso parte più di 600<br />

concorrenti provenienti da tutta<br />

Italia. Non contento, nel marzo<br />

2011 ha partecipato ai provini di<br />

“Italia’s got talent” negli studi di<br />

Cinecittà di Canale 5 e, nel mese<br />

successivo, è approdato per la<br />

prima volta alla Rai, nel salotto<br />

di Giancarlo Magalli a “I fatti<br />

vostri”, dove ha conquistato il<br />

plauso di un’autorità del settore<br />

come il mago Silvan. Nel programma<br />

di Rai 2, il piccolo mago<br />

di Marcianise, ha realizzato<br />

infatti alcuni giochi di illusionismo<br />

in un’escalation di stupore,<br />

partendo dal semplice “far sparire”<br />

foulard colorati, all’intreccio<br />

di anelli di acciaio, fino ad arrivare<br />

a uno dei trucchi classici, quello<br />

della donna che “viene divisa<br />

in due” come lui stesso ha spiegato<br />

al conduttore incuriosito.<br />

Magie e trucchi ad altezza di<br />

bambino, ma che stimolano<br />

curiosità e interesse anche negli<br />

adulti.<br />

«Abbiamo dato a Giuseppe tutto<br />

l’appoggio possibile e stiamo<br />

continuando a farlo, anche se<br />

non è facile, per permettergli di<br />

realizzare il suo sogno, che è<br />

quello di diventare un grande<br />

mago» ha affermato il padre,<br />

Michele, che lavora in una ditta<br />

di elettromedistici nella provincia<br />

di Caserta.<br />

Una passione, quella per i giochi<br />

di magia, che ha permesso al<br />

piccolo marcianisano di tirare<br />

fuori pian piano il sogno dal<br />

cassetto per trasformarlo in<br />

realtà, con la semplicità con cui<br />

realizza i suoi trucchi.<br />

Il piccolo prestigiatore ha infatti<br />

bissato il successo del Concorso<br />

“Star Sprint”, aggiudicandosi il<br />

primo posto anche nella finale<br />

dell’edizione 2011. Una mano<br />

nel cilindro, l’altra stretta a quella<br />

della piccola collaboratrice<br />

Maria - che gli fa da “valletta” nei<br />

suoi spettacoli - Giuseppe, nel<br />

tempo libero, pratica nuoto e<br />

divora film d’azione. «Tornerò in<br />

Tv il prossimo 8 marzo - anticipa<br />

- con la seconda partecipazione a<br />

“I Fatti vostri”, sperando di conquistare<br />

tanti altri fans».


SPORT<br />

Domenica 11 marzo 2012<br />

21<br />

A Fuorigrotta vi è un parcheggio sotterraneo mai utilizzato con 2000 posti auto<br />

Il Comune vuole riaprirlo. L’assessore Tommasielli: sarà un vantaggio per la città<br />

C’è da spostare una macchina<br />

Dove sono finiti i soldi pubblici e<br />

perché le infrastrutture non vengono<br />

utilizzate anche se costruite?<br />

E’ il dilemma di ogni italiano che<br />

non se ne capacita e che deve, oggi<br />

ancor di più, stringere la cinghia<br />

per pagare le tasse ( l’equazione<br />

tasse uguale miglioramenti dei<br />

servizi e delle infrastrutture in<br />

Italia non esiste). Ebbene sì, negli<br />

anni addietro si sono costruite<br />

“mostruosità” architettoniche mai<br />

venute alla luce. Le infrastrutture<br />

costruite e mai utilizzate pesano<br />

come la spada di Damocle sulla<br />

collettività (ahi il debito pubblico).<br />

Allora ecco un esempio di tutto<br />

ciò: correva l’anno 1988 e lo<br />

Stadio San Paolo beneficiava di<br />

finanziamenti per la ristrutturazione<br />

non solo dello stesso<br />

impianto, ma, anche per la riqualificazione<br />

della zona circostante.<br />

Fu allora che si decise di costruire<br />

un parcheggio multipiano sotterraneo,<br />

di quasi 2000 posti, per<br />

garantire una viabilità più scorrevole,<br />

facilitare la vita per i residenti<br />

della zona e rendere migliore il<br />

transito delle auto in prossimità<br />

del l’impianto in vista delle partite<br />

della Nazionale italiana e del<br />

Napoli. L’opera, che è costata circa<br />

5 miliardi delle vecchie lire, non è<br />

mai venuta alla luce. A criatura<br />

nun è nata. Anzi moltissimi non<br />

ne sanno nemmeno l’esistenza. Il<br />

progetto prevedeva un parcheggio<br />

sotterraneo: facendo un sopralluogo<br />

si possono notare le colonnine<br />

per il biglietto, i posti auto e<br />

quelli autorità, i passaggi di entrata<br />

e uscita per le auto ma il tutto<br />

non è agibile e non è stato stato<br />

utilizzato neanche per parcheggiare<br />

la moto di topo Gigio.<br />

Quindi abbiamo interpellato l’assessore<br />

allo Sport, Pina Tommasielli,<br />

che ha dato alcune delucidazioni<br />

sulla vicenda. Per quan-<br />

Caos Viabilità<br />

per i cittadini<br />

La situazione dei parcheggi<br />

a Fuorigrotta è insostenibile.<br />

Una giungla invivibile per<br />

chi ci abita. I tifosi vanno<br />

allo stadio<br />

non sapendo<br />

dove parcheggiare<br />

l’auto e finiscono<br />

con il<br />

sostare nei<br />

modi più assurdi.<br />

A farne<br />

le spese sono<br />

i cittadini che<br />

diventano<br />

prigionieri in<br />

casa propria. C’è poi il problema<br />

dei parcheggiatori<br />

abusivi che chiedono dai 5<br />

ai 10 euro per “custodire”<br />

l’auto e 3 euro per il casco.<br />

Addirittura, ora, gli abusivi<br />

parcheggiano i caschi dei<br />

tifosi nelle macchine per poi<br />

ridarli a fine partita. Un vero<br />

e proprio giro di danaro che<br />

va a gonfiare le casse della<br />

Una panoramica<br />

dello Stadio San Paolo<br />

e in basso<br />

l’assessore comunale allo<br />

Sport<br />

Pina Tommasielli<br />

ca-morra,con i vigili che<br />

non possono coprire l’ampia<br />

zona nei dintorni dello<br />

stadio. Ma la situazione<br />

non cambia<br />

negli altri<br />

giorni della<br />

settimana,<br />

con il parcheggio<br />

che<br />

diventa un<br />

miraggio per<br />

coloro che<br />

lavorano<br />

nella zona e<br />

con la viabilità<br />

che ne<br />

risente ogni giorno.<br />

Il parcheggio “dei misteri”<br />

avrebbe risolto la<br />

maggior parte dei problemi<br />

con entrate per il<br />

comune, una viabilità<br />

più scorrevole e meno<br />

disagi per i residenti.<br />

Ma, come succede sempre<br />

in Italia, è lì e rimane<br />

nel dimenticatoio.<br />

Nuovo impianto<br />

o ristrutturazione<br />

Uno stadio nuovo realizzato<br />

in un'area strategica di<br />

Napoli o il San Paolo completamente<br />

rinnovato.<br />

Queste le<br />

due opzioni<br />

per contribuire<br />

ad ammodernare<br />

e<br />

a far disputare<br />

le partite<br />

del Napoli in<br />

un catino di<br />

gioco più accogliente<br />

rispetto<br />

all’ormai fatiscente<br />

San Paolo.<br />

Uno stadio, «per il popolo<br />

e per mezzo del popolocome<br />

dice il sindaco De<br />

Magistris - un tema cosi'<br />

importante deve essere<br />

partecipato e trasparente<br />

nelle procedure».<br />

Dai progetti e dagli incontri<br />

si passa ora «ai fatti» ed<br />

e' un appello che il sindaco<br />

fa «non solo ai politici, ma<br />

Il San Paolo nasce negli anni<br />

’50 da un progetto di Carlo<br />

Cocchia ed era uno stadio<br />

avveniristico per il suo stile<br />

e la sua eleganza.<br />

Nel<br />

1988, prima<br />

dei mondiali<br />

’90 e grazie ai<br />

finanziamenti<br />

statali che<br />

hanno contribuito<br />

all’ammodernamento<br />

degli impianti,<br />

lo stadio fu<br />

ampliato e dotato di una<br />

copertura: il risultato è stato<br />

uno scempio con una struttura<br />

in ferro abominevole.<br />

Tutta colpa del ferro, spiega<br />

Pino Squillante, uno degli<br />

architetti che aveva presentato<br />

il progetto, al Corriere<br />

del Mezzogiorno. Il lavoro<br />

del professionista napoletano<br />

era più elegante ed eco-<br />

to riguarda i parcheggi l’assessore<br />

ha voluto affermare «l’intenzione<br />

del Comune a riqualificare la zona<br />

intera e non solo i parcheggi<br />

facendo notare che i parcheggi<br />

non sono mai stati collaudati nel<br />

lontano ’89 e che la giunta dell’epoca<br />

non ha avuto nessuna intenzione<br />

a far partire l’iniziativa».<br />

Oltretutto, continua la Tommasielli,<br />

«i parcheggi venivano spesso<br />

inondati dalla pioggia e dopo un’<br />

analisi tecnica, fatta quest’anno, si<br />

è avuto anche un raccordo fognario<br />

risolvendo il problema. Essendo<br />

il collaudo scaduto abbiamo<br />

provveduto ad indire un regolare<br />

bando di appalto per assegnarne<br />

un altro, non solo a questa opera,<br />

ma all’intero San Paolo, poiché<br />

<strong>senza</strong> questo collaudo sono in<br />

pericolo anche le partite del<br />

Napoli». La Tommasielli, conclude,<br />

dicendo che «l’intera popolazione<br />

di Fuorigrotta, che oggi<br />

vive come in una giungla, trarrà<br />

benefici dalla riapertura del<br />

parcheggio che potrà in qualche<br />

modo diminuire il fenomeno<br />

dei parcheggiatori abusivi e dei<br />

barboni e drogati che di notte<br />

irrompono nel sotterraneo».<br />

Prendendo in esame questo scempio<br />

vero e proprio, Monti, ha a-<br />

vuto ragione nel non far assegnare<br />

all’Italia le Olimpiadi del 2020.<br />

Non si sa dove siano andati a finire<br />

i soldi spesi per gli impianti<br />

sportivi e visti i precedenti, tra<br />

bustarelle per gli appalti e costruzioni<br />

fantomatiche mai utilizzate,<br />

perché creare un altro flusso di<br />

danaro che avrebbe ingrossato le<br />

tasche di gente <strong>senza</strong> scrupoli?<br />

I RESIDENTI IL FUTURO DELLO STADIO I FINANZIAMENTI NEL ‘90<br />

anche agli imprenditori»<br />

che saranno coinvolti, in<br />

caso di realizzazione di<br />

una nuova struttura,<br />

anche per il<br />

vecchio<br />

Stadio San<br />

Paolo, inaugurato<br />

nel<br />

1959 e che<br />

sara' incluso<br />

nel<br />

bando con<br />

project financing.<br />

Il calcio per<br />

salvarsi<br />

dalla crisi sollecita una<br />

legge che consenta alle<br />

so-cietà, e non ai<br />

Comuni, di costruire gli<br />

stadi.<br />

L’idea di una struttura<br />

moderna, magari a Ponticelli,<br />

è molto suggestiva<br />

e incontra gli interessi di<br />

un’area illusa e delusa<br />

che da vent’anni aspetta<br />

di essere riqualificata.<br />

Pagina a cura di<br />

FRANCESCO GIORDANO<br />

Uno scempio<br />

architettonico<br />

nomico di quello base.<br />

L’azienda appaltatrice revocò<br />

l’incarico. La gara per<br />

la copertura dello stadio fu<br />

vinta sulla<br />

base di un<br />

prezzo a corpo<br />

che escludeva<br />

però il<br />

costo del ferro<br />

che sarebbe<br />

stato conteggiato<br />

a<br />

misura (più<br />

ce n’era più si<br />

guadagnava).<br />

Il progetto di<br />

Squillante pesava circa 2<br />

milioni di chili di ferro,<br />

quello realizzato invece<br />

pesò oltre 8 milioni di chili,<br />

ben quattro volte in più. Fu<br />

così che circa 150 miliardi<br />

di vecchie lire degli italiani<br />

vennero utilizzati per i<br />

mondiali di calcio del 1990<br />

a fronte dei 67 del progetto<br />

Squillante.


22 Domenica<br />

11 marzo 2012 RUBRICHE<br />

“Illuminati collezionisti<br />

e generosi privati<br />

restituiranno<br />

ricordi di aree,<br />

di famiglie,<br />

di materiali<br />

privilegiando<br />

soprattutto le immagini”<br />

I luoghi del sapere<br />

La collana dell’editore “areablu” raccoglie le testimonianze visive,<br />

scritte e orali del territorio campano per vivere passato e futuro<br />

“Luoghi” è il titolo di una collana che<br />

raccoglie le testimonianze visive, scritte<br />

e orali del territorio campano. Essa<br />

nasce da un rapporto tra ricerca e<br />

luogo, tra molteplici e differenti soggetti<br />

impegnati nel comune interesse per<br />

le ricostruzioni culturali.<br />

Sono ormai numerosi anni che l'attenzione<br />

per questo tipo di fonti ha visto l'impegno<br />

di molti studiosi in varie città italiane,<br />

La collana vuole essere un contenitore di<br />

approfondimento che si avvale della disponibilità<br />

di illuminati, collezionisti e<br />

generosi privati per restituire ricordi di<br />

aree, di famiglie, di materiali attraverso le<br />

più varie testimonianze, privilegiando<br />

soprattutto le immagini. Partendo da esse<br />

(incisioni, foto, cartoline, manifesti), conservate<br />

generalmente alla rinfusa, si opera<br />

una divisione per soggetto e una scansione<br />

informatica che permette un utilizzo e una<br />

possibilità di elaborazione <strong>senza</strong> timore<br />

per la conservazione, consentendo un rapporto<br />

di interconnessione molto più libero<br />

e flessibile con i testi relativi. Ser-vendosi;<br />

infatti, di testimonianze di ogni genere<br />

(documenti, libri, cartoline, giornali,<br />

appunti, interviste) vengono individuate<br />

alcune aree sulle quali far convergere i<br />

materiali visivi. Inizia così un lavoro di<br />

volta in volta diverso, perché differenti<br />

sono gli ambiti, le immagini, le domande<br />

alle quali possono rispondere gli "oggetti"<br />

rinvenuti. Identica, però, è la metodologia<br />

che parte dalla necessità di evitare all'oblio<br />

di coprire o disperdere quei piccoli dettagli<br />

che "ci raccontano". II rischio più grande<br />

è la riduzione della memoria con identificazioni<br />

errate o con la perdita di materiali<br />

rappresentati, siano essi soggetti o<br />

oggetti. Ogni intervento sulla memoria<br />

richiede, inoltre, un atto creativo e una<br />

misura, sia che si utilizzi la viva testimonianza<br />

del documento visivo, sia che si<br />

guardi a documenti testuali.<br />

Quando, ai fini di un racconto, si assemblano<br />

in nuove sequenze decontestualizzate,<br />

l'atto creativo riguarda proprio la<br />

concatenazione di significato, nonché i<br />

rimandi e le associazioni che ne scaturiscono.<br />

La misura consiste, invece, nello<br />

scegliere con rispetto una delle possibili<br />

letture dell'immagine, evitando ogni stravolgimento<br />

del dato originario. Selezionare<br />

da fonti eterogenee, allo scopo di<br />

restituire memorie materiali<br />

di ogni genere, esige<br />

un lavoro di interpretazione<br />

a favore del racconto:<br />

un dialogo tra immagine e<br />

testo, dove alternativamente<br />

ora è la prima ad<br />

imporsi perché icona e,<br />

quindi, al testo viene<br />

richiesta una riflessione<br />

successiva, ora è l'immagine<br />

ad assumere un ruolo<br />

didascalico. Dietro questo<br />

intreccio vi è il rapporto<br />

complicato ira immagine e<br />

testo che nel recuperare il<br />

passato guarda al futuro.<br />

a cura di<br />

GIORGIA MENNUNI<br />

Sì alle parole inglese<br />

Ma a modo nostro<br />

Noi italiani siamo particolarmente presuntuosi<br />

soprattutto quando ci atteggiamo a grandi conoscitori<br />

della nostra lingua. Quando siamo convinti<br />

di parlare nel modo corretto, di utilizzare le<br />

parole giuste, di fare un uso aulico e aggraziato<br />

della grammatica è la volta buona che invece<br />

commettiamo gli errori peggiori. E per giunta<br />

non ce ne accorgiamo.<br />

Pensiamo ad esempio a quando usiamo le parole<br />

inglesi e le inglobiamo nel nostro linguaggio.<br />

Computer, film, mouse, floppy disk, weekend.<br />

Ormai sono entrate nel gergo di tutti i giorni e il<br />

loro significato è noto a tutti. È come se fossero<br />

parole italiane eppure, sapendo che così non è, la<br />

tendenza comune è quella di utilizzarle mantenendo<br />

le regole della lingua originale (in questo<br />

caso l’amato-odiato inglese). Cosa sbagliatissima.<br />

Paradossalmente questo errore è più frequente<br />

quando a parlare sono proprio loro: i<br />

dotti, i sapienti, i vanesi conoscitori della lingua e<br />

delle lingue. I computers sono il nostro futuro,<br />

stasera vorrei affittarmi alcuni films, durante i<br />

weekends vado sempre a fare gite fuori porta. La<br />

regola aurea della lingua inglese e che ogni nome<br />

quando è plurale acquisisce una “s” a fine parola.<br />

Tutti lo sanno.<br />

Ma non tutti sanno che la grammatica italiana<br />

vuole che ogni parola da essa utilizzata segua le<br />

regole nostrane e non quelle della lingua originale.<br />

Semplice, logico e anche comprensibile se si<br />

pensa che è vero e più diffuso il contrario. Perché<br />

tutti gli inglesi sanno che, se usano le nostre<br />

parole, devono adeguarle alla propria grammatica.<br />

Loro il sabato sera si mangiano due pizzas a<br />

testa, amano fare colazione con due cappuccinos<br />

o – a seconda dei gusti – due espressos, per non<br />

parlare poi di quante mozzarellas si mangerebbero<br />

se potessero.<br />

È vero in inglese ed è vero in italiano. Però gli<br />

inglesi lo sanno mentre noi un po’ meno. La<br />

grammatica vuole che ogni lingua mantenga<br />

sempre le proprie regole e conservi la dominanza<br />

sulle altre lingue anche quando l’uso comune<br />

vuole che inglobi parole straniere. Una prevaricazione<br />

per alcuni giusta ma per altri spagliata.<br />

Ma così è e bisogna saperlo per non cadere in<br />

gaffe e non apparire come tronfi disconoscitori<br />

dell’italiano.<br />

lavoro<br />

“FareTurismo”<br />

a Salerno<br />

Offrire orientamento alla scelta universitaria e<br />

opportunità di lavoro, ma anche contribuire allo<br />

sviluppo delle politiche turistiche, sono questi gli<br />

obiettivi di “FareTurismo”. L’evento, ideato e organizzato<br />

dalla “Leader sas” di cui è responsabile<br />

Ugo Picarelli, si svolge a Salerno dall’8 al 10<br />

marzo, dalle ore 10 alle 18.<br />

Presso il Complesso di Santa Sofia, sede del salone<br />

espositivo, Istituzioni, Enti, Organizzazioni di<br />

Categoria e Associazioni Professionali, Università<br />

e Scuole di Master illustrano le opportunità<br />

occupazionali. I colloqui di orientamento sono<br />

fatti con i Centri Provinciali per l’Impiego e la rete<br />

Eures. In calendario l’appuntamento con “I<br />

Grandi Viaggi”, “Il Gruppo Digitale” e “Valtur”<br />

per il recruiting del personale che lavorerà nei villaggi<br />

la prossima estate. Ed ancora: i seminari di<br />

aggiornamento professionale; il convegno “Formazione<br />

scolastica, universitaria e professionale<br />

nel turismo”, i colloqui di selezione con i responsabili<br />

delle risorse umane di prestigiose aziende<br />

turistiche e tour operator. Un centinaio le opportunità<br />

di lavoro. Per l’hotellerie occhio puntato<br />

su: vicedirettori, capiricevimento, addetti al ricevimento<br />

e al desk office, governanti, sales manager,<br />

responsabili marketing, night audit, chef,<br />

pasticcieri, capipartita, maitre, camerieri di sala,<br />

barman, manutentori, facchini; per il tour operating<br />

e l’intermediazione: addetti al booking,<br />

responsabili commerciali, promotori, assistenti<br />

turistici, responsabili amministrativi. Prospettive<br />

concrete anche per fotografi ed estetiste. Per informazioni:<br />

www.fareturismo.it/2012


ITALIA/MONDO Domenica 11 marzo 2012<br />

23<br />

Il sì delle istituzioni c’è, manca l’approvazione degli abitanti della Val di Susa<br />

Tav, linea ad alta tensione<br />

Scontri a raffica per i tormentati lavori sulla Torino-Lione: feriti e arresti<br />

Il ministro Cancellieri: il problema è politico e non di ordine pubblico<br />

Luca Abbà è un attivista del movimento<br />

No Tav. Ha 37 anni e il 28<br />

febbraio scorso è caduto da un traliccio<br />

dell'alta tensione durante le<br />

operazioni di allargamento del<br />

cantiere della linea ad Alta Velocità<br />

Torino-Lione, in località Chiomonte.<br />

La caduta è avvenuta a<br />

seguito di una folgorazione per<br />

contatto con i cavi del traliccio. Lo<br />

stesso attivista aveva minacciato di<br />

appendersi ai cavi se il rocciatore<br />

delle forze dell'ordine avesse provato<br />

a trascinarlo giù. Attualmente<br />

resta in coma farmacologico, in<br />

prognosi riservata, pur reagendo<br />

positivamente alle terapie somministrategli.<br />

L'incidente non è bastato<br />

a fermare il crescendo di violenze<br />

e scontri come quelli avvenuti il<br />

giorno dopo fino a tarda sera tra<br />

forze dell'ordine e manifestanti, nei<br />

pressi dello svincolo di Chianocco<br />

sull'A32, Torino Bardonecchia, che<br />

solo dopo tre giorni di occupazione,<br />

è tornata percorribile in entrambe<br />

le direzioni. Decine di feriti:<br />

29 agenti e 8 manifestanti tra cui<br />

anche due volti noti della protesta<br />

Alberto Perino e Nicoletta Dosio.<br />

Cinque i fermati: è il bilancio di un<br />

unica sera di violenze.<br />

Nel frattempo sono attesi altri<br />

momenti di tensione. Sembra quasi<br />

normale aspettare la prossima<br />

puntata della violenta fiction tav,<br />

dopo quelle che ci hanno consegnato<br />

immagini detestabili: la polizia<br />

in tenuta antisommossa che<br />

sfonda la porta a vetri di un bar per<br />

cercare attivisti, giornalisti aggrediti<br />

per aver esercitato il diritto di<br />

cronica, il manifestante che insulta<br />

l'agente della celere il quale non<br />

reagisce alle provocazioni e per<br />

questo riceve un encomio.<br />

C'è poi la storia Gian Carlo Caselli,<br />

procuratore capo della Repubblica<br />

a Torino. Non uno qualunque. Ha<br />

fatto parte della Commissione<br />

stragi nel '91 e da procuratore<br />

della Repubblica di Palermo ha<br />

fatto arrestare criminali del calibro<br />

di Gaspare Spatuzza e Leoluca Bagarella.<br />

Eppure nei giorni scorsi gli<br />

è stato più volte impedito di presentare<br />

il suo libro. Questo perché<br />

alcuni dei No tav (alcuni, cioè una<br />

parte di un movimento che ha<br />

salda consapevolezza di sé e ottime<br />

argomentazione per i suoi<br />

scopi), glielo hanno impedito. Il<br />

tutto perché ha firmato dei provvedimenti<br />

di arresto nei confronti<br />

di alcuni attivisti.<br />

C'è qualcosa di profondamente<br />

sbagliato in questa faccenda della<br />

Tav e si rende necessario comprendere<br />

le ragioni di quella che<br />

ormai è una problematica quasi<br />

quotidiana.<br />

Chi è a favore dell'opera tira in<br />

bal-lo la democrazia, cioè il fatto<br />

che si tratta di un progetto<br />

approvato democraticamente dai<br />

vari consessi rappresentativi<br />

eletti dai cittadini, italiani e piemontesi.<br />

In altre parole il<br />

Parlamento nazionale e il Consiglio<br />

regionale, fanno notare i<br />

promotori dell'opera, registrano<br />

una maggioranza a favore dell'Alta<br />

Velocità; c'è insomma il sì<br />

delle istituzioni, democratiche<br />

appunto. Ci sarebbero poi in<br />

ballo i finanziamenti europei<br />

legati alla costruzione dell'opera.<br />

Ma viene da pensare, sostengono<br />

i No tav, che qualcuno ci abbia<br />

investito denaro e abbia necessità<br />

di rientrare. Tangenti da<br />

ricompensare? Lo ipotizzano i<br />

più cinici.<br />

Democraticamente eletti però sono<br />

anche i rappresentanti della comunità<br />

montana della valle in questione.<br />

L'altra parte, quella che sostiene<br />

che l'accordo Italia-Francia<br />

preveda il consenso delle popolazioni<br />

locali (palesemente inesistente),<br />

e che il trasporto merci di quella<br />

tratta sia pienamente attivo prima<br />

della messa in funzione della<br />

Tav. E' la parte che registra come a<br />

fronte di una capacità di 200 treni<br />

per quella tratta ne circolino solo<br />

70. La questione dell'impatto ambientale<br />

è evidente: tra le altre problematiche,<br />

ricordiamo quella della<br />

pre<strong>senza</strong> di amianto nella zona<br />

interessata dagli scavi.<br />

Il ministro dell'Interno Annamaria<br />

Cancellieri aveva parlato della necessitò<br />

di dialogo sulla questione<br />

Val di Susa e forse il punto è proprio<br />

questo: la Tav deve essere trattata<br />

nuovamente come un problema<br />

politico non di ordine pubblico.<br />

E il fatto che debba esserlo deriva<br />

dalle varie ragioni di cui sopra.<br />

Caro amico<br />

ci lasci<br />

Dal 4 marzo del ’43, al primo<br />

marzo del 2012. Se ne va quasi<br />

chiudendo un cerchio uno dei<br />

più grandi cantautori italiani. Si<br />

è spento a Montreaux, in Svizzera,<br />

per un infarto, alla vigilia<br />

dei suoi 69 anni. Le scorse settimane<br />

era tornato a solcare il<br />

palco dell'Ariston dopo 40 anni,<br />

nella doppia veste di autore e<br />

direttore d’orchestra durante le<br />

esibizioni di Pierdavide Carone,<br />

per cui aveva scritto il brano<br />

“Nanì”. Musicista di formazione<br />

jazz, riscopertosi poi autore dei<br />

testi delle sue canzoni in una<br />

fase matura, suona da clarinettista<br />

e sassofonista, e talvolta da<br />

tastierista. Ha raccontato, attraverso<br />

poesia e suggestioni, Bologna,<br />

con brani indimenticabili<br />

come “Piazza Grande”. Nel 1986<br />

incide un altro grande successo:<br />

“Caruso”, per qualcuno l’ultimo<br />

classico della canzone napoletana,<br />

che Dalla amava moltissimo.<br />

Nel 1990 stupisce ancora, con u-<br />

na canzone di Ron, la filastrocca<br />

“Attenti al lupo”, che diventa uno<br />

dei suoi brani più conosciuti nonostante<br />

la critica storca il naso.<br />

Nel 2010 un concerto insieme<br />

con Francesco De Gregori, a<br />

trent'anni da Banana Republic.<br />

Dopo Slovacchia, Bulgaria e Ungheria anche il nostro Paese dà l’ok<br />

Croazia nell’Ue, Serbia in forse<br />

L’ingresso ufficiale in Europa è previsto per l’estate dell’anno prossimo<br />

Assieme al giorno 29 dovuto all'anno bisestile<br />

in corso, la fine di febbraio ha registrato quest'anno<br />

un'altra circostanza particolare ma di<br />

natura ben diversa, oltre che di rilevanza continentale.<br />

Il 28 febbraio scorso infatti il Senato ha<br />

ratificato il trattato relativo all'adesione della<br />

Repubblica di Croazia all'Unione europea, già<br />

approvato dalla Camera due settimane fa. Il<br />

tutto mentre, dopo duri negoziati, il consiglio<br />

Ue affari generali rendeva nota la decisione di<br />

accordare alla Serbia la possibilità di garantirgli<br />

lo status di Paese candidato.<br />

Per quel che riguarda la Croazia, il processo di<br />

adesione era stato avviato nel giugno del 2004 e<br />

sottoscritto a Bruxelles il 9 dicembre 2011. L'Italia<br />

è stato il quarto stato dopo Slovacchia,<br />

Bulgaria e Ungheria a ratificare e ha garantito<br />

dall'inizio un appoggio pieno. A margine dell'incontro<br />

a Palazzo Chigi con il primo ministro<br />

portoghese Pedro Manuel Passos Coelho,<br />

Monti ha infatti espresso tempestivamente la<br />

sua soddisfazione per l'atto del Senato: «L'Italia<br />

e la Croazia hanno relazioni storiche strette, e<br />

sono molto lieto che il nostro Paese sia tra i<br />

primi a ratificare il trattato», così come il ministro<br />

Terzi che si è detto “particolarmente lieto<br />

che l’impegno congiunto delle Istituzioni abbia<br />

consentito all’Italia di essere il primo Stato fondatore<br />

dell’Unione europea a ratificare il<br />

Trattato di adesione”. L'adesione a pieno titolo è<br />

prevista dal 1 luglio 2013.<br />

E' apparso più stentato invece il cammino della<br />

Serbia che però, in virtù di un più disteso<br />

momento di dialogo tra le autorità di Belgrado<br />

e quelle di Pristina, è riuscita ad ottenere un via<br />

libera al processo che porta all'acquisizione<br />

dello status di Paese candidato. Non c'è però<br />

solo l'ancora scottante questione Kossovo a<br />

mettere i bastoni tra le ruote della Serbia (ricordiamo<br />

che Belgrado non ha ancora riconosciuto<br />

l'indipendenza della regione). La Romania,<br />

infatti, ha opposto una ferma resistenza chiedendo<br />

garanzie per la minoranza romena nel<br />

Paese, anche se il leader serbo, Boris Tadic, ha<br />

fatto sapere che la sua nazione non accetterà<br />

condizioni impossibili e non rinuncerà ai suoi<br />

principi. Senza contare poi la forte componente<br />

nazionalista che ovviamente continua tuttora<br />

ad opporre resistenza. Gli attivisti del partito<br />

radicale serbo Srs hanno già presentato una<br />

petizione anti Ue firmata, secondo gli organizzatori,<br />

da 200 mila persone che e' stata consegnata<br />

al presidente Tadic. “La Ue è una decisione<br />

catastrofica e la via euroatlantica e' un suicidio<br />

per la Serbia” hanno detto fra l'altro i manifestanti.<br />

Senza contare che i vari Mladic, Milosevich<br />

sono ancora considerati eroi nazionali.<br />

Si tratta di una singolare circostanza cronologica<br />

per due Paesi che, loro malgrado, sono spesso<br />

stati costretti a convivere. Erano insieme con<br />

Pagina a cura di<br />

MATTEO MARCELLI<br />

LUCIO DALLA<br />

l'Impero austroungarico e poi nella Repubblica<br />

Socialista Federale di Jugoslavia di Tito alla cui<br />

morte proprio la rivalità tra i due Stati, fece<br />

scoppiare una tra le più terribili guerre europee<br />

dopo la fine del primo conflitto mondiale. Vivevano<br />

insieme a Vukovar teatro di un terribile<br />

assedio da parte dell'esercito serbo e in Bosnia<br />

a Mostar il cui famoso ponte distrutto divenne<br />

il simbolo del conflitto tra i due popoli.<br />

Uno strano destino, che ha visto questi due<br />

stati così vicini e così nemici, ha fatto sì che a-<br />

desso una nuova autorità sovranazionale possa<br />

in futuro rivederli uniti. La speranza è che quest'atto<br />

possa un giorno portare alla ricostruzione<br />

di una convivenza civile libera dallo sciovinismo,<br />

simboleggiata, magari, proprio dal ponte<br />

di Mostar ricostruito di recente.<br />

L’ANGOLO<br />

Va ora in onda: lo “scippo”. Da Frattamaggiore,<br />

con stupore, al mondo, passando per<br />

YouTube. Due “signori” (in auto) rapinano e<br />

malmenano una donna, ma una camera di<br />

sorveglianza li riprende. Nulla di nuovo, a<br />

parte il prepensionamento dello scooter, se<br />

non che a mettere online il filmato è il figlio<br />

della vittima. Napoli far west? Allora via<br />

all’effetto wanted: duemila euro a chi li riconosce.<br />

Si taglia così ogni dubbio: il grande occhio<br />

esiste, e ha visto anche che le avete quasi<br />

prese dalla signora. Pietro Esposito

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