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L'Ulisse - LietoColle

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La dissonanza del mondo tra passato e presente.<br />

Eliot, Pasolini e la forma poema<br />

6<br />

These fragments I have shored against my ruins<br />

T. S. Eliot, The waste Land<br />

e puoi ascoltare come un diapason incantato<br />

la vita veramente umana che sale.<br />

P. P. Pasolini, L'italiano è ladro<br />

La critica alla società del dopoguerra, la desolazione e lo sconforto di una civiltà rinunciataria<br />

quanto a valori spirituali e disinteressata alla condizione umana; una rappresentazione poetica in cui<br />

passato e presente si mescolano sullo stesso piano, riproducendo una catena isotopica di immagini<br />

che ruotano attorno alla metafora centrale di una Ŗterra guastaŗ, in una congerie di sfiducia e<br />

fallimento è quanto Eliot ci racconta nella sua The waste Land. Un rapsodo dalla straordinaria forza<br />

intuitiva, che combina soluzioni metriche in bilico tra classicità e sperimentalismo, intertesti della<br />

tradizione letteraria con lo sperimentalismo individuale, in una multitonalità sospesa tra ironia e<br />

parodia, liricità e narratività, senza mai perdere di vista l'intenzione di fondo tesa alla<br />

rappresentazione della realtà o forse meglio della vastità dell'esistenza e della sua aridità.<br />

Erano gli anni Venti, anni di sperimentazione e innovazione. In quel brulichio (europeo) di<br />

inizio secolo le costruzioni poetiche eliotiane si configurano come un coacervo di elementi mitici,<br />

lirici e narrativi, senza tuttavia restituire un vero e proprio racconto in versi.<br />

Ora, quel che preme rilevare, è che l'eredità eliotiana sembra venire accolta, a distanza di un<br />

ventennio e sempre in un contesto storico post bellico, come quello del secondo dopoguerra, in un<br />

esperimento poetico mai finito di Pier Paolo Pasolini, risalente al crocicchio tra la fine degli anni<br />

Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta (la prima stesura risale infatti al 1948-1949): mi riferisco<br />

all'Italiano è ladro, un testo pubblicato in stralcio su «Nuova Corrente» nel 1955 e uscito poi dal<br />

laboratorio, in sede postuma, in una forma più estesa e comunque non-finita(1).<br />

Se il materiale poetico di Eliot era stato attinto dagli sviluppi dell'antropologia inglese a<br />

cavallo tra i due secoli (in specie Frazer e la sua scuola) ricavandone una serie di archetipi miticoantropologici,<br />

la rappresentazione del reale di Pasolini a cavallo tra i due decenni si fonda invece su<br />

archetipi di tipo storico-politico e ideologico (secondo una base interpretativa fornita da Marx,<br />

Croce e Gramsci ma anche dalla tradizione cristiana) approdando tuttavia, nel testo che qui si<br />

discute, a soluzioni formali non dissimili da quelle eliotiane (quali la suddivisione in sezioni, il<br />

malcerto e elusivo collegamento tra le personae di volta in volta introdotte nei vari episodi, la<br />

variazione del punto di vista, la forma del monologo o del dialogo Ŕ quest'ultimo sempre riducibile,<br />

in qualche modo, al primo Ŕ, gli intertesti della tradizione letteraria, e quindi una tessitura fatta di<br />

citazioni e allusioni, il plurilinguismo e la presenza, sebbene meno incisiva, delle note), e a<br />

un'unitarietà tematica (forse) più definita.<br />

Eliot si era sforzato di negare che la situazione da lui descritta fosse (solo) quella del primo<br />

dopoguerra: era piuttosto la crisi originata dalla percezione di una più generale aridità della<br />

condizione umana a concretizzarsi nel tropo della Ŗterra desolataŗ. Si trattava dello sforzo di unire<br />

due mondi, uno reale e contingente e l'altro incarnato nella tradizione (intesa in senso ampio) e nelle<br />

divergenti sollecitazioni della storia e della coscienza, come spiega nel celebre saggio Tradition and<br />

the Individual Talent, del 1919: «la tradizione non è un patrimonio che si possa tranquillamente<br />

ereditare; chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica. Essa esige che si abbia,<br />

anzitutto, un buon senso storico, cosa che è quasi indispensabile per chiunque voglia continuare a<br />

fare il poeta dopo i venticinque anni; avere il senso storico significa essere consapevole non solo<br />

che il passato è passato ma che è anche presente; il senso storico costringe a scrivere non solo con la<br />

sensazione fisica presente nel sangue, di appartenere alla propria generazione, ma anche con la<br />

coscienza che tutta la letteratura europea da Omero in avanti, e all'interno di essa tutta la letteratura<br />

del proprio paese, ha una sua esistenza simultanea e si struttura in un ordine simultaneo»(2). In<br />

6

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