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L'Ulisse - LietoColle

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cuori vergini»(26)). In altre parole la comunicazione passa da un io, che si tramuta in un noi, e da<br />

un tu che diventa voi nel momento in cui il soggetto partecipa di una sorte comune agli uomini della<br />

propria classe, con maggior forza nel finale. Si attua progressivamente una sorta di rovesciamento<br />

che conferisce carattere di continuità sociale e garantisce lřevoluzione del senso della narrazione: il<br />

noi assume da un certo momento in poi un significato di azione collettiva e lřallocutore è un tu che<br />

sembra incarnarsi nella figura del lettore piccolo borghese. Anche la terza voce, che è quella madre<br />

di Dino, nel passaggio dallřio al noi, diventa un coro che coinvolge, in un lamento collettivo, tutte le<br />

madri di quei figli «poveri e sfortunati», accomunate da una condizione di sofferenza e povertà («Io<br />

questo ŖGinoŗ o ŖPirùcŗ o ŖMilaneseŗ / lřho portato nella pancia chřera autunno», «Dino come suo<br />

zio, / che era il più bello della contrada»(27)). Il coro delle «madri che bestemmiano nel dialetto<br />

proletario / dellřOttocento, del Cinquecento, del Mille»(28) per la morte dei propri figli, è un pianto<br />

collettivo. Non cřè più lingua per dire il dolore che ha attraversato i secoli, le regioni, i paesi, la<br />

storia:<br />

Noi madri medievali scorriamo<br />

torrenti di lacrime nel tuo ventre silenzioso,<br />

non ci sono più lingue per dar voce al dolore,<br />

…madri?...chi piange mai?...Non foglia più<br />

lřalbero genealogico, non cřè più Lingue…<br />

Que farà eo?...Le madri veneziane<br />

Piangono il loro pianto delle origini!(29)<br />

Nelle battute finali lo scontro tra classi sociali antagoniste appare ancora più crudele, esasperato<br />

dalla gestione dellřistanza enunciativa: lřautore si inserisce via via nelle voci sia del figlio del<br />

popolo, sia del figlio della borghesia, sia della madre del ragazzo povero, ma anche dei cori che<br />

partecipano alla scena. Spia dřingresso di questa presenza autoriale è in particolare un verso, in cui<br />

questa rottura è resa esplicita: «sulla linea del mio cuore / i due mondi si sono scontrati»(30): è da<br />

quel momento in poi che sulla scena sembra esserci anche lřautore. Si tratta di una<br />

transindividualità che viene anche tematizzata. Si realizza così un passaggio nodale che consente di<br />

stabilire come Dino non sia di fatto un personaggio, che si pone cioè al di là della presenza<br />

dell'autore, ma come, ad un certo punto della storia, diventa una sorta di altro da sé. Questo<br />

spostamento è confermato da una serie di strategie narrative tra le quali la più evidente è la presenza<br />

di parole bivoche (in senso bachtiniano), ovvero di espressioni linguistiche che, nelle parti gestite<br />

diegeticamente dal narratore, sono da mettersi in carico ideologico ai personaggi o addirittura ai<br />

cori («Scendi giù mamma, scendi giù / nei regni della morte dov'è sceso Dino, / ah mamma, voltati<br />

indietro, risali il fiume / dei secoli, al di là», «lui quasi Dio, parlante di un'isola platonica / che cosa<br />

facevano in fondo all'albero / genealogico pieno di padri ignoti / le antenate umbre di Dino?» (31)).<br />

Pasolini, in definitiva, presta la sua voce a Dino e con la sua voce lo fa parlare (lui e la<br />

classe proletaria), adottando il procedimento regressivo: il poeta, piccolo borghese, esprime così<br />

anche se stesso, presta la propria capacità espressiva al ragazzo povero. In questo modo anche<br />

autobiografia e scrittura vanno a coincidere, come dimostrano i passaggi in cui sono fortemente<br />

presenti alcuni elementi paesaggistici inconfondibilmente cari al poeta, mescolati a quelle tracce di<br />

storia familiare che prendono forma nei significativi inserti di genealogia familiare, modalità tipica,<br />

peraltro, della narrazione epica:<br />

Quella volta la roggia passava ancora per la piazza<br />

e i Miorin andavano allřelemosina<br />

e la Teresa era la più sgualdrina della contrada<br />

e i nostri cugini avevano ancora la distilleria<br />

e dallřaltro secolo tremava ancora una canzone:<br />

Xe morto Radeschi<br />

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