Malati e senza fissa dimora
Numero 57 - Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno
Numero 57 - Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno
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Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno<br />
Direttore Sergio Zavoli<br />
Redazione - Via Ponte Don Melillo, 84084 Fisciano - Salerno<br />
tel. 089.969437 - fax 089.969618 - www.ilgiornalista.unisa.it<br />
email: giornalismo@unisa.it<br />
Sped. Abb. Post. - 70% -<br />
CNS/CBPA Sud/Salerno<br />
Anno VI n. 57 € 0,50 Domenica 11 marzo 2012<br />
Salerno<br />
Al “Catalogo”<br />
festa della cultura<br />
per Carotenuto<br />
FRANCESCO SERRONE<br />
Pagina 3<br />
Museo Plart<br />
Design e tecnologia,<br />
a Napoli la plastica<br />
si trasforma in arte<br />
ESPOSITO e LUTRICUSO<br />
Pagina 16<br />
Steve McCurry<br />
Mostra a Roma:<br />
nascita e morte<br />
in duecento foto<br />
GIORGIA MENNUNI<br />
Pagina 17<br />
A febbraio 2013 si chiuderà l’inquietante pagina degli ospedali psichiatrici giudiziari<br />
<strong>Malati</strong> e <strong>senza</strong> <strong>fissa</strong> <strong>dimora</strong><br />
Oltre mille internati saranno affidati al servizio sanitario regionale<br />
Entro il 1 febbraio 2013 i<br />
sei ospedali psichiatrici<br />
giudiziari italiani dovranno<br />
essere chiusi. Lo stabilisce<br />
il decreto carceri approvato<br />
in Senato lo scorso<br />
25 gennaio. Calerà così<br />
il sipario su una delle pagine<br />
più drammatiche e inumane<br />
della storia del nostro<br />
Paese. Gli oltre mille<br />
internati saranno affidati<br />
ai servizi sanitari regionali<br />
in una logica di territorializzazione.<br />
Ma le associazioni<br />
avvertono: attenzione<br />
a non creare tanti piccoli<br />
manicomi.<br />
DE VITA, GALZERANO<br />
e SOLIMENO<br />
Pagine 12 e 13<br />
Assistenza<br />
Cardarelli:<br />
i ricoverati<br />
vengono<br />
curati<br />
in barella<br />
FUSCO eMASSARI<br />
Pagina 9<br />
Campus, prospettive per 7000 studenti<br />
Unisa, bussola dei giovani<br />
FRANCESCO SERRONE Pagina 2<br />
Inflazione da record<br />
Prezzi impazziti,<br />
dalle stalle alle stelle<br />
Crescono latte, pane,<br />
uova e verdure<br />
Consumi diminuiti<br />
DAVIDE SAVINO<br />
Pagina 6<br />
Raccolta testi per Rebibbia<br />
Leggere in carcere<br />
rende liberi<br />
Progetto Papillon:<br />
educazione<br />
all’uguaglianza<br />
VALENTINA BELLO<br />
Pagina 15<br />
Cosa cambia con la manovra del 2011<br />
Scuole in Campania<br />
lavori in corso<br />
Dal prossimo anno<br />
accorpamenti<br />
e tagli al personale<br />
CAVALIERE e LIGUORI<br />
Pagina 7<br />
A Battipaglia<br />
Nord e Sud<br />
uniti<br />
da Baratta<br />
Sfogliare, misurare e catalogare<br />
le numerose fotografie<br />
della famiglia Baratta è stato<br />
un po’ come restaurare un<br />
grande ciclo di affreschi di<br />
una cittadina della provincia<br />
di Salerno, Battipaglia. La<br />
fotografia come documentazione,<br />
infatti, permette di<br />
spettacolarizzare la storia<br />
contemporanea e di condividerla<br />
con le nuove generazioni:<br />
ai testi è stato richiesto,<br />
in questo particolare studio,<br />
di accompagnare le immagini,<br />
di divenire allargamento<br />
della conoscenza. È su questo<br />
incontro che si stabilisce<br />
la relazione affascinante tra<br />
comunicazione per immagini<br />
e informazione.<br />
Dalla disponibilità di Cecilia<br />
Baratta, proprietaria delle<br />
foto e figlia di Ettore Baratta,<br />
di Savì Marano, genero di<br />
Ettore Baratta e profondo<br />
conoscitore delle attività<br />
imprenditoriali della famiglia,<br />
e di Bianca Rolli Montuori,<br />
autrice di una memoria<br />
degli eventi familiari,<br />
nasce un affresco dell'attività<br />
produttiva meridionale della<br />
prima metà del '900, attraverso<br />
la vita di una delle<br />
prime famiglie di imprenditori<br />
che dal Nord si trasferirono<br />
al Sud e che, con la loro<br />
capacità e dedizione al lavoro,<br />
divennero referenti della<br />
vita di un intera comunità.<br />
PAOLA CAPONE<br />
continua a pagina 5<br />
Ancora negata la cittadinanza ai neonati degli immigrati<br />
L’altra faccia dell’Italia<br />
Infanticidio<br />
Sempre<br />
più donne<br />
uccidono<br />
i figli<br />
MARIA DI NAPOLI<br />
Pagina 11<br />
Reinventarsi un futuro, per<br />
un Paese vuol dire abbattere<br />
gli ostacoli che impediscono<br />
di realizzare il senso di comunità.<br />
Oggi è ancora negata<br />
la cittadinanza ai nati in<br />
Italia da genitori stranieri.<br />
Ma questa contraddizione<br />
sta forse per essere superata.<br />
DE LUCIA e DI CICCO<br />
Pagina 8<br />
San Paolo<br />
Allo stadio<br />
parcheggio<br />
dove<br />
non si sosta<br />
FRANCESCO GIORDANO<br />
Pagina 21<br />
LA VIGNETTA di Dado<br />
IL PUGNO<br />
Lo Stato (e i suoi monopoli) sanno<br />
come tutelarti. Non cantare, sogna<br />
con la schedina in mano. Il ritornello<br />
di Cutugno è un evergreen perfetto<br />
per lo spot del Superenalotto. E chi se<br />
ne frega se è boom di disoccupati e<br />
l’inflazione vola. In maniche di camicia<br />
si pensa a chi dispensare milioncini,<br />
mentre le donne bramano<br />
champagne a tutte le ore, ammiccando<br />
in una vasca da bagno. Suffragettes<br />
della fortuna, per cui è un<br />
azzardo pensare che qualcuno, magari,<br />
si è rovinato sentendosi italiano.<br />
Pietro Esposito
2 Domenica 11 marzo 2012 News CAMPUS<br />
Oltre settemila studenti agli incontri e ai seminari promossi dal Caot<br />
UnisaOrienta, ottavo atto<br />
Obiettivo: creare una sinergia Scuola-Università<br />
unisa news<br />
Pagina a cura di FRANCESCO SERRONE<br />
Il giudizio<br />
Vittoria<br />
incerta<br />
«Visiterò altri atenei<br />
prima di iscrivermi»<br />
Chiara ha diciannove<br />
anni e, assieme<br />
alle sue amiche Vittoria<br />
e Anna, viene<br />
da Sorrento dove<br />
frequenta il liceo linguistico.<br />
Vorrebbe<br />
iscriversi a lingue e<br />
letterature straniere<br />
anche se non ha<br />
ancora deciso dove.<br />
«Oltre al Campus di Fisciano ho già visitato con<br />
la scuola il Suor Orsola Benincasa di Napoli e,<br />
probabilmente andrò ad informarmi sui piani di<br />
studio di altre università campane» dichiara.<br />
E’ rimasta positivamente impressionata dalle<br />
strutture dell’Unisa anche se, probabilmente,<br />
non si iscriverà.<br />
Dello stesso parere ma più possibiliste Vittoria e<br />
Anna che vorrebbero fare Scienze della<br />
Formazione. L’unico appunto che Vittoria<br />
muove è, a suo parere, «il rapporto un po’ freddino<br />
stabilito con i docenti e i tutor durante gli<br />
incontri di orientamento che non ci aiuta nella<br />
scelta dell’università a cui iscriversi». «Vorrei<br />
essere seguita più da vicino per poter essere<br />
sicura di fare la scelta giusta ma mi rendo conto<br />
che non sempre questo è possibile».<br />
Anna ha già preso visione del piano di studi che<br />
ritiene interessante e confacente ai sui interessi e<br />
alle sue aspirazioni e, per questo motivo, tra le<br />
tre è la più probabile candidata a iscriversi per il<br />
prossimo anno.<br />
La scelta dell’Università e del relativo<br />
corso di laurea da seguire<br />
costituisce da sempre uno dei<br />
momenti più difficili nel percorso<br />
d’istruzione di uno studente.<br />
A diciotto-diciannove anni, di<br />
fronte ad una miriade di corsi e di<br />
offerte formative proposte, scegliere<br />
la facoltà che più si addice<br />
alle proprie caratteristiche e aspirazioni<br />
diventa infatti impresa<br />
assai ardua. In caso di scelta sbagliata<br />
alle normali difficoltà che si<br />
incontrano negli Atenei e nei<br />
Campus del Belpaese si aggiunge<br />
il problema di dover studiare<br />
argomenti e discipline poco attinenti<br />
con la professione che si<br />
vorrebbe svolgere. C’è quindi chi<br />
opta per un cambio di corso arrivando<br />
a perdere uno o più anni di<br />
studi. Conseguenza di ciò è un<br />
aumento del numero degli studenti<br />
fuoricorso e un allungamento<br />
dei tempi necessari a prendere<br />
la laurea. Risultato: in Italia ogni<br />
dieci studenti iscritti, quattro<br />
sono fuoricorso. Una percentuale<br />
elevatissima sulla quale così si è<br />
espresso il viceministro al Welfare<br />
Michel Martone: «Dobbiamo dire<br />
ai nostri giovani che se a 28 anni<br />
non sei ancora laureato sei uno<br />
sfigato». Affermazioni che hanno<br />
L’indeciso<br />
Claudio<br />
in dubbio<br />
sollevato una marea di polemiche.<br />
Proprio per fornire un supporto ai<br />
diplomandi dei licei e degli istituti<br />
campani è nata UnisaOrienta, la<br />
serie di incontri e di eventi volti a<br />
far conoscere agli studenti il<br />
Campus di Fisciano. Ogni giorno<br />
per sette giorni più di settemila<br />
alunni, accompagnati da quattrocento<br />
docenti, hanno partecipato<br />
agli incontri ed ai seminari organizzati<br />
da professori universitari e<br />
tutor per approfondire concretamente<br />
la conoscenza degli obiettivi<br />
formativi e degli sbocchi occupazionali<br />
dei corsi di studio offerti<br />
dalle dieci facoltà dell’Ateneo<br />
«Studierò al Campus<br />
medicina o farmacia»<br />
Claudio viene da Napoli<br />
e fa parte di quell’esercito<br />
di diplomandi<br />
ancora indecisi su<br />
quale corso di laurea<br />
frequentare.<br />
«La scelta è tra Medicina<br />
e Farmacia. Preferirei<br />
Medicina ma<br />
voglio prendermi ancora<br />
del tempo per decidere» spiega. «Per me<br />
si tratta della prima università che visito<br />
quindi non posso esprimermi più di tanto<br />
anche se per quello che ho visto mi è sembrata<br />
molto accogliente».<br />
La possibilità di poter effettuare la simulazione<br />
dei test d’ingresso lo ha impressionato<br />
positivamente così come le grandi aule e gli<br />
incontri con i docenti. «Voglio iscrivermi a<br />
un’Università che mi permetta di essere<br />
seguito e non avere disagi ma anche che offra<br />
opportunità ricreative e di svago» specifica.<br />
Come tutti i suoi coetanei Claudio, dunque,<br />
chiede non solo di avere la possibilità di<br />
dedicarsi bene allo studio ma anche di potersi<br />
divertire e fare nuove amicizie. Tutto questo<br />
<strong>senza</strong> perdere tempo prezioso.<br />
«Voglio rimanere il meno possibile sulle<br />
spalle dei miei genitori e inserirmi subito nel<br />
mondo del lavoro. Per questo considero fondamentale<br />
l’organizzazione dei corsi e degli<br />
esami e di poter interagire con i professori»<br />
conclude.<br />
salernitano. Per chi è interessato<br />
v’è anche la possibilità di poter<br />
effettuare una simulazione dei test<br />
d’ingresso per le facoltà a numero<br />
chiuso. Una manifestazione giunta<br />
all’ottava edizione che, a riprova<br />
della sua importanza, ha visto la<br />
pre<strong>senza</strong> di studenti giunti anche<br />
dalla Basilicata e dalla Calabria.<br />
«Se un ragazzo sbaglia la scelta del<br />
corso di laurea è un danno per<br />
tutti» spiega Mariagiovanna<br />
Riitano, direttore del Centro di<br />
Ateneo per l’orientamento e il<br />
tutorato (Caot). «Per questo motivo<br />
- continua - il nostro obiettivo è<br />
stabilire un rapporto sinergico con<br />
le scuole superiori per offrire un’adeguata<br />
offerta informativa ai<br />
ragazzi del quarto e del quinto<br />
anno. Molti di loro sono confusi e<br />
tendono a rimandare la questione<br />
a dopo gli esami. Vogliamo fornire<br />
loro le possibilità per poter effettuare<br />
una scelta mirata il prima<br />
possibile. Abbiamo allestito un<br />
punto informativo per fornire<br />
ulteriori delucidazioni a chiunque<br />
ne faccia richiesta». A partire<br />
dallo scorso anno, mentre gli studenti<br />
partecipano ai seminari,<br />
docenti delle superiori e vertici<br />
dell’università si riuniscono per<br />
ottenere, dichiara Rosalba Normando,<br />
responsabile di UnisaOrienta,<br />
«piena rispondenza tra<br />
mondo della scuola e il nostro<br />
Ateneo». Negli anni precedenti<br />
molti neodiplomati «andavano a<br />
Sogno nel cassetto<br />
Giovanni<br />
soddisfatto<br />
«Mi piace l’ambiente<br />
che ho trovato qui»<br />
Giovanni di Sala Consilina<br />
fa l’istituto industriale<br />
e sogna di<br />
diventare ingegnere. A<br />
quale corso della facoltà<br />
di Ingegneria<br />
vorrebbe iscriversi è<br />
molto vago «non lo so,<br />
forse Ingegneria meccanica<br />
ma può essere<br />
che cambio idea».<br />
Giovanni lancia una frecciatina ai suoi professori<br />
«troppo impegnati nel chiudere i programmi<br />
al più presto che a darci consigli sulla<br />
facoltà più giusta per le nostre attitudini».<br />
Per lui l’opportunità offerta da UnisaOrienta<br />
è stata molto importante. «Sono contento di<br />
essere venuto qui oggi. Ho conosciuto per la<br />
prima volta l’atmosfera che si respira in<br />
un’Università ed è un’atmosfera che mi<br />
piace» dice.<br />
«A differenza dei miei amici voglio proseguire<br />
con gli studi. Sogno di laurearmi entro<br />
i tempi previsti dal corso ma so che per chi<br />
fa ingegneria si tratta di un compito molto<br />
difficile».<br />
Tra i suoi auspici c’è la concreta possibilità di<br />
svolgere «di laboratorio e di stage, anche all’estero<br />
se possibile, per poter meglio apprendere<br />
i trucchi del mestiere» afferma.<br />
Nel caso queste condizioni non dovessero<br />
verificarsi Giovanni è categorico: «cambierei<br />
sicuramente universtà».<br />
studiare fuori regione perché non<br />
sapevano cosa c’è a Salerno».<br />
Un trend che è stato invertito<br />
tanto che ora «abbiamo molti<br />
ragazzi iscritti che provengono<br />
dalle regioni limitrofe» (Basilicata,<br />
Calabria e Puglia). Non a caso,<br />
il Campus di Fisciano ha superato<br />
la soglia dei 40 mila iscritti. Cifre<br />
importanti che sottolineano una<br />
crescita costante nel tempo.<br />
Direttore<br />
Sergio Zavoli<br />
Direttore Responsabile<br />
Giuseppe Blasi<br />
Coordinamento<br />
Mimmo Liguoro<br />
Marco Pellegrini<br />
Redazione<br />
Valentina Bello, Marina Cavaliere,<br />
Mario Pio Cirillo,<br />
Valentina De Lucia, Emanuela<br />
De Vita, Mariarosaria<br />
Di Cicco, Maria Di Napoli,<br />
Pietro Esposito, Alessio Fusco,<br />
Carmen Galzerano,<br />
Francesco Giordano, Elena<br />
Chiara Liguori, Assunta Lutricuso,<br />
Matteo Marcelli, Federica<br />
Massari, Giorgia Mennuni,<br />
Davide Savino, Francesco<br />
Serrone, Imma Solimeno,<br />
Simone Spisso<br />
Le Firme<br />
Giulio Anselmi, Antonio Caprarica,<br />
Ferruccio De Bortoli,<br />
Tullio De Mauro, Aldo Falivena,<br />
Antonio Ghirelli,<br />
Gianni Letta, Arrigo Levi,<br />
Pierluigi Magnaschi, Renato<br />
Mannheimer, Ezio Mauro,<br />
Raffaele Nigro, Mario Pendinelli,<br />
Arrigo Petacco Vanni<br />
Ronsisvalle, Mario Trufelli,<br />
Walter Veltroni<br />
UNIVERSITA<br />
DEGLI STUDI<br />
DI SALERNO<br />
Prof. Raimondo Pasquino<br />
Rettore dell'Università<br />
Prof. Annibale Elia<br />
Direttore del Dipartimento<br />
di Scienze Politiche, Sociali<br />
e della Comunicazione<br />
Prof. Emilio D'Agostino<br />
Presidente del Comitato<br />
Tecnico-Scientifico<br />
della Scuola di Giornalismo<br />
Prof. Luca Cerchiai<br />
Preside della Facoltà<br />
di Lettere e Filosofia<br />
Autorizzazione del Tribunale di Salerno<br />
e del R.O.C. n.14756 del 26.01.2007<br />
Arti Grafiche Boccia di Salerno<br />
telefono: 089. 303311<br />
Distribuzione alle edicole<br />
Agenzia DI CANTO S.p.a. di Vito Di Canto<br />
Località Pezzagrande Zona ind. Eboli<br />
tel.0828. 340927<br />
fax: 0828. 340924<br />
‘
TERZA PAGINA Domenica 11 marzo 2012<br />
La monografia di Massimo Bignardi presentata a Salerno al Catalogo di Lelio Schiavone<br />
Carotenuto, poeta della pittura<br />
3<br />
Ritratti e paesaggi della costiera amalfitana esposti in occasione dei 90 anni del maestro<br />
Nemo propheta in patria, nessuno<br />
è profeta in patria dicevano gli<br />
antichi romani. Un detto che vale<br />
ancora oggi e che si adatta perfettamente<br />
alla parabola artistica del<br />
pittore Mario Carotenuto. Nato<br />
nell’ottobre del ‘22 nel piccolo<br />
comune di Tramonti, situato alle<br />
pendici dei Monti Lattari, Carotenuto<br />
è balzato agli onori della<br />
cronaca locale nel 1956 dopo una<br />
mostra tenuta a Roma che riscosse<br />
grande successo. Prima di allora<br />
il pittore salernitano non solo era<br />
poco conosciuto nei salotti del<br />
capoluogo campano ma era in<br />
aperta polemica con buona parte<br />
dei suoi “colleghi” che si ispiravano<br />
alla scuola napoletana e della<br />
costiera amalfitana. Oggi, a più di<br />
cinquant’anni di distanza da quegli<br />
eventi, Salerno ha voluto onorare<br />
Carotenuto, ora chiamato “il<br />
maestro”, con la cittadinanza onoraria<br />
conferitagli dal sindaco<br />
Vincenzo De Luca il primo aprile<br />
scorso. E alcune tra le sue più belle<br />
opere sono esposte in una mostra<br />
alla galleria Il Catalogo, nella centralissima<br />
via De Luca, dal 17 febbraio<br />
fino al 6 marzo. Ne “I dipinti<br />
del gallerista amico” curiosi e<br />
appassionati d’arte possono ammirare<br />
diciotto rari dipinti (realizzati<br />
tra il ’49 e il ’67) facenti parte<br />
della collezione dell’amico Lelio<br />
Schiavone , titolare e padrone de Il<br />
Catalogo. Il giorno dell’inaugurazione<br />
della mostra si è tenuta<br />
anche la presentazione della<br />
monografia realizzata da Massimo<br />
Bignardi, docente di storia dell’Arte<br />
all’Accademia delle Belle<br />
Arti di Napoli, intitolata Mario<br />
Carotenuto. La pittura come esperienza<br />
del reale (Plectica editrice,<br />
2011). Presentazione che è diventata<br />
l’occasione per “il maestro”,<br />
prossimo a festeggiare il traguardo<br />
dei novant’anni, di rispondere alle<br />
domande e curiosità poste dall’autore,<br />
dai giornalisti Paolo Romano<br />
(Tele-Diocesi) e Francesca Salemme<br />
(Lira Tv), moderatori dell’evento,<br />
e del folto pubblico che ha<br />
riempito la storica galleria d’arte<br />
salernitana.<br />
«La mia pittura molto semplice -<br />
“Ho sempre cercato<br />
di interiorizzare<br />
la realtà<br />
per imprimervi<br />
il mio marchio”<br />
Mario Carotenuto (a sinistra)<br />
con Lelio Schiavone<br />
In basso da sinistra<br />
Francesca Salemme,<br />
Massimo Bignardi,<br />
Mario Carotenuto<br />
e Paolo Romano<br />
spiega Carotenuto - era considerata<br />
un’imitazione delle opere di<br />
Matisse e per questo poco apprezzata<br />
dalle elite locali che preferivano<br />
un altro genere di opere». In<br />
effetti ammirando e rimirando<br />
“Natura morta con candela” si<br />
rimane colpiti dalla semplicità con<br />
la quale Carotenuto è riuscito a<br />
realizzare in maniera così dettagliata<br />
oggetti del vivere quotidiano.<br />
Non solo oggetti e nature<br />
morte (queste ultime, in particolare,<br />
a cui il pittore è molto legato)<br />
ma anche gli splendidi paesaggi<br />
della costiera amalfitana che<br />
hanno fornito l’ispirazione per<br />
opere quali, ad esempio, “Spiaggia<br />
di Minori con cabina gialla”. «Paradossalmente<br />
- prosegue il maestro<br />
- essere conosciuto a Salerno<br />
è stato più difficile che a Roma e<br />
Milano». La grandezza di Carotenuto<br />
è dimostrata anche dai rapporti<br />
intrattenuti con figure di<br />
spicco della scena culturale:<br />
Alfonso Gatto, Filiberto Menna,<br />
Michele Prisco, Domenico Rea,<br />
Vasco Pratolini, Gore Vidal, Mario<br />
Mafai. In alcune delle tele esposte<br />
(«Non ve n’è una che preferisco in<br />
particolare. Sono tutte figli miei»<br />
sottolinea l’autore con un pizzico<br />
d’orgoglio) è possibile ritrovare<br />
un’altra costante della pittura di<br />
Carotenuto: la rappresentazione<br />
di farfalle. Un’abitudine nata nel<br />
’62 dovuta ai molteplici studi compiuti<br />
dal maestro su questi piccoli<br />
insetti, che assurgono a simbolo<br />
della «caducità della vita». A chi<br />
gli chiede dopo tanti anni cosa<br />
pensa del suo percorso e della sua<br />
carriera artistica Carotenuto risponde:<br />
«Ho sempre cercato di<br />
interiorizzare la realtà per poi<br />
imprimervi nelle mie opere, il mio<br />
marchio e la mia impronta. Questo<br />
è il consiglio che darei a un giovane<br />
pittore alle prime armi.<br />
Credo di esserci riuscito». E, visto<br />
il successo ottenuto, è difficile dargli<br />
torto.<br />
Pagina a cura di<br />
FRANCESCO SERRONE<br />
Il gallerista<br />
Idealista<br />
con l’amore<br />
per l’arte<br />
Fin dalla giovane età Lelio Schiavone ha<br />
sempre avuto il pallino per l’arte. Negli anni<br />
’40 avvenne l’incontro con Mario<br />
Carotenuto, dovuto alla comune frequentazione<br />
del Circolo del Cinema. Nacque un<br />
sodalizio, una fraterna amicizia che prosegue<br />
fino ai giorni nostri. Nel ’63 Schiavone,<br />
sostenuto dal leader del Pci Feliciano<br />
Granati fondò la galleria l’Incontro, la prima<br />
a Salerno. L’esperimento fu positivo anche<br />
se ben presto la galleria venne trasferita a<br />
Roma. Nell’autunno del ’68 Schiavone<br />
fondò Il Catalogo e, nel febbraio del ‘69,<br />
organizzò la prima significativa antologica<br />
di dipinti realizzati da Carotenuto (ventennio<br />
1943-1963). Nel corso degli anni vi si<br />
sono tenute mostre e pubblicazioni riguardanti<br />
alcuni tra i più grandi artisti del ‘900.<br />
Salerno è diventata quindi epicentro di<br />
eventi culturali di primo livello. Un percorso<br />
che ha sorpreso lo stesso Schiavone.<br />
«A un certo punto non ci siamo accorti di<br />
quanto grande fosse il numero di cose che<br />
abbiamo fatto, degli amici che abbiamo<br />
visto, delle immagini che abbiamo proposto»<br />
confessa. Certo non sono mancate<br />
anche le difficoltà e «gli infiniti problemi<br />
quotidiani ai quali rispondere per proseguire<br />
nella nostra ostinata attività».<br />
Convinto sostenitore dell’arte figurativa<br />
Schiavone ha sempre cercato di perseguire<br />
l’ideale che l’ha visto prima ragazzo desideroso<br />
di cultura, poi adulto gallerista<br />
dalle scelte oculate e coerenti del suo<br />
modo di vedere. Non sono parole qualunque.<br />
A pronunciarle è lo storico poeta<br />
salernitano Alfonso Gatto col quale<br />
Schiavone intrattenne per anni un rapporto<br />
di stretta collaborazione.<br />
Lo studioso<br />
Testimone<br />
e artefice<br />
della cultura<br />
Laurea in Lettere all’Università degli Studi<br />
di Salerno, specializzazione in Storia<br />
dell’Arte all’Università degli Studi di<br />
Urbino, Massimo Bignardi insegna Storia<br />
dell’Arte all’Accademia delle Belle Arti di<br />
Napoli. Collabora inoltre con le riviste<br />
Critica d’Arte e Artigianato. Autore di<br />
diverse pubblicazioni e organizzatore di<br />
numerose mostre in tutta Italia, Bignardi<br />
conobbe Mario Carotenuto nel ’72. Ritiene<br />
che attualmente il nostro Paese stia vivendo<br />
un «periodo di pochezza culturale che si<br />
rispecchia nell’arte e, quindi, anche nella<br />
pittura». A questa pochezza fa invece da<br />
contraltare l’esperienza artistica di<br />
Carotenuto, definito una sorta di «cronista<br />
del quotidiano che, scavando negli<br />
archivi della memoria, realizza opere in<br />
grado di trasmetterci la storia di un volto,<br />
un paesaggio, una persona». «La sua pittura<br />
colta - scrive nella monografia sul maestro<br />
dove raccoglie i risultati e le osservazioni<br />
di oltre trent’anni di studi - è espressione<br />
di una capacità compositiva attenta a<br />
mettere a registro la plasticità dei corpi o<br />
degli oggetti nello spazio, grazie ad una<br />
gamma di colori spinta sempre alla costruzione<br />
di una luminosità di origine surreale,<br />
con la libertà di un disegno che, fondamentalmente,<br />
resta immediata rivelazione<br />
del pensiero». Carotenuto, conclude<br />
Bignardi, «è stato ed è testimone e artefice<br />
del rinnovamento culturale che ha segnato<br />
la storia salernitana del secondo dopoguerra,<br />
di una città che, come l'ltalia intera,<br />
usciva dal silenzio della guerra e si<br />
avviava verso l'incontro con l'arte europea,<br />
il confronto fra figurazione ed astrazione,<br />
il vento dei movimenti d’oltreoceano».
4 Domenica 11 marzo 2012 PRIMO PIANO<br />
Baratta: una famiglia, un’industria<br />
Una veduta aerea dello stabilimento nel 1933<br />
Angelo Damiano alle Olimpiadi di Tokio del 1964<br />
Linee automatiche per la confezione di barattoli di banda stagnata<br />
Umberto di Savoia tra i dirigenti della fabbrica<br />
Il reparto segheria<br />
“Le Zebrette” con Primo Baratta nel campionato 1933-34<br />
Ingresso dello stabilimento, ora viale Primo Baratta
PRIMO PIANO Domenica 11 marzo 2012<br />
Le immagini raccolte nel volume documentano eventi e vicende<br />
che hanno caratterizzato la Piana del Sele tra gli anni Venti e Cinquanta<br />
La terra promessa di Battipaglia<br />
5<br />
PAOLA CAPONE*<br />
continua dalla prima pagina<br />
Parte essenziale della ricerca<br />
è il lavoro di tesi di laurea<br />
di Anna De Santis che<br />
ha catalogato le foto, recuperato<br />
la memoria della Rolli Montuori,<br />
intervistato le persone che hanno<br />
gravitato attorno alla famiglia<br />
Baratta e riportato ogni cosa nel<br />
suo elaborato di tesi del quale nel<br />
libro Baratta, una famiglia una<br />
industria si avvale. Di grande<br />
interesse è anche la nota di Savì<br />
Marano che chiarisce i diversi<br />
rami d'azienda della famiglia<br />
Baratta e ne fornisce la relativa<br />
documentazione.<br />
Le numerose foto sono in massima<br />
parte stampate su carta in<br />
bianco e nero, di vari formati e<br />
tecniche. Intrecciano vita pubblica<br />
e privata di alcuni componenti<br />
della famiglia in relazione alle<br />
numerose attività da loro svolte,<br />
suffragate da lettere, documenti,<br />
ritagli stampa. Esse sono state<br />
suddivise per temi: il primo capitolo<br />
esamina La Ditta Baratta con<br />
specifica attenzione alla raffigurazione<br />
dei luoghi nei quali si è<br />
sviluppata fattività imprenditoriale.<br />
II secondo capitolo, Ricordi<br />
di famiglia, ripercorre la vita di<br />
Primo, Ettore e il suo nucleo<br />
familiare, nonché dei diversi rami<br />
della famiglia. Il terzo si occupa<br />
delle attività sociali: Il gruppo<br />
sportivo Baratta testimonia l'impegno<br />
degli imprenditori sia in<br />
una squadra di calcio, "Le Zebrette”;<br />
sia nella promozione<br />
ciclistica della Coppa Baratta. Il<br />
quarto capitolo ricorda La visita<br />
del Principe Umberto di Savoia a<br />
Battipaglia. Il quinto è la testimonianza<br />
di Savì Marano sulle numerose<br />
e intrecciate attività imprenditoriali<br />
della Famiglia. L'ultimo<br />
capitolo, Appendici, accoglie<br />
documenti, testi, disegni e<br />
l'intervista al ragioniere Fereoli,<br />
collaboratore amministrativo dei<br />
Baratta.<br />
La fabbrica di Battipaglia con il<br />
grande cancello di accesso, il<br />
viale, la ciminiera, le boulles, i<br />
magazzini e la loro distruzione<br />
dopo i bombardamenti del 1943,<br />
e una foto aerea del 1950 che ne<br />
testimonia la faticosa rinascita,<br />
sono solo una parte dei numerosi<br />
ricordi visivi presenti nei materiali<br />
schedati. Le foto, infatti, occupano<br />
tutti gli spazi che un tempo<br />
erano consegnati ai libri di famiglia<br />
e ai racconti orali e diventano<br />
il punto di partenza sul quale ogni<br />
altra forma di memoria converge.<br />
É guardando le foto che si raccontano<br />
le storie e si ricordano luoghi<br />
e persone collegandole nella memoria.<br />
In questo caso, esse hanno<br />
un valore testimoniale essenziale,<br />
perché quasi ogni cosa non esiste<br />
più e, ciò che resta, versa in uno<br />
stato di abbandono "esemplare": Il<br />
ricordo fotografico familiare si<br />
intreccia col ricordo collettivo: la<br />
Grande Guerra passa come una<br />
falciatrice su Battipaglia e proprio<br />
la posizione geografica che ne<br />
aveva fatto un nodo stradale e ferroviario<br />
importantissimo nel<br />
Mezzogiorno, diventa fattore di<br />
pericolo. Le truppe tedesche, infatti,<br />
cominciano a bombardare la<br />
città il 21 Gennaio del 1943 per<br />
terminare il 14 Settembre, sei<br />
giorni dopo l'annuncio di Badoglio<br />
dell'armistizio dell'Italia con<br />
gli anglo-americani.<br />
Ancora la fabbrica fa da sfondo<br />
alla visita privata che nel '33<br />
Umberto di Savoia effettuò a<br />
Battipaglia: nelle foto, oltre alla<br />
firma del Principe e al gruppo<br />
dirigenziale che lo accompagna in<br />
visita, è ben evidente l'as<strong>senza</strong> di<br />
Primo e Paolo ad un evento così<br />
importante, testimonianza del<br />
dissenso politico e culturale che la<br />
famiglia manifestava nei confronti<br />
del fascismo. Si racconta che i<br />
Baratta si presentassero d'abitudine<br />
con un fazzoletto rosso al collo<br />
al tavolo del ristorante "Treglia”;<br />
di fronte alla stazione ferroviaria<br />
di Battipaglia, dove pranzavano<br />
quasi ogni domenica, e che le<br />
autorità del fascio locale, per questo<br />
vistoso segno, provassero<br />
fastidio al punto da organizzare<br />
una sortita contro la famiglia.<br />
Messi sull'avviso, i Baratta, nel<br />
giorno stabilito, attesero in fabbrica<br />
l'arrivo del drappello punitivo,<br />
comandato dal Barone Nino<br />
Negri di Spiano. Il gruppo si presentò<br />
al viale di ingresso dello<br />
Stabilimento, ma trovò i cancelli<br />
ben serrati. Al loro schiamazzo,<br />
alcuni dipendenti apparvero, al di<br />
là delle grate, tenendo bene in<br />
vista lucidi fucili da caccia che,<br />
più eloquentemente di ogni parola,<br />
costrinsero i male intenzionati<br />
a tornare sui propri passi. La<br />
famiglia abitava all'interno della<br />
fabbrica nella "Casa rossa”; miracolosamente<br />
salvatasi dai bombardamenti,<br />
presente in molte<br />
foto. Nel '33 Ettore fece costruire<br />
per sé una villa della quale esistono<br />
numerose raffigurazioni che<br />
restituiscono l'idea ispiratrice dell'edificio<br />
come luogo della famiglia,<br />
della vita privata e dei suoi<br />
eventi, oggi di proprietà di Cecilia.<br />
Degli stessi anni sono le foto<br />
del coinvolgimento degli imprenditori<br />
nell'attività sportiva calcistica<br />
con l'iniziale sistemazione<br />
del campo da gioco intitolato dal<br />
Comune "Littorio"; in località<br />
Pozzesa, con tribunetta centrale<br />
di legno e spogliatoi muniti d'acqua<br />
fredda, quasi in aperta campagna.<br />
La squadra dei Baratta,<br />
Donne<br />
e uomini<br />
straordinari<br />
protagonisti<br />
della crescita<br />
economica<br />
sportiva<br />
e culturale<br />
affiancati nella dirigenza da<br />
Gaetano Jemma, da Oscar Pastore<br />
e da Armando Rolli, conquistò<br />
subito il titolo di<br />
Campania, Molise e Lucania e<br />
sfiorò, nella doppia finale contro<br />
l’Alcamo, la promozione nella<br />
categoria superiore.<br />
La storia delle attività calcistiche<br />
di Battipaglia rappresenta lo<br />
spaccato di un periodo storico<br />
caratterizzato oltre che da<br />
profondi sconvolgimenti politico-sociali<br />
anche da un imponente<br />
fervore sportivo. Nello stesso<br />
anno della fondazione del<br />
Comune, nacque anche l'U.S.<br />
Battipagliese e, quindi, un ulteriore<br />
esempio di come la storia<br />
del massimo sodalizio calcistico<br />
della Piana abbia marciato insieme<br />
con lo sviluppo della città.<br />
Come è avvenuto in molti<br />
Comuni, il distacco dalle più<br />
grandi istituzioni di appartenenza,<br />
per sopraggiunte condizioni<br />
economiche e sociali fu la molla<br />
che, accanto all'autonomia politica<br />
raggiunta, fece nascere il desiderio<br />
di mostrare la propria nuova<br />
condizione attraverso le forme<br />
dello sport più facilmente accessibili<br />
alla comprensione popolare:<br />
il calcio e il ciclismo. In questo<br />
ambito i Baratta dettero vita al<br />
Gruppo Sportivo Baratta che unificò<br />
i campi del loro impegno<br />
nello sport. È del 1935 anche l'istituzione<br />
della Coppa Baratta,<br />
una gara ciclistica della quale<br />
sono presenti, tra le foto di<br />
Cecilia Baratta, numerosi esemplari,<br />
che confermano l'importanza<br />
di questi materiali privati<br />
per rivivere anche aspetti sociali<br />
più ampi: la "Topolino" con la<br />
pubblicità delle testate giornalistiche,<br />
il raduno dei partecipanti,<br />
In alto,<br />
dipendenti della fabbrica<br />
con Ettore Baratta<br />
a lato<br />
il reparto<br />
controllo qualità<br />
il passaggio dei corridori nel<br />
corso del paese, il traguardo con<br />
il camion dotato di megafono, il<br />
trionfo del vincitore sono, infatti,<br />
le immagini bloccate dall'obbiettivo<br />
dalle quali guardare ad una<br />
intera società. É una umanità al<br />
maschile quella che appare in<br />
queste immagini: sono uomini i<br />
protagonisti, uomini il pubblico<br />
che vuole riconoscersi negli atleti<br />
sia sulla tribuna del campo di calcio,<br />
sia ai bordi della strada dove<br />
passano i ciclisti; ad essi è affidata<br />
la continuità narrativa degli eventi,<br />
nella singolarità dei protagonisti<br />
e nella pre<strong>senza</strong> indistinta nel<br />
gruppo.<br />
Le figurazioni femminili dispongono<br />
ad un'analisi del ceto<br />
operaio e di quello borghese: il<br />
primo è rappresentato al lavoro,<br />
con l'identica connotazione di un<br />
fazzoletto bianco nei capelli, e<br />
testimonia la conquista di un<br />
ruolo che prima la donna non<br />
aveva; infatti, il suo lavoro, fino<br />
allora confinato soprattutto entro<br />
la sfera domestica, tende ad emergere<br />
e ad essere visibile anche<br />
all'esterno. Le storie sono, però,<br />
sconosciute nelle individualità di<br />
ciascuna ed anche poco note e<br />
poco indagate come moltitudine e<br />
coralità femminile. Differente è la<br />
rappresentazione delle donne<br />
borghesi, puntuale nella raffigurazione<br />
e nella appartenenza familiare:<br />
ciò, ad un primo impatto,<br />
potrebbe far pensare ad un ruolo<br />
femminile più consapevole ma,<br />
analizzando le sedi nelle quali<br />
esse appaiono, familiari, ludiche o<br />
conviviali, le immagini rimandano<br />
solo al loro ruolo di moglie,<br />
madre, figlia, sorella e la pre<strong>senza</strong><br />
serve a sottolineare la forza sociale<br />
dell'uomo.<br />
Dal capostipite della famiglia,<br />
Paolo, e da Laura Del Grosso nacquero<br />
sei figli: di Primo e, soprattutto,<br />
di Ettore numerose sono le<br />
testimonianze fotografiche e sulla<br />
stampa locale dell'epoca. Per gli<br />
altri, solo qualche immagine<br />
accompagna la loro pre<strong>senza</strong> in<br />
questo lavoro. Le foto della famiglia<br />
di Ettore Baratta, padre di<br />
Cecilia, "formano il quadro della<br />
vita domestica": il matrimonio, lo<br />
svilupparsi della famiglia con la<br />
nascita delle cinque figlie, la loro<br />
crescita, i matrimoni, le vacanze<br />
alle terme e al mare, le feste nella<br />
casa e nei luoghi simbolo della<br />
società, gli amici e le occasioni da<br />
ricordare.<br />
Ricostruire la storia dei Baratta<br />
attraverso le immagini autoprodotte<br />
non è solo tracciare le origini<br />
della famiglia, ma è anche sottolineare<br />
riti di passaggio e documentare<br />
eventi che hanno caratterizzato<br />
il territorio di Battipaglia<br />
tra gli anni '20 e '50. Questa<br />
ricerca, piccola ricognizione nei<br />
vissuti narrativi familiari tramite<br />
gli strumenti della scrittura e delle<br />
interviste, congiunti a quello della<br />
memoria fotografica, filo d’Arianna<br />
per il ritrovamento dei<br />
sentieri percorsi, è una "voce per<br />
far parlare le immagini". Essa<br />
prende spunto dalla storia della<br />
famiglia per comunicare anche la<br />
storia sociale e politica di una<br />
cittadina meridionale e ribadisce,<br />
accanto alla funzione di<br />
memoria la funzione conoscitiva,<br />
quella particolare forma di<br />
conoscenza che consiste nel mettersi<br />
in diretto contatto con i<br />
contenuti per introdurre riflessioni<br />
e operazioni più mediate. È<br />
soprattutto attraverso le testimonianze<br />
visive che gesti, costumi,<br />
ambienti si sono impressi nella<br />
mente e sono diventati materiale<br />
per quella immaginazione storica<br />
che è parte non secondaria<br />
della conoscenza.<br />
*Professore di Storia dell’arte moderna<br />
all’Università degli Studi di Salerno<br />
curatrice della collana Luoghi<br />
e del libro Baratta una famiglia un’industria
6 Domenica 11 marzo 2012 PRIMO PIANO<br />
Con la moneta unica tutto è aumentato, colpa del cambio e di pratiche scellerate<br />
€uro-£ira, la strage dei prezzi<br />
I nostri nonni cantavano “se potessi<br />
avere 1.000 lire al mese...”, con la<br />
speranza di avere una sicurezza<br />
economica su cui contare. Era il<br />
1939, oggi la lira non esiste più, c’è<br />
l’euro e con l’equivalente di 1.000<br />
lire, cioè 50 centesimi, non ci si<br />
compra più neanche un caffè.<br />
Colpa dell’ aumento dei prezzi e<br />
del cambio di moneta da lira ad<br />
euro. Chi conosce l’economia sa<br />
che questo fenomeno è naturale e<br />
si chiama inflazione, ma nel 2001,<br />
dal passaggio dalla moneta italiana<br />
alla moneta unica, questo dato è<br />
cresciuto in modo estremo ed<br />
innaturale. Normalmente, infatti, i<br />
prezzi dei prodotti che acquistiamo<br />
crescono per varie ragioni, tra<br />
cui: l’aumento delle materie prime,<br />
la crescita dei prezzi dell’energia,<br />
l’aumento dei costi di trasporto<br />
merci che sono legati all’andamento<br />
della benzina, il costo del lavoro,<br />
della pubblicità, le tasse e tutto ciò<br />
L’inflazione alle stelle nei primi anni 2000<br />
Mentre il potere d’acquisto si è dimezzato<br />
che necessita la produzione stessa<br />
dei beni. Quindi l’aumento di prezzo<br />
di un bene da un anno all’altro è<br />
normale ed è, in genere, di qualche<br />
centesimo. Ad esempio: generalmente<br />
il prezzo aumenta del 2/3%<br />
l’anno, quindi se nel 2011 un bene<br />
costava 1 euro per via dell’aumento<br />
dei prezzi (inflazione) del 2% nel<br />
2012 il nostro bene costerà 1,02<br />
euro. Nel corso degli anni questi<br />
aumenti sono stati regolari, ma se<br />
si va a guardare la serie storica<br />
dell’Istat (al sito internet: http://dati.istat.it/,<br />
alla voce prezzi) si<br />
nota subito l’estremo aumento che<br />
c’è stato negli anni 2000, 2001,<br />
2002 e 2003 (gli anni dell’arrivo<br />
dell’euro). Poi l’aumento è stato più<br />
regolare, meno devastante, mentre<br />
negli ultimi anni, quelli della crisi,<br />
l’aumento dei prezzi è contenuto,<br />
in alcuni casi inferiore rispetto<br />
all’anno precedente. Dunque l’ingresso<br />
nella moneta unica è stato<br />
un vero salasso per le tasche degli<br />
italiani, ma perché è successo tutto<br />
questo? Partiamo dall’inizio. Il<br />
nostro Paese stampava la lira, che<br />
era la carta vincente per la crisi,<br />
infatti in tempi di recessione, il<br />
Governo svalutava la moneta,<br />
quindi i prodotti italiani, per gli<br />
stranieri, costavano di meno e così<br />
si rimetteva in moto l’industria e di<br />
conseguenza il lavoro ed i consumi.<br />
In questo modo si abbatteva la<br />
crisi, ma anche la lira che nei confronti<br />
delle altre monete costava<br />
poco; di conseguenza per gli italiani<br />
comprare prodotti esteri costava,<br />
invece, molto caro. Questo<br />
fenomeno è continuato fino ai<br />
primi anni 90’, quando sono cominciate<br />
le strette economiche imposte<br />
dall’Europa per entrare nella<br />
moneta unica, ed ha comportato,<br />
nel tempo, forti perdite nel potere<br />
d’acquisto delle famiglie, per questo<br />
se nel 1939 bastavano 1.000 lire<br />
al mese per poter sognare, negli<br />
anni 80’ ce ne volevano almeno 3<br />
milioni. Poi, con l’ingresso nell’euro,<br />
abbiamo perso l’opportunità di<br />
stampare e svalutare la moneta,<br />
inoltre per via della poca “consistenza”<br />
della lira, abbiamo pagato il<br />
cambio con l’euro quasi al doppio<br />
(1 € contro 1.936,27 £), poi la conversione<br />
dei prezzi dei prodotti è<br />
stata di 1 a 1, cioè quello che prima<br />
del 2001 costava 1.000 lire, dopo ha<br />
cominciato a costare 1 euro, non<br />
50 centesimi, mentre gli stipendi<br />
sono stati convertiti in modo giusto,<br />
cioè chi guadagnava 1 milione<br />
di lire prima del 2001, dopo ha<br />
preso 500 euro, non 1.000 come<br />
per i prezzi. Nessun controllo delle<br />
autorità competenti ha evitato il<br />
peggio ed oggi in tempi di crisi con<br />
1.000 euro non si arriva alla fine del<br />
mese. Questo scellerato comportamento,<br />
unito al fatto che alcuni<br />
prodotti non potevano avere troppe<br />
differenze di prezzo da una<br />
nazione ad un’altra ha generato la<br />
spirale perversa dell’aumento dei<br />
prezzi a cui abbiamo assistito in<br />
questi anni.<br />
Pagina a cura di<br />
DAVIDE SAVINO<br />
COME È GRANDE IL “PANIERE”<br />
Dal 1928 ad oggi,<br />
come crescono<br />
i bisogni italiani<br />
L’aumento di prezzi si basa su vari fattori,<br />
ma non tutti sanno come si fa a calcolare<br />
questo aumento. Ovviamente si fanno dei<br />
rilievi sul campo. Mensilmente operatori<br />
addetti rilevano i prezzi di alcuni prodotti<br />
nei negozi e riportano il dato che viene<br />
pubblicato dall’Istat, lo stesso ente pubblica<br />
il dato annuale sull’inflazione. Ma quali<br />
sono i prodotti su cui vengono rilevati i<br />
dati? Si tratta di alcuni beni e servizi di<br />
cui, gli italiani, ne fanno un largo uso<br />
generalizzato. Ad esempio uno di questi<br />
prodotti è la pasta. Questo insieme di beni<br />
e servizi prende il nome di “paniere”. La<br />
lista dei prodotti del paniere è molto<br />
lunga, nel 2012<br />
essa è composta da<br />
1.398 prodotti, le<br />
novità in-trodotte<br />
per quest’anno<br />
sono: l’e-book reader,<br />
l’e-book download<br />
e la mediazione<br />
civile (fonte<br />
Istat). Il paniere<br />
non è stato sempre<br />
così “corposo”, nel<br />
tempo si è ampliato perché i bisogni delle<br />
persone sono aumentati, facendo diventare<br />
dei prodotti, che prima erano per pochi<br />
ricchi, di uso comune. Ad esempio nel<br />
1928 c’erano 5 capitoli di spesa: alimentazione,<br />
abitazione, riscaldamento e luce,<br />
vestiario e varie. Ogni capitolo aveva delle<br />
“posizioni”, per esempio sotto il capitolo<br />
alimentazione c’era la posizione pane. Nel<br />
1928 tutte le posizioni dei 5 capitoli di<br />
spesa erano 59, oggi sono 12 capitoli di<br />
spesa per un totale di 597 posizioni.<br />
SALUMERIA<br />
Sempre più su<br />
latte, pane e uova<br />
MACELLERIA<br />
Salsicce<br />
anziché filetto<br />
PESCHERIA<br />
Il pesce, caro<br />
prima e adesso<br />
ORTOFRUTTA<br />
Senza mercato<br />
si lascia marcire<br />
Per capire come<br />
tutto questo aumento<br />
di prezzo ha<br />
influito sui conti<br />
degli italiani siamo<br />
andati in giro<br />
con la signora Lina<br />
R. 65 anni, casalinga.<br />
La signora Lina<br />
è una vera esperta,<br />
visto che va a fare la spesa a Napoli a via<br />
Pignasecca da oltre trent’anni. Ci racconta<br />
che in salumeria «è aumentato tutto, da<br />
quando c’è l’euro costa tutto il doppio, pane,<br />
pasta, latte qualunque cosa tu fai per risparmiare<br />
è inutile, non arrivi alla fine del mese».<br />
Tra gli alimenti aumentati di più ci confessa<br />
il salumiere della signora Lina ci sono «uova,<br />
pasta, farina e latte e continuano ad aumentare,<br />
ma non è tanto il problema degli<br />
aumenti dei prezzi, è che sono aumentati i<br />
piccoli furti, inoltre in questi anni ho perso<br />
molto clienti».<br />
Sempre con la<br />
signora Lina ci dirigiamo<br />
dal suo macellaio<br />
di fiducia,<br />
mentre andiamo ci<br />
racconta «la carne è<br />
aumentata, ma si<br />
riesce ancora a<br />
comprare, certo<br />
non il primo taglio,<br />
ma in un modo o nell’altro si può ancora<br />
comprare». Entrando non si vedono prezzi<br />
assurdi, inoltre ci sono delle buone offerte,<br />
con 20 euro si portano via 5/6 chili di diversi<br />
tagli di carne. Il macellaio ci racconta «con<br />
questa crisi ho dimezzato le vendite, ma il<br />
prodotto in sé non è aumentato tanto, a<br />
parte il cambio lira euro che non è dipeso da<br />
noi commercianti, ma a monte, visto che<br />
pagavo un capo di bestiame intorno alle 6<br />
700 mila lire e dopo sono diventati 6 700<br />
euro, i nostri aumenti sono legati per lo più<br />
al trasporto e al costo di allevamento».<br />
Come fare un confronto<br />
<strong>senza</strong> considerare<br />
il pesce? La<br />
signora Lina, mentre<br />
andiamo dal<br />
pescivendolo, ci illumina<br />
esclamando<br />
«il pesce andava<br />
caro ed ora va<br />
ancora più caro».<br />
La saggezza della signora Lina non sbaglia,<br />
guardando i prezzi ci dice «prima con la lira<br />
le alici costavano 5 mila lire al chilo, in alcuni<br />
periodi anche 4 e addirittura 3 mila lire,<br />
oggi il prezzo è sui 5/7 euro al chilo, ma la<br />
cosa strana è la pezzatura dei pesci, prima<br />
erano piccoli, diciamo giusti per una alice,<br />
oggi sono enormi, la pezzatura è più grande<br />
ed il sapore non è lo stesso». Il pescivendolo ci<br />
fa notare che se il prezzo di alcuni pesci freschi<br />
aumenta è per via della scarsità di<br />
pescato nei nostri mari, oltre che dalle condizioni<br />
del tempo.<br />
E siamo arrivati alla<br />
frutta. La signora<br />
Lina ci confessa che<br />
«il prezzo di frutta<br />
e verdura è raddoppiato<br />
con l’euro,<br />
però, se si comprano<br />
gli ortaggi di stagione<br />
si può ancora<br />
comprare, ma se si<br />
pretendono le fragole a dicembre il prezzo<br />
sale perché è tutta roba che viene da fuori».<br />
Ed è proprio così, il verduraio della signora<br />
Lina ci conferma ogni punto e poi aggiunge<br />
«con la crisi che c’è ora la gente compra di<br />
meno rispetto a prima, in più io pago più<br />
tasse e spesso capita che se non c’è mercato,<br />
il costo per raccogliere è superiore del guadagno<br />
che si ottiene vendendo, quindi succede<br />
che la frutta marcisce sugli alberi e la verdura<br />
nei campi, questo fenomeno capitava<br />
anche prima, ma di rado, ora invece è sempre<br />
più frequente».
PRIMO PIANO Domenica 11 marzo 2012<br />
Già dal prossimo anno scolastico sono previsti 151 istituti in meno in Campania<br />
Minori autonomie e carenze nel personale: le difficoltà causate dal dimensionamento<br />
Per chi suona la campanella<br />
7<br />
Se dovessimo usare lo stesso<br />
sistema di valutazione, la scuola<br />
pubblica italiana probabilmente<br />
sarebbe rimandata a settembre.<br />
Almeno dal punto di vista di<br />
infrastrutture e servizi.<br />
È questa l’opinione di chi ogni<br />
giorno nella scuola ci lavora e ci<br />
studia, alle prese con mille difficoltà:<br />
aule sovraffollate, materiale<br />
scolastico mancante, edifici<br />
vecchi e non a norma sono<br />
solo alcuni dei più visibili problemi<br />
che penalizzano l’istruzione<br />
pubblica in Italia. Basta<br />
pensare che nella penisola più<br />
del 40% delle scuole sono situate<br />
in zone a rischio sismico,<br />
circa il 10% in aree soggette al<br />
dissesto idrogeologico e il 7,54%<br />
si trovano nelle vicinanze di un<br />
vulcano. Nonostante i rischi,<br />
più del 60% degli edifici scolastici<br />
sono stati costruiti prima<br />
del 1974, cioè quando le norme<br />
antisismiche non erano ancora<br />
in vigore.<br />
Il momento di crisi si riflette<br />
anche nella difficoltà per gli enti<br />
locali di garantire lo standard di<br />
alcuni servizi fondamentali: le<br />
mense scolastiche sempre più<br />
esternalizzate (le cucine interne<br />
alla scuola sono ormai solo<br />
intorno al 21%); la costante<br />
diminuzione del servizio di<br />
scuolabus, ormai presente nei<br />
capoluoghi di provincia solo per<br />
circa un 32% di scuole; della<br />
scarsa pre<strong>senza</strong> di piste ciclabili,<br />
giardini, poco sopra il 70%, e<br />
strutture per lo sport, di cui<br />
quasi metà delle scuole ne sono<br />
sprovviste.<br />
La situazione è ancora più problematica<br />
al Sud dove, in media,<br />
una scuola su due necessita<br />
d’interventi di manutenzione<br />
urgenti e metà degli edifici si<br />
trova in aree a rischio sismico.<br />
Secondo il rapporto Ecosistema<br />
Scuola 2011di Legambiente,<br />
quasi la metà degli edifici scolastici<br />
in Campania avrebbe bisogno<br />
di interventi urgenti di<br />
manutenzione.<br />
Il nuovo anno scolastico porterà<br />
diverse novità, non tutte positive.<br />
Verrà infatti messo in atto il<br />
piano di dimensionamento previsto<br />
dalla legge n. 111 del 2011:<br />
già da settembre, 151 tra scuole<br />
dell’infanzia, primaria e secondaria<br />
di primo grado, perderanno<br />
l’autonomia e verranno<br />
accorpati in istituti comprensivi.<br />
In tutte le province della<br />
regione, la diminuzione degli<br />
istituti porterà come conseguenza<br />
diretta l’esubero di personale:<br />
se prima c’era un preside<br />
a gestire ogni scuola, dall’anno<br />
prossimo ce ne sarà uno per due<br />
o anche tre istituti.<br />
Meno presidi, meno istituti ma<br />
molti più alunni: il Ministero<br />
dell’Istruzione ha provveduto a<br />
innalzare il numero degli studenti<br />
creando le cosiddette<br />
“classi pollaio”. Dai 26 alunni<br />
per aula previsti dalla legge sulla<br />
prevenzione degli incendi il<br />
numero sale a 29 nella scuola<br />
materna, a 27 nella scuola primaria<br />
e a 30 in quella secondaria<br />
di primo e secondo grado.<br />
L’accorpamento porterà anche a<br />
una perdita di autonomie: i<br />
maggiori tagli si registreranno a<br />
Napoli e provincia, che rinunceranno<br />
a 57 strutture contro le<br />
38 di Salerno e le 27 di Caserta;<br />
meno drastico il passaggio ad<br />
Avellino, con 15 istituti in meno<br />
e a Benevento, con 14. Lo scopo<br />
è raggiungere alla fine del triennio<br />
2012-2014 quota 285 scuole,<br />
prevista dal ministero della<br />
Pubblica Istruzione.<br />
La Regione, fa sapere l’assessore<br />
regionale all’Istruzione ed Edilizia<br />
scolastica Caterina Miraglia,<br />
si impegnerà a rendere l’applicazione<br />
della legge meno<br />
traumatica: è già stato stanziato<br />
un milione di euro per potenziare<br />
il servizio scuolabus per i<br />
comuni che hanno approvato il<br />
dimensionamento.<br />
Tagli sofferti ma necessari alla<br />
Regione per poter recuperare lo<br />
svantaggio accumulato nei confronti<br />
delle altre, che hanno già<br />
fatto importanti operazioni di<br />
accorpamento e di riorganizzazione<br />
della rete scolastica.<br />
Pagina a cura di<br />
MARINA CAVALIERE<br />
ELENA CHIARA LIGUORI<br />
Il preside Diamante Marotta<br />
«Troppi tagli<br />
meno servizi»<br />
Quanto è difficile essere un<br />
dirigente scolastico ai<br />
tempi della crisi? Quali<br />
sono le problematiche da<br />
affrontare ogni giorno? E<br />
quali sono le prospettive<br />
per la scuola? Siamo andati<br />
a chiederlo a Diamante<br />
Marotta, preside del liceo<br />
“Federico Quercia” di<br />
Marcianise.<br />
Quali sono i cambiamenti<br />
previsti per il prossimo<br />
anno scolastico?<br />
In base alla legge 111/2011,<br />
in Campania sono previsti<br />
151 accorpamenti solo nel<br />
primo anno del triennio<br />
2012-2014. Negli anni<br />
seguenti il dimensionamento<br />
sarà ancora più duro<br />
perché il numero degli istituti<br />
accorpati aumenterà.<br />
Come si traduce questa<br />
riforma in termini di perdita<br />
di posti di lavoro?<br />
In Campania se ne sono<br />
persi già 2mila. Solo nella<br />
provincia di Caserta, ce ne<br />
saranno 300 in meno tra<br />
docenti e personale ATA.<br />
La situazione si prospetta<br />
abbastanza critica, anche<br />
perché noi abbiamo già<br />
tante classi in esubero.<br />
Senza contare il dramma<br />
dei soprannumerari della<br />
scuola primaria che, nonostante<br />
i pensionamenti, non<br />
riusciranno a essere assunti.<br />
E le conseguenze per gli<br />
alunni?<br />
Anche loro subiranno gli<br />
effetti di questa riforma:<br />
nelle scuole stanno diminuendo<br />
i servizi, a partire da<br />
quelli legati alla sicurezza,<br />
alla vigilanza e agli aspetti<br />
igienico-sanitari. In Campania,<br />
inoltre, è stato tagliato<br />
il tempo prolungato: questo<br />
significa perdere docenti<br />
di lingua straniera, laboratori<br />
e assistenti tecnici, che<br />
sono diventati tutti soprannumerari.<br />
Queste difficoltà<br />
costringono talvolta i dirigenti<br />
scolastici a guidare più<br />
plessi o talvolta addirittura a<br />
chiuderli.<br />
Qualche caso da raccontarci?<br />
Emblematica è la vicenda di<br />
una scuola di Caserta dove<br />
c’è un solo collaboratore<br />
scolastico in organico. Un<br />
giorno si è messo in malattia<br />
e gli alunni sono entrati<br />
a scuola con un’ora di ritardo<br />
perché non c’era nessuno<br />
ad aprire i cancelli.<br />
«Un Paese come il nostro<br />
non può pensare di svilupparsi<br />
tagliando l’istruzione,<br />
creando una forbice tra le<br />
regioni». Rosalba Visone,<br />
segretario generale Cisl<br />
Scuola, su questo punto<br />
non ammette eccezioni. La<br />
sua posizione decisa nasce<br />
dalla convinzione che l’istruzione<br />
nel nostro Paese<br />
necessita di essere tutelata<br />
anziché di subire ulteriori<br />
penalizzazioni.<br />
Come reagite alla riforma?<br />
Per noi è come un boomerang.<br />
Nella scuola noi cerchiamo<br />
di trasmettere ai<br />
ragazzi una formazione<br />
intesa come etica, coerenza<br />
e rispetto delle regole, ma<br />
se viviamo in un contesto<br />
in cui le regole non vengono<br />
applicate non andremo<br />
lontano. Bisogna stabilizzare<br />
l’istruzione sul territorio.<br />
Quali saranno i cambiamenti<br />
per gli istituti superiori?<br />
Le trasformazioni per le<br />
scuole superiori in realtà<br />
sono già in atto. La novità<br />
sta nelle duplicazione di<br />
indirizzi all’interno di uno<br />
stesso istituto, cioè nell’aumento<br />
di corsi di studio,<br />
Rosalba Visone, CISL Scuola<br />
«Ci vuole<br />
qualità»<br />
perdendo così la peculiarità<br />
di ciascuno e creando difficoltà<br />
ai dirigenti scolastici<br />
nel gestire plessi così eterogenei<br />
e ampi.<br />
Chi pagherà maggiormente<br />
i danni del dimensionamento?<br />
Questa riforma è stata pensata<br />
<strong>senza</strong> una giusta distribuzione<br />
sul territorio sia dal<br />
punto di vista strutturale sia<br />
dal punto di vista del personale.<br />
Quindi questo andrà a<br />
gravare soprattutto sugli<br />
alunni, che pagheranno lo<br />
scotto di una norma dettata<br />
esclusivamente dall’esigenza<br />
di tagliare guardando solo<br />
alle cifre del bilancio.<br />
Quali impegni vi assumente<br />
come sindacato?<br />
Abbiamo già dimostrato<br />
alla Regione il nostro disaccordo,<br />
ma allo stesso<br />
tempo vogliamo applicare<br />
la legge nella maniera<br />
meno traumatica. In particolare<br />
cercheremo di<br />
non far accorpare istituti<br />
sottodimensionati, per<br />
evitare l’esubero di numerosi<br />
dirigenti scolastici.
8 Domenica<br />
11 marzo 2012 PRIMO PIANO<br />
LA RICERCA DI UN FUTURO<br />
Integrarsi è difficile<br />
soprattutto<br />
nelle metropoli<br />
Il Consiglio nazionale dell’economia e del<br />
lavoro (Cnel), in collaborazione con il<br />
ministero del Lavoro e delle Politiche<br />
sociali, ha stilato una serie di rapporti sull’andamento<br />
dell’integrazione degli immigrati<br />
in Italia. Dagli indici è più volte<br />
emerso che i fattori oggettivi che spingono<br />
un cittadino straniero a trasferirsi nel<br />
nostro Paese sono soprattutto il bisogno<br />
di un lavoro e di una casa, la necessità di<br />
alcuni servizi di base indispensabili per<br />
l’uomo e la possibilità di accedere a status<br />
giuridici che ne affermino la piena partecipazione<br />
al sistema di diritti e doveri<br />
dello Stato, come la cittadinanza. Non<br />
vanno però trascurati<br />
tutti quei fattori<br />
soggettivi e psicologici<br />
che suscitano<br />
il bisogno di<br />
sentirsi rispettato e<br />
riconosciuto dagli<br />
autoctoni, per stabilire<br />
una relazione<br />
in cui possano sentirsi<br />
a casa propria.<br />
Stando all’ultimo<br />
rapporto pubblicato il16 febbraio scorso,<br />
l’Italia, con tutti i limiti e i requisiti previsti<br />
dall’attuale legge sulla naturalizzazione<br />
degli immigrati, conferma quanto sia difficile<br />
acquisire la cittadinanza fisiologica.<br />
E’ anche emerso che, soprattutto nei grandi<br />
agglomerati urbani, come a Roma,<br />
Milano e Napoli, i processi di inserimento<br />
sociale, di radicamento territoriale e di<br />
identificazione sono molto lenti, se non<br />
impossibili, a causa della già forte complessità<br />
sociale di questi contesti.<br />
Le storie dei migranti sono più o<br />
meno sempre le stesse. Da anni, da<br />
qualunque Paese essi provengano.<br />
Persone che lasciano la propria<br />
terra d’origine, non <strong>senza</strong> tormenti,<br />
in cerca di un futuro migliore<br />
per sé, per i propri figli. Sogni, speranze,<br />
sacrifici spesso ricompensati<br />
e ancora più spesso vani.<br />
Ci sentiamo tutti fieri e liberi nell’era<br />
moderna, globalizzata, multietnica.<br />
Eppure ci limitiamo a<br />
guardare da lontano chi ha un<br />
colore della pelle diverso dal<br />
nostro, una lingua che non capiamo<br />
e una pesante sfida da affrontare:<br />
vivere con dignità. Quella<br />
dignità che è un diritto di tutti,<br />
quella dignità che i nostri stessi<br />
antenati, soprattutto nel secondo<br />
Dopoguerra, hanno cercato a loro<br />
volta lasciando l’Italia in cerca di<br />
giorni migliori. Allora anche noi<br />
eravamo migranti, sofferenti e con<br />
l’etichetta del “pizza-mandolino”<br />
da sopportare.<br />
Oggi, secondo i dati forniti<br />
dall’Istat, gli stranieri residenti in<br />
Italia (4 milioni 859 mila) rappresentano<br />
l’8% della popolazione<br />
totale, con un incremento di 289<br />
L’8% della popolazione nel nostro Paese è straniera<br />
Italiani di fatto<br />
ma non di diritto<br />
La cittadinanza negata ai figli di immigrati<br />
mila unità rispetto al 1° gennaio<br />
2011. Già da qualche anno ormai<br />
la giornata del primo marzo è<br />
diventata una data importante per<br />
ricordare il sostanziale apporto<br />
degli immigrati all’economia italiana,<br />
svolgendo quei lavori che<br />
nessuno è più disposto a fare,<br />
pagando le tasse come tutti gli<br />
altri cittadini, con figli che parlano<br />
italiano eppure non possono<br />
dire di avere radici nel nostro<br />
Paese. Eppure, chi nasce in Italia<br />
da genitori stranieri non acquista<br />
immediatamente la cittadinanza,<br />
ma mantiene quella dei genitori e<br />
può diventare cittadino italiano<br />
solo al compimento del diciottesimo<br />
anno d’età: un impedimento<br />
alla piena realizzazione di un<br />
diritto fondamentale, sul quale si<br />
è espresso anche il Capo dello<br />
Stato Giorgio Napolitano, che ha<br />
definito «un’autentica follia» tenere<br />
in piedi una legge anacronistica<br />
e obsoleta.<br />
Un ossimoro, quindi, negare un<br />
diritto strettamente connesso al<br />
concetto stesso di modernità, che<br />
suffraga la cittadinanza universale,<br />
l’uguaglianza civile e politica <strong>senza</strong><br />
nessuna discriminazione. Per queste<br />
ragioni 19 organizzazioni della<br />
società civile hanno promosso la<br />
campagna “L’Italia sono anch’io”<br />
che, oltre al riconoscimento del<br />
diritto di voto amministrativo,<br />
chiede che venga applicato lo ius<br />
soli per i nativi: devono essere riconosciuti<br />
cittadini italiani i nati in<br />
Italia che abbiano almeno un genitore<br />
legalmente soggiornante, il<br />
quale ne faccia richiesta.<br />
L’iniziativa ha avuto successo e le<br />
firme raccolte approderanno alla<br />
Camera il 6 marzo. Nei giorni<br />
scorsi, i promotori hanno incontrato<br />
i parlamentari della commissione<br />
Affari costituzionali della<br />
Camera per chiedere un impegno<br />
preciso nella calendarizzazione e<br />
nei tempi di discussione per le proposte<br />
di legge. I membri della commissione<br />
hanno ascoltato con<br />
attenzione l’esposizione dei contenuti<br />
delle due proposte di legge e,<br />
nonostante i diversi orientamenti<br />
sulla materia, è sembrata emergere,<br />
da parte dei parlamentari dei<br />
diversi gruppi, una comune<br />
volontà a riprendere l’iter del testo<br />
di riforma della legge sulla cittadinanza,<br />
la cui discussione era stata<br />
sospesa. «Un segnale incoraggiante»,<br />
secondo i promotori della<br />
campagna, perché dimostra «un<br />
interesse condiviso dalle varie<br />
forze politiche ad affrontare un<br />
argomento così importante per<br />
tante persone che vivono nel<br />
nostro Paese».<br />
Pagina a cura di<br />
VALENTINA DE LUCIA<br />
MARIAROSARIA DI CICCO<br />
L’Arci di Salerno<br />
È solo<br />
questione<br />
di civiltà<br />
L’Arci di Salerno (Associazione ricreativa<br />
e culturale italiana) ha promosso una<br />
campagna di sensibilizzazione per sostenere,<br />
attraverso una raccolta firme, e presentare<br />
in Parlamento due proposte di<br />
legge di iniziativa popolare che propongono<br />
cambiamenti radicali in tema di cittadinanza<br />
e di diritto al voto per migranti<br />
regolari.<br />
I cittadini stranieri che vivono nel nostro<br />
Paese, infatti, con regolare permesso,<br />
iscritti all’anagrafe, lavorando e pagando<br />
le tasse, non hanno diritto al voto; così<br />
come chi nasce in Italia da genitori stranieri<br />
deve attendere il compimento dei<br />
18 anni per chiedere la cittadinanza,<br />
affrontando una lunga e difficile trafila<br />
burocratica.<br />
«La campagna “L’Italia sono anch’io”<br />
vuole sollecitare<br />
innanzitutto<br />
una ri<br />
flessione culturale<br />
sul te<br />
ma della cittadinanza<br />
e<br />
del futuro dei<br />
figli di questo<br />
nostro Paese<br />
– ha spiegato<br />
il presidente<br />
dell’Arci di Sa<br />
lerno, Giusep<br />
pe Cavaliere -. Quella del passaggio dallo<br />
ius sanguinis allo ius soli è una questione<br />
di democrazia, di equità, di civiltà.<br />
Che riguarda tutti. Quale futuro di crescita<br />
e di concordia sociale possiamo<br />
mai immaginare per un Paese che nega a<br />
tanti suoi ragazzi il diritto di appartenenza<br />
alla comunità nazionale?».<br />
La legge in vigore, infatti, riconosce lo<br />
ius sanguinis,ovvero il diritto a diventare<br />
cittadino italiano a chi è nato da cittadini<br />
italiani. La proposta, invece, introduce<br />
lo ius soli, il diritto alla cittadinanza<br />
per chi, nato in Italia, abbia almeno un<br />
genitore che vi soggiorna legalmente da<br />
un anno e prevede, inoltre, che siano italiani<br />
anche i nati da genitori nati in<br />
Italia, a prescindere dalla loro condizione<br />
giuridica.<br />
Centri, sportelli e uffici<br />
Caritas<br />
in prima<br />
linea<br />
Anche la Caritas, l’organismo pastorale<br />
della Conferenza episcopale italiana (Cei)<br />
per la promozione della carità, della giustizia<br />
sociale e della pace, ha avviato una serie<br />
di iniziative volte a migliorare e favorire<br />
l’inserimento degli immigrati nel nostro<br />
Paese. Collaborando con le associazioni e<br />
le parrocchie delle diverse realtà regionali,<br />
ha creato una serie di sportelli e centri di<br />
accoglienza che assistono e seguono gli<br />
stranieri fin dal loro arrivo in Italia, controllando<br />
che trovino un lavoro legale e<br />
sicuro, un alloggio stabile e, soprattutto, il<br />
rispetto e la comprensione dell’intera<br />
comunità.<br />
Dal 1995 la Caritas italiana ha aperto un<br />
Ufficio immigrazione con un coordinamento<br />
unico, articolato in commissioni<br />
tematiche, cui<br />
partecipano i<br />
rappresentanti<br />
delle 16<br />
regioni ecclesiastiche,<br />
per<br />
pianificare le<br />
strategie operative<br />
da at<br />
tuare nell’ambito<br />
del fenomeno<br />
migratorio<br />
in Italia.<br />
L'ufficio si occupa anche del la gestione e<br />
del controllo di parte dei progetti 8x1000,<br />
pubblica studi e articoli sul fenomeno<br />
migratorio, cura la formazione e l'informazione,<br />
intraprende visite in loco a<br />
sostegno delle Caritas diocesane, rappresenta<br />
l’Associazione nei contesti istituzionali<br />
nazionali (ministeri, Parlamento,<br />
Governo, enti pubblici) e internazionali, e<br />
cura i rapporti di intesa e di collaborazione<br />
con gli organismi nazionali, italiani ed<br />
esteri, e con gli organismi internazionali<br />
di ispirazione cristiana che svolgono attività<br />
a favore degli immigrati.<br />
Il centro d’ascolto diocesano è il vero<br />
punto di riferimento per gli stranieri che,<br />
nel sostegno di una equipe di volontari e<br />
di collaboratori specializzati, trovano una<br />
risposta concreta ai propri bisogni.
PRIMO PIANO Domenica 11 marzo 2012<br />
9<br />
Una giornata all’ospedale napoletano che vive il dramma del sovraffolamento<br />
Cardarelli: vite appese alle barelle<br />
Condizioni precarie e mancanza di posti letto<br />
i pazienti cercano conforto nei paramedici<br />
Ore 8:30 del mattino, il pronto soccorso<br />
dell’ospedale Cardarelli è già<br />
pieno. La stanza che ospita i malati<br />
non è molto grande: le persone<br />
aspettano il loro turno sulle barelle.<br />
Un silenzio mortale viene interrotto<br />
dalle grida di dolore di una<br />
signora anziana che si lamenta per<br />
un forte dolore alla testa. A fianco<br />
a lei, proprio attaccato perché lo<br />
spazio è davvero poco, un ragazzo<br />
che ha avuto un incidente con il<br />
suo motorino: ha i pantaloni stracciati<br />
e il sangue gli è stato tamponato<br />
con dell’ovatta. Attorno a lui<br />
ci sono anche degli amici che cercano<br />
di rincuorarlo. Lo scenario si<br />
ripete: nella stanza ci sono circa 6<br />
barelle, una di fianco all’altra. I<br />
malati sono per lo più anziani: ci<br />
sono anche due donne, una è<br />
coperta dalle lenzuola, non si capisce<br />
bene cosa le sia successo, ma il<br />
suo volto non è rassicurante.<br />
Vicino non c’è nessuno, solo un’infermiera<br />
che le inietta una flebo.<br />
Poi si allontana e la donna aspetta<br />
il suo turno per capire se dovrà<br />
essere ricoverata. L’altra signora,<br />
invece non sembra stare tanto<br />
male: si mantiene un braccio, ma<br />
non è stesa sulla barella, bensì<br />
seduta, anch’essa ad aspettare il<br />
proprio turno.<br />
Al di fuori della stanza c’è tantissima<br />
gente che gira per i corridoi e<br />
che entra e esce dall’ospedale.<br />
Sono i familiari dei pazienti.<br />
Qualcuno piange disperato, qualche<br />
altro fuma sigarette a ripetizione<br />
e altri addirittura non sembrano<br />
preoccupati. Visto che l’attesa<br />
non è breve c’è anche una sala<br />
d’aspetto con vista degenti sulle<br />
barelle. A dirla tutta un po’ angosciante:<br />
le sedie sono girate tutte<br />
verso la stanza del pronto soccorso<br />
e a divedere i due vani c’è solo<br />
una vetrata.<br />
Ore 10 la situazione sembra scorrere,<br />
qualche persona è stata ricoverata,<br />
qualcun altro sta ancora<br />
aspettando il proprio turno. Ecco,<br />
però, che un frastuono assordante<br />
arriva fuori il pronto soccorso. È il<br />
sibilo delle sirene dell’ambulanza.<br />
Gli infermieri entrano tutti in<br />
fibrillazione. Dall’autoambulanza<br />
esce un signore molto anziano e le<br />
sue condizioni sono molto gravi. Di<br />
corsa viene trasferito a medicina<br />
d’urgenza e ricoverato al reparto<br />
rianimazione. Lo ritroviamo poco<br />
più tardi proprio nel reparto medicina<br />
d’urgenza posizionato su una<br />
barella dopo essere stato rianimato.<br />
In quel reparto la situazione è<br />
molto critica, gli spazi sono davvero<br />
pochi e l’uomo è stato posizionato<br />
su una barella nel corridoio,<br />
intorno a lui ci sono due infermiere,<br />
certo non è il massimo della<br />
comodità dirà uno di loro ma intanto<br />
lo abbiamo salvato. Camminando<br />
per il corridoio del reparto<br />
vediamo che di pazienti nel corridoio<br />
ce ne sono abbastanza. Per<br />
non farli cadere dalle barelle sono<br />
stati posizionati con un lato attaccato<br />
al muro. Le infermiere eseguono<br />
le loro mansioni come se stessero<br />
in camera. C’è chi deve farsi la<br />
siringa e scopre il fondoschiena,<br />
chi deve cambiare la flebo e addirittura<br />
chi ha bisogno del catetere.<br />
Verso le 13:30 siamo di nuovo al<br />
piano terra al pronto soccorso, la<br />
situazione sembra essersi calmata.<br />
Sono poche le persone che aspettano<br />
di sapere quale sarà il loro destino.<br />
Mentre il pronto soccorso si<br />
svuota, ecco che arriva l’ora di visita,<br />
i reparti già pieni di barelle nei<br />
corridoi si riempiono di visitatori.<br />
Qui i dottori però non transigono:<br />
la visita dura massimo un’ora poi<br />
tutti fuori <strong>senza</strong> nessun favoritismo.<br />
Scene viste e riviste, condizioni<br />
precarie che non sono gradite a<br />
nessuno ma che a volte diventato<br />
indispensabili per salvare vite. Se<br />
questo sia giusto o meno non spetta<br />
a noi dirlo, certo, fare da osservatori<br />
passivi non aiuta il sistema.<br />
Pagina a cura di<br />
ALESSIO FUSCO<br />
FEDERICA MASSARI<br />
L’EMERGENZA SI COMBATTE CON L’ASSISTENZA<br />
L’emergenza<br />
sovraffollamento<br />
che in questi giorni<br />
ha portato gli occhi<br />
dei media sull’ospedale<br />
Cardarelli<br />
è un problema che<br />
si ripete ormai tutti<br />
gli anni in diversi<br />
periodi dell’anno,<br />
grazie anche alla<br />
chiusura di alcuni pronto soccorso degli<br />
ospedali limitrofi. Ma come affronta l’ospedale<br />
Cardarelli questa preoccupante<br />
difficoltà? L’abbiamo chiesto a Franco<br />
Paradiso, responsabile del dipartimento<br />
di direzione sanitaria e farmacia.<br />
«Dire che il problema non esiste è dire<br />
una bugia, noi però ci siamo rimboccati le<br />
maniche cercando di darci da fare il più<br />
possibile per non far mancare nulla ai<br />
pazienti. Secondo il mio punto di vista il<br />
nostro problema sono solo gli spazi, non<br />
Franco Paradiso:<br />
«La nostra politica<br />
è di non buttare<br />
fuori nessuno»<br />
abbiamo la possibilità di ospitare tutte le<br />
persone nelle stanza perché il rapporto<br />
pazienti-letti è inefficiente.<br />
Ma dalla nostra parte abbiamo un servizio<br />
assistenziale sempre adeguato.<br />
Offriamo ai nostri pazienti le cure<br />
migliori e cerchiamo di evitargli qualunque<br />
disagio. Non è sempre facile ma<br />
sono sicuro che tutti i medici e gli infermieri<br />
che lavorano in quest’ospedale<br />
diano il massimo per cercare di favorire<br />
il più possibile i degenti».<br />
Ma lei non pensa che, a volte, sia meglio<br />
rifiutare un paziente invece di esporlo a<br />
condizioni logistiche inadeguate che<br />
potrebbero mettere la persona a rischio di<br />
essere contagiata anche da altre malattie?<br />
«La nostra politica è del tutto inversa, noi<br />
non buttiamo fuori nessuno e mai lo faremo.<br />
Abbiamo la consapevolezza di non<br />
avere mezzi logistici sempre adeguati, ma<br />
non per questo ci sentiamo in diritto di<br />
mandare a casa o da un’altra parte persone<br />
che hanno bisogno di aiuto. Per quanto<br />
riguarda il rischio di contagio, è vero<br />
che non è da escludere, ma nella stessa<br />
misura può avvenire con pazienti sistemati<br />
nelle proprie stanze».<br />
Come può risolversi questa situazione?<br />
«La Regione ha messo a disposizione dell’ospedale<br />
una struttura temporanea fino<br />
al 30 Aprile, questa però non basta e<br />
soprattutto è un provvedimento straordinario<br />
e quindi alla scadenza non l’avremo<br />
più a disposizione».<br />
IL DOTTORE<br />
I cittadini<br />
devono aiutarci<br />
L’INFERMIERA<br />
Gli angeli<br />
dei corridoi<br />
STORIA/1<br />
Mio marito salvo<br />
non conta altro<br />
STORIA/2<br />
La privacy<br />
che non esiste<br />
«In una situazione<br />
di sovraffollamento<br />
bisogna adeguarsi,<br />
certo la<br />
percentuale di errore<br />
si alza, quindi<br />
noi medici dobbiamo<br />
fare molta attenzione<br />
e cercare<br />
di dare il meglio di<br />
noi». A dirlo è il dottor Vincenzo Piedimonte,<br />
medico nel reparto di medicina<br />
d’urgenza. Che poi continua: «Il nostro<br />
ospedale è forse il migliore a livello di qualità<br />
assistenziale e ha mezzi tecnici che<br />
altri ospedali non hanno, ma le persone<br />
non devono abusare di tutto ciò. A volte<br />
alcuni pazienti vengono qui anche solo per<br />
un semplice mal di testa o per precauzione,<br />
per questi sintomi ci sono altri enti sanitari<br />
che se ne occupano, noi non vogliamo<br />
mandare via nessuno ma ci affidiamo al<br />
buonsenso del cittadino».<br />
Assunta lavora da<br />
ormai dieci anni,<br />
come infermiera,<br />
all’ospedale<br />
Cardarelli reparto<br />
di medicina d’urgenza<br />
e di queste<br />
emergenze ne ha<br />
viste tante: «Il nostro<br />
lavoro è quello<br />
di cercare di offrire al paziente la miglior<br />
assistenza possibile –ha ribadito Assunta- e<br />
penso che tutte le infermiere di questo<br />
reparto ci riescano nel migliore dei modi.<br />
Non si può nascondere la problematica della<br />
mancanza dei posti, ma bisogna anche dire<br />
che ogni paziente posto sulle barelle nei corridoi<br />
ha la medesima assistenza di quelli che<br />
sono nelle camera, anzi nella maggior parte<br />
delle volte sono anche più tutelati visto le<br />
condizioni precarie in cui si trovano. Noi<br />
inferimere cerchiamo di capire tutte le situazioni<br />
e di fare il possibile».<br />
Incontriamo la signora<br />
Antonella<br />
fuori dal reparto: è<br />
uscita dalla stanza,<br />
dove c’è il marito<br />
ricoverato per un<br />
infarto. Antonella è<br />
uscita per fumare<br />
una sigaretta e<br />
prendere un po’ d’aria.<br />
«Ho sentito molte critiche rivolte a questo<br />
ospedale da parte dei media e della gente. Ho<br />
letto anche che qui si comprano i posti sulle<br />
barelle per passare avanti agli altri ed essere<br />
ricoverati. Io non ci credo tanto, la gente parla<br />
poi la verità è sempre diversa. La mia verità è<br />
quella di una donna entrata nell’ospedale con<br />
il marito malato e uscita con un marito salvo,<br />
per me questo basta per dire che qui si salvano<br />
le vite. Non sempre tutto può essere perfetto,<br />
sento persone che si lamentano per la pulizia<br />
dei bagni o per gli orari di visita, ma secondo<br />
me l’importante è il risulatato finale».<br />
Alfredo, Antonio e<br />
Laura non sono affatto<br />
contenti della<br />
sistemazione riservata<br />
al loro padre.<br />
Il più arrabbiato<br />
sembra Alfredo :<br />
«Non è possibile<br />
essere ricoverati in<br />
queste condizioni:<br />
mio padre è posizionato su una barella in<br />
corridoio molto scomoda. Ha bisogno<br />
almeno di un parente che gli stia vicino e<br />
uno di noi a rotazione rimane qui ed è<br />
costretto a rimanere sveglio tutta la notte.<br />
Non possiamo neanche sederci con una<br />
sedia vicino alla barella perché non c’è spazio.<br />
Ma la cosa peggiore è la privacy, non è<br />
possibile che un uomo della sua età debba<br />
fare pipi davanti ad altre persone che sono<br />
nel corridoio tra cui donne anziane. Io non<br />
voglio attaccare l’ospedale ma sicuramente<br />
c’è qualcosa che non funziona».
10 Domenica<br />
11 marzo 2012
PRIMO PIANO Domenica 11 marzo 2012<br />
Sempre più donne uccidono i loro figli, ma a compiere gli infanticidi sono anche i padri<br />
Tra le cause più frequenti le depressioni post-partum. Negli uomini agisce la vendetta<br />
Bebè, cuore e odio di mamma<br />
11<br />
Madri che uccidono i loro figli. La<br />
sindrome di Medea colpisce le<br />
donne di tutto il mondo, donne<br />
che dopo il parto non accettano<br />
più la loro identità sessuale e di<br />
madre, perdono il contatto con il<br />
passato. Tuttavia a compiere gli<br />
efferati infanticidi o figlicidi sono<br />
anche i padri. Eppure il legame<br />
padre-figlio, ma soprattutto quello<br />
madre-figlio dovrebbe essere sacro,<br />
indissolubile, incondizionato.<br />
Cosa succede allora? Dove si<br />
blocca il meccanismo biologico,<br />
vitale? Ce ne parla la dottoressa<br />
Mara Porcaro, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale.<br />
Come si spiega l’infanticidio?<br />
«Si tratta di momenti di natura<br />
depressiva che le persone vivono;<br />
spesso parliamo di una vera e propria<br />
psicosi che si manifesta dentro<br />
di loro, un’alienazione chiamata in<br />
termini tecnici depersonalizzazione:<br />
la persona depressa il più delle<br />
volte ritiene che la cosa più giusta<br />
da fare sia l’infanticidio, magari per<br />
far risparmiare al figlio una vita<br />
dura. Di solito sono le madri che<br />
commettono questo genere di o-<br />
micidio e solitamente non uccidono<br />
tutti i figli, ma soltanto uno».<br />
Cosa spinge una madre ad uccidere<br />
un figlio? E un padre?<br />
«Intanto bisogna dire che il fenomeno<br />
è molto più frequente nelle<br />
madri. Il più delle volte nelle donne<br />
il motivo dell’infanticidio è la<br />
depressione post-partum di natura<br />
psicotica: ciò che nel preparto viene<br />
vissuto in maniera negativa dalla<br />
madre spesso diventa, dopo la<br />
nascita del piccolo, una vera malattia<br />
psicologica e può innescare<br />
un comportamento di tipo criminale.<br />
La mamma, magari, vede il figlio<br />
deforme e non accetta quella<br />
deformità perché non adeguata al<br />
proprio modo di essere; non riconosce<br />
il bambino come un suo<br />
frutto oppure lo considera la causa<br />
della sua depressione e vuole pertanto<br />
eliminarlo. Nel padre, invece,<br />
si può parlare di ripicca, vendetta<br />
nei confronti della moglie, anche<br />
Nella foto in basso<br />
la psicoterapeuta Mara Porcaro<br />
A destra la tela di Delacroix<br />
esposta al Museo Louvre di Parigi<br />
che raffigura Medea<br />
mentre uccide i suoi figli<br />
se le motivazioni sono disparate.<br />
Ad ogni modo quello che accomuna<br />
l’infanticidio materno con quello<br />
paterno è sicuramente una dissociazione<br />
emotiva, un allontanamento<br />
dalla propria personalità: è<br />
come se la persona si vedesse mentre<br />
compie l’azione».<br />
Spesso questi omicidi avvengono<br />
in piccole realtà, secondo lei<br />
c’è un legame tra piccola realtà e<br />
infanticidio o è un caso?<br />
«Ci potrebbe essere una correlazione<br />
non poco trascurabile. Penso<br />
che ci sia sempre una componente<br />
culturale che incide in queste avvenimenti<br />
perché le depressioni colpiscono<br />
quelle persone che si percepiscono<br />
in un modo differente<br />
rispetto alla realtà culturale, religiosa<br />
e sociale in cui vivono. Le<br />
piccole realtà possono influenzare<br />
maggiormente le ideologie di fondo<br />
di una persona, definite nel settore<br />
cognitivo-comportamentale<br />
convinzioni di base. Quindi il valore<br />
che la persona attribuisce al giudizio<br />
e alla critica dell’altro e l’impatto<br />
che la società e la cultura in<br />
cui vive ha sulla persona, madre o<br />
padre che sia, è molto più forte».<br />
Come giustifica il dilagare del<br />
fenomeno?<br />
«C’è un’ignoranza di fondo tra le<br />
persone. Molti medici di base (attualmente<br />
non esiste la figura dello<br />
psicologo di base che potrebbe tenere<br />
sotto controllo alcune situazioni<br />
di questo tipo) tendono a minimizzare<br />
alcuni sintomi della<br />
depressione post-partum e ritengono<br />
che con una semplice chiacchierata<br />
si possa risolvere il problema<br />
di una donna che manifesta<br />
tristezza, apatia. Bisognerebbe a-<br />
nalizzare il vissuto emotivo interno<br />
di quella madre e vedere se quel<br />
vissuto possa innescare dentro di<br />
lei reazioni pericolose».<br />
Pagina a cura di<br />
MARIA DI NAPOLI<br />
Tra mito e rituale<br />
I casi<br />
Medea<br />
e Isacco<br />
L’uccisione da parte dei genitori dei propri<br />
stessi figli è presente in varie tradizioni<br />
sul piano mitico come su quello rituale.<br />
I casi sono tanti, ma quelli più emblematici<br />
appaiono il sacrificio di Isacco e<br />
quello dei figli di Medea. Nel primo<br />
abbiamo un padre pronto a sacrificare il<br />
proprio figlio unigenito ed amatissimo<br />
quale prova di massima devozione religiosa,<br />
di fede; l’altro, invece, appartenente<br />
ad un testo del teatro greco, mette in<br />
scena una madre che compie l’assassinio<br />
brutale dei propri figli per soddisfare un<br />
mero proposito di vendetta. Una madre,<br />
dunque mostruosa, malata o indegna.<br />
L’istinto materno, secondo ormai la maggior<br />
parte degli studiosi, non esiste e se<br />
esiste non è così determinante in positivo:<br />
storia, mitologia, letteratura e cronaca<br />
ci raccontano infatti nei secoli di<br />
terribili madri assassine. Non solo<br />
Medea, a Sparta le madri gettavano<br />
dalla rupe Tarpea i neonati deformi.<br />
Ancora oggi in Cina, complici le<br />
mamme, si uccidono le figlie eccedenti<br />
il numero legale. Platone suggeriva di<br />
sterminare i figli nati da donne ultraquarantenni<br />
e da padri ultracinquantenni.<br />
Un tempo in Bulgaria - e le madri<br />
non si opponevano - si seppelliva un<br />
piccolo bimbo sotto le fondamenta di<br />
un edificio per propiziare la fortuna<br />
degli abitanti.<br />
Psicologicamente il legame materno è<br />
un legame ambivalente molto forte nelle<br />
due polarità estreme: una madre può<br />
amare e prendersi cura del bambino<br />
oppure può odiarlo fino ad ucciderlo.<br />
Secondo gli studiosi del settore chi uccide<br />
il proprio bambino a volte è una persona<br />
malata, ma sempre più spesso vi è<br />
la prova che si tratta di un uomo o una<br />
donna inadatti a dare la vita, perché<br />
incapaci anche di governare la propria.<br />
E spesso le cause, che non diminuiscono<br />
la responsabilità degli assassini verso il<br />
loro delitto, sono di natura socio-culturale<br />
e morale.<br />
Il ruolo dei media<br />
I giornali<br />
creano<br />
paure<br />
I giornali e i programmi televisivi trattano<br />
le madri assassine come l’ennesimo mostro<br />
da sbattere in prima pagina. Pochi approfondiscono,<br />
si interrogano a fondo sulle<br />
motivazioni di questi gesti estremi, apparentemente<br />
così innaturali. La maggior<br />
parte degli uomini e delle donne che non<br />
hanno avuto figli pensa che l’istinto materno<br />
sia naturale, scontato, anzi, obbligatorio.<br />
Mariti, genitori, suoceri danno per scontato<br />
che la donna che ha appena partorito<br />
stia passando il momento più bello della<br />
propria vita e che riesca per istinto a fare e<br />
dare il meglio. Non è così. Per la maggior<br />
parte delle donne il momento in cui si<br />
mette al mondo un figlio è il momento di<br />
massima stanchezza e fragilità della propria<br />
vita. C’è bisogno intorno di calore, di<br />
comprensione, di aiuto, di affetto, di dialogo.<br />
Gesti e sentimenti a volte completamente<br />
assenti e magari corredati dall’angoscia<br />
di perdere il proprio posto di lavoro<br />
“a causa” della maternità.<br />
E poi i media spesso creano allarmismo<br />
rispetto a queste situazioni e di conseguenza<br />
accade che dagli specialistici vadano<br />
persone che, magari una sola volta,<br />
abbiano pensato di “uccidere” il figlio.<br />
«Quel tipo di pensiero - dice Porcaro - non<br />
è una forma di depressione, è un altro tipo<br />
di disturbo detto ossessivo-compulsivo. La<br />
persona, ad esempio, sogna immagini<br />
macabre in cui uccide il figlio, lo martella,<br />
lo affoga, si spaventa, si allarma e decide di<br />
andare in terapia preso dall’ansia di non<br />
esser una buona madre o un buon padre».<br />
Quel tipo di immagini le vedono tutti, ma<br />
se le persone sane di mente allontanano<br />
quei pensieri e non manifestano alcun tipo<br />
di reazione emotiva, le persone ansiose<br />
catturano quei flash, li fermano e si colpevolizzano.<br />
Quante volte sarà capitato ad<br />
una madre di pensare “è meglio che mio<br />
figlio stia zitto, lo strozzerei per le continue<br />
urla”? La depressione è tutt’altra cosa<br />
rispetto ad un pensiero dettato dalla stanchezza<br />
o da una routine stressante.
12 Domenica 11 marzo 2012 SPECIALE<br />
La legge prevede l’abolizione dei manicomi giudiziari dal primo febbraio 2013<br />
Dietro le sbarre della follia<br />
Sei strutture in Italia con oltre mille internati allontanati dalla società<br />
Edifici fatiscenti, sporcizia, ratti: è la vergogna di un Paese civile<br />
Questo non è un luogo dove la<br />
gente viene per curarsi. Lo dicono<br />
le sbarre alle finestre, i padiglioni<br />
chiusi, gli agenti di polizia che dal<br />
gabbiotto dell’ingresso alle scale ti<br />
chiedono, nemmeno tanto gentilmente,<br />
di andare via. Lo confermano,<br />
inequivocabili, i numeri: 6<br />
medici di base, 6 psichiatri, 2 psicologi,<br />
73 infermieri, contro oltre<br />
100 poliziotti. È l’ospedale psichiatrico<br />
giudiziario di Aversa.<br />
Fotogrammi di una realtà dimenticata<br />
che si scatena oltre i cancelli di<br />
tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari<br />
italiani.<br />
Un deposito per tutti coloro che<br />
creano problemi all’interno della<br />
società. Non scontano una pena,<br />
perché non possono ritenersi<br />
colpevoli dei reati che hanno<br />
commesso, ma vengono rinchiusi<br />
perchè potrebbero reiterare i crimini<br />
che li hanno portati davanti al<br />
giudice. Qui la malattia mentale è<br />
ancora uno stigma, una ferita da<br />
nascondere alla società. Eppure,<br />
oltre agli autori di crimini efferati,<br />
negli Opg italiani c’è anche chi è<br />
finito dentro 25 anni fa per essersi<br />
travestito da donna e aver spaventato<br />
i bambini di una scuola.<br />
Rinchiudere, si sa, è meglio che curare.<br />
La pena qui si chiama misura<br />
di sicurezza, non ha limite massimo<br />
e si sconta tra immondizia,<br />
urina, letti arrugginiti, ratti, stanze<br />
da quattro dove si sta in nove, ed<br />
ancora torture, farmaci usati come<br />
sedativi continui.<br />
Chi entra in un Opg, anche per un<br />
reato risibile, rischia di non uscirne<br />
più. Il meccanismo che si innesca è<br />
quello della stecca: chi potrebbe u-<br />
scire, se non ha una famiglia - e,<br />
spesso, non ce l’ha - dovrebbe essere<br />
curato dalle Asl, come una<br />
qualunque persona con malattie<br />
mentali. Ma le Asl, a volte, non<br />
possono o non vogliono offrire<br />
Emilio Lupo, Psichiatria Democratica<br />
«LA BATTAGLIA<br />
NON È VINTA»<br />
«C’è ancora<br />
il retaggio<br />
del matto pericoloso»<br />
Emilio Lupo, segretario nazionale<br />
di Psichiatria Democratica, l’associazione<br />
fondata nel 1973 da<br />
Franco Basaglia, ritorna con la<br />
mente al 1978: «Quando chiudemmo<br />
i manicomi, ci fu un grande<br />
allarme e molte resistenze<br />
create ad arte intorno alla 180.<br />
Come è possibile in uno Stato di<br />
diritto, nel terzo millennio, accettare<br />
che esistano gli ospedali psichiatrici<br />
giudiziari?».<br />
Segretario Lupo, a che punto<br />
siamo?<br />
Con la legge approvata questo<br />
mese, che ne prevede la chiusura<br />
entro il 2013, si è fatto sicuramente<br />
un grande passo in avanti<br />
ma la battaglia non è ancora<br />
vinta. Certo, che tutti i partiti<br />
abbiano riconosciuto che fosse<br />
una situazione vergognosa è culturalmente<br />
rilevante, ma l’esperienza<br />
dopo la legge Basaglia ci<br />
dice che i processi sono lunghi,<br />
non facili e non scontati. Penso<br />
innanzitutto al fantasma del<br />
matto pericoloso, ancora retaggio<br />
nell’opinione pubblica.<br />
Quali sono i prossimi passi?<br />
Contestualizzarsi in uno scenario<br />
europeo, fare in modo che ci siano<br />
strutture sanitarie e un sistema di<br />
welfare adeguati è uno step fondamentale,<br />
ma la prima cosa da fare<br />
è mettere mano alle perizie psichiatriche,<br />
al concetto di imputabilità<br />
per non arrivare ai numeri a<br />
quattro cifre che si sono raggiunti<br />
in questi anni.<br />
Il processo di regionalizzazione<br />
previsto dalla legge aiuterà<br />
a concentrarsi di più<br />
sulle persone?<br />
Sicuramente. Nelle nuove strutture,<br />
che devono essere piccole e<br />
flessibili, ci dovranno essere operatori<br />
formati, risorse certe per<br />
arrivare al risultato che, con il pas-<br />
“percorsi alternativi” ed allora<br />
rinviano tutto al magistrato che<br />
non fa altro che firmare proroghe<br />
su proroghe.<br />
Ignazio Marino, senatore del Pd, lo<br />
ricorda in Senato prima del voto<br />
che poi darà il via libera all'emendamento<br />
che prevede la chiusura<br />
sare degli anni ci sia sempre meno<br />
bisogno di soluzioni del genere.<br />
Una sorta di case famiglia?<br />
Esatto. I centri che dovranno<br />
accogliere le persone internate<br />
oggi negli ospedali psichiatrici<br />
giudiziari dovranno avere le caratteristiche<br />
delle case famiglia, inserite<br />
nel tessuto sociale, proprio<br />
perché è sbagliato il concetto che<br />
per curare bisogna rinchiudere.<br />
La memoria, come diceva Levi, è<br />
un dovere. Per mettere fine a questa<br />
vergogna, non dobbiamo<br />
dimenticare che migliaia di persone<br />
si sono perse nei manicomi<br />
civili prima e in quelli giudiziari e<br />
ancora oggi, nei campi di identificazione<br />
ed espulsione in cui sono<br />
rinchiuse persone pericolose in<br />
quanto straniere.<br />
degli Opg entro l’1 febbraio 2013.<br />
La situazione degli Opg del resto<br />
non poteva più attendere.<br />
Gli ultimi matti, dimenticati dalla<br />
giustizia e offesi da uno Stato che<br />
ha continuato ad internarli per<br />
trent’anni dopo l’approvazione<br />
della legge 180 che nel 1978 chiuse<br />
i manicomi, usciranno dall’inferno<br />
di Reggio Emilia, Pozzo di Gotto,<br />
Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino,<br />
Castiglione delle Stiviere.<br />
Calerà finalmente il sipario su una<br />
vergogna insopportabile.<br />
«È un primo passo - commenta<br />
Cesare Bondioli, responsabile<br />
nazionale carceri e Opg di<br />
Psichiatria Democratica - ma c’è<br />
ancora da combattere. Il problema<br />
è queste persone sono diventate<br />
degli sconosciuti, si è costruito un<br />
immaginario collettivo per cui<br />
sono diventate mostri: sono matti,<br />
sono delinquenti e vengono da un<br />
ospedale giudiziario. La territorializzazione<br />
è l’unica risposta possibile:<br />
i servizi di salute mentale<br />
dovrebbero essere in grado di<br />
gestirli perché prendersi cura di un<br />
paziente psichiatrico vuol dire<br />
prendersi cura di tutti suoi bisogni,<br />
da quelli legati ai suoi problemi<br />
psichici a quelli assistenziali come<br />
il lavoro e le relazioni sociali.<br />
Senza correre il rischio di trasformare<br />
queste nuove strutture sanitarie<br />
che la legge prevede in piccoli<br />
manicomi, perché, dice Giuseppe<br />
Ortano, psichiatra di Aversa «il<br />
manicomio uno se lo porta in<br />
testa, non è una questione di dove<br />
lo fai, non è l’edificio che ti condiziona.<br />
Se c’è l’idea del malato<br />
come soggetto pericoloso che va<br />
isolato, dovunque lo sistemi sarà<br />
sempre un manicomio. Magari<br />
più bello, più pulito, ma la logica<br />
dominante sarà sempre quella<br />
dell’esclusione e non dell’inclusione».<br />
Iter legislativo<br />
Dal codice<br />
Rocco<br />
ad oggi<br />
“Qual può essere il diritto che si<br />
attribuiscono gli uomini di trucidare<br />
i loro simili?”. Cesare<br />
Beccaria ha scritto Dei delitti e<br />
delle pene nella seconda metà<br />
del ’700, è di quest’anno il decreto<br />
legislativo che <strong>fissa</strong> per il 2013<br />
la chiusura degli Opg.<br />
Il primo manicomio giudiziario<br />
viene aperto a Sant’Eframo, a<br />
Napoli, con un decreto ministeriale<br />
del 1923. Con il codice<br />
Rocco del 1930, il ricovero del<br />
folle reo in queste strutture viene<br />
direttamente disciplinata dal<br />
codice penale: entra così all’interno<br />
del sistema giudiziario il<br />
concetto di pazzia, sinonimo di<br />
“pericolosità sociale”.<br />
In particolare, l’articolo 222 stabilisce<br />
che “nel caso di proscioglimento<br />
per infermità psichica<br />
è sempre ordinato il ricovero<br />
dell’imputato in un manicomio<br />
giudiziario per un<br />
tempo non inferiore a due<br />
anni…”. Nel 1975 viene approvato<br />
il nuovo ordinamento penitenziario<br />
e i manicomi giudiziari<br />
passano a chiamarsi o-<br />
spedali psichiatrici: una riforma<br />
formale, ma che riflette l'idea<br />
che i folli rei debbano essere<br />
curati prima che puniti.<br />
La legge Basaglia del 1978 non si<br />
occupa degli Opg dal punto di<br />
vista legislativo, ma dà il via a un<br />
vivace dibattito culturale, politico<br />
e sociale sulla questione.<br />
Ci sono state diverse sentenze<br />
della Corte Costituzionale negli<br />
anni, ma la più significativa<br />
arriva nel 2003, quando il giudice<br />
relatore Valerio Onida decreta<br />
che «il magistrato possa<br />
adottare, fra le misure che l’ordinamento<br />
prevede, quella che in<br />
concreto appaia idonea a soddisfare<br />
le esigenze di cura e<br />
tutela della persona, da un lato,<br />
di controllo e contenimento della<br />
sua pericolosità sociale dall’altro<br />
lato».<br />
Nel decreto del 2008, si prevede<br />
anzitutto il passaggio di<br />
competenza sugli Opg dall'Amministrazione<br />
penitenziaria<br />
alle Regioni.<br />
La terza e ultima fase, che finalmente<br />
dovrebbe attuarsi grazie<br />
al lavoro della commissione<br />
Marino, prevede entro due anni<br />
dall'entrata in vigore «la restituzione<br />
ad ogni Regione italiana<br />
della quota di internati in Opg,<br />
attraverso programmi terapeutici<br />
e riabilitativi da attuarsi<br />
all’interno della struttura, anche<br />
in preparazione alla dimissione<br />
e all’inserimento nel contesto<br />
sociale di appartenenza».
SPECIALE Domenica 11 marzo 2012<br />
L’associazione Antigone da anni si occupa di monitorare la situazione negli istituti di pena<br />
Non chiamateli ospedali<br />
«L’obiettivo è superare il modello di reclusione e di esclusione sociale»<br />
13<br />
«L’onda lunga della riforma<br />
di Basaglia, che ha portato<br />
alla scomparsa dei manicomi<br />
civili, non è riuscita a<br />
scardinare il sistema degli<br />
Opg e con il tempo è andata<br />
sfumando. Sono stati per<br />
anni nascosti all’opinione<br />
pubblica sotto il nome rassicurante<br />
di ospedali psichiatrici<br />
giudiziari». A parlare è<br />
Dario Stefano Dell’Aquila, il<br />
presidente dell’associazione<br />
Antigone Campania, nata<br />
alla fine degli anni ’80.<br />
Associazione “per i diritti e<br />
le garanzie nel sistema penale”<br />
si occupa di monitorare<br />
la situazione della realtà<br />
carceraria italiana, tramite<br />
un Osservatorio nazionale.<br />
Effettuano visite in tutti gli<br />
istituti penitenziari d’Italia e<br />
annualmente pubblicano il<br />
rapporto sulle condizioni<br />
detentive. A occupare un<br />
posto di rilievo negli studi di<br />
Antigone è anche «la situazione<br />
degli Opg che, dopo i<br />
lavori della commissione<br />
Marino, ormai è sotto gli<br />
occhi di tutti ed è vergognosa<br />
– spiega ancora Dell’Aquila<br />
–. Si può dire che si<br />
tratta di manicomi a tutti gli<br />
effetti; del resto è il codice<br />
penale a definirli manicomi<br />
giudiziari, in cui le condizioni<br />
detentive sono al di sotto<br />
di qualsiasi livello di tolleranza<br />
e umanità».<br />
D’altro canto, fu lo stesso<br />
Franco Basaglia a usare l’espressione<br />
di “letamai infernali”.<br />
Ora con la nuova legge<br />
che impone la chiusura per<br />
il 1 febbraio 2013 degli Opg,<br />
il problema potrebbe avvicinarsi<br />
ad una soluzione. Ma,<br />
come spiega dell’Aquila, «la<br />
questione non è solo la chiusura<br />
di questi posti: non si<br />
tratta solo di chiudere una<br />
scatola, per aprirne tante<br />
altre più piccole. Il problema<br />
è superare il modello di<br />
internamento». Le parole di<br />
Dell’Aquila che ha davvero<br />
varcato quei cancelli ci<br />
fanno toccare con mano la<br />
terribile realtà che affrontano<br />
ogni giorno gli internati<br />
degli ospedali psichiatrici:<br />
«Immagina un luogo<br />
dove c’è un solo bagno, sei<br />
posti letto per cella: questi<br />
internati passano la loro vita<br />
a fumare e litigare l’un con<br />
l’altro. Se ripercorriamo il<br />
racconto di Basaglia sui<br />
manicomi civili, possiamo<br />
riprenderlo per quello che<br />
sono oggi gli Opg: in essi si<br />
perpetuano ancora violenze,<br />
abusi, condizioni inumane e<br />
degradanti. Questo a dimostrazione<br />
che ogni modello<br />
manicomiale non può che<br />
produrre queste condizioni<br />
di disagio e di inumanità».<br />
Pagine a cura di<br />
EMANUELA DE VITA<br />
CARMEN GALZERANO<br />
IMMA SOLIMENO<br />
Il castello dei dimenticati<br />
Violenze e abusi erano all’ordine del giorno<br />
Due aspetti vengono subito alla mente pensando<br />
alla città di Aversa: le mozzarelle, buonissime, e i<br />
pazzi. Già Napoleone, nel suo editto, individuava<br />
il centro casertano come sede adatta ad ospitare<br />
le persone affette da malattie psichiatriche.<br />
La città continua ad obbedire a quell’editto con<br />
l’ospedale psichiatrico giudiziario “Filippo Saporito”,<br />
tra gli Opg più grandi d’Europa. Costruito al<br />
centro della città nel 1876 fu destinato ad ospitare<br />
i “folli rei”, i matti che commettevano un<br />
delitto, e i “rei folli”, quelli che invece impazzivano<br />
in carcere.<br />
AVERSA<br />
Il lavoro della commissione Marino ha svelato la<br />
vergogna di un ospedale che privava gli internati<br />
della propria dignità di persone e ha messo l’acceleratore<br />
sul disegno di legge approvato poche settimane<br />
fa. Violenze e abusi erano all’ordine del<br />
giorno. Tanto che negli ultimi anni il numero dei<br />
suicidi è aumentato notevolmente.<br />
Persino la struttura che era un castello aragonese<br />
mostra le sue carenze: i pochi lavori di restauro<br />
fatti non bastano a mascherare i segni del tempo,<br />
che ci porta inesorabilmente a quegli anni in cui<br />
i manicomi erano una realtà.<br />
NAPOLI<br />
L’inferno nel vecchio monastero<br />
Nel 2008 la chiusura e il trasferimento in un’ala del carcere di Secondigliano<br />
priva i pavimenti e i letti e l’odore di<br />
urina era fortissimo. La struttura<br />
cadeva a pezzi, nonostante già nel<br />
1996 le ripetute ispezioni della Asl<br />
ne avessero fatto notare l’inadeguatezza.<br />
Per questo, il ministero della<br />
Giustizia, sollecitato a intervenire,<br />
ne aveva predisposto la chiusura.<br />
Ma le proteste della polizia penitenziaria<br />
e dei medici fecero abbandonare<br />
l’ipotesi.<br />
Solo nel 2008, in una conferenza<br />
La storia di Nabuc<br />
La rivista<br />
più pazza<br />
del mondo<br />
“Signor dirigente di questo istituto,<br />
faccio presente alla<br />
Signoria Vostra che non sono<br />
né pazzo, né scemo o tantomeno<br />
menomato. Per cui la<br />
prego di non farmi diventare<br />
tale, ma di farmi curare i dolori<br />
alla testa e agli occhi e di non<br />
tenermi insieme a personaggi<br />
pericolosi. Grazie”. Così scrive<br />
un internato nel numero 0 di La<br />
storia di Nabuc, la rivista<br />
dell’Opg di Aversa. È il periodico<br />
più “pazzo” del mondo, che<br />
raccoglie le testimonianze di chi<br />
altrimenti non avrebbe voce.<br />
"Parliamo di Nabucodonosor<br />
(per gli amici, Nabuc), il Re di<br />
Babilonia che impazzì per troppa<br />
superbia, e pazzo rimase per<br />
sette anni. E poi guarì": così, nel<br />
loro sito Internet, i "redattori"<br />
del giornale raccontano chi è il<br />
Nabuc che compare nella loro<br />
testata. “Un'utopia dove utopica<br />
è la comunicazione che si<br />
muove in uno spazio burocraticamente<br />
trasgressivo in cui la<br />
sofferenza è rappresentata<br />
<strong>senza</strong> fronzoli”, si legge in una<br />
nota del sito.<br />
Un vecchio monastero del ’500,<br />
Sant’Eframo è stato la sede dell’ospedale<br />
psichiatrico giudiziario di<br />
Napoli. Avrebbe dovuto essere<br />
un’oasi di pace e tranquillità. Ma le<br />
condizioni in cui hanno vissuto<br />
fino al 2008 circa 100 internati non<br />
erano umanamente accettabili. A<br />
partire dall’as<strong>senza</strong> delle elementari<br />
norme igienico-sanitarie: celle<br />
minuscole in cui erano ammassate<br />
sei persone, dove la sporcizia ricostampa<br />
il sottosegretario con delega<br />
alle carceri Luigi Manconi, visto lo<br />
stato di degrado denunciato da alcune<br />
associazioni, annuncia lo stanziamento<br />
di 300mila euro per i lavori di<br />
ristrutturazione. Ma la magistratura<br />
interviene a sorpresa, stabilendo la<br />
chiusura di Sant’Eframo. Nel marzo<br />
del 2008, internati e personale vengono<br />
trasferiti nel carcere di<br />
Secondigliano, in un blocco detentivo<br />
autonomo.
14 Domenica<br />
11 marzo 2012
‘<br />
SOCIETA Domenica 11 marzo 2012<br />
In Italia si registra un incremento della popolazione straniera nelle carceri<br />
“Papillon” è il progetto di raccolta libri in diverse lingue da destinare a Rebibbia<br />
Detenuti “condannati” a leggere<br />
15<br />
La civiltà, quella autentica, si trova<br />
spesso nelle cose che non si vedono,<br />
che non piacciono.<br />
Nei luoghi remoti, oscuri del vivere,<br />
quelli del dolore, della sofferenza<br />
e delle privazioni. Uno di questi<br />
è il carcere, dove ogni giorno la<br />
parola civiltà deve essere alimentata,<br />
sostenuta, tenuta in vita, con<br />
rigore e perseveranza, da chi vi<br />
opera e da chi è in stato di detenzione.<br />
Una condizione quella dei<br />
reclusi che ha bisogno di essere<br />
rivitalizzata anche dall’esterno:<br />
con l’intervento degli uomini liberi,<br />
che non devono rimanere indifferenti,<br />
come se il carcere fosse<br />
altro da loro, un luogo distante.<br />
A sostegno dei detenuti stranieri,<br />
che in Italia sono circa 17mila<br />
e rappresentano il 30% della<br />
popolazione carceraria, tra cui<br />
marocchini, albanesi, tunisini,<br />
romeni e algerini.<br />
L’Ong – Voci di Popoli del Mondo,<br />
inaugura una raccolta permanente<br />
di libri in lingua straniera da destinare<br />
a tutti i reclusi.<br />
Il progetto, esteso sul territorio<br />
nazionale, prevede la raccolta di<br />
riviste e volumi, principalmente<br />
romanzi, poesie, opere contemporanee<br />
e grammatiche in lingua<br />
originale per lo studio dell’italiano.<br />
La prima donazione è<br />
diretta alla biblioteca centrale di<br />
Rebibbia “Papillon” e si pone l’obiettivo<br />
di fornire i testi principalmente<br />
in ungherese, polacco,<br />
bulgaro, serbo, croato, turco,<br />
spagnolo e portoghese, lingue<br />
maggiormente compatibili con<br />
l’utenza media dei detenuti.<br />
«L’iniziativa – spiega la responsabile<br />
del progetto, Igiea Lanza<br />
di Scalea - creando un contatto<br />
tra donatori e le biblioteche<br />
centrali delle istituzioni penitenziarie,<br />
desidera realizzare<br />
una connessione tra la realtà<br />
carceraria e quella della restante<br />
società “libera”».<br />
I detenuti stranieri sono vittime di<br />
un percorso di esclusione che inizia<br />
prima del carcere, e continua<br />
poi all'interno delle strutture che<br />
dovrebbero riabilitarli. Molti di<br />
essi sono clandestini, <strong>senza</strong> permesso<br />
di soggiorno o colpevoli di<br />
piccoli reati. Devono scontare due,<br />
cinque o dieci anni, ma per loro è<br />
più difficile rispetto a molti italiani,<br />
ottenere il rito alternativo e lo<br />
sconto di pena. Perché sono<br />
immigrati in un Paese straniero. I<br />
più non ricevono visite. Sono condannati<br />
ad un isolamento totale<br />
dalle circostanze.<br />
Abbandonati a sé stessi, dietro le<br />
sbarre, compiono atti di autolesionismo.<br />
Per giustificare le loro azioni<br />
sanno solo rispondere tra l’altro:<br />
«Non riuscivo ad avere alcun contatto<br />
con la famiglia». Spesso,<br />
infatti, in una cella di tre metri per<br />
due convivono più persone, il<br />
tempo non passa mai, è vuoto,<br />
Chi è VPM<br />
Voci popoli del mondo è un’associazione<br />
presente in Africa<br />
da oltre 25 anni con progetti di<br />
cooperazione e sviluppo in<br />
ambito sanitario e agricolo,<br />
sostenuta da istituzioni pubbliche<br />
e private. Ha già realizzato<br />
progetti in Mali, Kenya e<br />
Brasile. Negli ultimi anni,<br />
opera in Corno d'Africa dove<br />
gestisce progetti ospedalieri in<br />
Eritrea, Etiopia e Somalia.<br />
Inoltre, sostiene le aree colpite<br />
recentemente da crisi belliche.<br />
inutile. Non ci sono abbastanza<br />
lavori da assegnare a tutti e così si<br />
finisce per fare i conti con lo<br />
sconforto e con la voglia di morire.<br />
Certo, chi ha sbagliato deve pagare<br />
ma non per questo deve essere<br />
privato di dignità. Poter leggere un<br />
libro nella propria lingua sarebbe<br />
un passo verso l’esistenza civile, da<br />
concedere anche se chi è colpevole<br />
è un immigrato. Il carcere rappresenta<br />
l’altra faccia del salotto<br />
buono, con cui fare i conti fino in<br />
fondo. Ma è pur vero che la civiltà<br />
comprende tutto e tutti, altrimenti<br />
non si potrebbe definire tale. Un<br />
libro può rendere sopportabile,<br />
meno crudele questo luogo. Un<br />
libro in cui la parola civiltà lasci<br />
intravedere, seppure in lontananza,<br />
un disegno di libertà. Si dice<br />
che la lettura nobilita l’animo,<br />
dunque è un peccato negarla a chi<br />
ne sente il bisogno per evadere da<br />
una tremenda realtà.<br />
Pagina a cura di<br />
VALENTINA BELLO<br />
Contatti<br />
La sede “Vpm” dove si<br />
effettuerà il banco raccolta e<br />
smistamento libri, è sito in via<br />
Lugnano di Teverina 9 a Roma.<br />
Per sostenere l’iniziativa contattare<br />
i seguenti referenti<br />
locali: Milano, Simona Galisi<br />
(333 7802316) Roma, Igiea<br />
Lanza (3395778637) Salerno,<br />
Simona Sabato (3402447023)<br />
Co<strong>senza</strong>, Gabriella Occhipinti<br />
(388 6536112) Palermo, Maria<br />
Eugenia Lo Bue (347<br />
2436323)<br />
Igiea Lanza di Scalea è presidente<br />
dell’Ong – Voci di<br />
popoli del mondo, nonché<br />
responsabile del progetto<br />
“Papillon”.<br />
Com’è nata l’iniziativa?<br />
Da sempre abbiamo rivolto<br />
un pensiero ai reclusi stranieri.<br />
Il vissuto detentivo è<br />
oltremodo complesso, se<br />
pensiamo ad un immigrato<br />
lontano dalla famiglia e non<br />
alfabetizzato. La carcerazione,<br />
dunque, diventa una<br />
sfida alla sopravvivenza.<br />
L’idea di raccogliere testi in<br />
lingua straniera è nata da<br />
una precedente esperienza<br />
a Rebibbia, quando nel<br />
discutere con il personale<br />
del carcere, abbiamo appreso<br />
della carenza di libri non<br />
in italiano. Il nostro banco<br />
di raccolta raggruppa volumi<br />
in tutte le lingue, anche<br />
quella magrebina, in questo<br />
caso richiesta specifica<br />
della biblioteca.<br />
Si stanno ottenendo risultati<br />
positivi?<br />
È molto difficile reperire<br />
letture in specifiche lingue,<br />
dunque, stiamo cercando<br />
prevalentemente contatti<br />
con ambasciate, consolati,<br />
centri culturali e accademie.<br />
Ogni stampa recupe-<br />
La responsabile Igiea Lanza<br />
«Immigrati<br />
con dignità»<br />
rata rappresenta per l’associazione<br />
un passo in avanti.<br />
Abbiamo riscontrato un<br />
interesse a doppio senso. In<br />
negativo, dai quanti confiderebbero<br />
nell’espulsione immediata<br />
dei prigionieri stranieri,<br />
ma anche in positivo<br />
grazie alla partnership del<br />
Global university network e<br />
agli sponsor che hanno aderito<br />
al progetto: l’Aiasu, la<br />
casa editrice “Pensa Multi-<br />
Media”, la masseria “La<br />
Madonnina” e i referenti<br />
locali, preziosi volontari,<br />
impegnati ognuno nella<br />
propria area di riferimento.<br />
Le piccole realtà penitenziarie,<br />
infatti, possono avanzare<br />
richieste di pochi volumi<br />
facilmente reperibili.<br />
Come si potrebbe migliorare<br />
la situazione?<br />
Puntando sui mediatori<br />
sociali e culturali, potenziando<br />
i corsi di alfabetizzazione,<br />
i corsi di formazione<br />
professionale e, infine,<br />
educandoci allo scambio<br />
culturale, all’uguaglianza<br />
e al rispetto dei diritti<br />
umani.<br />
In veste di presidente Aiasu<br />
(Associazione internazionale<br />
per le applicazioni<br />
delle scienze Umane) il criminologo<br />
e docente di E-<br />
ducazione degli adulti ed<br />
Educazione permanente<br />
alla facoltà di Lettere e<br />
Filosofia dell’Università della<br />
Calabria, Francesco Bruno,<br />
esprime il suo giudizio<br />
in merito all’iniziativa.<br />
« Il fenomeno della popolazione<br />
detenuta straniera ad<br />
oggi - dice - raggiunge circa<br />
il 40% della realtà carceraria<br />
ed è in crescita continua.<br />
Il cosiddetto trattamento,<br />
già difficilmente<br />
attuabile a fronte delle gravi<br />
condizioni in cui versa il<br />
nostro sistema penitenziario,<br />
diviene ancora più<br />
complesso a fronte di un’utenza<br />
straniera in crescita<br />
continua: nella fattispecie,<br />
da più parti si segnala la<br />
carenza di personale e<br />
ancor più grave, la carenza<br />
di personale multilingua. Il<br />
detenuto straniero, già<br />
“penalizzato” proprio perché<br />
immigrato, si vede<br />
limitato alla fruizione dei<br />
suoi stessi diritti, anche dei<br />
più elementari».<br />
Il criminologo Francesco Bruno<br />
«Poche righe<br />
per evadere»<br />
«Appoggiamo quest’iniziativa<br />
perché nella sua semplicità<br />
riveste comunque un<br />
forte impatto tratta mentale:<br />
un buon libro facilita lo<br />
sviluppo di capacità cognitive,<br />
tecniche, sociali e<br />
pedagogiche – conclude il<br />
dott. Bruno - può agevolare<br />
la persona reclusa ad una<br />
possibile trasformazione<br />
(che può trovarsi allo stadio<br />
iniziale di un possibile cambiamento)<br />
e non ultimo, la<br />
lettura colma i vuoti di un<br />
vissuto detentivo contribuendo<br />
anche ad una strutturazione<br />
morale di chi ne<br />
fosse deficitario».<br />
Francesco Bruno, svolge<br />
un’intensa attività mediatica,<br />
è docente di Criminologia<br />
e di Psicopatologia forense<br />
in varie sedi universitarie.<br />
Attento alle tematiche<br />
politiche, sociali e di formazione,<br />
ripropone la centralità<br />
e la soggettività dell'uomo,<br />
modello che la<br />
società delle nuove tecnologie<br />
sembra ridurre.
16 Domenica 11 marzo 2012 ARTE<br />
La Fondazione Plart festeggia il suo quarto anno di allestimenti e ricerca scientifica<br />
Plastica+arte+tecnologia<br />
Dal plexiglass con la seta per i gioielli, al polipropilene delle bambole e dei vasi<br />
Nel 1860 lo statunitense J.W.<br />
Hyatt scopre la celluloide, primo<br />
materiale plastico usato, in quel<br />
caso, per produrre pellicole<br />
fotografiche e cinematografiche.<br />
La plastica: che meravigliosa<br />
scoperta! Duttile, malleabile, economica<br />
e colorata viene utilizzata,<br />
a partire da quel momento,<br />
per costruire una serie infinita di<br />
oggetti. L’industria di tutti i tipi se<br />
ne appropria come una scoperta<br />
sensazionale: la rivelazione del<br />
secolo. Tanto che anche l’arte<br />
contemporanea ne fa un suo elemento<br />
primario. Anzi, di più: la<br />
assurge ad arte stessa.<br />
Il Plart, a Napoli, (via Martucci,<br />
48), meglio conosciuto come<br />
Museo della plastica, è il luogo di<br />
culto di questo materiale. Grazie<br />
alla felice intuizione di unire arte<br />
e tecnologia, la fondazione Plart è<br />
diventata una vera istituzione nel<br />
settore. Con la collaborazione di<br />
importanti centri di ricerca universitari<br />
(Politecnico di Milano, la<br />
II Università di Napoli e l’Università<br />
di Salerno), il museo si<br />
impegna nella ricerca scientifica e<br />
tecnologica per approdare a<br />
nuovi e sempre più ingegnosi usi<br />
della plastica. Lo scorso 25 gennaio<br />
il museo ha festeggiato i suoi<br />
quattro anni di attività. Sorprendente<br />
per una struttura all’avanguardia<br />
aver raggiunto questo<br />
traguardo così importante, soprattutto<br />
se si pensa agli obiettivi<br />
che si è impegnata a raggiungere.<br />
Alle mostre e esposizioni si aggiungono<br />
le attività didattiche.<br />
Non solo allestimenti, ma anche<br />
scienza, questo il suo punto di<br />
forza. Ma com’è fatto il Plart?<br />
All’ingresso c’è un grande spazio<br />
adibito all’ esposizione di oggetti<br />
delle collezioni storiche di plastica<br />
più conosciute. Entrando in<br />
un'altra sala, una lunga teca di<br />
vetro mostra una serie di oggetti e<br />
opere d’arte in plastica della<br />
Collezione Incutti, secondo percorsi<br />
tematici diversi che si rinnovano<br />
periodicamente. La teca,<br />
oltre a contenere gli oggetti,<br />
diventa anche una sorta di viaggio<br />
culturale e storico del nostro<br />
Paese: una bambola, un telefono,<br />
delle carte, una casetta, un<br />
motorino. Poi, ancora, utensili da<br />
cucina, scarpe, giocattoli, borse,<br />
occhiali e altro.<br />
Formata da leghe polimeriche<br />
(più catene di molecole complesse)<br />
la plastica ha però lo svantaggio<br />
di essere altamente inquinante.<br />
Il Plart, grazie alle<br />
avanzate ricerche, utilizza la bioplastica,<br />
a partire dalla molecola<br />
di Mater-Bi che non ha impatti<br />
distruttivi sull’ambiente. Questo<br />
materiale, dagli usi molteplici e<br />
sorprendenti, è ancora parte integrante<br />
delle nostre vite. Luoghi<br />
come il Plart, che approfondiscono<br />
la ricerca su metodologie<br />
non distruttive e contribuiscono<br />
allo sviluppo tecnologico di<br />
prodotti industriali, meritano<br />
sempre più attenzione e partecipazione.<br />
Pagina a cura di<br />
PIETRO ESPOSITO<br />
ASSUNTA LUTRICUSO<br />
«Far conoscere questa realtà proiettandoci<br />
nel mondo, attraverso l’unicità delle nostre<br />
ricerche». Lo spirito del Plart nelle parole di<br />
Marco Petroni, della Fondazione del<br />
museo. Napoli, la città nuova, a cui però<br />
viene sempre associato il vecchio, delle sue<br />
strutture e della sua arte, ignorando l’avanguardia<br />
e la sperimentazione prepotentemente<br />
presenti. «Il territorio – confessa<br />
Marco Petroni – purtroppo non è molto<br />
attento. Abbiamo circa quarantamila visitatori<br />
l’anno, ma un buon settanta percento di<br />
questi vengono da fuori Regione».<br />
Un disinteresse non giustificato, soprattutto<br />
se si pensa che alla creatività vengono<br />
associate problematiche del quotidiano<br />
particolarmente sentite in Campania, come<br />
il tema della raccolta e del trattamento dei<br />
rifiuti, con progetti che inglobano anche<br />
diversi istituti scolastici.<br />
«Il designer – continua Marco Petroni– è<br />
una figura molto più complessa di quello<br />
che si pensi. Non si tratta di uno “stilista”,<br />
ma il suo compito è quello di interpretare la<br />
realtà e avere la capacità di prefigurare<br />
mondi futuri». E proprio in questo caso, la<br />
tecnologia viene in soccorso all’arte, perché<br />
con la tecnologia si riesce a interpretare la<br />
complessità del tempo.<br />
A sinistra<br />
un modellino<br />
di donna<br />
In basso,a sinistra,<br />
l’opera “Claudia Quinta”,<br />
di Anselm Kiefer<br />
In basso, a destra,<br />
dei giocattoli<br />
Percorso multimediale<br />
Mater-Bi:<br />
dal petrolio<br />
ai girasoli<br />
Nel percorso multimediale, dal<br />
titolo “Da un mare di petrolio a<br />
un campo di girasoli”, viene<br />
spiegata ai visitatori la scoperta<br />
del Mater-Bi e la sua importanza.<br />
Molto divertente per i bambini<br />
perché ricca di colori vivaci<br />
e di suoni accattivanti, la sala<br />
multimediale è un modo per<br />
imparare giocando. Sottili tubi<br />
fluorescenti, non appena ci si<br />
passa di sotto, mostrano filmati<br />
sulla plastica: i suoi inventori e<br />
le sue innovazioni. Il percorso<br />
continua con lampadari e anelli<br />
tiranti che mostrano le varie<br />
molecole che compongono i<br />
diversi materiali plastici.<br />
Calpestando dei rettangoli di<br />
diverso colore viene riprodotto<br />
il suono di alcuni oggetti di uso<br />
comune (ovetto kinder, scotch,<br />
tappo di bottiglia, spazzolino).<br />
Poi, un capannone con all’interno<br />
dei piccoli animaletti ispirati<br />
al film della Disney “Fantasia”,<br />
realizzati da tre studenti della<br />
Dundee University. Gli animaletti<br />
si animano, parlano e<br />
mordono, persino. A concludere<br />
il tour il passaggio su un<br />
finto campo girasoli, circondato<br />
da pareti con delle scritte che<br />
riconducono al concetto di<br />
sostenibilità.<br />
Le opere di Roberto Dalisi, Wanda Romano, Anselm Kiefer e Haim Steinback<br />
Le forme del futuro a Napoli<br />
«Il designer non è un semplice stilista ma un interprete della realtà»<br />
Gli occhi della creatura Plart, però, guardano<br />
in due diverse direzioni. Oltre alla promozione<br />
sul territorio lo sguardo è rivolto<br />
allo scouting sul panorama internazionale.<br />
Ai noti designer campani o italiani, come<br />
Roberto Dalisi, Wanda Romano, Piero<br />
Gilardi e Chiara Scarpitti (in mostra dall’8<br />
marzo con una collezione di gioielli in seta<br />
e plexiglass), si affiancano i nomi di artisti<br />
di fama internazionale, quali Tony Cragg,<br />
Anselm Kiefer e Haim Steinback (con un’esposizione<br />
al Moma di New York). Il museo<br />
è stato dichiarato l’unico “giacimento del<br />
design” del sud Italia e in virtù di questa<br />
eccellenza ha attivato delle collaborazioni<br />
con i più importanti istituti d’Europa, come<br />
la Royal College of Arts di Londra e la<br />
Design Academy di Eindhoven, considerata<br />
il top nel settore.<br />
«Il grande gap da colmare con il resto del<br />
continente – secondo Marco Petroni –<br />
riguarda la preparazione offerta dalle<br />
Università. In altri Paesi gli istituti danno<br />
già gli strumenti per capire il presente,<br />
mentre in Italia, spesso, si conosce tutto del<br />
passato, ma poco delle realtà nuove su cui<br />
bisogna confrontarsi».<br />
Il Plart, comunque, rappresenta una ricchezza<br />
nuova per la città, anche se ha da<br />
poco festeggiato i suoi quattro anni dall’apertura,<br />
che entra in sinergia con la “Napoli<br />
contemporanea” che appartiene anche ad<br />
altre strutture come il Madre, il Pan e il<br />
Nitsch. «L’unione – conclude Petroni –<br />
potrebbe fare la forza. Sono realtà che si<br />
trovano in parti differenti della città, ognuna<br />
con il proprio fascino e le proprie difficoltà,<br />
ma il futuro passa per le reti, le collaborazioni,<br />
magari immaginando anche un<br />
marchio e lanciando un validissimo percorso<br />
turistico».
ARTE<br />
Domenica 11 marzo 2012<br />
Il Macro Testaccio di Roma ospita la mostra del fotografo americano Steve McCurry<br />
Giro del mondo in 200 scatti<br />
Camminando tra gli espositori del<br />
Macro Testaccio di Roma è facile<br />
perdersi. Sembrano tutti uguali e<br />
l’aria che si respira è così ammaliante<br />
da non lasciare spazio alla<br />
ragione e alla consapevolezza di<br />
capire dove si è e cosa si sta facendo.<br />
All’esiguo prezzo di otto euro, il<br />
centro di produzione culturale “La<br />
Pelanda” consente di fare una viaggio<br />
nel mondo. E bastano un paio<br />
d’ore; niente a che vedere con gli<br />
ottanta giorni che impiegano il<br />
londinese Phileas e il suo cameriere<br />
Passepartout nell’avventura di<br />
Jules Verne.<br />
I padiglioni del complesso ottocentesco<br />
dell’ex Mattatoio romano,<br />
dal 3 dicembre al 29 aprile, ospitano<br />
la mostra fotografica di Steve<br />
McCurry. Oltre duecento scatti in<br />
cui l’artista americano pluripremiato<br />
racconta le sfaccettature del<br />
mondo che ha incontrato e con il<br />
quale più volte si è scontrato. I suoi<br />
reportage per “Time”, “Life”, “Newsweek”,<br />
“Geo” e “National Geographic”<br />
hanno reso McCurry famoso<br />
in tutto l’etere e la fotografia<br />
della “Ragazza afghana” -pubblicata<br />
come copertina del “National<br />
Geographic Magazine” nel giugno<br />
del 1985 – gli ha permesso di vincere<br />
nello stesso anno il prestigioso<br />
riconoscimento “World Press Photo”.<br />
McCurry ha detto più di una<br />
volta che «se sai aspettare, le persone<br />
si dimenticano della tua<br />
macchina fotografica e la loro<br />
anima esce allo scoperto». Aspettare.<br />
Lui sì che sa farlo bene.<br />
Basti pensare che ha dovuto<br />
attendere 17 anni prima di rincontrare<br />
la ragazza afghana della<br />
foto, Sharbat Gula, e scattarle<br />
un’altra istantanea. «La sua pelle<br />
è segnata, ora ci sono le rughe,<br />
ma lei è esattamente così straordinaria<br />
come lo era tanti anni fa»<br />
ha detto, dopo averle donato<br />
parte della sua fortuna.<br />
Il viaggio tra le foto di McCurry è<br />
un viaggio attraverso le storie dei<br />
cittadini del mondo. Uomini, donne,<br />
bambini, anziani. Mani, occhi,<br />
naso, petto, gambe, braccia, piedi.<br />
India, Afghanistan, Usa, Giappone,<br />
Filippine, Brasile, Sri Lanka, Nepal,<br />
Yemen, Tibet, Pakistan, Vietnam. I<br />
suo personaggi non sono semplici<br />
soggetti che sono stati fotografati<br />
un certo giorno in un certo luogo.<br />
Sono anime che raccontano storie<br />
e comunicano a chi le vede qual è<br />
la loro idea di posto nel mondo.<br />
Anime, piccole e grandi anime racchiuse<br />
in un clic. Come quella del<br />
piccolo bimbo peruviano in lacrime<br />
che si punta la pistola alle tempie.<br />
Non si conoscono le sue generalità<br />
e su di lui non si sa niente<br />
più di quello che si vede nella foto<br />
di McCurry. Ma la sua voce si sente,<br />
si sente eccome. I suoi occhi<br />
parlano e le lacrime riusciamo a<br />
sentirle. A stento però, perché il<br />
bimbo è timidamente spaventato e<br />
ha paura di attirare l’attenzione di<br />
qualcuno. La pistola è di grosso calibro<br />
e il suo braccino ne sostiene<br />
appena il peso. «Perché – sembra<br />
chiedersi e chiedere il bambino –<br />
perché sta accadendo proprio a<br />
me?». Il piccolo racconta la sua<br />
storia a noi che lo guardiamo, anche<br />
se forse è l’ultima cosa che mai<br />
vorrebbe fare. Le foto di McCurry<br />
sono esposte in alcune cupole che<br />
sovrastano e avvolgono lo spettatore.<br />
La sensazione è che infondano<br />
un senso di immensità e allo<br />
stesso tempo di piccolezza della<br />
natura umana. I colori sono ben<br />
studiati e così anche le sequenze<br />
degli scatti che sembrerebbe seguire<br />
il cursus nascita-morte. Tra<br />
tutte le fotografia, 50 sono state<br />
A destra<br />
Steve McCurry<br />
ha fotografato<br />
la finestra<br />
di un albergo<br />
romano<br />
che si affaccia<br />
sulla Fontana<br />
di Trevi<br />
fatte in Italia: McCurry ha visitato<br />
in lungo e largo il nostro Paese e si<br />
è soffermato soprattutto sulle<br />
bellezze delle città di Venezia e<br />
Roma. La foto che ritrae la finestra<br />
di un albergo sulla fontana di Trevi<br />
è magnetica: tutto in questa istantanea<br />
– luci, cibo, armonia, sole,<br />
bellezza, calore, serenità – sembra<br />
voler raccontare l’Italia e la sua<br />
vera es<strong>senza</strong>.L’Italia <strong>senza</strong> stereotipi.<br />
Steve McCurry dà voce e colore<br />
al suo viaggio attraverso il<br />
mondo. E ha il potere di portar con<br />
se chiunque si soffermi anche solo<br />
un attimo sui suoi meravigliosi<br />
scatti. Regalando la sensazione e<br />
convinzione che ben più importante<br />
dell’arrivo è senz’altro il viaggio.<br />
Il suo, come il nostro.<br />
A sinistra<br />
la brutale<br />
immagine<br />
di un bambino<br />
peruviano<br />
con la pistola<br />
puntata<br />
alla nuca<br />
17<br />
Esposta anche “La ragazza afghana” con cui l’artista ha vinto il World Press Photo<br />
Immagini<br />
che fermano<br />
il tempo<br />
La vita è fatta di immagini. E se<br />
le immagini hanno la fortuna di<br />
essere fotografate, allora prima<br />
o poi vengono alla luce foto che<br />
raccolgono attimi di vita. E attimi<br />
di vita che si raccolgono nelle<br />
foto. A volte basta un momento,<br />
una piccola sequenza di fotogrammi<br />
e può accadere l’inimmaginabile:<br />
un dito fermo e veloce,<br />
spinto dall’animo di chi<br />
vuole catturare istantanee del<br />
mondo, ha il potere di fermare il<br />
tempo. E di ritrarre una persona,<br />
una cosa, un odore, un sapore,<br />
un rumore. Un’imma-gine<br />
cristallizzata che il tempo non<br />
avvilirà né consumerà. So-no<br />
quelle fotografie che non<br />
muoiono mai e, anzi, diventano<br />
storia. Come “Migrant mother”,<br />
l’immagine che Dorothea Lange<br />
scatta nel 1936 e diventa icona<br />
della Grande Depressione. Florence<br />
Owens Thompson, la<br />
donna ritratta nell’istantanea, è<br />
una madre trentaduenne di sette<br />
figli che lavora in un campo di<br />
piselli in California. È un donna<br />
come tante che ha dei figli come<br />
tante e fa un lavoro come tante.<br />
Eppure l’occhio della fotografa<br />
l’ha trasforma nella Donna della<br />
Grande Depressione, simbolo di<br />
un’orgogliosa nazione che deve<br />
e vuole resistere a una crisi mai<br />
vista prima. Nove anni dopo<br />
Alfred Eisenstaedt scatta “The<br />
kiss”: è il 14 agosto del 1945 e un<br />
marinaio bacia un’infermiera.<br />
La guerra è finita e tutti corrono<br />
per le strade inneggiando alla<br />
pace. Un marinaio comincia a<br />
baciare ogni donna che incontra.<br />
L’infermiera Edith Shain è<br />
una delle malcapitate (o fortunate<br />
che dir si voglia) che si trovano<br />
sulla sua via ed è lì con loro<br />
anche la macchina fotogra-fica<br />
di Eisenstaedt. Uno scatto e in<br />
un’attimo la guerra è finita. A<br />
volte poi accade che la gente si<br />
cristallizzi in un’immagine, pur<br />
a tratti rifiutandola e contestandola.<br />
Richard Drew scatta “The<br />
falling man” l’11 settembre del<br />
2001: un uomo si getta dal<br />
World Trade Center perché sceglie<br />
di che morte morire e l’inesorabile<br />
volere delle coincidenze<br />
vuole che il fotografo sia proprio<br />
lì sotto. A vedere la vita che si<br />
toglie la vita.<br />
La fotografia può far soffrire,<br />
commuovere, sorridere, sorprendere,<br />
incantare. “È un’austera<br />
e sfolgorante poesia dal vero”<br />
(Ansel Adams) che è allo stesso<br />
tempo “una pseudo pre<strong>senza</strong><br />
e l’indicazione di un’as<strong>senza</strong>”<br />
(Susan Sontag). Fotografare la<br />
vita che scorre per immagini o<br />
immaginare la vita che scorre per<br />
fotografie. Magari la differenza<br />
alla fine non è poi così tanta.<br />
Pagina a cura di<br />
GIORGIA MENNUNI
18 Domenica 11 marzo 2012 TERRITORIO
TERRITORIO Domenica 11 marzo 2012<br />
Anche l’acquedotto romano nel degrado tra sporcizia e rischio crolli: l’allarme dei cittadini<br />
Una storia di ordinario degrado,<br />
ambientata nel cuore della vecchia<br />
Napoli. Lì dove la cultura è costretta<br />
a rivelare il suo volto ferito, a<br />
causa dell’abbandono, anche la<br />
sicurezza dei cittadini non è più<br />
garantita come diritto.<br />
Accade a via Ponti Rossi, l’arteria<br />
lunga quasi 2,5 chilometri che congiunge<br />
le zone di Capodimonte e<br />
dell’Arenaccia. Un’area nota fin dai<br />
tempi antichi per la fertilità dei<br />
suoi terreni, e per questo destinata<br />
all’agricoltura.<br />
I segni dell’insediamento romano<br />
sono tutt’oggi visibili nel tratto di<br />
acquedotto risalente al I secolo<br />
d.C. da cui la strada prende il<br />
nome. La struttura di epoca claudia,<br />
in tufo e laterizi rossi, è divenuta<br />
il simbolo dell’incuria che<br />
caratterizza l’intero territorio.<br />
I caratteristici archi che dominano<br />
il tratto stradale versano infatti in<br />
un grave stato di decadimento, tra<br />
«Abbiamo le mani<br />
legate».<br />
Così Giuliana Di<br />
Sarno, presidente<br />
del Consiglio municipale<br />
Stella - San<br />
Carlo all’Arena,<br />
spiega i mancati<br />
interventi per la<br />
messa in sicurezza<br />
e la riqualificazione<br />
di via Ponti Rossi. «Il regolamento delle<br />
municipalità varato nel 2005 - spiega Di<br />
Sarno - classifica la strada come principale.<br />
L’esecuzione dei lavori, quindi, è di<br />
competenza del Comune di Napoli».<br />
Le opere rientrano in un progetto C.o.r.<br />
per il quale sono stati stanziati 10 milioni<br />
di euro, ma il finanziamento è stato bloccato<br />
dalla Regione Campania. «Le ditte<br />
aggiudicatarie dell’appalto non ricevono<br />
soldi da 4 anni, per questo i lavori sono<br />
sospesi» prosegue il presidente, che sullo<br />
stato di abbandono dell’acquedotto roma-<br />
Ponti Rossi, crisi nera<br />
Strade dissestate e as<strong>senza</strong> di marciapiedi<br />
Soldi congelati alla Regione, lavori mai finiti<br />
erbacce ed immondizia, con rischi<br />
per la tenuta statica.<br />
A testimoniarlo, la pre<strong>senza</strong> di<br />
alcune impalcature risalenti al<br />
periodo del post-terremoto. La<br />
mano dei vandali ha distrutto<br />
anche le panchine di recente<br />
costruzione: unico segno di<br />
modernità, eccezion fatta per gli<br />
edifici di natura residenziale.<br />
Ma a preoccupare maggiormente è<br />
la viabilità. Una vera e propria<br />
emergenza, quella denunciata dai<br />
residenti: i lavori di manutenzione<br />
e messa in sicurezza della strada,<br />
iniziati un anno fa, non sono mai<br />
stati portati a termine.<br />
I fondi stanziati dalla Comunità<br />
europea, che dovrebbero essere<br />
«SBLOCCARE I FONDI SUBITO»<br />
La preoccupazione<br />
del presidente<br />
della Municipalità<br />
no denuncia un incredibile paradosso.<br />
«Gli archi sono considerati un bene storico<br />
dalla Soprintendenza, ma quest’ultima<br />
si oppone alla rimozione dei sampietrini,<br />
in quanto l’asfalto guasterebbe la coerenza<br />
del territorio» dichiara Di Sarno, che<br />
sottolinea come nessun intervento di<br />
manutenzione è stato previsto in questi<br />
anni, nonostante le pressioni della municipalità,<br />
e le continue denunce di uno<br />
stato d’emergenza che è sotto gli occhi di<br />
tutti. «La Soprintendenza intende tutelare<br />
un bene della comunità: ma come, se l’acquedotto<br />
crolla?».<br />
erogati dalla Regione Campania,<br />
sono infatti congelati nei forzieri di<br />
palazzo Santa Lucia.<br />
Per l’ex acquedotto esiste un progetto<br />
della Soprintendenza, che<br />
prevede lo stanziamento di oltre<br />
un milione di euro per gli interventi<br />
di riqualificazione urbana. Il<br />
ministero ai Beni Culturali, tuttavia,<br />
non ha mai approvato il piano.<br />
Vittime del continuo rimpallo istituzionale,<br />
i cittadini: preoccupati<br />
per l’incolumità propria e dei<br />
rispettivi familiari. Circolare in<br />
auto e soprattutto a piedi è diventato<br />
infatti rischiosissimo. Donne,<br />
anziani e diversamente abili sono<br />
costretti a fare lo slalom tra le macchine<br />
in movimento e quelle in<br />
sosta selvaggia, che occupano<br />
entrambi i lati della strada, vista<br />
anche l’as<strong>senza</strong> di paletti.<br />
I vigili urbani sono assenti, ed il<br />
mancato rifacimento della segnaletica<br />
orizzontale e verticale è causa<br />
di frequenti ingorghi, ma anche di<br />
tragici incidenti, in una zona densamente<br />
abitata, per la pre<strong>senza</strong> di<br />
scuole, palestre e attività commerciali.<br />
Nell’ultimo anno, due passanti<br />
sono stati investiti dagli autobus<br />
in transito: l’ultimo episodio ha<br />
visto coinvolta un’anziana signora,<br />
poco prima di Natale.<br />
Strisce pedonali dipinte e subito<br />
cancellate, pavimentazione dissestata,<br />
totale as<strong>senza</strong> di marciapiedi:<br />
sono questi alcuni tra gli elementi<br />
19<br />
che compongono un quadro d’insicurezza<br />
e degrado inaccettabile.<br />
Ad aggravarlo, paradossalmente,<br />
hanno contribuito i lavori di<br />
manutenzione. Dopo la chiusura<br />
del cantiere, infatti, la sede stradale<br />
non è stata ripulita dal sabbione e<br />
dal pietrisco avanzati.<br />
Le caditoie pluviali, otturate da<br />
anni, non garantiscono un adeguato<br />
sistema di drenaggio: l’acqua<br />
piovana rimane così in superficie e,<br />
mescolandosi alla ghiaia, costituisce<br />
un ulteriore fonte di pericolo<br />
per quanti si muovono a piedi o in<br />
auto.<br />
Tra i cittadini cresce l’esasperazione,<br />
mentre via Ponti Rossi muore<br />
soffocata dalla sporcizia e dall’abbandono.<br />
Pagina a cura di<br />
SIMONE SPISSO<br />
RENATO<br />
«Stop a sosta<br />
selvaggia»<br />
CARLO<br />
«Dove sono<br />
i vigili?»<br />
SALVATORE<br />
« Un inferno<br />
da 40 anni»<br />
IMMACOLATA<br />
«Vogliamo<br />
sicurezza»<br />
GIANLUCA<br />
«Alto rischio<br />
di incidenti»<br />
Renato Cirillo,<br />
vigile del fuoco,<br />
guida la<br />
protesta dei<br />
residenti di<br />
via Ponti Rossi:<br />
«Dopo la<br />
rimozione del<br />
cantiere la situazione<br />
è peggiorata. Non c’è<br />
stato il <strong>fissa</strong>ggio definitivo dei<br />
sampietrini con la pece catramata<br />
- spiega - e i cubetti sono saltati<br />
in diversi tratti. Chiediamo lo<br />
sgombero dalle auto in sosta selvaggia,<br />
e la realizzazione di<br />
nuovi marciapiedi con paletti,<br />
per consentire ai pedoni di circolare<br />
<strong>senza</strong> il rischio di essere investiti,<br />
come purtroppo è già successo».<br />
Manca un servizio di pulizia<br />
stradale: «La spazzatura comune,<br />
ma anche altri rifiuti speciali<br />
giacciono in strada per giorni».<br />
Carlo Ballerino,<br />
imprenditore,<br />
sottolinea<br />
la situazione<br />
di profondo<br />
degrado<br />
in cui versa<br />
l’ex acquedotto<br />
romano di<br />
via Ponti Rossi: «Gli archi necessitano<br />
di un urgente restauro, e<br />
tutta l’area circostante dovrebbe<br />
essere riqualificata. Sulla sommità<br />
della struttura ci sono<br />
erbacce e radici invadenti che<br />
potrebbero determinare crolli.<br />
Inoltre - prosegue - gli archi sono<br />
danneggiati in più punti dai<br />
camion che vi si incastrano<br />
durante il passaggio, poiché<br />
manca la segnaletica stradale e i<br />
vigili urbani sono assenti. L’intera<br />
struttura rischia di crollare.<br />
Servono interventi d’urgenza».<br />
Salvatore<br />
B o e r i o ,<br />
imprenditore,<br />
è uno dei residenti<br />
“storici”<br />
di via Ponti<br />
Rossi: «Abito<br />
qui dal 1971,<br />
ed è sempre<br />
stato un inferno. Gli ingorghi<br />
stradali sono all’ordine del giorno<br />
e l’inquinamento, sia acustico che<br />
ambientale, ha superato i livelli<br />
di guardia». La pre<strong>senza</strong> sulla<br />
sede stradale del sabbione e del<br />
pietrisco, avanzati dopo i lavori<br />
di manutenzione, hanno peggiorato<br />
la viabilità: «La scorsa settimana<br />
ho assistito al ribaltamento<br />
di un’auto. Abbiamo chiesto<br />
alla polizia municipale un maggior<br />
presidio, ma ci hanno risposto<br />
che le auto sono poche e non<br />
hanno i soldi per la benzina».<br />
Immacolata<br />
Sigillo è una<br />
casalinga. La<br />
sua preoccupazione<br />
è rivolta<br />
in primo<br />
luogo alla sicurezza<br />
di anziani<br />
e bambini:<br />
«Non ci sono marciapiedi, e le<br />
macchine sostano su entrambi i<br />
lati della strada. Non abbiamo<br />
neanche una fermata dell’autobus,<br />
per cui siamo costretti a<br />
camminare e ad aspettare l’arrivo<br />
dei pullman in mezzo alla strada.<br />
In questa zona vivono molti<br />
ragazzi e pensionati, c’è un centro<br />
di riabilitazione per disabili, ma<br />
anche scuole e chiese». Quella dei<br />
cittadini è una battaglia di<br />
civiltà: «Non chiediamo abbellimenti<br />
e decorazioni, ci interessa<br />
solo la sicurezza».<br />
Gianluca<br />
Cameretti,<br />
operaio, è padre<br />
di tre<br />
bambini, e vive<br />
quotidianamente<br />
i rischi<br />
per la circolazione<br />
in<br />
via Ponti Rossi: «Il pericolo di<br />
essere investiti dalle auto o dai<br />
camion è altissimo. Infatti prendo<br />
la macchina anche per gli spostamenti<br />
più brevi, come fare la<br />
spesa o accompagnare i miei figli<br />
a scuola. Anche mia moglie è<br />
stata costretta a prendere la<br />
patente, perché attraversare la<br />
strada con la carrozzina era<br />
impossibile. La pavimentazione<br />
in cubetti è sconnessa in molti<br />
punti, ci sono buche molto ampie.<br />
Anche le caditoie della fognatura<br />
sono otturate da anni».
20 Domenica 11 marzo 2012 TERRITORIO<br />
Doris, mago quattordicenne di Marcianise, vincitore del “Concorso Nazionale giovani talenti”, torna su RaiDue<br />
Piccoli trucchi, grandi magie<br />
MARIO PIO CIRILLO<br />
L’enfant prodige intreccia anelli di acciaio e divide una donna in due<br />
Tirar fuori un coniglio da un<br />
cilindro o far levitare una ragazza<br />
non è da tutti. Se poi a<br />
riuscirci è un quattordicenne<br />
con un talento innato per l’illusionismo<br />
e un carisma di tutto<br />
rispetto, allora c’è da strabuzzare<br />
gli occhi. Sì, perché il piccolo<br />
Giuseppe Cicala, ormai balzato<br />
alle cronache come Mr. Mago<br />
Doris, ha già calcato tanti palcoscenici<br />
in pochi anni tanto da<br />
diventare una star acclamata<br />
non solo nella città di Mar-cianise,<br />
dove vive con la sua famiglia,<br />
ma anche oltre i confini<br />
della Campania.<br />
Occhi vispi e timidi, sorriso<br />
contagioso, Giuseppe frequenta<br />
il terzo anno di scuola media<br />
a Marcianise ma, tra i compiti a<br />
casa e il relax familiare, si dedica<br />
assiduamente alla sua passione<br />
per i giochi di prestigio e<br />
l’illusionismo.<br />
«Quando avevo dieci anni –<br />
racconta il piccolo Doris - ho<br />
assistito ad uno spettacolo di<br />
magia in cui era protagonista il<br />
mio attuale maestro Hamadi.<br />
Sono rimasto talmente stupito<br />
dai giochi di magia che ho<br />
espresso ai miei genitori la<br />
voglia di cimentarmi in questa<br />
bellissima arte, o almeno provarci.<br />
E loro sono rimasti entusiasti<br />
dell’idea e non hanno esitato<br />
ad iscrivermi alla scuola di<br />
magia di Hamadi a Napoli».<br />
Seguito e incoraggiato da papà<br />
Michele, Giuseppe ha già collezionato<br />
una serie di vittorie da<br />
quando ha cominciato la sua<br />
avventura nel mondo dell’illusio-<br />
Il piccolo Giuseppe<br />
con il mago Silvan<br />
negli studi televisivi<br />
e sotto, Doris<br />
mostra la targa<br />
della vittoria<br />
allo “Star Sprint”<br />
nismo. L’enfant prodige marcianisano<br />
ha infatti conquistato il<br />
primo posto nell’ edizione 2010<br />
dello “Star Sprint”, il Concorso<br />
nazionale per giovani talenti, a<br />
cui hanno preso parte più di 600<br />
concorrenti provenienti da tutta<br />
Italia. Non contento, nel marzo<br />
2011 ha partecipato ai provini di<br />
“Italia’s got talent” negli studi di<br />
Cinecittà di Canale 5 e, nel mese<br />
successivo, è approdato per la<br />
prima volta alla Rai, nel salotto<br />
di Giancarlo Magalli a “I fatti<br />
vostri”, dove ha conquistato il<br />
plauso di un’autorità del settore<br />
come il mago Silvan. Nel programma<br />
di Rai 2, il piccolo mago<br />
di Marcianise, ha realizzato<br />
infatti alcuni giochi di illusionismo<br />
in un’escalation di stupore,<br />
partendo dal semplice “far sparire”<br />
foulard colorati, all’intreccio<br />
di anelli di acciaio, fino ad arrivare<br />
a uno dei trucchi classici, quello<br />
della donna che “viene divisa<br />
in due” come lui stesso ha spiegato<br />
al conduttore incuriosito.<br />
Magie e trucchi ad altezza di<br />
bambino, ma che stimolano<br />
curiosità e interesse anche negli<br />
adulti.<br />
«Abbiamo dato a Giuseppe tutto<br />
l’appoggio possibile e stiamo<br />
continuando a farlo, anche se<br />
non è facile, per permettergli di<br />
realizzare il suo sogno, che è<br />
quello di diventare un grande<br />
mago» ha affermato il padre,<br />
Michele, che lavora in una ditta<br />
di elettromedistici nella provincia<br />
di Caserta.<br />
Una passione, quella per i giochi<br />
di magia, che ha permesso al<br />
piccolo marcianisano di tirare<br />
fuori pian piano il sogno dal<br />
cassetto per trasformarlo in<br />
realtà, con la semplicità con cui<br />
realizza i suoi trucchi.<br />
Il piccolo prestigiatore ha infatti<br />
bissato il successo del Concorso<br />
“Star Sprint”, aggiudicandosi il<br />
primo posto anche nella finale<br />
dell’edizione 2011. Una mano<br />
nel cilindro, l’altra stretta a quella<br />
della piccola collaboratrice<br />
Maria - che gli fa da “valletta” nei<br />
suoi spettacoli - Giuseppe, nel<br />
tempo libero, pratica nuoto e<br />
divora film d’azione. «Tornerò in<br />
Tv il prossimo 8 marzo - anticipa<br />
- con la seconda partecipazione a<br />
“I Fatti vostri”, sperando di conquistare<br />
tanti altri fans».
SPORT<br />
Domenica 11 marzo 2012<br />
21<br />
A Fuorigrotta vi è un parcheggio sotterraneo mai utilizzato con 2000 posti auto<br />
Il Comune vuole riaprirlo. L’assessore Tommasielli: sarà un vantaggio per la città<br />
C’è da spostare una macchina<br />
Dove sono finiti i soldi pubblici e<br />
perché le infrastrutture non vengono<br />
utilizzate anche se costruite?<br />
E’ il dilemma di ogni italiano che<br />
non se ne capacita e che deve, oggi<br />
ancor di più, stringere la cinghia<br />
per pagare le tasse ( l’equazione<br />
tasse uguale miglioramenti dei<br />
servizi e delle infrastrutture in<br />
Italia non esiste). Ebbene sì, negli<br />
anni addietro si sono costruite<br />
“mostruosità” architettoniche mai<br />
venute alla luce. Le infrastrutture<br />
costruite e mai utilizzate pesano<br />
come la spada di Damocle sulla<br />
collettività (ahi il debito pubblico).<br />
Allora ecco un esempio di tutto<br />
ciò: correva l’anno 1988 e lo<br />
Stadio San Paolo beneficiava di<br />
finanziamenti per la ristrutturazione<br />
non solo dello stesso<br />
impianto, ma, anche per la riqualificazione<br />
della zona circostante.<br />
Fu allora che si decise di costruire<br />
un parcheggio multipiano sotterraneo,<br />
di quasi 2000 posti, per<br />
garantire una viabilità più scorrevole,<br />
facilitare la vita per i residenti<br />
della zona e rendere migliore il<br />
transito delle auto in prossimità<br />
del l’impianto in vista delle partite<br />
della Nazionale italiana e del<br />
Napoli. L’opera, che è costata circa<br />
5 miliardi delle vecchie lire, non è<br />
mai venuta alla luce. A criatura<br />
nun è nata. Anzi moltissimi non<br />
ne sanno nemmeno l’esistenza. Il<br />
progetto prevedeva un parcheggio<br />
sotterraneo: facendo un sopralluogo<br />
si possono notare le colonnine<br />
per il biglietto, i posti auto e<br />
quelli autorità, i passaggi di entrata<br />
e uscita per le auto ma il tutto<br />
non è agibile e non è stato stato<br />
utilizzato neanche per parcheggiare<br />
la moto di topo Gigio.<br />
Quindi abbiamo interpellato l’assessore<br />
allo Sport, Pina Tommasielli,<br />
che ha dato alcune delucidazioni<br />
sulla vicenda. Per quan-<br />
Caos Viabilità<br />
per i cittadini<br />
La situazione dei parcheggi<br />
a Fuorigrotta è insostenibile.<br />
Una giungla invivibile per<br />
chi ci abita. I tifosi vanno<br />
allo stadio<br />
non sapendo<br />
dove parcheggiare<br />
l’auto e finiscono<br />
con il<br />
sostare nei<br />
modi più assurdi.<br />
A farne<br />
le spese sono<br />
i cittadini che<br />
diventano<br />
prigionieri in<br />
casa propria. C’è poi il problema<br />
dei parcheggiatori<br />
abusivi che chiedono dai 5<br />
ai 10 euro per “custodire”<br />
l’auto e 3 euro per il casco.<br />
Addirittura, ora, gli abusivi<br />
parcheggiano i caschi dei<br />
tifosi nelle macchine per poi<br />
ridarli a fine partita. Un vero<br />
e proprio giro di danaro che<br />
va a gonfiare le casse della<br />
Una panoramica<br />
dello Stadio San Paolo<br />
e in basso<br />
l’assessore comunale allo<br />
Sport<br />
Pina Tommasielli<br />
ca-morra,con i vigili che<br />
non possono coprire l’ampia<br />
zona nei dintorni dello<br />
stadio. Ma la situazione<br />
non cambia<br />
negli altri<br />
giorni della<br />
settimana,<br />
con il parcheggio<br />
che<br />
diventa un<br />
miraggio per<br />
coloro che<br />
lavorano<br />
nella zona e<br />
con la viabilità<br />
che ne<br />
risente ogni giorno.<br />
Il parcheggio “dei misteri”<br />
avrebbe risolto la<br />
maggior parte dei problemi<br />
con entrate per il<br />
comune, una viabilità<br />
più scorrevole e meno<br />
disagi per i residenti.<br />
Ma, come succede sempre<br />
in Italia, è lì e rimane<br />
nel dimenticatoio.<br />
Nuovo impianto<br />
o ristrutturazione<br />
Uno stadio nuovo realizzato<br />
in un'area strategica di<br />
Napoli o il San Paolo completamente<br />
rinnovato.<br />
Queste le<br />
due opzioni<br />
per contribuire<br />
ad ammodernare<br />
e<br />
a far disputare<br />
le partite<br />
del Napoli in<br />
un catino di<br />
gioco più accogliente<br />
rispetto<br />
all’ormai fatiscente<br />
San Paolo.<br />
Uno stadio, «per il popolo<br />
e per mezzo del popolocome<br />
dice il sindaco De<br />
Magistris - un tema cosi'<br />
importante deve essere<br />
partecipato e trasparente<br />
nelle procedure».<br />
Dai progetti e dagli incontri<br />
si passa ora «ai fatti» ed<br />
e' un appello che il sindaco<br />
fa «non solo ai politici, ma<br />
Il San Paolo nasce negli anni<br />
’50 da un progetto di Carlo<br />
Cocchia ed era uno stadio<br />
avveniristico per il suo stile<br />
e la sua eleganza.<br />
Nel<br />
1988, prima<br />
dei mondiali<br />
’90 e grazie ai<br />
finanziamenti<br />
statali che<br />
hanno contribuito<br />
all’ammodernamento<br />
degli impianti,<br />
lo stadio fu<br />
ampliato e dotato di una<br />
copertura: il risultato è stato<br />
uno scempio con una struttura<br />
in ferro abominevole.<br />
Tutta colpa del ferro, spiega<br />
Pino Squillante, uno degli<br />
architetti che aveva presentato<br />
il progetto, al Corriere<br />
del Mezzogiorno. Il lavoro<br />
del professionista napoletano<br />
era più elegante ed eco-<br />
to riguarda i parcheggi l’assessore<br />
ha voluto affermare «l’intenzione<br />
del Comune a riqualificare la zona<br />
intera e non solo i parcheggi<br />
facendo notare che i parcheggi<br />
non sono mai stati collaudati nel<br />
lontano ’89 e che la giunta dell’epoca<br />
non ha avuto nessuna intenzione<br />
a far partire l’iniziativa».<br />
Oltretutto, continua la Tommasielli,<br />
«i parcheggi venivano spesso<br />
inondati dalla pioggia e dopo un’<br />
analisi tecnica, fatta quest’anno, si<br />
è avuto anche un raccordo fognario<br />
risolvendo il problema. Essendo<br />
il collaudo scaduto abbiamo<br />
provveduto ad indire un regolare<br />
bando di appalto per assegnarne<br />
un altro, non solo a questa opera,<br />
ma all’intero San Paolo, poiché<br />
<strong>senza</strong> questo collaudo sono in<br />
pericolo anche le partite del<br />
Napoli». La Tommasielli, conclude,<br />
dicendo che «l’intera popolazione<br />
di Fuorigrotta, che oggi<br />
vive come in una giungla, trarrà<br />
benefici dalla riapertura del<br />
parcheggio che potrà in qualche<br />
modo diminuire il fenomeno<br />
dei parcheggiatori abusivi e dei<br />
barboni e drogati che di notte<br />
irrompono nel sotterraneo».<br />
Prendendo in esame questo scempio<br />
vero e proprio, Monti, ha a-<br />
vuto ragione nel non far assegnare<br />
all’Italia le Olimpiadi del 2020.<br />
Non si sa dove siano andati a finire<br />
i soldi spesi per gli impianti<br />
sportivi e visti i precedenti, tra<br />
bustarelle per gli appalti e costruzioni<br />
fantomatiche mai utilizzate,<br />
perché creare un altro flusso di<br />
danaro che avrebbe ingrossato le<br />
tasche di gente <strong>senza</strong> scrupoli?<br />
I RESIDENTI IL FUTURO DELLO STADIO I FINANZIAMENTI NEL ‘90<br />
anche agli imprenditori»<br />
che saranno coinvolti, in<br />
caso di realizzazione di<br />
una nuova struttura,<br />
anche per il<br />
vecchio<br />
Stadio San<br />
Paolo, inaugurato<br />
nel<br />
1959 e che<br />
sara' incluso<br />
nel<br />
bando con<br />
project financing.<br />
Il calcio per<br />
salvarsi<br />
dalla crisi sollecita una<br />
legge che consenta alle<br />
so-cietà, e non ai<br />
Comuni, di costruire gli<br />
stadi.<br />
L’idea di una struttura<br />
moderna, magari a Ponticelli,<br />
è molto suggestiva<br />
e incontra gli interessi di<br />
un’area illusa e delusa<br />
che da vent’anni aspetta<br />
di essere riqualificata.<br />
Pagina a cura di<br />
FRANCESCO GIORDANO<br />
Uno scempio<br />
architettonico<br />
nomico di quello base.<br />
L’azienda appaltatrice revocò<br />
l’incarico. La gara per<br />
la copertura dello stadio fu<br />
vinta sulla<br />
base di un<br />
prezzo a corpo<br />
che escludeva<br />
però il<br />
costo del ferro<br />
che sarebbe<br />
stato conteggiato<br />
a<br />
misura (più<br />
ce n’era più si<br />
guadagnava).<br />
Il progetto di<br />
Squillante pesava circa 2<br />
milioni di chili di ferro,<br />
quello realizzato invece<br />
pesò oltre 8 milioni di chili,<br />
ben quattro volte in più. Fu<br />
così che circa 150 miliardi<br />
di vecchie lire degli italiani<br />
vennero utilizzati per i<br />
mondiali di calcio del 1990<br />
a fronte dei 67 del progetto<br />
Squillante.
22 Domenica<br />
11 marzo 2012 RUBRICHE<br />
“Illuminati collezionisti<br />
e generosi privati<br />
restituiranno<br />
ricordi di aree,<br />
di famiglie,<br />
di materiali<br />
privilegiando<br />
soprattutto le immagini”<br />
I luoghi del sapere<br />
La collana dell’editore “areablu” raccoglie le testimonianze visive,<br />
scritte e orali del territorio campano per vivere passato e futuro<br />
“Luoghi” è il titolo di una collana che<br />
raccoglie le testimonianze visive, scritte<br />
e orali del territorio campano. Essa<br />
nasce da un rapporto tra ricerca e<br />
luogo, tra molteplici e differenti soggetti<br />
impegnati nel comune interesse per<br />
le ricostruzioni culturali.<br />
Sono ormai numerosi anni che l'attenzione<br />
per questo tipo di fonti ha visto l'impegno<br />
di molti studiosi in varie città italiane,<br />
La collana vuole essere un contenitore di<br />
approfondimento che si avvale della disponibilità<br />
di illuminati, collezionisti e<br />
generosi privati per restituire ricordi di<br />
aree, di famiglie, di materiali attraverso le<br />
più varie testimonianze, privilegiando<br />
soprattutto le immagini. Partendo da esse<br />
(incisioni, foto, cartoline, manifesti), conservate<br />
generalmente alla rinfusa, si opera<br />
una divisione per soggetto e una scansione<br />
informatica che permette un utilizzo e una<br />
possibilità di elaborazione <strong>senza</strong> timore<br />
per la conservazione, consentendo un rapporto<br />
di interconnessione molto più libero<br />
e flessibile con i testi relativi. Ser-vendosi;<br />
infatti, di testimonianze di ogni genere<br />
(documenti, libri, cartoline, giornali,<br />
appunti, interviste) vengono individuate<br />
alcune aree sulle quali far convergere i<br />
materiali visivi. Inizia così un lavoro di<br />
volta in volta diverso, perché differenti<br />
sono gli ambiti, le immagini, le domande<br />
alle quali possono rispondere gli "oggetti"<br />
rinvenuti. Identica, però, è la metodologia<br />
che parte dalla necessità di evitare all'oblio<br />
di coprire o disperdere quei piccoli dettagli<br />
che "ci raccontano". II rischio più grande<br />
è la riduzione della memoria con identificazioni<br />
errate o con la perdita di materiali<br />
rappresentati, siano essi soggetti o<br />
oggetti. Ogni intervento sulla memoria<br />
richiede, inoltre, un atto creativo e una<br />
misura, sia che si utilizzi la viva testimonianza<br />
del documento visivo, sia che si<br />
guardi a documenti testuali.<br />
Quando, ai fini di un racconto, si assemblano<br />
in nuove sequenze decontestualizzate,<br />
l'atto creativo riguarda proprio la<br />
concatenazione di significato, nonché i<br />
rimandi e le associazioni che ne scaturiscono.<br />
La misura consiste, invece, nello<br />
scegliere con rispetto una delle possibili<br />
letture dell'immagine, evitando ogni stravolgimento<br />
del dato originario. Selezionare<br />
da fonti eterogenee, allo scopo di<br />
restituire memorie materiali<br />
di ogni genere, esige<br />
un lavoro di interpretazione<br />
a favore del racconto:<br />
un dialogo tra immagine e<br />
testo, dove alternativamente<br />
ora è la prima ad<br />
imporsi perché icona e,<br />
quindi, al testo viene<br />
richiesta una riflessione<br />
successiva, ora è l'immagine<br />
ad assumere un ruolo<br />
didascalico. Dietro questo<br />
intreccio vi è il rapporto<br />
complicato ira immagine e<br />
testo che nel recuperare il<br />
passato guarda al futuro.<br />
a cura di<br />
GIORGIA MENNUNI<br />
Sì alle parole inglese<br />
Ma a modo nostro<br />
Noi italiani siamo particolarmente presuntuosi<br />
soprattutto quando ci atteggiamo a grandi conoscitori<br />
della nostra lingua. Quando siamo convinti<br />
di parlare nel modo corretto, di utilizzare le<br />
parole giuste, di fare un uso aulico e aggraziato<br />
della grammatica è la volta buona che invece<br />
commettiamo gli errori peggiori. E per giunta<br />
non ce ne accorgiamo.<br />
Pensiamo ad esempio a quando usiamo le parole<br />
inglesi e le inglobiamo nel nostro linguaggio.<br />
Computer, film, mouse, floppy disk, weekend.<br />
Ormai sono entrate nel gergo di tutti i giorni e il<br />
loro significato è noto a tutti. È come se fossero<br />
parole italiane eppure, sapendo che così non è, la<br />
tendenza comune è quella di utilizzarle mantenendo<br />
le regole della lingua originale (in questo<br />
caso l’amato-odiato inglese). Cosa sbagliatissima.<br />
Paradossalmente questo errore è più frequente<br />
quando a parlare sono proprio loro: i<br />
dotti, i sapienti, i vanesi conoscitori della lingua e<br />
delle lingue. I computers sono il nostro futuro,<br />
stasera vorrei affittarmi alcuni films, durante i<br />
weekends vado sempre a fare gite fuori porta. La<br />
regola aurea della lingua inglese e che ogni nome<br />
quando è plurale acquisisce una “s” a fine parola.<br />
Tutti lo sanno.<br />
Ma non tutti sanno che la grammatica italiana<br />
vuole che ogni parola da essa utilizzata segua le<br />
regole nostrane e non quelle della lingua originale.<br />
Semplice, logico e anche comprensibile se si<br />
pensa che è vero e più diffuso il contrario. Perché<br />
tutti gli inglesi sanno che, se usano le nostre<br />
parole, devono adeguarle alla propria grammatica.<br />
Loro il sabato sera si mangiano due pizzas a<br />
testa, amano fare colazione con due cappuccinos<br />
o – a seconda dei gusti – due espressos, per non<br />
parlare poi di quante mozzarellas si mangerebbero<br />
se potessero.<br />
È vero in inglese ed è vero in italiano. Però gli<br />
inglesi lo sanno mentre noi un po’ meno. La<br />
grammatica vuole che ogni lingua mantenga<br />
sempre le proprie regole e conservi la dominanza<br />
sulle altre lingue anche quando l’uso comune<br />
vuole che inglobi parole straniere. Una prevaricazione<br />
per alcuni giusta ma per altri spagliata.<br />
Ma così è e bisogna saperlo per non cadere in<br />
gaffe e non apparire come tronfi disconoscitori<br />
dell’italiano.<br />
lavoro<br />
“FareTurismo”<br />
a Salerno<br />
Offrire orientamento alla scelta universitaria e<br />
opportunità di lavoro, ma anche contribuire allo<br />
sviluppo delle politiche turistiche, sono questi gli<br />
obiettivi di “FareTurismo”. L’evento, ideato e organizzato<br />
dalla “Leader sas” di cui è responsabile<br />
Ugo Picarelli, si svolge a Salerno dall’8 al 10<br />
marzo, dalle ore 10 alle 18.<br />
Presso il Complesso di Santa Sofia, sede del salone<br />
espositivo, Istituzioni, Enti, Organizzazioni di<br />
Categoria e Associazioni Professionali, Università<br />
e Scuole di Master illustrano le opportunità<br />
occupazionali. I colloqui di orientamento sono<br />
fatti con i Centri Provinciali per l’Impiego e la rete<br />
Eures. In calendario l’appuntamento con “I<br />
Grandi Viaggi”, “Il Gruppo Digitale” e “Valtur”<br />
per il recruiting del personale che lavorerà nei villaggi<br />
la prossima estate. Ed ancora: i seminari di<br />
aggiornamento professionale; il convegno “Formazione<br />
scolastica, universitaria e professionale<br />
nel turismo”, i colloqui di selezione con i responsabili<br />
delle risorse umane di prestigiose aziende<br />
turistiche e tour operator. Un centinaio le opportunità<br />
di lavoro. Per l’hotellerie occhio puntato<br />
su: vicedirettori, capiricevimento, addetti al ricevimento<br />
e al desk office, governanti, sales manager,<br />
responsabili marketing, night audit, chef,<br />
pasticcieri, capipartita, maitre, camerieri di sala,<br />
barman, manutentori, facchini; per il tour operating<br />
e l’intermediazione: addetti al booking,<br />
responsabili commerciali, promotori, assistenti<br />
turistici, responsabili amministrativi. Prospettive<br />
concrete anche per fotografi ed estetiste. Per informazioni:<br />
www.fareturismo.it/2012
ITALIA/MONDO Domenica 11 marzo 2012<br />
23<br />
Il sì delle istituzioni c’è, manca l’approvazione degli abitanti della Val di Susa<br />
Tav, linea ad alta tensione<br />
Scontri a raffica per i tormentati lavori sulla Torino-Lione: feriti e arresti<br />
Il ministro Cancellieri: il problema è politico e non di ordine pubblico<br />
Luca Abbà è un attivista del movimento<br />
No Tav. Ha 37 anni e il 28<br />
febbraio scorso è caduto da un traliccio<br />
dell'alta tensione durante le<br />
operazioni di allargamento del<br />
cantiere della linea ad Alta Velocità<br />
Torino-Lione, in località Chiomonte.<br />
La caduta è avvenuta a<br />
seguito di una folgorazione per<br />
contatto con i cavi del traliccio. Lo<br />
stesso attivista aveva minacciato di<br />
appendersi ai cavi se il rocciatore<br />
delle forze dell'ordine avesse provato<br />
a trascinarlo giù. Attualmente<br />
resta in coma farmacologico, in<br />
prognosi riservata, pur reagendo<br />
positivamente alle terapie somministrategli.<br />
L'incidente non è bastato<br />
a fermare il crescendo di violenze<br />
e scontri come quelli avvenuti il<br />
giorno dopo fino a tarda sera tra<br />
forze dell'ordine e manifestanti, nei<br />
pressi dello svincolo di Chianocco<br />
sull'A32, Torino Bardonecchia, che<br />
solo dopo tre giorni di occupazione,<br />
è tornata percorribile in entrambe<br />
le direzioni. Decine di feriti:<br />
29 agenti e 8 manifestanti tra cui<br />
anche due volti noti della protesta<br />
Alberto Perino e Nicoletta Dosio.<br />
Cinque i fermati: è il bilancio di un<br />
unica sera di violenze.<br />
Nel frattempo sono attesi altri<br />
momenti di tensione. Sembra quasi<br />
normale aspettare la prossima<br />
puntata della violenta fiction tav,<br />
dopo quelle che ci hanno consegnato<br />
immagini detestabili: la polizia<br />
in tenuta antisommossa che<br />
sfonda la porta a vetri di un bar per<br />
cercare attivisti, giornalisti aggrediti<br />
per aver esercitato il diritto di<br />
cronica, il manifestante che insulta<br />
l'agente della celere il quale non<br />
reagisce alle provocazioni e per<br />
questo riceve un encomio.<br />
C'è poi la storia Gian Carlo Caselli,<br />
procuratore capo della Repubblica<br />
a Torino. Non uno qualunque. Ha<br />
fatto parte della Commissione<br />
stragi nel '91 e da procuratore<br />
della Repubblica di Palermo ha<br />
fatto arrestare criminali del calibro<br />
di Gaspare Spatuzza e Leoluca Bagarella.<br />
Eppure nei giorni scorsi gli<br />
è stato più volte impedito di presentare<br />
il suo libro. Questo perché<br />
alcuni dei No tav (alcuni, cioè una<br />
parte di un movimento che ha<br />
salda consapevolezza di sé e ottime<br />
argomentazione per i suoi<br />
scopi), glielo hanno impedito. Il<br />
tutto perché ha firmato dei provvedimenti<br />
di arresto nei confronti<br />
di alcuni attivisti.<br />
C'è qualcosa di profondamente<br />
sbagliato in questa faccenda della<br />
Tav e si rende necessario comprendere<br />
le ragioni di quella che<br />
ormai è una problematica quasi<br />
quotidiana.<br />
Chi è a favore dell'opera tira in<br />
bal-lo la democrazia, cioè il fatto<br />
che si tratta di un progetto<br />
approvato democraticamente dai<br />
vari consessi rappresentativi<br />
eletti dai cittadini, italiani e piemontesi.<br />
In altre parole il<br />
Parlamento nazionale e il Consiglio<br />
regionale, fanno notare i<br />
promotori dell'opera, registrano<br />
una maggioranza a favore dell'Alta<br />
Velocità; c'è insomma il sì<br />
delle istituzioni, democratiche<br />
appunto. Ci sarebbero poi in<br />
ballo i finanziamenti europei<br />
legati alla costruzione dell'opera.<br />
Ma viene da pensare, sostengono<br />
i No tav, che qualcuno ci abbia<br />
investito denaro e abbia necessità<br />
di rientrare. Tangenti da<br />
ricompensare? Lo ipotizzano i<br />
più cinici.<br />
Democraticamente eletti però sono<br />
anche i rappresentanti della comunità<br />
montana della valle in questione.<br />
L'altra parte, quella che sostiene<br />
che l'accordo Italia-Francia<br />
preveda il consenso delle popolazioni<br />
locali (palesemente inesistente),<br />
e che il trasporto merci di quella<br />
tratta sia pienamente attivo prima<br />
della messa in funzione della<br />
Tav. E' la parte che registra come a<br />
fronte di una capacità di 200 treni<br />
per quella tratta ne circolino solo<br />
70. La questione dell'impatto ambientale<br />
è evidente: tra le altre problematiche,<br />
ricordiamo quella della<br />
pre<strong>senza</strong> di amianto nella zona<br />
interessata dagli scavi.<br />
Il ministro dell'Interno Annamaria<br />
Cancellieri aveva parlato della necessitò<br />
di dialogo sulla questione<br />
Val di Susa e forse il punto è proprio<br />
questo: la Tav deve essere trattata<br />
nuovamente come un problema<br />
politico non di ordine pubblico.<br />
E il fatto che debba esserlo deriva<br />
dalle varie ragioni di cui sopra.<br />
Caro amico<br />
ci lasci<br />
Dal 4 marzo del ’43, al primo<br />
marzo del 2012. Se ne va quasi<br />
chiudendo un cerchio uno dei<br />
più grandi cantautori italiani. Si<br />
è spento a Montreaux, in Svizzera,<br />
per un infarto, alla vigilia<br />
dei suoi 69 anni. Le scorse settimane<br />
era tornato a solcare il<br />
palco dell'Ariston dopo 40 anni,<br />
nella doppia veste di autore e<br />
direttore d’orchestra durante le<br />
esibizioni di Pierdavide Carone,<br />
per cui aveva scritto il brano<br />
“Nanì”. Musicista di formazione<br />
jazz, riscopertosi poi autore dei<br />
testi delle sue canzoni in una<br />
fase matura, suona da clarinettista<br />
e sassofonista, e talvolta da<br />
tastierista. Ha raccontato, attraverso<br />
poesia e suggestioni, Bologna,<br />
con brani indimenticabili<br />
come “Piazza Grande”. Nel 1986<br />
incide un altro grande successo:<br />
“Caruso”, per qualcuno l’ultimo<br />
classico della canzone napoletana,<br />
che Dalla amava moltissimo.<br />
Nel 1990 stupisce ancora, con u-<br />
na canzone di Ron, la filastrocca<br />
“Attenti al lupo”, che diventa uno<br />
dei suoi brani più conosciuti nonostante<br />
la critica storca il naso.<br />
Nel 2010 un concerto insieme<br />
con Francesco De Gregori, a<br />
trent'anni da Banana Republic.<br />
Dopo Slovacchia, Bulgaria e Ungheria anche il nostro Paese dà l’ok<br />
Croazia nell’Ue, Serbia in forse<br />
L’ingresso ufficiale in Europa è previsto per l’estate dell’anno prossimo<br />
Assieme al giorno 29 dovuto all'anno bisestile<br />
in corso, la fine di febbraio ha registrato quest'anno<br />
un'altra circostanza particolare ma di<br />
natura ben diversa, oltre che di rilevanza continentale.<br />
Il 28 febbraio scorso infatti il Senato ha<br />
ratificato il trattato relativo all'adesione della<br />
Repubblica di Croazia all'Unione europea, già<br />
approvato dalla Camera due settimane fa. Il<br />
tutto mentre, dopo duri negoziati, il consiglio<br />
Ue affari generali rendeva nota la decisione di<br />
accordare alla Serbia la possibilità di garantirgli<br />
lo status di Paese candidato.<br />
Per quel che riguarda la Croazia, il processo di<br />
adesione era stato avviato nel giugno del 2004 e<br />
sottoscritto a Bruxelles il 9 dicembre 2011. L'Italia<br />
è stato il quarto stato dopo Slovacchia,<br />
Bulgaria e Ungheria a ratificare e ha garantito<br />
dall'inizio un appoggio pieno. A margine dell'incontro<br />
a Palazzo Chigi con il primo ministro<br />
portoghese Pedro Manuel Passos Coelho,<br />
Monti ha infatti espresso tempestivamente la<br />
sua soddisfazione per l'atto del Senato: «L'Italia<br />
e la Croazia hanno relazioni storiche strette, e<br />
sono molto lieto che il nostro Paese sia tra i<br />
primi a ratificare il trattato», così come il ministro<br />
Terzi che si è detto “particolarmente lieto<br />
che l’impegno congiunto delle Istituzioni abbia<br />
consentito all’Italia di essere il primo Stato fondatore<br />
dell’Unione europea a ratificare il<br />
Trattato di adesione”. L'adesione a pieno titolo è<br />
prevista dal 1 luglio 2013.<br />
E' apparso più stentato invece il cammino della<br />
Serbia che però, in virtù di un più disteso<br />
momento di dialogo tra le autorità di Belgrado<br />
e quelle di Pristina, è riuscita ad ottenere un via<br />
libera al processo che porta all'acquisizione<br />
dello status di Paese candidato. Non c'è però<br />
solo l'ancora scottante questione Kossovo a<br />
mettere i bastoni tra le ruote della Serbia (ricordiamo<br />
che Belgrado non ha ancora riconosciuto<br />
l'indipendenza della regione). La Romania,<br />
infatti, ha opposto una ferma resistenza chiedendo<br />
garanzie per la minoranza romena nel<br />
Paese, anche se il leader serbo, Boris Tadic, ha<br />
fatto sapere che la sua nazione non accetterà<br />
condizioni impossibili e non rinuncerà ai suoi<br />
principi. Senza contare poi la forte componente<br />
nazionalista che ovviamente continua tuttora<br />
ad opporre resistenza. Gli attivisti del partito<br />
radicale serbo Srs hanno già presentato una<br />
petizione anti Ue firmata, secondo gli organizzatori,<br />
da 200 mila persone che e' stata consegnata<br />
al presidente Tadic. “La Ue è una decisione<br />
catastrofica e la via euroatlantica e' un suicidio<br />
per la Serbia” hanno detto fra l'altro i manifestanti.<br />
Senza contare che i vari Mladic, Milosevich<br />
sono ancora considerati eroi nazionali.<br />
Si tratta di una singolare circostanza cronologica<br />
per due Paesi che, loro malgrado, sono spesso<br />
stati costretti a convivere. Erano insieme con<br />
Pagina a cura di<br />
MATTEO MARCELLI<br />
LUCIO DALLA<br />
l'Impero austroungarico e poi nella Repubblica<br />
Socialista Federale di Jugoslavia di Tito alla cui<br />
morte proprio la rivalità tra i due Stati, fece<br />
scoppiare una tra le più terribili guerre europee<br />
dopo la fine del primo conflitto mondiale. Vivevano<br />
insieme a Vukovar teatro di un terribile<br />
assedio da parte dell'esercito serbo e in Bosnia<br />
a Mostar il cui famoso ponte distrutto divenne<br />
il simbolo del conflitto tra i due popoli.<br />
Uno strano destino, che ha visto questi due<br />
stati così vicini e così nemici, ha fatto sì che a-<br />
desso una nuova autorità sovranazionale possa<br />
in futuro rivederli uniti. La speranza è che quest'atto<br />
possa un giorno portare alla ricostruzione<br />
di una convivenza civile libera dallo sciovinismo,<br />
simboleggiata, magari, proprio dal ponte<br />
di Mostar ricostruito di recente.<br />
L’ANGOLO<br />
Va ora in onda: lo “scippo”. Da Frattamaggiore,<br />
con stupore, al mondo, passando per<br />
YouTube. Due “signori” (in auto) rapinano e<br />
malmenano una donna, ma una camera di<br />
sorveglianza li riprende. Nulla di nuovo, a<br />
parte il prepensionamento dello scooter, se<br />
non che a mettere online il filmato è il figlio<br />
della vittima. Napoli far west? Allora via<br />
all’effetto wanted: duemila euro a chi li riconosce.<br />
Si taglia così ogni dubbio: il grande occhio<br />
esiste, e ha visto anche che le avete quasi<br />
prese dalla signora. Pietro Esposito