L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti
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tutti i bevitori che come me sono nati negli anni Sessanta sono figli delle<br />
birrerie che proliferarono come funghi al principio degli Ottanta. Oggi a<br />
Torino la “bionda” si spilla perfino nella più oscura bettola di periferia.<br />
Nondimeno, sotto il profilo qualitativo e culturale, c’è ancora parecchio<br />
cammino da percorrere. Abbiamo surrogati di pub irlandesi che non sanno<br />
spillare la Guinness, locali per fighetti nei quali la <strong>birra</strong> è spillata da fusti<br />
aperti da troppi giorni e quindi ossidata ma tanto non importa, il posto è<br />
trendy!, <strong>birra</strong> servita in bicchieri di plastica (per motivi d’ordine pubblico,<br />
d’accordo, ma è una bestialità) o nei bicchieri sbagliati. Ciononostante il<br />
consumatore medio italiano va raffinandosi, sa quello che vuole, e sempre<br />
più di frequente sceglie i locali per bere basandosi su criteri qualitativi<br />
piuttosto che seguire bovinamente la moda del momento. Coerentemente<br />
l’industria italiana si è dovuta adeguare agli standard mondiali. In questi<br />
ultimi tempi il livello dei prodotti è aumentato in modo ragguardevole, con<br />
riscontri più che lusinghieri. Nel 2008 Evan Rail del New York Times,<br />
uno dei più noti autori di guide specializzate d’America, dopo aver vagato<br />
a lungo per le birrerie del Nord Italia ha incoronato la <strong>birra</strong> artigianale<br />
italiana come la migliore del mondo. Nella sua spumosa pagella spiccano<br />
ben tre birre piemontesi: la Elixir del Birrificio Baladin di Piozzo, demisec<br />
contraddistinta dall’uso di lievito di whisky in rifermentazione, la Daü<br />
del Troll di Vernante (ambo le località si trovano in provincia di Cuneo) e<br />
la Sticher del Grado Plato di Chieri, ispirata alla rara Sticke di Düsseldorf.<br />
Ah oh ehi, i suma sempre i mej!<br />
Era il 15 agosto 1995 quando nella birreria della famiglia Khoury a<br />
Taybeh, Cisgiordania, il solo villaggio palestinese interamente cristiano,<br />
venne spillata la prima omografa Taybeh, unica <strong>birra</strong> prodotta in Palestina.<br />
I Khoury sono originari dello stesso villaggio ma, come molti cristiani,<br />
emigrarono perché il processo di pace non decollava andando a stabilirsi a<br />
Boston, dove avviarono un fiorente commercio di vini e alcolici. Quando,<br />
nel 1993, furono firmati gli accordi di Oslo, credendo che sarebbe iniziata<br />
una nuova era, essi liquidarono i beni statunitensi incassando 1,2 milioni<br />
di dollari, tornarono a <strong>casa</strong> e li reinvestirono nella “fabbricazione di una<br />
<strong>birra</strong> palestinese”, con la benedizione di Arafat. David Khoury, al presente<br />
primo cittadino di Taybeh, tirò su la fabbrica acquistando i tini d’acciaio<br />
negli Stati Uniti e i malti in Francia e Belgio. La Taybeh produce 600 mila<br />
litri l’anno e gode di un quasi-monopolio a Ramallah. Per contro, dopo la<br />
costruzione della barriera israeliana, vendere alla vicina Gerusalemme è<br />
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