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L'Ulisse - LietoColle

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quanto riguarda la produzione saggistica, dell'antologia Poesia dialettale del Novecento (1952) e del<br />

Canzoniere popolare (1955): tutte esperienze che si collocano notoriamente sulla stessa linea<br />

stilistica, linguistica ma anche ideologica, che affonda le proprie radici nella «regressione<br />

dellřautore nellřambiente descritto, fino ad assumerne il più intimo spirito linguistico»(7). È ancora<br />

nel diario che si chiarisce la portata umana e quindi politica del concetto di Ŗregressoŗ: «è stato il<br />

mondo esterno che ho Ŗcapitoŗ di cui mi sono fatto una competenza, che, un po' alla volta, come un<br />

organismo parassita in un altro organismo, è entrata in me, trasformandomi, facendo di me un altro:<br />

così mi sono trovato gomito a gomito coi miei coetanei poveri, dell'altra classe, ho sentito il loro<br />

odio di classe (che è una cosa autentica, necessaria, provvidenziale), ho sentito le loro disperazioni,<br />

il loro complesso d'inferiorità collettiva, il loro disprezzo di sé, e poi le loro allegrie accanite e<br />

accoranti... E tutto così stranamente privo di letteratura; esperienza così desolatamente umana che<br />

ne ho preso coscienza solo qualche anno più tardi, quando la Ŗcompetenzaŗ mi aveva già tutto<br />

pervaso e modificato. Possedevo dunque, il mondo di cui parla la Woolf. Ne ero regredito e<br />

riemerso […]. Adottata la formula: prestare la mia coscienza e la mia capacità di espressione,<br />

magari squisita, a un mio coetaneo o comunque al mio compagno, dotato solo di un primo albore di<br />

coscienza e infelice perché inespresso, potei compiere l'operazione che per me finì con l'essere una<br />

riscoperta del non-io. Era bastato quello spostamento minimo dell'io, da me a un mio coetaneo<br />

assimilato, perché il mondo mi comparisse in una luce evidenziante quasi facile!»(8). Non è un caso<br />

che anche lřuso del dialetto (in chiave mimetica e coerentemente anche diegetica) parta da una<br />

esperienza anzitutto antropologica e quasi sacra qual è lřesperienza dellřaltro, in una dimensione<br />

preculturale, vissuta con un sentimento quasi nostalgico per un passato che si riflette nel presente.<br />

Già nelle poesie della raccolta Dov'è la mia patria, composte tra il 1947 e il 1949(9), il Friuli non è<br />

più rappresentato dal mondo mitico e edenico di Narciso (quello delle Poesie a Casarsa e degli<br />

immediati dintorni, per intenderci(10)), ma è popolato dai giovani sfruttati dal potere. Una distanza<br />

incolmabile si frappone dunque tra il poeta e quell'umanità amata e incompresa, una distanza<br />

generata dalle differenze di estrazione che Pasolini sente fortemente, lui, borghese, lui così Ŗaltroŗ<br />

di fronte ai contadini friulani (e poi anche di fronte ai borgatari romani). La sua classe lo divide dal<br />

popolo, ma è anche l'unica possibilità che ha, attraverso la sua cultura, di avvicinarsi ad esso, di<br />

renderlo oggetto di rappresentazione. La pratica regressiva è anzitutto un'azione cosciente,<br />

ideologicamente mediata. È esattamente quanto Pasolini afferma ancora una volta nel diario del<br />

poema: «Dino chiede al borghese di regredire: atto altamente fantastico, l'unico che autenticamente<br />

trasporti da una classe evoluta a una meno evoluta. I dirigenti di partito non lo capiscono: lo<br />

confondono forse con l'umanitarismo»(11). Una dichiarazione che viene ripresa, nel 1958, a<br />

distanza di quasi un decennio, quando l'esigenza narrativa è già approdata a un genere più<br />

codificato (nel 1955 esce Ragazzi di vita e nel 1959 esce Una vita violenta), a un forma forse ancora<br />

più adatta a restituire il senso politico della stessa pratica regressiva: «nello scendere al livello di un<br />

mondo storicamente e culturalmente inferiore al mio Ŕ almeno secondo una graduazione razionale,<br />

ché, irrazionalmente, esso gli è poi assolutamente contemporaneo, per non dire più avanzato, nel<br />

suo vitalismo puro in cui Ŗsi faŗ la storia Ŕ nellřimmergermi nel mondo dialettale e gergale […] io<br />

porto con me una coscienza che giustifica la mia operazione né più né meno di quanto giustifichi,<br />

ad esempio, lřoperazione di un dirigente di partito: il quale come me, appartiene alla classe<br />

borghese, e da questa si allontana»(12). Bisogna poi dire che il regresso è fondamentalmente una<br />

scelta poetica che diventa quindi anche una soluzione stilistico-formale, una strategia per parlare del<br />

mondo rappresentato, per stabilire il proprio ruolo di scrittore-poeta in rapporto a quel mondo<br />

nellřintento più profondo di legittimarlo. A ben vedere, il «sentimento del regresso» si configura<br />

proprio come riflesso di quella evoluzione stilistica che consente a Pasolini di lasciarsi penetrare<br />

dalle culture «sopravviventi», depositarie (nella sua particolare mitologizzazione) di valori ben<br />

diversi da quelli della cultura borghese, fino ad accoglierne la loro lingua (il dialetto, appunto). Al<br />

regresso «da una lingua a unřaltra Ŕ anteriore e infinitamente più pura» corrisponde infatti un<br />

«regresso lungo i gradi dellřessere», nella ricerca di recupero, o comunque nel tentativo di non<br />

dimenticare la primordiale felicità edenica (prenatale-prestorica e prelinguistica). E non è dunque<br />

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