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L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti

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andavo lo stesso e una sera me lo ritrovai lì piantato nell’uscio a dirmi con<br />

fare strafottente che non potevo entrare: al che io lo affrontai a muso duro<br />

ma un buttafuori si mise in mezzo. Più tardi mi procurai l’invito ed entrai.<br />

Non gli serbo neppure una briciola rafferma di rancore: eravamo giovani<br />

stupidi e pieni di sperma, com’è usanza dire dall’altra parte dell’oceano.)<br />

Preferibilmente desidero concentrarmi sulle conseguenze psicofisiche che<br />

la frequentazione di quella gloriosa discoteca causava su di me. Una su<br />

tutte: gli armageddonici doposbronza del sabato e della domenica mattina<br />

– talvolta di metà settimana, allorquando mi veniva la malsana fregola di<br />

imbucarmi alla soirée degli studenti Isef. E il mattino dopo al lavoro tutti a<br />

guardarmi di storto. Soprattutto il capoufficio.<br />

Allo Studio si spillava una <strong>birra</strong> chiara di pessima qualità. In alternativa<br />

potevi intossicarti con i “solventi” (squisiti cocktail preparati con liquori<br />

stappati dal Neolitico inferiore) o la Ceres Strong Ale. In realtà una lager,<br />

questa <strong>birra</strong> danese dai toni amarognoli pronunciati dichiara in etichetta il<br />

7,7% d’alcol, ma in base allo stato in cui ti riduceva (larvale) avresti detto<br />

che ne contenesse almeno il doppio. È anche vero che se ne ingollava a<br />

fiumi e che spesso si entrava in discoteca già carburati (magari dopo aver<br />

fatto tappa all’attiguo Charisma Pub, altro locale leggendario che non c’è<br />

più), ma se il giorno seguente uno stimato neurochirurgo ebreo mi avesse<br />

scoperchiato la scatola cranica avrebbe trovato Dalla biblioteca entropica<br />

di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen in luogo del cervello. Chiunque<br />

conosca quest’opera d’arte si farà un’idea, nonché quattro risate.<br />

La mia serata tipo allo Studio 2 era la seguente: svariate mosse strategiche<br />

per entrare senza pagare il biglietto; salita al bar del piano di sopra e prima<br />

Ceres sorseggiata aspettando l’ascesa al tempio di Roberto, un pazzoide<br />

scatenato di Avigliana con cui ne avrei bevute altre sette; discesa all’altro<br />

bar per bere qualche giro di brodaglia alla spina con la brigata e magari, se<br />

c’era il mood giusto, quattro salti in pista; di nuovo su e di nuovo giù, per<br />

altre tre-quattro volte; chiusura del locale coi buttafuori a ripetere come un<br />

mantra l’invito a guadagnare l’uscita e i parrocchiani a fare orecchie da<br />

mercante; summit fra ubriachi bolliti sul marciapiede circa l’eventualità di<br />

mettere qualcosa sotto i denti o persino di darsi la botta finale in qualche<br />

after-hours. Baccaglio di ragazze? Un optional. Almeno per me.<br />

E il giorno dopo... nausea, testa in frantumi, occhi iniettati di sangue, naso<br />

otturato, gola secca, polmoni in fiamme, estremità di piombo, epitelio<br />

mummificato come Ötzi, l’Uomo di Similaun.<br />

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