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il sistema monetario internazionale - Rivista della Scuola superiore ...

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UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE<br />

FACOLTÀ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ”<br />

Corso di Laurea Specialistica in finanza, banche, assicurazioni.<br />

IL SISTEMA MONETARIO<br />

INTERNAZIONALE:<br />

CARATTERISTICHE E CRITICITA’<br />

Relatore: Tesi di Laurea di:<br />

Prof. Michele Fratianni Federico Giri<br />

Correlatore:<br />

Prof. Riccardo Lucchetti<br />

Anno Accademico 2008/2009<br />

3


INDICE<br />

INTRODUZIONE Pag 6<br />

CAPITOLO I<br />

LA TEORIA DELLE VALUTE DOMINANTI Pag 8<br />

1.1 Le valute dominati: cenni storici......................................................................... Pag 8<br />

1.2 Caratteristiche del paese che emette valuta di riserva <strong>internazionale</strong>.................... Pag 9<br />

1.3 Le funzioni di una valuta <strong>internazionale</strong>............................................................... Pag 20<br />

1.4 I vantaggi e gli svantaggi di emettere valuta <strong>internazionale</strong>................................... Pag 23<br />

1.5 Le valute dominati ed i relativi strumenti di analisi empirica................................. Pag 25<br />

1.5.1 L'analisi <strong>della</strong> Granger causalità......................................................................... Pag 26<br />

1.5.2 La cointegrazione............................................................................................. Pag 31<br />

1.6<br />

La letteratura empirica sulla Granger causalità e sulla cointegrazione nell'ambito<br />

<strong>della</strong> teoria delle valute dominanti......................................................................<br />

Pag 40<br />

CAPITOLO II<br />

IL DOMINIO E L'ASCESA DELLA GRAN BRETAGNA: DAL GOLD<br />

STANDARD AGLI ACCORDI DI BRETTON WOODS<br />

2.1 Introduzione alle vicende del XIX secolo........................................................... Pag 48<br />

2.2 Storia e funzionamento dei sistemi monetari dal 1813 al 1913............................ Pag 49<br />

2.3 L'esperienza britannica del gold standard........................................................... Pag 55<br />

2.4 Il gold standard come <strong>sistema</strong> decentrato: l'analisi di Tullio e Wolters................. Pag 61<br />

2.5<br />

La Granger causalità tra i tassi di sconto privati di Gran Bretagna, Francia e<br />

Germania tra <strong>il</strong> 1876 ed <strong>il</strong> 1913.........................................................................<br />

Pag 64<br />

2.6 Conclusioni dell'analisi di Granger causalità........................................................ Pag 78<br />

2.7 Il <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> tra i due conflitti mondiali: <strong>il</strong> gold exchange standard......... Pag 79<br />

CAPITOLO III<br />

IL SISTEMA MONETARIO DI BRETTON WOODS Pag 88<br />

3.1 La nascita del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods........................................................... Pag 88<br />

3.2 Il funzionamento di Bretton Woods tra <strong>il</strong> 1946 ed <strong>il</strong> 1958................................... Pag 96<br />

3.3 Il periodo di piena convertib<strong>il</strong>ità tra <strong>il</strong> 1959 ed <strong>il</strong> 1967........................................ Pag 99<br />

3.4 I problemi dell'aggiustamento, <strong>della</strong> liquidità e <strong>della</strong> fiducia................................. Pag 101<br />

3.4.1 La Gran Bretagna............................................................................................. Pag 102<br />

3.4.2 la Germania...................................................................................................... Pag 104<br />

3.4.3 L'asimmetria dell'aggiustamento degli Stati Uniti................................................... Pag 105<br />

3.4.4 I problemi <strong>della</strong> liquidità e <strong>della</strong> fiducia..............................................................<br />

4<br />

Pag<br />

107<br />

Pag<br />

48


3.5 I primi segnali <strong>della</strong> crisi.................................................................................... Pag 108<br />

3.6 Il collasso del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods........................................................... Pag 110<br />

3.7 La dominanza del dollaro: Un'analisi empirica di cointegrazione (1960-1971)..... Pag 112<br />

3.7.1 La cointegrazione dei tassi nominali decennali.................................................... Pag 113<br />

3.7.2 La cointegrazione dei tassi reali con inflazione attesa futura................................ Pag 115<br />

3.7.3 L'analisi di Granger causalità in un VAR cointegrato........................................... Pag 117<br />

3.7.4 Conclusioni dell'analisi econometrica di cointegrazione....................................... Pag 118<br />

3.8 Conclusioni..................................................................................................... Pag 119<br />

CAPITOLO IV<br />

DALLA FINE DI BRETTON WOODS AL “PACIFIC DOLLAR<br />

STANDARD”<br />

4.1 Il <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> dopo la fine degli accordi di Bretton Woods....................... Pag 122<br />

4.2 Il <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> odierno: <strong>il</strong> “Pacific Dollar Standard”..................................... Pag 123<br />

4.2.1 Gli Stati Uniti.................................................................................................... Pag 125<br />

4.2.2 La Cina............................................................................................................ Pag 129<br />

4.2.3 L'Europa.......................................................................................................... Pag 130<br />

4.2.4 Il resto del mondo............................................................................................ Pag 131<br />

4.2.5 Il funzionamento del Pacific dollar standard....................................................... Pag 132<br />

4.3 I rischi insiti nel Pacific dollar standard............................................................... Pag 133<br />

4.3.1 Il nuovo “benign neglect”.................................................................................. Pag 136<br />

4.3.2 La posizione dei pessimisti................................................................................ Pag 146<br />

4.4 Dal piano Keynes al new international clearing union......................................... Pag 151<br />

5<br />

Pag<br />

CONCLUSIONI Pag<br />

122<br />

157<br />

BIBLIOGRAFIA Pag 167<br />

APPENDICE Pag<br />

165


INTRODUZIONE<br />

Il problema del debito estero americano e del destino del dollaro come valuta di<br />

riserva <strong>internazionale</strong> è oramai sotto gli occhi di tutti e nessuno può più ignorarlo.<br />

In un articolo redatto nel Marzo del 2009, <strong>il</strong> governatore <strong>della</strong> People's Bank of<br />

China, Zhou Xiaochuan 1 , ha apertamente ammesso che la Cina è favorevole alla<br />

creazione di una moneta sovranazionale con la quale regolare gli scambi<br />

internazionali. Le parole del governatore, <strong>il</strong> quale rappresenta <strong>il</strong> maggior<br />

finanziatore degli Stati Uniti ed <strong>il</strong> maggior acquirente di dollari del globo, sono<br />

suonate alle orecchie dei mercati internazionali come un campanello di allarme<br />

per la tenuta del dollaro e per <strong>il</strong> suo futuro come valuta di riferimento del <strong>sistema</strong>.<br />

Nel corso <strong>della</strong> storia una moneta ha sempre prevalso sulle altre come valuta di<br />

riferimento del <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong>. A partire dalla fine <strong>della</strong> seconda guerra<br />

mondiale questo ruolo è stato delegato al dollaro americano, prima de iure con gli<br />

gli accordi di Bretton Woods i quali prevedevano che <strong>il</strong> dollaro fosse l'unica<br />

valuta convertib<strong>il</strong>e con l'oro, poi de facto con la leadership del dollaro che non è<br />

stata scalfita dalla fine del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods, dalle crisi petrolifere degli<br />

anni '70 e '80 e da una serie di crisi finanziarie più o meno intense. Il marco<br />

tedesco e lo yen giapponese, i più seri contendenti allo scettro del dollaro, in<br />

verità, per una serie di ragioni economiche e politiche, non hanno mai avuto la<br />

1 L' articolo è uscito <strong>il</strong> 24 Marzo 2009 sul sito on-line <strong>della</strong> People's Bank of China.<br />

http://www.pbc.gov.cn/english/deta<strong>il</strong>.asp?col=6500&id=178.<br />

6


concreta possib<strong>il</strong>ità di spodestare <strong>il</strong> dollaro dal suo ruolo di ancora del <strong>sistema</strong><br />

<strong>monetario</strong> <strong>internazionale</strong>.<br />

All'alba del XXI secolo lo scenario è però mutato. Alcune scelte delle varie<br />

amministrazioni americane hanno indebolito la posizione statunitense nei<br />

confronti del resto del mondo rendendo <strong>il</strong> paese un debitore netto nei confronti del<br />

mondo mentre nel 1999 ha fatto capolino sullo scenario planetario l'euro, la<br />

moneta di cui si sono dotati i paesi europei in sostituzione delle vecchie divise<br />

nazionali, <strong>il</strong> quale oggi è <strong>il</strong> più serio rivale del dollaro per la leadership valutaria<br />

<strong>internazionale</strong>. Lo scopo di questa tesi è quello di analizzare i vari sistemi<br />

monetari che si sono succeduti nel corso <strong>della</strong> storia, capire i loro punti di forza e<br />

di debolezza ed eventuali punti di contatto con quello odierno, le valute dominati<br />

di ogni epoca. Cercheremo poi di analizzare più a fondo <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong><br />

odierno, <strong>il</strong> Pacific dollar standard, cogliendone le caratteristiche salienti ed i<br />

rischi in esso presenti. Infine presenteremo alcune proposte per riformare <strong>il</strong><br />

<strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> <strong>internazionale</strong>.<br />

7


CAPITOLO I<br />

LA TEORIA DELLE VALUTE DOMINANTI<br />

I.1) Le valute dominanti: cenni storici<br />

Come ricordato poc'anzi, non tutte le monete riescono ad ergersi al ruolo di valuta<br />

<strong>internazionale</strong>. Questo perché le economie che esse rappresentano non sempre<br />

mostrano alcune peculiarità che risultano poi fondamentali affinché altri paesi<br />

decidano di regolare le proprie transazioni in quella determinata valuta.<br />

Nel corso del tempo di valute usate sovra nazionalmente se ne sono susseguite<br />

di innumerevoli e la storia ha spesso mostrato (Fratianni 2008) come vi sia stata la<br />

tendenza per una sola di esse a dominare tutte le altre. Il sesterzio romano era la<br />

moneta più diffusa per regolare i commerci internazionali ai tempi dell'impero<br />

romano. Il solidus bizantino divenne la moneta dominante tra <strong>il</strong> V ed <strong>il</strong> VII secolo<br />

d.c quando l'impero romano d'oriente si erse come unica potenza sopravvissuta nel<br />

bacino del mediterraneo. Questa egemonia fu usurpata dall'impero arabo e dalla<br />

sua moneta , <strong>il</strong> dinar, che tra <strong>il</strong> VIII secolo ed <strong>il</strong> XII secolo fu la valuta di scambio<br />

<strong>internazionale</strong>. Dal XIII secolo in poi toccò alle monete italiane assumere <strong>il</strong><br />

suddetto ruolo. La diffusione del genoino genovese, del fiorino fiorentino e del<br />

ducato veneziano, andava di pari passo con i movimenti dei mercanti di queste tre<br />

nazioni che commerciavano dall'oceano Atlantico fino all'estremo oriente. Queste<br />

tre valute circolarono e vennero usate come valute <strong>internazionale</strong> praticamente<br />

8


contemporaneamente (Cipolla 1951). Questa affermazione sembra dunque in<br />

contraddizione con quella che un valuta tende ad escludere le altre. Possiamo<br />

ipotizzare che la grandezza di queste tra economie in una qualche maniera si<br />

equivalesse. Nessuno dei tre paesi era in grado di dominare economicamente gli<br />

altri due. Inoltre è verosim<strong>il</strong>e che la potenza m<strong>il</strong>itare di ognuno di essi non fosse<br />

in grado di soverchiare quella degli altri due messi insieme. Possiamo prendere in<br />

prestito un'espressione matematica per dire che <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> si trovava perfettamente<br />

in equ<strong>il</strong>ibrio. Inoltre al di fuori <strong>della</strong> penisola italica, le grandi monarchie<br />

nazionali, Spagna, Francia e Gran Bretagna, erano ancora ai loro albori e non<br />

potevano ancora esercitare <strong>il</strong> ruolo dominante dei secoli a venire. Nel XXIV<br />

secolo e sino al termine <strong>della</strong> prima guerra mondiale la valuta di riferimento fu<br />

rappresentata dalla sterlina britannica e sostituita poi alla fine del secondo<br />

conflitto bellico dal dollaro americano. Non ci d<strong>il</strong>ungheremo troppo perché i<br />

capitoli a seguire tratteranno ampiamente i due fenomeni storici citati.<br />

I.2) Caratteristiche del paese che emette valuta di riserva <strong>internazionale</strong>.<br />

La letteratura empirica ha spesso provato ad identificare le caratteristiche di<br />

un'economia che permettono ad una valuta di essere usata internazionalmente<br />

( vedi per esempio Chinn e Frankel 2008 e Eichengreen e Matieson 2001).<br />

Un primo fattore chiave riguarda la dimensione dell'economia in questione.<br />

9


Solo le grandi potenze economiche possono sperare che la propria moneta venga<br />

usata negli scambi internazionali: in un'economia di grandi dimensioni gli<br />

investitori internazionali possono più fac<strong>il</strong>mente trovare un' ampia gamma di<br />

attività finanziare su cui riversare i propri risparmi. In questo senso appare<br />

evidente come gli Stati Uniti siano stati la nazione più grande in termini di<br />

ricchezza prodotta come nel XIX secolo questo ruolo fosse assunto dalla Gran<br />

Bretagna.<br />

Dopo la seconda guerra mondiale <strong>il</strong> divario con le altre nazioni è stato così<br />

netto che nessuna economia, ne quella tedesca ne quella giapponese, ha mai avuto<br />

la concreta possib<strong>il</strong>ità di sopravanzare gli Stati Uniti in termini di PIL ed <strong>il</strong> dollaro<br />

come valuta <strong>internazionale</strong>.<br />

Oggi la situazione è decisamente cambiata. L'Europa, soprattutto se si arriverà<br />

all'ingresso di Danimarca, Svezia e soprattutto <strong>della</strong> Gran Bretagna (Chinn e<br />

Frankel 2005) nell'area euro, ha in numeri in termini di prodotto interno lordo per<br />

poter competere ad armi pari con gli Stati Uniti. Molti ritengono comunque che<br />

gli Stati Uniti mantengano ancora un certo vantaggio in quanto i mercati del<br />

lavoro, dei capitali e dei fattori produttivi sono più flessib<strong>il</strong>i e meno regolati in<br />

America rispetto a quello che avviene in Europa (Posen 2008). Questi fattori<br />

permettono una più rapida ricollocazione delle risorse verso i settori con maggiori<br />

prospettive di guadagno in grado quindi di produrre una crescita futura più elevata<br />

10


( vedi tra gli altri , Caballero (2004); Papaioannu (2008). Sebbene l'euro abbia<br />

apportato significativi cambiamenti e benefici sia sul versante <strong>della</strong> mob<strong>il</strong>ità del<br />

mercato dei fattori produttivi (Alesina, Ardagna e Galasso 2008) sia su quella del<br />

mercato finanziario (Hartmann 2007), l' Europa rimane ancora indietro agli Stati<br />

Uniti in questo campo. In prospettiva futura, diciamo nei prossimi 50 anni, anche<br />

la Cina ha la possib<strong>il</strong>ità di sfidare gli altri due colossi in termini di ricchezza<br />

prodotta. C'è chi addirittura ipotizza che entro <strong>il</strong> 2050 l'economia cinese<br />

sopravanzerà quella americana in termini di PIL prodotto.<br />

Un altro fattore che determina l'importanza <strong>internazionale</strong> di una valuta è la<br />

struttura degli scambi con l'estero. Un esempio può essere chiarificatore: lo yen<br />

giapponese, <strong>il</strong> quale rappresenta la seconda economia del mondo, non è una valuta<br />

usata di frequente nei regolamenti internazionali. Analizzando la struttura delle<br />

sue esportazioni e importazioni si evince come la maggior parte delle esportazioni<br />

giapponesi vadano verso gli Stati Uniti, e dunque con regolamenti in dollari, e<br />

verso l'Europa, con pagamenti in euro o in dollari, mentre le sue importazioni, che<br />

consistono quasi esclusivamente in commodities, energetiche e non, sono<br />

anch'esse prezzate in dollari. Questa struttura fa si che ben pochi scambi siano<br />

effettuati nella valuta giapponese.<br />

Un altro elemento cruciale è quello dello sv<strong>il</strong>uppo del <strong>sistema</strong> finanziario<br />

domestico come conditio sine qua non affinché una valuta possa essere accettata<br />

11


internazionalmente. Il <strong>sistema</strong> finanziario del paese che emette valuta di riserva<br />

deve essere efficiente e sufficientemente liquido in modo da permettere al<br />

detentore dell'attività in valuta un rapido disimpegno delle proprie attività che<br />

possa comportare un costo di transazione <strong>il</strong> più basso possib<strong>il</strong>e. Anche in questo<br />

caso <strong>il</strong> predominio degli Usa in questo campo appare netto sebbene ci siano stati<br />

segnali positivi in questo senso: l'evidenza empirica conferma che l'entrata in<br />

vigore dell'euro ha innalzato la liquidità e l'efficienza dei mercati continentali. Lo<br />

spread tra le quotazioni bid (ovvero le proposte di acquisto degli operatori<br />

finanziarie sui mercati) e quelle ask (le proposte di vendita) delle obbligazioni e<br />

azioni quotate in euro è diminuito sensib<strong>il</strong>mente assestandosi ai livelli di quelli<br />

americani (Papaioannu e Portes 2008). A questo punto di forza <strong>il</strong> mercato a<br />

statunitense ha sempre aggiunto una notevole appetib<strong>il</strong>ità per quanto riguarda la<br />

varietà e l'abbondanza di prodotti finanziari a disposizione. Dalle attività più<br />

semplici ai derivati strutturati, Wall Street è sempre stata un passo in avanti<br />

rispetto alle altre borse del globo, con l'eccezion fatta forse <strong>della</strong> piazza londinese.<br />

Ecco perché uno dei fattori decisivi che potrebbe far pendere l'ago <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia<br />

in prospettiva futura nei confronti dell'euro è se e quando la Gran Bretagna<br />

deciderà di entrare nell'euro portandosi in dote <strong>il</strong> mercato finanziario londinese. A<br />

quel punto <strong>il</strong> peso dell'economia europea e <strong>il</strong> grado di sv<strong>il</strong>uppo del suo mercato<br />

finanziario potrebbero veramente intaccare l'egemonia americana. Per <strong>il</strong> momento<br />

12


però <strong>il</strong> vantaggio americano risulta ancora piuttosto pronunciato in tal senso ed è<br />

sicuramente uno degli elementi su cui un paese come la Cina dovrà fare dei<br />

notevoli progressi per potersi portare a livello degli altri due visto che <strong>il</strong> suo<br />

<strong>sistema</strong> finanziario appare ancora arretrato, non efficiente e poco trasparente.<br />

Un paese che ha ambizioni di emette valuta <strong>internazionale</strong> deve anche farsi<br />

carico di mantenere un valore <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e stab<strong>il</strong>e nei confronti delle altre<br />

divise. In particolare due sono gli elementi critici da tenere sotto controllo: uno<br />

riguarda <strong>il</strong> livello di inflazione, <strong>il</strong> quale deve essere tenuto ad un livello basso ed <strong>il</strong><br />

più stab<strong>il</strong>e possib<strong>il</strong>e, l'altro concerne <strong>il</strong> grado di indebitamento del paese, sia nei<br />

riguardi del debito pubblico sia nei confronti dell'estero. Nel primo caso si capisce<br />

come una valuta inflazionata non sia ben accetta da operatori stranieri in quanto<br />

c'è <strong>il</strong> rischio che <strong>il</strong> loro potere d'acquisto possa essere eroso dal costante aumento<br />

dei prezzi.<br />

Nel caso di un debito, sia interno che esterno, crescente gli operatori<br />

potrebbero cominciare ad avere dei dubbi sulla capacità del paese in questione di<br />

onorare i propri debiti e quindi ad interrogarsi sull'opportunità meno di dirottare i<br />

propri investimenti in una valuta che diano maggiore garanzia di solvib<strong>il</strong>ità per <strong>il</strong><br />

futuro. In questo senso possiamo vedere un piccolo vantaggio per l'Europa nei<br />

confronti degli Stati Uniti. Il vecchio continente risulta avere dei conti, sia interni<br />

che con l'estero, decisamente migliori. In questo senso <strong>il</strong> patto di stab<strong>il</strong>ità e<br />

13


crescita rappresenta una garanzia contro eccessivi squ<strong>il</strong>ibri nei conti pubblici cosa<br />

su cui non può contare l'economia statunitense.<br />

Anche dal punto di vista <strong>della</strong> lotta all'inflazione l' Europa può mettere sul<br />

piatto <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia una istituzione come la Banca Centrale Europea la quale, a<br />

differenza <strong>della</strong> Federal Reserve che deve dare pari importanza ad altri obbiettivi<br />

macroeconomici, come assicurare un elevato tasso di crescita interna, spesso in<br />

contrasto con la lotta all'inflazione , è stata dotata di uno statuto che prevede come<br />

primo ed unico obbiettivo <strong>il</strong> raggiungimento di un tasso d' inflazione per l'area<br />

euro pari al 2% su base annua. Il fatto di avere una banca centrale credib<strong>il</strong>e e che<br />

in caso di crisi eserciti anche <strong>il</strong> ruolo di prestatore di ultima istanza è sicuramente<br />

un fattore determinante nella scelta <strong>della</strong> valuta di riserva.<br />

In retrospettiva storica, <strong>il</strong> mancato sorpasso del dollaro sulla sterlina all'inizio<br />

del '900 può essere attribuito alla mancanza negli Usa di un istituto centrale che<br />

garantisse le suddette funzioni 2 . Infatti, se l'economa americana aveva superato<br />

quella britannica, lo stesso non si poteva dire del <strong>sistema</strong> finanziario, in cui<br />

spiccava la presenza di una banca centrale che garantiva <strong>il</strong> corretto funzionamento<br />

e preveniva eventuali crisi dei mercati finanziari.<br />

Tornando al presente ci possiamo rendere conto dell'importanza di suddetta<br />

2 La Federal Reserve, ultima in ordine di tempo tra le grandi banche centrali, fu istituita dal<br />

presidente W<strong>il</strong>son solamente nel 1913 con <strong>il</strong> Federal reserve act dopo una serie di crisi che<br />

avevano minato la fiducia nel <strong>sistema</strong> del free banking.<br />

14


istituzione pensando a quali danni ancora maggiori poteva compiere la crisi che si<br />

è abbattuta sui mercati internazionali se non vi fossero state le ingenti immissioni<br />

di liquidità delle banche centrali di tutto <strong>il</strong> mondo ed in particolar modo <strong>della</strong><br />

Federal Reserve. Anche nei momenti in cui la crisi sembrava irreversib<strong>il</strong>e gli<br />

operatori non hanno mai perso la fiducia nel dollaro come valuta di riserva tant'è<br />

che tra settembre e dicembre del 2008 <strong>il</strong> dollaro è tornato sotto quota 1,30 nei<br />

confronti dell'euro segno che nei momenti di crisi la valuta americana è ancora<br />

percepita come <strong>il</strong> principale safe heaven.<br />

Non bisogna trascurare <strong>il</strong> fatto che i mercati tendono in un certo qual modo ad<br />

essere “abitudinari” adattandosi lentamente alle novità. Un certo f<strong>il</strong>one r<strong>il</strong>evante<br />

<strong>della</strong> letteratura economica (Rey 2001, Zhou (1997), Matsuyama, Kiyotaki e<br />

Matsui (1993) cerca di spiegare che <strong>il</strong> dominio attuale del dollaro è da ricercarsi<br />

principalmente nelle sue “network externat<strong>il</strong>ities” ovvero nell'incremento di<br />

efficienza che hanno i mercati, in termine di diminuzione di costi di transazione,<br />

quando si adotta una singola moneta per regolare gli scambi internazionali.<br />

Secondo questi economisti, <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> dollaro sia ancora così usato può<br />

dipendere dal fatto che è stato così negli ultimi 60 anni e che la transizione verso<br />

un'altra valuta, se eventualmente ci sarà, sarà per forza di cose lenta. Posen (2008)<br />

commenta che l'elevata significatività <strong>della</strong> variab<strong>il</strong>e ritardata di un periodo delle<br />

riserve detenute in valuta nelle regressioni proposte da Chinn e Frankel (2005,<br />

15


pagina 51-2 tabelle 4,5,6) sta proprio a testimoniare l'elevata importanza <strong>della</strong><br />

variab<strong>il</strong>e “network externat<strong>il</strong>ities”. In questo senso <strong>il</strong> solito richiamo alla Gran<br />

Bretagna (Eichengreen 2005) può essere <strong>il</strong>luminate. Sono occorsi diversi anni,<br />

quelli a cavallo tra le due guerre, affinché al sorpasso economico si affiancasse<br />

quello <strong>monetario</strong>. E una volta finita la guerra la sterlina ha mantenuto una certa<br />

importanza seppur ridimensionata (vedi tabella 15 ed i capitoli II e III al<br />

riguardo).<br />

Infine non va trascurata la capacità del paese emittente di valuta <strong>internazionale</strong><br />

di difendere <strong>il</strong> proprio status anche con l'uso <strong>della</strong> forza. Non è un caso che le due<br />

valute internazionali per eccellenza degli ultimi due secoli, la sterlina ed <strong>il</strong> dollaro,<br />

siano state supportate dagli eserciti più grandi, potenti e temuti del mondo. Le<br />

attività dei paesi m<strong>il</strong>itarmente avanzati possono dunque offrire una ulteriore<br />

garanzia a supporto del valore <strong>della</strong> propria valuta. Uno dei maggiori sostenitori<br />

<strong>della</strong> teoria che la valuta dominante del <strong>sistema</strong> venga scelta per ragioni<br />

geopolitiche piuttosto che di natura prettamente economica è Adam Posen (2008).<br />

Dall'articolo in questione emerge come, sebbene per molti paesi sarebbe più<br />

consono mantenere un peg con l'euro o addirittura con lo yen o <strong>il</strong> renmimbi, in<br />

virtù del fatto che gli scambi con l'estero sono principalmente indirizzati verso<br />

quei paesi con conseguente sincronizzazione degli shock, la maggior parte di essi<br />

sono r<strong>il</strong>uttanti ad abbandonare un cambio fisso con <strong>il</strong> dollaro e a smettere di<br />

16


sostenere <strong>il</strong> deficit con l'estero americano.<br />

Posen sottolinea come alla base <strong>della</strong> scelta <strong>della</strong> valuta di riserva vi siano<br />

principalmente delle ragioni geo-strategiche e di sicurezza nazionale dei vari paesi<br />

coinvolti. La Germania Ovest ed <strong>il</strong> Giappone sono gli esempi storici più eclatanti.<br />

Entrambi i paesi, sconfitti nella seconda guerra mondiale, per lungo tempo, ed in<br />

verità anche al giorno d'oggi, hanno dovuto ospitare all'interno dei propri confini<br />

un significativo numero di truppe americane delegando di fatto ad essi la difesa<br />

del proprio territorio. Non è un caso infatti che sia la Germania quanto <strong>il</strong><br />

Giappone non abbiano mai pensato seriamente di diversificare le proprie riserve in<br />

valuta e tentato di sostituire <strong>il</strong> dollaro o addirittura di tentare di dare al marco e<br />

allo yen un respiro <strong>internazionale</strong>. La Germania Ovest era ovviamente la prima<br />

linea di contenimento dell' Unione Sovietica e, nonostante che <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> di<br />

Bretton Woods fosse già crollato da alcuni anni, nessuna significativa cessione di<br />

dollari avvenne prima del 1979 (Posen 2008). Sicuramente è ancora meno un<br />

caso, che un decisivo passo verso la nascita dell'euro avvenne solamente nel 1993<br />

con gli accordi di Maastricht quando ormai la minaccia sovietica era scomparsa<br />

dalla scena mondiale.<br />

Per <strong>il</strong> Giappone invece la questione è ancora pienamente aperta. Essendo un<br />

paese sm<strong>il</strong>itarizzato e delegando pressoché in toto la sua difesa agli Stati Uniti<br />

esso ha di fatto negli anni scambiato la propria politica m<strong>il</strong>itare, principalmente<br />

17


indirizzata al contenimento dell'espansionismo cinese nell'area, con una politica di<br />

cambio fisso dollaro-yen in grado di fornire un congruo finanziamento al deficit<br />

estero americano. Questa politica non è mai stata di fatto abbandonata neanche<br />

con la fine <strong>della</strong> convertib<strong>il</strong>ità del dollaro in oro nonostante che <strong>il</strong> Giappone fosse<br />

probab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> paese più esposto alle perdite legate alla svalutazione del dollaro<br />

americano (Posen 2008 pagina 89).<br />

Alla luce di questi esempi non sembra una coincidenza che la Francia fosse <strong>il</strong><br />

paese più critico nei confronti dell'egemonia del dollaro. Nel 1966 De Gaulle<br />

chiuse tutte le basi americane presenti sul proprio territorio, circa ventinove, e<br />

decise di uscire dal comando integrato dalla NATO per alcuni contrasti con la<br />

politica estera statunitense. La sicurezza francese non era mai dipesa in maniera<br />

così preponderante dalla presenza americana permettendo alla Francia margini di<br />

manovra che la Germania all'epoca non poteva certo permettersi.<br />

Sembra dunque evidente da questi esempi storici come le ragioni geopolitiche<br />

abbiano avuto nel corso degli anni una importanza fondamentale nell'ergere <strong>il</strong><br />

dollaro quale valuta dominate. La maggior parte dei paesi che ospitano truppe<br />

americane sul proprio suolo (Posen 2008, tabella 1, pagina 93) sono quelli che<br />

hanno scelto, de iure o de facto, una cambio fisso con <strong>il</strong> dollaro ed un<br />

finanziamento del debito estero americano. Dal Giappone alla Corea del Sud<br />

passando per l'Arabia Saudita, i maggiori finanziatori degli Stati Uniti (vedi<br />

18


tabella IV.2.2) sono quelli che più dipendono da essi per la proprio difesa<br />

nazionale.<br />

Proprio nella sua incapacità di proiettarsi al di fuori dei propri confini, Posen<br />

vede <strong>il</strong> punto debole dell'euro e la sua futura impossib<strong>il</strong>ità di soppiantare <strong>il</strong> dollaro<br />

quale valuta di riserva <strong>internazionale</strong>. Al di là <strong>della</strong> propria area di influenza<br />

naturale, che possiamo identificare con i Balcani e alcuni paesi che si affacciano<br />

sul Mediterraneo, l'Europa e l'euro non possiedono una vera e propria sfera di<br />

influenza. Le uniche ragioni che portano alcuni a ipotizzare un sorpasso dell'euro<br />

sul biglietto verde sono da attribuirsi ad eventuali e catastrofici fallimenti delle<br />

politiche di b<strong>il</strong>ancio americane, non certo ad una intraprendenza delle politiche<br />

europee in tal senso.<br />

Visto in questa ottica si può meglio comprendere come l'ascesa <strong>della</strong> Cina sia<br />

vista con sospetto e con preoccupazione dalle autorità americane. La Cina non è<br />

legata agli Stati Uniti da alcun vincolo m<strong>il</strong>itare e anzi essa può essere percepita<br />

essenzialmente come un paese rivale, sia economicamente che politicamente.<br />

Come abbiamo visto, sino ad oggi i maggiori finanziatori americani sono stati dei<br />

paesi che in un certo qual modo si appoggiano tutti agli Stati Uniti per la propria<br />

difesa. Nella fattispecie <strong>della</strong> Cina abbiamo però <strong>il</strong> caso di un paese che è libero<br />

da questo tipo di ragionamenti e può prendere le proprie decisioni in merito<br />

solamente guardando a cosa è meglio per lei solamente dal punto di vista<br />

19


economico,politico e strategico. Uno scenario inedito e senza precedenti sullo<br />

scacchiere mondiale.<br />

I.3)Le funzioni di una valuta <strong>internazionale</strong><br />

La letteratura economica ha individuato una serie di funzioni che sono tipiche<br />

<strong>della</strong> moneta di riserva <strong>internazionale</strong> (Fratianni 2008).<br />

Essa viene ut<strong>il</strong>izzata da esportatori ed importatori come valuta nella quale<br />

eseguire transazioni e come unità di conto per la fatturazione dei propri b<strong>il</strong>anci,<br />

viene usata come come mezzo di pagamento (essa non è la valuta né<br />

dell'esportatore né dell'importatore) nei mercati internazionali. Inoltre, essa viene<br />

anche detenuta come attività di riserva di valore sia dalle autorità monetarie che<br />

dagli operatori privati che desiderano detenere attività sicure e prive di rischio.<br />

Infine essa è anche la valuta con la quale le banche centrali intervengono sul<br />

mercato dei cambi nel momento in cui esse decidono di adottare un cambio fisso.<br />

Linda Golberg e Cédric T<strong>il</strong>le (2006, tavola 1 e 2 ) mostrano come <strong>il</strong> dollaro sia<br />

a tutt'oggi la valuta più comunemente usata per la fatturazione al di fuori del<br />

continente europeo dove, prevedib<strong>il</strong>mente, l'euro ha assunto questa funzione.<br />

Dai rapporti pubblicati dalla Bank for International Settlements (BIS) nel 2007<br />

(vedi tabella I.3.1) si può notare come la moneta più usata per le transazioni sul<br />

Forex sia ancora <strong>il</strong> dollaro che viene ut<strong>il</strong>izzato per un 43% (in aumento rispetto al<br />

20


periodo precedente) sul totale delle transazioni seguito ad una considerevole<br />

distanza dall'euro con un 19% (al contrario in leggera flessione rispetto al 2004).<br />

Tabella I.3.1: Tasso di turnover delle varie valute, Apr<strong>il</strong>e 2007.<br />

Valuta 2001 2004 2007<br />

Dollaro 76,16 85,2 86,35<br />

Euro 48,06 40 36,98<br />

Yen 19,89 17,56 16,54<br />

Sterlina 15,47 17,88 14,95<br />

Franco svizzero 7,22 6,19 6,78<br />

Dollaro australiano 5,16 4,73 4,21<br />

altre 28,04 28,44 34,19<br />

totale 200 200 200<br />

Fonte: BIS (2007) tabella D.5 pagina 50.<br />

Note: <strong>il</strong> totale ammonta al 200% in quanto ogni moneta viene considerata due volte. Ad esempio <strong>il</strong> dollaro<br />

vine contab<strong>il</strong>izzato sia nel cambio dollaro/euro sia in quello euro/dollaro.<br />

Tale risultato non è certo da disprezzare considerando che ad oggi l'euro conta una<br />

quota maggiore sul mercato delle valute di cui ha preso <strong>il</strong> posto.<br />

Sempre dal rapporto <strong>della</strong> BIS (2007) emerge come <strong>il</strong> più grande passo in<br />

avanti dell'euro sia stato fatto nei mercati privati. Ad oggi le emissioni di bonds in<br />

euro hanno superato quelle in dollari.<br />

21


Tabella I.3.2: Valuta di emissione obbligazioni (sia corporate che non),<br />

m<strong>il</strong>iardi di dollari.<br />

Valuta 01/12/08 01/06/09 01/09/09<br />

Dollaro 8225 8994 9164<br />

Euro 10875 11799 12492<br />

Yen 748 687 726<br />

Sterlina 1703 2115 2133<br />

Franco svizzero 332 349 363<br />

Dollaro australiano 195 227 248<br />

Fonte: annuario statistico BIS (2007)<br />

Anche per quanto concerne le riserve detenute <strong>il</strong> dollaro rimane saldamente la<br />

valuta di riferimento, con <strong>il</strong> 40% del totale delle riserve delle banche centrali<br />

accumulate nella divisa statunitense (IMF 2008, tabelle 14 e 15 in appendice)<br />

mentre l'euro che si attesta ad un 16% di riserve sul totale, in discesa rispetto al<br />

25% del 2004 (Fratianni 2008). La cosa importate da sottolineare è che la somma<br />

di marco tedesco, franco francese e fiorino olandese nel 1973 rappresentava<br />

appena <strong>il</strong> 6,7% delle riserve totali (Fratianni 2008). L'euro è dunque una valuta<br />

che oggi è più usata rispetto alle monete di cui ha preso <strong>il</strong> posto.<br />

Si può tranqu<strong>il</strong>lamente affermare che, almeno stando alle nude cifre, l'euro sta<br />

assumendo un ruolo sempre più importante tra le valute internazionali anche se<br />

sembra che la sua ascesa sia finita e che le sue quote rispetto alle altre valute<br />

sembrano essersi stab<strong>il</strong>izzate. Certo è che <strong>il</strong> dollaro rimane ancora molto distante e<br />

nessun cambio di leadership probab<strong>il</strong>mente avverrà nel breve termine.<br />

22


I.4) Vantaggi e gli svantaggi di emettere valuta <strong>internazionale</strong>.<br />

Sembra dunque evidente che disporre di una valuta accettata internazionalmente<br />

possa serbare alcuni vantaggi per i paesi emittenti (Chinn e Frankel 2005). Innanzi<br />

tutto, poter concludere transazioni nella propria valuta permette di ridurre i costi<br />

di transazione ed <strong>il</strong> rischio di cambio legati alla necessità di convertire la propria<br />

valuta in una straniera trasferendoli alla controparte estera. Emerge dunque uno<br />

dei vantaggi chiave di emettere valuta <strong>internazionale</strong> ovvero quello di poter<br />

denominare le proprie passività sull'estero nella propria valuta.<br />

Un altro vantaggio consiste nel poter applicare tassi d'interesse inferiori per le<br />

proprie passività rispetto a quelli che possono fare gli altri paesi. Il fatto che le<br />

attività siano considerate come una sicura riserva di valore fa si che gli operatori<br />

siano disposti a rinunciare ad una parte <strong>della</strong> remunerazione, o meglio del premio<br />

per <strong>il</strong> rischio, pur di disporre dei vantaggi e delle caratteristiche qualitative<br />

intrinseche poc'anzi elencate <strong>della</strong> valuta di riserva, sicurezza, stab<strong>il</strong>ità e liquidità.<br />

Questo fatto viene comunemente definito “signoraggio” e viene ricondotto di fatto<br />

all' “esorbitante priv<strong>il</strong>egio” 3 (Rogoff 1998 4 , Papaioannu 2008) di potersi indebitare<br />

ad un tasso inferiore di quello che si ottiene sulle proprie attività sull'estero.<br />

3 L' espressione “esorbitante priv<strong>il</strong>egio” viene spesso erroneamente attribuita al presidente<br />

francese Charles de Gaulle mentre la paternità è da attribuirsi a Valery Giscard d'Estaing allora<br />

ministro del tesoro e degli affari economici dell'allora governo di De Gaulle.<br />

4 In particolare Rogoff nel suo lavoro quantifica l' “esorbitante priv<strong>il</strong>egio” dal signoraggio<br />

<strong>internazionale</strong> da parte degli Stati Uniti per una cifra che si aggira intorno allo 0,1%/0,2% del<br />

prodotto interno lordo americano.<br />

23


Al tempo stesso l'emissione di valuta di riserva <strong>internazionale</strong> presenta anche<br />

alcuni punti di svantaggio come ad esempio quello di dover per forza di cose<br />

accettare una variab<strong>il</strong>ità più pronunciata nella domanda <strong>della</strong> propria valuta<br />

rendendo più arduo per la banca centrale <strong>il</strong> compito di controllare gli stock<br />

monetari nel caso in cui quest'ultima decida di intervenire sul mercato dei cambi.<br />

Inoltre <strong>il</strong> paese si deve fare anche carico del fardello di operare non solo per <strong>il</strong><br />

perseguimento dei propri obbiettivi macroeconomici interni ma anche di agire in<br />

modo tale da mantenere gli equ<strong>il</strong>ibri dei mercati mondiali. Un caso eclatante si è<br />

avuto durante le varie crisi che si sono succedute a fine degli anni 90 (Messico<br />

'95, Sud est asiatico '97, Russia '98, Bras<strong>il</strong>e '98 e Argentina 2000). In questo caso<br />

la Federal Reserve dovette abbassare i tassi d'interesse in maniera più aggressiva<br />

rispetto a quello che avrebbe desiderato per aiutare le economie in crisi a potersi<br />

finanziare sui mercati di capitali internazionali a costi più contenuti senza<br />

svalutazioni eccessive delle loro valute (Chinn e Frankel 2005).<br />

Come abbiamo visto <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio di emettere valuta <strong>internazionale</strong> è<br />

saldamente in mano negli Stati Uniti e verosim<strong>il</strong>mente questo status non sarà<br />

intaccato nei prossimi anni. La situazione attuale non è comunque uno status quo<br />

immutab<strong>il</strong>e e così come è avvenuto in passato <strong>il</strong> dollaro potrebbe cedere lo scettro<br />

ad un' altra valuta. Alcune scelte delle ultime amministrazioni americane di non<br />

curarsi del crescente disavanzo di partite correnti e del proprio debito con l'estero,<br />

24


seguendo <strong>il</strong> reaganiano “i deficit non contano” 5 , potrebbero in qualche modo<br />

favorire una ricollocazione degli assets verso altre valute. Ma come si capisce se<br />

una moneta è <strong>il</strong> fulcro del <strong>sistema</strong> rispetto alla posizione subalterna delle altre<br />

valute? La letteratura economica che prenderemo in considerazione si è avvalsa di<br />

diversi strumenti statistico-econometrici per cercare di catturare empiricamente <strong>il</strong><br />

“dominio” di una valuta rispetto alle altre anche se molto spesso si sono rivelati<br />

più ut<strong>il</strong>i l'ut<strong>il</strong>izzo di strumenti più semplici e diretti come appunto l'analisi del<br />

turnover valutario sul FOREX oppure l'andamento nel tempo delle riserve<br />

detenute dalle banche centrali. Nella prossima sezione descriveremo<br />

minuziosamente alcuni delle procedure più ut<strong>il</strong>izzate nell'economia applicata.<br />

I.5) La teoria delle monete dominati e i relativi strumenti di analisi empirica.<br />

In questa sezione cercheremo di vedere come può essere affrontato da un punto di<br />

vista econometrico <strong>il</strong> problema di quale sia la valuta dominante del <strong>sistema</strong>. La<br />

variab<strong>il</strong>e quasi sempre presa come oggetto di studio è quella dei tassi d'interesse<br />

di alcune attività, principalmente i titoli di stato. Si andrà poi a verificare se i tassi<br />

domestici influenzano in una qualche misura i corrispettivi esteri ed in quale<br />

misura essi ne siano influenzati. Prerogativa <strong>della</strong> valuta dominante sarà quella di<br />

5 La frase è stata pronunciata dal vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney nei riguardi dell '<br />

ex segretario del tesoro Paul O' Ne<strong>il</strong>l che aveva mostrato perplessità per la politica fiscale<br />

troppo espansiva dell' aministrazione. Fonte: www.corriere.it 9 febbraio 2004.<br />

25


influenzare fortemente i tassi delle altre valute ed al tempo stesso ricevere una<br />

quantità limitata di feedback.<br />

Lo strumento maggiormente ut<strong>il</strong>izzato è quello <strong>della</strong> Granger causalità mentre<br />

l'ut<strong>il</strong>izzo <strong>della</strong> cointegrazione è stato per lo più ut<strong>il</strong>izzato per verificare la<br />

convergenza dei tassi d'interesse verso un valore comune. Nel nostro caso però<br />

ut<strong>il</strong>izzeremo la cointegrazione per testare la dominanza valutaria.<br />

I.5.1) L'analisi <strong>della</strong> Granger-causalità.<br />

L'analisi <strong>della</strong> causalità secondo Granger è legata strettamente alla capacità di una<br />

certa variab<strong>il</strong>e di predire l'andamento di un'altra. Il punto di partenza di tale analisi<br />

è una rappresentazione di tipo vettoriale autoregressivo meglio conosciuta in<br />

ambito econometrico come VAR(p) dove p rappresenta <strong>il</strong> numero di ritardi delle<br />

variab<strong>il</strong>i endogene da inserire nel <strong>sistema</strong>.<br />

Il primo passo per poter costruire un modello di tipo VAR è però quello di<br />

assicurarsi <strong>della</strong> stazionarietà delle serie storiche in questione eseguendo un test di<br />

radice unitaria del tipo ADF (agumented Dickey-Fuller, dal nome dei due<br />

ideatori). Una serie storica presenta una radice unitaria quando una delle soluzioni<br />

del polinomio ritardo è pari all'unità. Nel caso di una rappresentazione<br />

autoregressiva di ordine uno (AR(1)) del tipo<br />

y t = y t −1 e t (1)<br />

avremo una radice unitaria quando <strong>il</strong> coefficiente sarà uguale ad uno. La<br />

26


presenza di una radice unitaria nel polinomio ritardo comporta che la serie storica<br />

presenta alcune caratteristiche, dalla non esistenza dei momenti, alla mancanza di<br />

mean reverting, che ne rendono diffic<strong>il</strong>e, se non impossib<strong>il</strong>e, l'analisi a meno di<br />

non ricorrere ad alcune trasformazioni, come la differenziazione <strong>della</strong> serie, o<br />

l'ut<strong>il</strong>izzo di tecniche come la cointegrazione di cui tratteremo ampiamente in<br />

seguito.<br />

Un test di radice unitaria serve appunto per individuare la presenza di un<br />

coefficiente nel polinomio ritardo pari ad uno. Sottraendo da entrambi i membri<br />

dell'equazione precedente y t −1 si otterrà l'espressione<br />

dove −1= .<br />

y t =−1 y t −1 e t (2)<br />

Il test di radice unitaria approntato da Dickey e da Fuller prevede un'ipotesi nulla<br />

H 0 di radice unitaria per =0 e un'ipotesi alternativa di stazionarietà<br />

0 .<br />

Il test di DF si presenta come un test ad una sola coda con una distribuzione di<br />

probab<strong>il</strong>ità che sotto l'ipotesi nulla si distribuisce in maniera non standard, ovvero<br />

non riconducib<strong>il</strong>e ad alcuna distribuzione nota come ad esempio quella <strong>della</strong><br />

normale o <strong>della</strong> t di student, con la maggior parte <strong>della</strong> distribuzione concentrata<br />

su valori inferiori allo zero. Fortunatamente i due autori hanno presentato le tavole<br />

27


dei vari punti critici con i diversi livelli di significatività del test in questione. La<br />

versione augumented (ADF) tiene conto anche <strong>della</strong> persistenza di breve periodo<br />

presente nella serie storica. In questo caso <strong>il</strong> test si presenterà come<br />

y t = t −1 y t −1 ... y t −n e t (3)<br />

Il numeri di ritardi di y t da inserire sarà determinato in modo tale che <strong>il</strong><br />

residuo e t possa essere considerato a tutti gli effetti un white noise, ovvero un<br />

processo stocastico senza persistenza.<br />

Un altro elemento di cui tenere conto quando si specifica un test di tipo ADF è<br />

quello se inserire o meno una componente deterministica. Questa scelta non è<br />

senza conseguenze in quanto a seconda che si ipotizzi una serie storica stazionaria<br />

intorno allo zero , stazionaria intorno ad una componente deterministica oppure un<br />

stazionaria intorno ad un trend deterministico, i punti critici <strong>della</strong> distribuzione del<br />

test muteranno a loro volta.<br />

Un' altra questione da dirimere è quella di quanti ritardi p delle variab<strong>il</strong>i<br />

endogene inserire nella rappresentazione VAR in modo tale da tenere<br />

adeguatamente conto <strong>della</strong> struttura di persistenza <strong>della</strong> serie. Solitamente <strong>il</strong><br />

metodo a cui si ricorre è quello di basarsi sui criteri d'informazione. I tre principali<br />

criteri ut<strong>il</strong>izzati sono <strong>il</strong> “criterio d'informazione di Akaike (AIC)” dell'omonimo<br />

autore, <strong>il</strong> “criterio d'informazione Bayesiana (BIC)” di Schwarz, e <strong>il</strong> criterio di<br />

informazione di Hannan e Quinn (HQC). Tutti e tre i criteri sono costruiti in modo<br />

28


tale da essere negativamente correlati con <strong>il</strong> logaritmo <strong>della</strong> funzione di massima<br />

verosimiglianza e positivamente con <strong>il</strong> numero di parametri inseriti nel modello.<br />

La scelta del modello ricade su quella che presenta valori dei criteri<br />

d'informazione più bassi. Specificamente i tre criteri sono così costruiti:<br />

AIC =−2log 2k (4)<br />

BIC =−2log k log n (5)<br />

HQC =−2log 2k log log n (6)<br />

Solitamente <strong>il</strong> criterio AIC tende a scegliere modelli con un ampio numero di<br />

parametri, mentre i modelli BIC e HQC scelgono modelli più parsimoniosi con<br />

una dinamica più contenuta<br />

A questo punto siamo in grado di costruire una rappresentazione VAR(p) con<br />

due variab<strong>il</strong>i endogene la quale si presenterà dunque nella forma<br />

[ y 1,t <br />

y 2, t] =CD∑ i=1<br />

p<br />

[ a11,i a21,i a12,i a22,i][ y ] 1, t−i<br />

y2,t−i [ u1, t<br />

u 2,t]<br />

dove y 1, t e y 2, t sono le due variab<strong>il</strong>i endogene, CD rappresenta la parte<br />

deterministica del modello, la matrice A rappresenta i coefficienti legati ai ritardi<br />

delle variab<strong>il</strong>i endogene, u 1, t e u 1, t sono i due termini di disturbo<br />

indipendenti, identicamente distribuiti come una variab<strong>il</strong>e casuale normale a<br />

29


media 0 e varianza 1.<br />

L'analisi di Granger causalità altro non è che un test F di azzeramento<br />

congiunto dei parametri associati alla variab<strong>il</strong>e di cui si vuole testare l'effettiva<br />

capacità di predire i movimenti delle altre. Si dice che la variab<strong>il</strong>e y 1,t non<br />

Granger causa la variab<strong>il</strong>e y 2,t quando i coefficienti a 21,i =0 .<br />

Ovviamente nel caso in cui i coefficienti sulla diagonale maggiore sono zero<br />

avremo che nessuna delle due variab<strong>il</strong>i influenzerà si influenzerà a vicenda.<br />

Il secondo test che si può approntare è quello di causalità istantanea tra le due<br />

variab<strong>il</strong>i. L'ipotesi nulla di questo test è data<br />

H 0 : E [u 1, t u 2,t ]=0 (7)<br />

Valori elevati del test, <strong>il</strong> quale si distribuisce come una variab<strong>il</strong>e causale 2<br />

inducono a rifiutare l' ipotesi nulla ed accettare che le due variab<strong>il</strong>i siano<br />

istantaneamente correlate.<br />

L' analisi di Granger causalità viene spesso impiegata in ambito<br />

macroeconomico e nel caso che più ci interessa per verificare i rapporti di forza<br />

tra le varie valute. Evidentemente, se uno, o più di uno, tassi d'interesse del paese<br />

A, determinati dalla domanda e dall'offerta di moneta di quel mercato, sono in<br />

grado di influenzare i tassi di un paese estero B senza a loro volta esserne<br />

influenzati ci troveremo di fronte ad una valuta che domina ed ad una dominata.<br />

30<br />

,


In termini econometrici, i tassi del paese A Granger causano quelli del paese B.<br />

Ritornando alla rappresentazione VAR un fenomeno di Granger causalità si<br />

manifesterà con <strong>il</strong> rifiuto dell'ipotesi nulla dei coefficienti legati alla variab<strong>il</strong>e di<br />

cui si vuole testare l'effettiva capacità di predire l'altra<br />

Il limite <strong>della</strong> Granger causalità è che essa può essere implementata solamente<br />

quando le serie in questione sono stazionarie, caso più unico che raro quando si<br />

trattano serie storiche di carattere macroeconomico come possono essere appunto<br />

i tassi d'interesse di varia natura e scadenza. Quando , e la cosa accade di molto di<br />

frequente, si ha a che fare con serie storiche non stazionarie si deve ricorrere ad<br />

una modalità di analisi differente, chiamata appunto cointegrazione.<br />

1.4.2) La cointegrazione.<br />

Come abbiamo detto poc'anzi le serie storiche stazionarie in macroeconomia sono<br />

sono molto rare e capita soventemente di imbattersi in serie che sono a tutti gli<br />

effetti dei random walk. In caso di serie storiche non stazionarie, l'approccio<br />

classico al problema prevede di differenziare la serie un numero di volte<br />

sufficiente affinché la relativa trasformazione possa considerarsi stazionaria.<br />

Consideriamo ad esempio <strong>il</strong> processo autoregressivo di ordine uno (AR(1)) con<br />

coefficiente =1 . Avremo dunque un'espressione del tipo<br />

y t = y t−1 e t , (8)<br />

la quale contiene inequivocab<strong>il</strong>mente una radice unitaria. Sottraendo ad entrambi i<br />

31


membri y t −1 otterremo una formulazione del tipo<br />

da cui logicamente segue<br />

y t − y t−1 = y t −1 − y t −1 e t (9)<br />

y t =e t<br />

<strong>il</strong> quale chiaramente è un white noise e dunque un processo stocastico stazionario.<br />

Tornando in ambito economico, se ad esempio disponiamo <strong>della</strong> serie dei<br />

prezzi al consumo, la quale verosim<strong>il</strong>mente non sarà stazionaria, la<br />

differenziazione ci permetterà di ottenere <strong>il</strong> tasso d'inflazione. Intuitivamente si<br />

capisce come <strong>il</strong> tasso d'inflazione possa essere considerato come stazionario<br />

intorno ad una certa componente deterministica. Questa procedura però non è<br />

certo indolore. La perdita di informazione che si paga passando da una serie ai<br />

livelli ad una alle differenze non è certo di poco conto. Attualmente ha però preso<br />

piede un approccio alternativo alla trasformazione in differenze quando si<br />

studiano serie storiche di carattere macroeconomico che è appunto quello <strong>della</strong><br />

cointegrazione. Come abbiamo detto in precedenza le serie storiche possono<br />

contenere al loro in interno una radice unitaria ed essere così integrate di ordine<br />

uno 6 (ovvero , stazionarie dopo una differenziazione).<br />

6 Le serie storiche possono contenere al loro interno più di una radice unitaria ed essere dunque<br />

integrate di un ordine <strong>superiore</strong> ad uno. Alla stessa maniera l' ordine di integrazione può essere<br />

compreso tra 0 e 1 ed essere dunque frazionale. Essendo una casistica molto rara quando si<br />

opera con serie storiche economiche e con campioni finiti da ora in poi ogni volta che si parlerà<br />

di cointegrazione sottintenderemo che l'ordine di integrazione sia 1.<br />

32


Normalmente la combinazione lineare di due serie storiche I(0) è a sua volta<br />

una serie stazionaria come altrettanto usuale è che la combinazione lineare di una<br />

serie I(1) con una serie I(0) dia come risultato ancora un random walk. Il caso<br />

<strong>della</strong> cointegrazione si ha quando la combinazione lineare di due variab<strong>il</strong>i I(1) è<br />

una variab<strong>il</strong>e stazionaria. Se supponiamo che le variab<strong>il</strong>i y t e z t siano I(1),<br />

tra le due vi sarà cointegrazione se la combinazione lineare y t − z t è una serie<br />

I(0). Il vettore è chiamato vettore di cointegrazione. L'effettiva funzione del<br />

vettore di cointegrazione è dunque quella di elidere gli eventuali trend stocastici in<br />

comune. Una volta eliminati, le combinazioni lineari dei trend comuni possono<br />

essere trattate come serie stazionarie.<br />

Un importante teorema a cui si fa riferimento quando si parla di<br />

cointergrazione è <strong>il</strong> cosiddetto teorema di rappresentazione di Granger (Engle e<br />

Granger 1987) <strong>il</strong> quale afferma, tra le altre cose, che se un <strong>sistema</strong> di due variab<strong>il</strong>i<br />

è cointegrato, è sempre possib<strong>il</strong>e formularlo come un modello a correzione<br />

d'errore (ECM) del tipo<br />

p<br />

y t =c 0 ∑ i=1<br />

i y t−i ' y t −1 t (10)<br />

Il vantaggio di ut<strong>il</strong>izzare un modello ECM rispetto ad una rappresentazione in<br />

differenze consiste nel poter descrivere le variazioni <strong>della</strong> variab<strong>il</strong>e y t in<br />

funzione sia <strong>della</strong> componente transitoria di breve periodo alle differenze<br />

33


p<br />

∑ i yt−i (11)<br />

i=1<br />

sia <strong>della</strong> componente di equ<strong>il</strong>ibrio di lungo periodo delle variab<strong>il</strong>i ritardate nei<br />

livelli<br />

' y t−1 .<br />

Per comodità, la relazione di lungo periodo può essere riscritta in questa maniera<br />

[ y t−1 − z t −1 ] . (12)<br />

Se ad esempio al tempo t-1 y t −1 − x t −1 0 , <strong>il</strong> che accade quando y t −1 si<br />

trova al di sopra <strong>della</strong> relazione di equ<strong>il</strong>ibrio, scatta dunque <strong>il</strong> meccanismo di<br />

correzione dell'errore. z t −1 Salirà di modo da permettere a y t −1 − z t −1<br />

di scendere con conseguente variazione verso <strong>il</strong> basso di y t . La grandezza<br />

dell'aggiustamento nel periodo è determinata dal valore del parametro .<br />

Maggiore è la grandezza e più elevata sarà la portata dell'aggiustamento. Un<br />

valore di nullo starà a significare che non c'è nessun aggiustamento in atto<br />

mentre al contrario un valore pari all'unità indicherà che <strong>il</strong> riassorbimento del<br />

disequ<strong>il</strong>ibrio avviene completamente nel periodo. Un valore maggiore di uno ( ma<br />

inferiore a 2) implica un' osc<strong>il</strong>lazione intorno alla relazione di lungo periodo.<br />

Resta solamente da vedere come determinare la presenza o meno di una<br />

eventuale relazione di cointegrazione tra due o più variab<strong>il</strong>i. La procedura che<br />

ut<strong>il</strong>izzeremo è quella di Johansen (Johansen 1995). Essa si basa essenzialmente<br />

34


sull'analisi del rango <strong>della</strong> matrice = '<br />

tramite un test di azzeramento sui<br />

suoi autovalori 7 . Nel caso in cui <strong>il</strong> rango di tale matrice sia 0 ci troveremo di<br />

fronte all'assenza di cointegrazione e alla presenza di un random walk<br />

multivariato. Al contrario, nel caso che la suddetta matrice abbia rango pieno,<br />

ovvero nel caso in cui non vi sia nessuna combinazione lineare significativa tra le<br />

colonne <strong>della</strong> matrice, saremo di fronte ad un insieme di serie storiche che sono<br />

stazionarie.<br />

La casistica più interessante si ha quando 0r . Il rango <strong>della</strong> matrice<br />

corrisponde al numero di vettori di cointegrazione presenti nel <strong>sistema</strong> e dunque<br />

alle equivalenti relazioni di lungo periodo. Per identificare <strong>il</strong> rango <strong>della</strong> matrice<br />

la procedura di Johansen prevede di analizzare gli autovalori di una matrice<br />

M semidefinita positiva per costruzione e che possiede lo stesso rango di . Il<br />

vantaggio di lavorare con M assicura che tutti gli autovalori siano reali e non<br />

negativi . Della matrice M esiste una stima consistente M i cui autovalori <br />

sono a loro volta stime consistenti di M. Trovate le stime degli autovalori li si<br />

ordina dal più grande 1 al più piccolo n .<br />

=[<br />

1 <br />

M ...<br />

...<br />

...<br />

<br />

n−1<br />

...<br />

...<br />

...<br />

n] p<br />

M (13)<br />

7 Gli autovalori di una matrice sono definiti come i per cui vale l'espressione<br />

A− I v= 0 .<br />

35


Come ultimo stadio si procede ad eseguire due test sugli autovalori così ottenuti<br />

per determinare <strong>il</strong> rango <strong>della</strong> matrice .<br />

Il primo test presentato da Johansen è quello del massimo autovalore ( detto<br />

anche test −max ) <strong>il</strong> quale prevede di testare l'ipotesi nulla per ogni singolo<br />

autovalore partendo dal più piccolo. Il secondo è <strong>il</strong> cosiddetto test <strong>della</strong> traccia <strong>il</strong><br />

quale, sempre partendo dal più piccolo, prevede di annullare congiuntamente gli<br />

ultimi n-p autovalori.<br />

Il numero di autovalori significativamente diversi da zero rappresentano i<br />

vettori di cointegrazione esistenti e le rispettive relazioni di lungo periodo presenti<br />

nel <strong>sistema</strong>. I test in questione hanno una distribuzione non standard come <strong>il</strong> loro<br />

equivalente univariato di Dickey e Fuller. Anche in questo caso però sono<br />

disponib<strong>il</strong>i le tavole con i punti critici per i vari livelli di significatività desiderati.<br />

Alla stessa maniera del caso univariato, la distribuzione dei test non è invariante<br />

alla presenza di una componente deterministica. Se si considera la componente<br />

deterministica come un polinomio del tipo<br />

d t = 0 1 t... p t p<br />

(14)<br />

avremo dunque ben cinque possib<strong>il</strong>i combinazioni e cinque differenti<br />

distribuzioni.<br />

•<br />

d t =0 : in questo caso <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> ECM non presenta una componente<br />

deterministica. Sia la serie nei livelli che la componente di lungo periodo<br />

36


•<br />

osc<strong>il</strong>lano intorno allo 0.<br />

d t = 0 ; ' ⊥ 0 =0 : in questo caso la rappresentazione ECM vettoriale<br />

ha un' intercetta che però non da origine ad un trend lineare nella<br />

rappresentazione nei livelli, perché questi ultimi non hanno un drift. I dati<br />

non hanno trend deterministici ma fluttuano intorno ad un valore diverso<br />

da zero. Di fatto avremo un' intercetta nella relazione di cointegrazione<br />

ovvero una relazione di lungo periodo che osc<strong>il</strong>la intorno ad una<br />

componente deterministica.<br />

• d t = 0 ; ' ⊥ 0 : in questo caso avremo un' intercetta sia nella relazione<br />

•<br />

di lungo periodo che nella rappresentazione a trend comuni. Osserveremo<br />

dunque un trend nelle serie osservate.<br />

d t = 0 1 t ; ' ⊥ 1 =0 : in questo caso la relazione di cointegrazione<br />

presenta un trend lineare che non si traduce in un trend quadratico nei<br />

livelli.<br />

• d t= 0 1 t ; ' ⊥ 1 : le serie esibiscono un trend quadratico nei livelli.<br />

Gli ultimi due casi sono poco comuni quando si lavora con serie storiche di<br />

carattere economico e l'attenzione si concentra sui primi tre casi. La scelta tra<br />

queste tre possib<strong>il</strong>ità si basa su un misto di osservazione empirica e di<br />

ragionamento di tipo economico . Se le variab<strong>il</strong>i in esame sembrano seguire un<br />

37


trend lineare è opportuno non imporre alcun vincolo all'intercetta. Altrimenti<br />

occorre chiedersi se ha senso specificare una relazione di cointegrazione che<br />

includa un' intercetta diversa da zero. Prendiamo <strong>il</strong> caso di due tassi d'interesse: in<br />

generale non hanno un trend 8 , ma <strong>il</strong> VAR potrebbe comunque avere un' intercetta<br />

perché lo spread tra i due potrebbe essere stazionario su una media diversa da zero<br />

per la presenza di un premio per la liquidità e per <strong>il</strong> rischio.<br />

Una volta stimata l'eventuale matrice di cointegrazione ci troviamo di<br />

fronte al problema che quest'ultima non è pienamente identificata. Infatti se <br />

è una matrice di cointegrazione lo è anche b= K , dove K è una matrice (r*r)<br />

non singolare. Le due matrici sono esattamente equivalenti dal punto di vista<br />

osservazionale. Siamo nel cosiddetto problema di sotto identificazione da cui se<br />

ne esce imponendo dei vincoli sulla matrice di cointgrazione. Johansen (1995)<br />

dimostra che <strong>il</strong> numero minimo di vincoli da imporre per ottenere la piena<br />

identificazione è pari a r 2<br />

dove r rappresenta <strong>il</strong> rango <strong>della</strong> matrice di<br />

cointegrazione. Di fatto se <strong>il</strong> rango di cointegrazione è pari a due, <strong>il</strong> problema<br />

dell'identificazione si risolve imponendo un vincolo per ciascun vettore di<br />

cointegrazione. I vincoli imposti saranno poi conformi alla teoria economica ed<br />

alle eventuali restrizioni che si desidera testare. La bontà del modello vincolato<br />

8 Può anche verificarsi che i tassi d'interessi presentino dei trend come ad esempio la discesa dei<br />

tassi d'interesse italiani ad inizio anni '90 in seguito alla discesa dell'inflazione. Se non<br />

vogliamo curarci del contesto macroeconomico inseriamo un trend nella rappresentazione.<br />

38


sarà poi testata tramite un test di rapporto delle verosimiglianze. In poche parole si<br />

confrontano i valori <strong>della</strong> funzione di verosimiglianza per <strong>il</strong> modello libero e<br />

quello vincolato. Se la differenza tra i due valori non è eccessivamente elevata 9 <strong>il</strong><br />

modello vincolato può essere tranqu<strong>il</strong>lamente accettato.<br />

Il nostro fine sarà quello di eseguire un test di esogeneità debole sul<br />

coefficiente corrispondente alla relazione di lungo periodo nell'equazione dei<br />

tassi d'interesse statunitensi. Prendiamo come esempio un <strong>sistema</strong> VECM tra i<br />

tassi americani e quelli francesi. Il <strong>sistema</strong> si presenterà nella forma<br />

[<br />

f<br />

rt r<br />

us]<br />

t<br />

= mi0 mi1 t [ 1 2][ 1 2] [r f<br />

t −1<br />

n<br />

us<br />

rt −1]∑<br />

[ i = 1<br />

11, i<br />

21, i<br />

12, i<br />

22, i][ r f<br />

] t − 1<br />

us<br />

rt − 1<br />

t Eseguire un test di esogeneità debole consiste nel testare se sia accettab<strong>il</strong>e l'ipotesi<br />

che uno dei due coefficienti <strong>della</strong> matrice dei pesi sia nullo.<br />

[<br />

<br />

rt f<br />

rt us] =mi 0 mi1 t [ 1 0 ][ 1<br />

2] [r t −1<br />

f<br />

n<br />

us<br />

rt −1]∑<br />

i =1<br />

[ 11, i<br />

21, i<br />

12, i<br />

22, i][ r f<br />

] t − 1<br />

us<br />

r t − 1<br />

t Tale test permette di verificare se una o più variab<strong>il</strong>i del <strong>sistema</strong> VECM possano<br />

essere considerate forze esterne rispetto al <strong>sistema</strong> ovvero capaci di influenzare le<br />

altre variab<strong>il</strong>i ma di non esserne a sua volta condizionate nel lungo periodo. Più<br />

avanti eseguiremo questo tipo di test per vari tipi di tassi d'interesse in diversi<br />

periodi di tempo.<br />

9 Anche in questo caso <strong>il</strong> test si distribuisce come una variab<strong>il</strong>e casuale 2<br />

39<br />

.


Esiste inoltre la possib<strong>il</strong>ità di eseguire un test di cointegrazione anche quando<br />

stiamo ut<strong>il</strong>izzando un <strong>sistema</strong> di tipo VECM. In questo caso avremo che<br />

[<br />

f<br />

rt r<br />

us]<br />

t<br />

=mi 0 mi1 t [ 1 2][ 1 f<br />

0 ][r t −1<br />

n<br />

us<br />

rt − 1]∑<br />

[ i = 1<br />

11, i 0<br />

][ 21, i 22, i<br />

r f<br />

] t −1<br />

us<br />

rt −1<br />

La Granger causalità nell'ambito <strong>della</strong> cointegrazione prevede un test che azzeri<br />

simultaneamente sia <strong>il</strong> coefficiente legato a quella determinata variab<strong>il</strong>e nella<br />

relazione di cointegrazione sia <strong>il</strong> coefficiente legato alla componente di breve<br />

periodo. L'operazione non è così banale come può sembrare in quanto prevede<br />

l'annullamento di due variab<strong>il</strong>i, una sui livelli e l'altra alle differenze,<br />

profondamente diverse tra loro. La distribuzione del test è dunque non standard.<br />

Per ulteriori approfondimenti vedi Dolado e Lutkepohl (1996).<br />

I.6) La letteratura empirica sulla cointegrazione e sull'analisi di Granger<br />

casualità nell'ambito <strong>della</strong> teoria delle valute dominanti.<br />

La letteratura empirica che si è occupata di accertare l'esistenza di possib<strong>il</strong>i legami<br />

e tra i tassi d'interesse dei vari paesi è piuttosto ampia. In questo paragrafo ne<br />

daremo velocemente una panoramica d'insieme dei principali lavori eseguiti nel<br />

corso degli anni. Gli strumenti maggiormente ut<strong>il</strong>izzati dalla letteratura sono<br />

quelli <strong>della</strong> Granger causalità e quello <strong>della</strong> cointegrazione.<br />

Uno degli ambiti in cui la letteratura si è profusa in maniera più insistente è<br />

40<br />

t


stato quello nel cercare un effettivo riscontro dell' “ipotesi di dominanza dei tassi<br />

tedeschi” all'interno del <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> europeo. Questo tipo di analisi ha<br />

frequentemente ut<strong>il</strong>izzato sia i test di Granger causalità che quelli di<br />

cointegrazione per stimare la forza dei legami tra i tassi d'interesse all'interno<br />

dello SME.<br />

DeGrauwe (1989) usando la Granger causalità ha analizzato a fondo i legami<br />

tra i tassi d'interesse a breve dei paesi aderenti allo SME tra <strong>il</strong> 1979 ed <strong>il</strong> 1988<br />

scoprendo dei legami bidirezionali tra i tassi tedeschi e quelli francesi e belgi e<br />

l'esistenza di legami unidirezionali che partono dai tassi tedeschi nei confronti di<br />

tutti gli altri. Eseguendo la stessa analisi per i tassi decennali, DeGrauwe ha<br />

trovato scarso supporto all'ipotesi che tassi di un paese possano in qualche modo<br />

essere significativi nello spiegare variazioni in quelli degli altri.<br />

Alla stessa maniera B<strong>il</strong>toft e Boersch (1992), sempre ricorrendo all'aus<strong>il</strong>io <strong>della</strong><br />

Granger causalità per <strong>il</strong> periodo 1983-1991, trovarono delle relazioni<br />

unidirezionali tra i tassi tedeschi e e quelli degli altri paesi europei<br />

Karfakis e Moschoes (1990) usando un'analisi VAR bivariata trovarono<br />

riscontro di collegamenti unidirezionali tra i tassi d'interesse nominali a breve<br />

termine tra la Germania e gli altri paesi dello SME tra <strong>il</strong> 1979 ed <strong>il</strong> 1988 con<br />

l'Irlanda unica significativa eccezione. Gli autori proseguirono verificando se vi<br />

fosse la presenza di eventuali relazioni di cointegrazione giungendo ad una<br />

41


isposta negativa in proposito.<br />

Kirchgassner e Wolters (1995) alla stessa maniera hanno investigato la presenza<br />

di interdipendenza tra i tassi a breve termine dei vari paesi dello SME tra <strong>il</strong> 1974<br />

ed <strong>il</strong> 1994 usando sia la Granger causalità che la cointegrazione. Per quanto<br />

concerne la cointegrazione, gli autori hanno preferito eseguire un'analisi bivariata<br />

tra i tassi tedeschi e quelli degli altri paesi dello SME presi singolarmente. I<br />

risultati del lavoro in questione indicano un forte presenza di cointegrazione con<br />

un livello di confidenza dell'1%,<br />

Un approccio alternativo molto interessante è stato presentato da Von Hagen e<br />

da Fratianni (1990) i quali hanno cercato di testare la cosiddetta “ipotesi di<br />

dominanza tedesca” con un approccio diverso da quello <strong>della</strong> Granger causalità<br />

b<strong>il</strong>aterale che si è spesso rivelata debole sotto molti punti di vista. Il modello da<br />

loro approntato prevedeva un'analisi multivariata delle variazione dei tassi<br />

d'interesse in sette paesi 10 . Il modello in questione risulta così formulato:<br />

k<br />

A0 Rt =d ∑ A j Rt − j∑ B j X t − j ∑ j =1<br />

j =0<br />

j = 0<br />

m<br />

n<br />

C j r us , t − j e t (1)<br />

L'ipotesi di dominanza tedesca in senso forte prevedeva la verifica di quattro<br />

condizioni. La prima riguardava la cosiddetta “world insularity” ovvero che gli<br />

effetti di variazioni dei tassi americani si esplicassero solamente attraverso<br />

10 Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Danimarca e Irlanda.<br />

42


variazioni di quelli tedeschi e non dei singoli paesi dello SME. Matematicamente<br />

avremo dunque che<br />

H1: World insularity : c j = 0 per i= 2,.. , 7 .<br />

La seconda ipotesi, quella di “EMS insularity” , imponeva che ogni membro<br />

diverso dalla Germania non interagisse con gli altri indipendentemente .<br />

H2: EMS insularity : a ij =0 Per i ≠ j ; i , j = 2,... ,7 .<br />

La terza ipotesi prevedeva poi che la politica monetaria di ogni stato membro<br />

fosse influenzata da quella tedesca e che dunque andasse rifiutata la seguente<br />

ipotesi<br />

H3: Indipendence form German policy : a i1 =0 per i= 2,... ,7<br />

La quarta ed ultima ipotesi da testare era quella che verificava l'indipendenza <strong>della</strong><br />

politica monetaria tedesca<br />

H4: German policy indipendence : a 1i =0 per i= 2,... ,7 .<br />

L'aspetto più interessante è che le quattro ipotesi così elencate possono avere<br />

un'interpretazione in termini di Granger causalità: I tassi d'interesse statunitensi<br />

non Granger causano quelli di nessun altro paese dello SME oltre che la<br />

Germania; la politica monetaria di un una paese membro diverso dalla Germania<br />

non Granger causa quella di un altro; i tassi tedeschi Granger causano quelli di un<br />

qualsiasi altro paese dello SME mentre quelli degli altri paesi non Granger<br />

causano quelli <strong>della</strong> Germania. I risultati empirici ottenuti mostrano come non sia<br />

43


possib<strong>il</strong>e accettare l'ipotesi di dominanza tedesca “forte” sullo SME anche se è<br />

possib<strong>il</strong>e accettare l'ipotesi di una dominanza “debole” su cui però rimandiamo<br />

all'articolo in questione. Il risultato principale del lavoro in questione è stato<br />

quello di dimostrare la debolezza delle analisi bivariate nei confronti di quelle<br />

multivariate. Il rovescio <strong>della</strong> medaglia consiste però in una elevata difficoltà<br />

nell'eseguire questo tipo di analisi ed è questa la principale motivazione che<br />

spinge molti economisti a preferire analisi di tipo bivariato.<br />

Un altro importante f<strong>il</strong>one <strong>della</strong> letteratura ha indagato la presenza di legami<br />

non solo all'interno dello SME ma anche a livello <strong>internazionale</strong>. Molto spesso si<br />

è semplicemente trattato di inserire nelle relazioni di cointegrazione o di Granger<br />

causalità i tassi d'interesse statunitensi. Katsimbris e M<strong>il</strong>ler (1993) mostrano<br />

l'esistenza di un qualche tipo di relazioni di cointegrazione (usando test di<br />

cointegrazione b<strong>il</strong>aterali) tra i tassi tedeschi e quelli americani, quelli belgi e quelli<br />

americani ( entrambi ad un livello di significatività del 5%) mentre tra i tassi<br />

francesi e olandesi e americani esistono delle relazioni di cointegrazione<br />

significative al 10%.<br />

Sempre Kirchgassner e Wolters (1995) nel lavoro già precedentemente citato<br />

testano anche la presenza di Granger causalità tra gli Stati Uniti ed i paesi dello<br />

SME. Ut<strong>il</strong>izzando un <strong>sistema</strong> a tre dimensioni, in modo tale da includere i tassi<br />

americani nelle relazioni di cointegrazione tra i paesi dello SME e la Germania, i<br />

44


due autori giungono alla conclusione che l'ipotesi nulla di assenza di<br />

cointegrazione per <strong>il</strong> periodo che va dal 1983 al 1989 può essere rifiutata con un<br />

intervallo di confidenza dell'1%.<br />

Un altro f<strong>il</strong>one <strong>della</strong> letteratura si è concentrato sull'indagine di relazioni di<br />

Granger causalità e di cointegrazione tra i tassi reali e non quelli nominali.<br />

Pain e Thomas hanno cercato riscontri di possib<strong>il</strong>i trend comuni trai tassi<br />

d'interesse reali a lungo termine di Stati Uniti, Giappone e Germania per <strong>il</strong> periodo<br />

che va dalla fine del <strong>sistema</strong> a cambi fissi di Bretton Woods e la metà degli anni<br />

'90. La loro analisi mostra come non vi sia traccia di cointegrazione sull'intero<br />

campione mentre a partire dagli anni '80 vi sia un certa significatività di due<br />

vettori di cointegrazione.<br />

Throop (1994) alla stessa maniera analizza i possib<strong>il</strong>i legami internazionali tra i<br />

vari tassi d'interesse reali, sia a breve che a lungo termine, di Stati Uniti, Canada,<br />

Giappone, Germani, includendo nelle relazioni di cointergrazione anche i tassi di<br />

cambio tra <strong>il</strong> periodo che va dal 1974 ed <strong>il</strong> 1993. La conclusione del lavoro di<br />

Throop porta a rifiutare l'esistenza di relazioni di cointegrazione tra i tassi dei vari<br />

paesi.<br />

Il riscontro empirico dell'eventuale cointegrazione tra tassi d'interesse come si<br />

può vedere è piuttosto controverso ed in grado di portare a conclusioni piuttosto<br />

differenti tra loro. Vedremo poi in seguito i risultati ottenuti cointegrando i tassi<br />

45


d'interesse di vari paesi per diversi periodi di tempo.<br />

46


CAPITOLO II<br />

L'ASCESA ED IL DECLINO DELLA GRAN BRETAGNA: DAL GOLD<br />

STANDARD AGLI ACCORDI DI BRETTON WOODS.<br />

II.1) Introduzione alle vicende del XIX secolo.<br />

Il XIX secolo è stata l'epoca dell'indiscusso dominio dell'impero britannico sul<br />

globo terrestre. La potenza economica, m<strong>il</strong>itare e culturale inglese non aveva<br />

rivali e nessun paese era in grado di sfidarne l'egemonia. Le vecchie potenze di un<br />

tempo, Spagna e Portogallo, erano ormai decadute, l'Olanda ed <strong>il</strong> Belgio non<br />

avevano le dimensioni e le risorse per poter scalfire <strong>il</strong> dominio britannico, la<br />

Germania non esisteva ancora, e gli Usa erano nati da così pochi anni da non poter<br />

ambire ancora ad assumere un ruolo planetario. L'unica sfidante credib<strong>il</strong>e<br />

all'egemonia inglese fu per un certo periodo la Francia la quale possedeva<br />

dimensioni e capacità per rivaleggiare con la Gran Bretagna. Verso la fine del<br />

XVIII secolo l'esito di questo scontro era tutt'altro che segnato e ancora incerto.<br />

In questa sezione analizzeremo <strong>il</strong> comportamento dei titoli di debito emessi dai<br />

due paesi confrontandoli con le più importanti e significative vicende storiche del<br />

periodo che va dalla fine delle guerre napoleoniche fino allo scoppio <strong>della</strong> prima<br />

guerra mondiale. Come abbiamo già argomentato, l'idea alla base di questa analisi<br />

consiste nel ritenere che i titoli di stato del paese leader del <strong>sistema</strong> fruttino degli<br />

interessi inferiori a quelli di altri paesi in virtù del fatto che la moneta è<br />

48


considerata ancora <strong>il</strong> bene rifugio per eccellenza. Prima di far ciò faremo però<br />

una breve introduzione sui sistemi monetari vigenti nel XVIII secolo<br />

soffermandoci in particolare su uno di essi, <strong>il</strong> gold standard.<br />

II.2) Storia e funzionamento dei sistemi monetari dal 1816 al 1913.<br />

Dopo oltre un secolo in cui era in vigore, se pure non ufficialmente, la Gran<br />

Bretagna adottò <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> aureo de jure solamente con l' approvazione da parte<br />

del parlamento del Liverpool Act del 1816. Il parlamento aveva approvato <strong>il</strong><br />

<strong>sistema</strong> aureo che de facto era stato ratificato dalle quotazioni dei prezzi dell'oro e<br />

dell'argento sul mercato britannico.<br />

Il prezzo di mercato dell'argento nel <strong>sistema</strong> bimetallico inglese era <strong>superiore</strong> al<br />

valore delle monete d'argento in circolazione in Gran Bretagna con <strong>il</strong> risultato che<br />

nessuno portava l'argento alla zecca di stato per far coniare monete in codesto<br />

metallo. In circolazione rimasero dunque solamente le monete d'oro e di fatto, con<br />

molto pragmatismo, <strong>il</strong> parlamento si limitò a ratificare un evento che era stato<br />

determinato dal mercato dei metalli preziosi. La conversione delle monete in oro<br />

era stata sospesa (corso forzoso) durante le guerre napoleoniche e fu ripristinata<br />

solamente nel 1821 11 .<br />

Nel corso del XIX secolo, la Gran Bretagna, sv<strong>il</strong>uppò un <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong><br />

11 Nel 1819 un atto del parlamento prevedeva <strong>il</strong> ritorno alla convertib<strong>il</strong>ità delle banconote in oro<br />

nel 1823. La Bank of England fu però in grado di assolvere questo compito a partire dal 1821.<br />

49


aureo nel quale la Bank of England, custode delle riserve nazionali d'oro,<br />

manteneva la convertib<strong>il</strong>ità delle proprie banconote e ut<strong>il</strong>izzava i tassi d'interesse<br />

bancari e le operazioni sul mercato aperto per regolare le entrate e le uscite delle<br />

riserve stesse. Un' erosione delle riserve auree poteva essere tamponata con<br />

aumenti dei tassi bancari, atti ad attrarre capitali stranieri convertib<strong>il</strong>i. Incrementi<br />

delle riserve permettevano alla Bank of England di abbassare i tassi d'interesse,<br />

riducendo l'afflusso di capitale straniero e incentivando <strong>il</strong> capitale nazionale a<br />

cercare tassi più elevati all'estero. Le banche commerciali detenevano sterline in<br />

banconote a riserva e la Bank of England possedeva l'oro a garanzia del valore<br />

delle banconote stesse.<br />

Il tallone aureo non fu l'unico <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> in vigore nel XIX secolo ed<br />

alcuni importanti paesi, Francia e Stati Uniti in primis, adottarono un <strong>sistema</strong><br />

<strong>monetario</strong> bimetallico basato sull'uso simultaneo di oro ed argento. Le ragioni di<br />

questa scelta erano da ricercarsi nelle ingenti riserve e giacimenti di argento di cui<br />

disponevano questi due paesi carenti, almeno agli inizi del XIX secolo 12 , di riserve<br />

auree. Il <strong>sistema</strong> bimetallico aveva però un difetto di fondo ineliminab<strong>il</strong>e che si<br />

presentava quando i prezzi di mercato di uno dei due metalli divergeva dai prezzi<br />

offerti dalla zecca che coniava le monete. In uno scenario del genere gli<br />

speculatori potavano lucrare sulla differenza tra <strong>il</strong> prezzo praticato dalla zecca e<br />

12 Per dettagli più approfonditi sulle cifre vedi Lindert (1969) e le tavole del wordl gold counc<strong>il</strong>,<br />

www.gold.org.<br />

50


quello del libero mercato.<br />

Se ad esempio <strong>il</strong> rapporto tra argento e oro <strong>della</strong> zecca era 15 a 1 e sul libero<br />

mercato di 16 a 1 , gli speculatori potevano portare l' argento alla zecca per <strong>il</strong><br />

conio e successivamente scambiare le monete d'argento appena coniate con<br />

monete d'oro. Con le monete d'oro si potevano acquistare monete d'argento in<br />

quantità <strong>superiore</strong> rispetto a prima. Non essendoci nessuno incentivo a portare oro<br />

alla zecca, le monete d'oro sparirono dalla circolazione ed i sistemi bimetallici, sia<br />

quello francese che quello americano, divennero sistemi non ufficiali basati solo<br />

sull'argento.<br />

La svolta decisiva a favore del <strong>sistema</strong> aureo si ebbe nel 1873 quando la<br />

Germania decise di adottare ufficialmente <strong>il</strong> gold standard. In seguito alla guerra<br />

franco-prussiana (1870-1871) la Francia di Napoleone III fu costretta a pagare un<br />

indennizzo in oro alla Germania imperiale di Bismarck. Le riserve così ottenute<br />

permisero l'adozione del tallone aureo.<br />

In seguito all' entrata <strong>della</strong> Germania nel <strong>sistema</strong> aureo molte nazioni, anche<br />

quelle più restie come Francia e Stati Uniti, dovettero adeguarsi. L'adozione<br />

dell'oro fece affluire un'enorme quantità di argento sul mercato con la<br />

conseguenza che i prezzi di tale metallo crollarono e lo resero inut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e per<br />

garantire le banconote e dunque gli scambi internazionali . L'adozione del gold<br />

standard tra i diversi paesi avvenne scaglionata nel tempo: Francia ( e con lei l'<br />

51


unione monetaria latina comprendente tra gli altri anche Italia e Belgio) nel 1873,<br />

Stati Uniti nel 1879, Impero austro-ungarico nel 1892, Russia e Giappone nel<br />

1897.<br />

I partecipanti al gold standard dovevano attenersi alle cosiddette rules of the<br />

game (McKinnon 1993), le regole del gioco.<br />

• Le valute dovevano essere convertib<strong>il</strong>i ad un tasso fisso con l'oro 13 . La<br />

sospensione <strong>della</strong> convertib<strong>il</strong>ità (corso forzoso) poteva essere effettuata<br />

solamente in circostanze eccezionali come in caso di guerre o crisi<br />

finanziarie di particolare gravità.<br />

• I paesi aderenti dovevano emettere una quantità di circolante equivalente<br />

alla quantità di oro detenuta a riserva.<br />

• L'oro e i capitali dovevano essere liberi di circolare tra i paesi senza<br />

limitazioni di sorta.<br />

• Non era possib<strong>il</strong>e intraprendere azioni di ster<strong>il</strong>izzazione <strong>della</strong> variazione<br />

<strong>della</strong> base monetaria estera con variazioni equivalenti ma di segno opposto<br />

sulla base monetaria domestica al fine di impedire l'aggiustamento degli<br />

squ<strong>il</strong>ibri.<br />

Di fatto le regole furono raramente rispettate appieno. Una certa tolleranza era<br />

adottata nei confronti di lievi osc<strong>il</strong>lazioni intorno alla parità. Quando <strong>il</strong> cambio<br />

13 Il cambio ufficiale del periodo antecedente la prima guerra mondiale era di 3 sterline, 17<br />

scellini e 10 pence per libbra di oro fino (Allen 2002).<br />

52


toccava alcuni determinati valori, i cosiddetti gold points 14 , le banche centrali del<br />

paese in questione dovevano intervenire sul mercato dei cambi comprando o<br />

vendendo valuta estera a seconda dei casi. Il funzionamento del gold standard<br />

classico avveniva in questa maniera.<br />

Quando un paese registrava un deficit / surplus nella b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti,<br />

esso sperimentava un deflusso / afflusso di oro nelle riserve ufficiali <strong>della</strong> banca<br />

centrale del paese in questione. Tale variazione doveva essere seguita da una<br />

variazione <strong>della</strong> base monetaria in circolazione. In caso di aumento delle riserve<br />

auree (dovuto ad un surplus <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti) la banca centrale doveva<br />

espandere la base monetaria tramite una diminuzione del tasso di sconto ufficiale.<br />

La diminuzione del tasso di sconto avrebbe poi favorito un innalzamento del<br />

livello dei prezzi con conseguente diminuzione delle esportazioni, meno<br />

convenienti, ed un innalzamento delle importazioni. Ciò avrebbe riportato la<br />

b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti in equ<strong>il</strong>ibrio. E' questo <strong>il</strong> cosiddetto aggiustamento alla<br />

Hume (1752). Naturalmente la diminuzione del tasso di sconto avrebbe agito<br />

anche tramite movimenti di capitale rendendo le attività del paese in questione<br />

meno richieste. Tale aggiustamento è comunque più un fenomeno del XX secolo<br />

piuttosto che del XIX secolo.<br />

Non raramente capitava che i paesi in questione ster<strong>il</strong>izzassero variazioni<br />

14 I golds points erano dei valori delle quotazione per cui era materialmente conveniente<br />

comprare e vendere oro lucrando sulla differenza tra la parità fissa e la quotazione di mercato.<br />

53


indesiderate <strong>della</strong> base monetaria provocate da analoghi movimenti delle riserve<br />

ufficiali. Nel caso di una diminuzione di queste ultime abbiamo visto come lo<br />

schema classico prevedesse un aumento del tasso di sconto interno. Questo<br />

aumento del tasso di sconto poteva non essere desiderato dai governi e dunque<br />

soventemente le banche centrali dell'epoca, ben lontane dagli standard attuali di<br />

indipendenza dal potere politico, compravano titoli domestici sul mercato interno<br />

compensando così la variazione degli attivi esteri. La base monetaria rimaneva<br />

così invariata come pure i tassi di mercato.<br />

Un altro tema interessante che riguarda sempre l'asimmetria di aggiustamento<br />

tra paesi è quello che riguarda appunto la forza e la credib<strong>il</strong>ità dei vari paesi<br />

dell'epoca. Il gold standard viene rappresentato dalla letteratura economica<br />

(Fratianni 2008/2) come un <strong>sistema</strong> gerarchizzato, con la Gran Bretagna al vertice,<br />

Francia e Germania subito sotto ed i restanti paesi a fungere da periferia. Una<br />

variazione nelle riserve (e dunque nei tassi d'interesse) britanniche o francesi<br />

metteva in moto un meccanismo che costringeva l'intero <strong>sistema</strong> ad aggiustarsi.<br />

Non altrettanto accadeva quando le variazioni avvenivano in un paese <strong>della</strong><br />

periferia del <strong>sistema</strong> o in un paese secondario. Vedremo meglio in seguito questo<br />

fatto.<br />

Tra alterne vicissitudini <strong>il</strong> gold standard permise una stab<strong>il</strong>ità e un fiorire dei<br />

commerci come non era mai accaduto in nessuna altra epoca. La convertib<strong>il</strong>ità<br />

54


delle varie valute con l'oro fu sospesa allo scoppio <strong>della</strong> prima guerra mondiale<br />

per permettere di finanziare liberamente le spese belliche.<br />

II.3) L' esperienza britannica nel Gold Standard.<br />

La centralità che <strong>il</strong> Regno Unito ha avuto per tutto <strong>il</strong> XIX secolo è stata spesso<br />

identificata nella capacità di potersi indebitare a lungo termine nei confronti degli<br />

altri paesi (Mauro, Sussman, Yafeh 2002). Il lavoro in questione focalizza la sua<br />

attenzione principalmente sullo spread esistente tra i consolidati britannici e i<br />

titoli emessi sul mercato di Londra 15 dai principali paesi emergenti dell'epoca<br />

( vedi Mauro, Sussman, Yafeh 2002, tabella I pagina 707). Il nostro scopo sarà<br />

però quello di confrontare un titolo a lungo termine per la Gran Bretagna e uno<br />

per un altro paese facente parte del centro del <strong>sistema</strong> come appunto la Francia.<br />

Altri confronti non sono purtroppo possib<strong>il</strong>i visto che le potenze di Stati Uniti e<br />

Germania emersero soltanto nella seconda parte del secolo.<br />

I titoli di riferimento per questa analisi sono i cosiddetti consolidati inglesi o<br />

british consul. I consolidati inglesi sono delle rendite perpetue le quali danno<br />

diritto a riscuotere una cedola annua prefissata per un periodo di tempo indefinito<br />

fino all'eventuale estinzione del debito. Durante gli anni furono emessi diversi tipi<br />

di rendite: dal 1751 al 1889 i titoli in circolazione resero <strong>il</strong> 3% annuo. Dal 1889 al<br />

15 I titoli sono ovviamente quotati in sterline.<br />

55


1903 i consolidati al 3% furono estinti e sostituiti con altri al 2,75% annuo. Infine<br />

dal 1903 i consolidati fruttarono <strong>il</strong> 2,5% annuo 16 . Durante <strong>il</strong> periodo che va tra la<br />

guerra dei sette anni (1756) alla battaglia di Waterloo è interessante notare come<br />

l'andamento dei prezzi dei consolidati inglesi (ed inversamente dei loro<br />

rendimenti) ebbe una volat<strong>il</strong>ità molto significativa in risposta alle alterne vicende<br />

dello scontro tra l'Ingh<strong>il</strong>terra e la Francia. W<strong>il</strong>liam Brown, Richard Burdekin e<br />

Marc Weidmeir (2005) hanno raccolto le venti maggiori variazioni di prezzo, dieci<br />

al rialzo e altrettante al ribasso, che hanno subito i consolidati dal 1729 al 1959.<br />

Ebbene ben quindici ricadono nel periodo in questione. L'incertezza dello scontro<br />

fra Gran Bretagna e Francia per <strong>il</strong> dominio del mondo viene fedelmente riflesso<br />

dall'andamento delle quotazioni dei titoli dei rispettivi stati. Non ci si deve dunque<br />

stupire se <strong>il</strong> giorno <strong>della</strong> sconfitta di Napoleone a Waterloo sia stata festeggiata<br />

dagli operatori dell'epoca premiando i consolidati inglesi con un incremento del<br />

prezzo di oltre l'11% .<br />

Questa breve divagazione sul periodo antecedente al 1810 ci serve per meglio<br />

comprendere la relativa stab<strong>il</strong>ità del periodo che è susseguito. Da quel momento in<br />

poi infatti, quando la supremazia britannica era cosa ormai conclamata, i prezzi<br />

dei consolidati inglesi iniziarono una lenta ma inesorab<strong>il</strong>e risalita verso la parità<br />

con <strong>il</strong> prezzo di emissione con una simultanea diminuzione <strong>della</strong> volat<strong>il</strong>ità ad essi<br />

16 Tutti i dati in seguito riportati sui consolidati Inglesi e sulle rendite francesi provengono da “<br />

Storia dei tassi d'interesse” di Sidney Homer e Richard Sylla.1995.<br />

56


collegata. E' questo <strong>il</strong> cosiddetto periodo vittoriano (1837-1903) durante <strong>il</strong> quale<br />

l'impero britannico raggiungerà i suoi fasti più elevati: la sua economia fu di gran<br />

lunga la più sv<strong>il</strong>uppata del mondo, le sue forze armate non ebbero rivali sul globo<br />

terrestre, <strong>il</strong> mercato finanziario londinese fu <strong>il</strong> più sv<strong>il</strong>uppato e dinamico attirando<br />

capitali da tutto <strong>il</strong> mondo; inoltre, <strong>il</strong> suo <strong>sistema</strong> politico si basava su una<br />

consolidata tradizione democratica da più di un secolo e ,infine, <strong>il</strong> suo impero si<br />

estendeva su tutti i continenti. Non sorprende certo, dunque, che in uno scenario<br />

del genere, con tali garanzie alle spalle, la valuta universalmente accettata e più<br />

usata per i commerci internazionali fosse la sterlina.<br />

L'adozione ufficiale del gold standard come <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> <strong>internazionale</strong><br />

nel 1873 (Allen 2002), non modificò <strong>il</strong> ruolo <strong>della</strong> sterlina anzi, per certi versi, lo<br />

rafforzò. Grazie al mercato finanziario londinese e alle molteplici possib<strong>il</strong>ità<br />

d'investimento e di scambio da esso concesse, detenere un conto in sterline con<br />

cui regolare le proprie transazioni internazionali divenne una consuetudine per<br />

molti esportatori ed importatori dell'epoca. Inoltre, molti paesi non disponevano di<br />

riserve auree a sufficienza per mettere un'adeguata quantità di moneta in<br />

circolazione. La soluzione più ovvia fu quella di detenere a riserva una valuta che<br />

mantenesse stab<strong>il</strong>mente la sua parità fissa con l'oro. La scelta, nemmeno è <strong>il</strong> caso<br />

di dirlo, cadde sulla sterlina (Lindert 1969). Come ha fatto notare Ferguson<br />

(2003), durante <strong>il</strong> periodo vittoriano i prezzi dei consolidati inglesi divennero<br />

57


molto meno sensib<strong>il</strong>i agli shock di natura economica, m<strong>il</strong>itare o politica rispetto<br />

ai corrispettivi titoli dell' Europa continentale. Ad esempio, quando nel 1883, circa<br />

10.000 soldati dell'esercito britannico furono massacrati in Sudan, nessuna<br />

ripercussione significativa si ebbe sulle quotazioni dei consolidati. Stessi effetti<br />

marginali ebbero i rari conflitti dell'epoca: la guerra di Crimea 17 non fu neanche<br />

registrata dagli operatori dell'epoca come una possib<strong>il</strong>e minaccia all'egemonia<br />

britannica. Al contrario, ai tempi delle guerre napoleoniche notizie sim<strong>il</strong>i ebbero<br />

un impatto decisamente diverso sui mercati.<br />

Il grafico riportato in figura n. 1 rende forse ancora meglio l'idea <strong>della</strong><br />

supremazia britannica sulla Francia. Per tutto <strong>il</strong> periodo che va dalla fine delle<br />

guerre napoleoniche agli inizi del '900, la Gran Bretagna mantenne un<br />

significativo vantaggio sul tasso a cui potersi indebitare rispetto alla Francia a<br />

riprova <strong>della</strong> fiducia accordata dai mercati e <strong>della</strong> volontà di investire in attività<br />

britanniche. La stessa cosa si evince osservando gli spread tra i consolidati inglesi<br />

e i titoli equivalenti <strong>della</strong> Germania.<br />

La supremazia indiscussa viene confermata da un altro dato: dal 1850 al 1915<br />

la Gran Bretagna mantenne un considerevole surplus di partite correnti ad<br />

ulteriore conferma <strong>della</strong> forza dell'economia inglese in grado di esportare i suoi<br />

manufatti in tutto <strong>il</strong> mondo. Questo fatto mise <strong>il</strong> Regno unito in una posizione<br />

17 La guerra di Crimea fu combattuta dal 1853 al 1856 dalla Russia zarista contro una coalizione<br />

di stati europei, tra cui appunto la Gran Bretagna, alleati dell'impero ottomano.<br />

58


invidiab<strong>il</strong>e: <strong>il</strong> suo surplus di partite correnti le permetteva di essere un creditore<br />

netto nei confronti del resto del mondo <strong>il</strong> quale a sua volta vedeva nel mercato<br />

finanziario londinese un luogo attraente dove poter investire i propri risparmi,<br />

attirato dalla gran quantità di attività finanziarie disponib<strong>il</strong>i per ogni esigenza.<br />

Questi capitali in entrata si indirizzavano principalmente su titoli del mercato<br />

<strong>monetario</strong> a breve scadenza prontamente scambiab<strong>il</strong>i e liquidab<strong>il</strong>i. Ecco dunque<br />

come la Gran Bretagna era capace di indebitarsi a breve termine con <strong>il</strong> resto del<br />

mondo ed ad investire all'estero in attività meno liquide ma più redditizie.<br />

Il ruolo <strong>della</strong> Gran Bretagna di “banchiere del mondo” 18 non è stato molto<br />

diverso da quello degli Usa del XX secolo esercitando lo stesso “esorbitante<br />

priv<strong>il</strong>egio” anche se le differenze in merito sono piuttosto significative come<br />

vedremo poi in seguito.<br />

18 Il termine “banchiere del mondo”è stato coniato da Desperes, Kindleberger, Salant (1966) a<br />

proposito degli Stati Uniti nel <strong>sistema</strong> di Bretton Woods.<br />

59


Figura II.3.1: Equ<strong>il</strong>ibrio di conto corrente inglese, percentuale del PIL, 1859-<br />

1913.<br />

Percentuale del PIl<br />

Fonte: Obstfeld_Jones, database storico 1996, NBER. www.nber.org/nberhistory .<br />

Nell'anno 1897 (vedi figura 1 in appendice) si raggiunse <strong>il</strong> picco di prezzo più<br />

elevato (o se si preferisce <strong>il</strong> rendimento più basso) per le quotazioni dei<br />

consolidati britannici. Da quel momento in poi comincia una lenta e inesorab<strong>il</strong>e<br />

discesa che li porterà nel 1920 ad essere scambiati ad un valore pari al 50% del<br />

valore di emissione. Contemporaneamente si assiste ad un aumento <strong>della</strong> volat<strong>il</strong>ità<br />

(W<strong>il</strong>liams, Burdekin, Weidmeir 2005) dei rendimenti dopo l'estrema tranqu<strong>il</strong>lità<br />

del periodo vittoriano. Anche se la volat<strong>il</strong>ità non raggiungerà più i picchi toccati<br />

durante le guerre napoleoniche si manterrà comunque su livelli decisamente<br />

elevati.<br />

10,00%<br />

8,00%<br />

6,00%<br />

4,00%<br />

2,00%<br />

0,00%<br />

1850<br />

1853<br />

Equ<strong>il</strong>ibrio conto corrente/PIL inglese, 1850-1913<br />

1856<br />

1859<br />

1862<br />

1865<br />

1868<br />

1871<br />

1874<br />

1877<br />

60<br />

1880<br />

1883<br />

1886<br />

1889<br />

1892<br />

Equ<strong>il</strong>ibrio conto corrente/PIL<br />

1895<br />

1898<br />

1901<br />

1904<br />

1907<br />

1910<br />

1913


II.4) Il Gold Standard come <strong>sistema</strong> decentrato: una visione alternativa.<br />

Nonostante che la posizione dominate all'interno del <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> dell'epoca<br />

sia un elemento abbastanza consolidato nel dibattito, alcuni studi in merito<br />

lasciano pensare che la Gran Bretagna non fosse, per usare un'espressione coniata<br />

da Keynes, <strong>il</strong> “conduttore d'orchestra <strong>internazionale</strong>” ma che potesse essere<br />

piuttosto <strong>il</strong> vertice maggiore di un <strong>sistema</strong> triangolare alla cui base si trovavano <strong>il</strong><br />

marco tedesco e ed <strong>il</strong> franco francese.<br />

E' questa la tesi di Giuseppe Tullio e di Jurgen Wolters (1996) i quali<br />

sostengono che gli andamenti dei tassi d'interesse tra i tre paesi in questione sono<br />

tra loro correlati. Se <strong>il</strong> fatto che i tassi britannici abbiano influenzato quelli degli<br />

altri paesi non deve certo stupire, la novità del lavoro in questione è quella di<br />

rivelare delle relazioni di Granger-causalità anche all'indirizzo dei tassi d'interesse<br />

del Regno Unito. In particolare modo le variazioni dei tassi d'interesse tedeschi e<br />

soprattutto francesi sembrano influenzare notevolmente quelli britannici. Visto da<br />

quest'ottica <strong>il</strong> gold standard classico sembra più una “monarchia costituzionale”<br />

che non una “dittatura <strong>della</strong> sterlina”.<br />

Uno dei fattori che secondo i due autori sarebbero alla base di questa influenza<br />

francese sui tassi inglesi, e che metterebbero in discussione <strong>il</strong> predominio <strong>della</strong><br />

sterlina, è <strong>il</strong> diverso ammontare di riserve auree detenute dai due paesi.<br />

Storicamente la Francia ha avuto una certa diffidenza nei confronti <strong>della</strong> moneta<br />

61


fiduciaria non garantita da riserve di metalli preziosi, oro o argento che siano.<br />

Questo atteggiamento così prudente è da ricercarsi nei vari episodi di<br />

iperinflazione 19 che <strong>il</strong> paese ha sperimentato per l'eccesso di base monetaria in<br />

circolazione. Questo fatto ha portato la Francia ad accumulare ingenti riserve di<br />

metalli preziosi nel corso <strong>della</strong> sua storia. Nel 1910, da quanto riportato dagli<br />

autori (vedi anche Lindert 1969 in proposito), la Banque de France possedeva uno<br />

stock di riserve auree che andava coprire <strong>il</strong> 71% delle passività a breve contratte<br />

dal paese contro un modesto 44% <strong>della</strong> banca d' Ingh<strong>il</strong>terra.<br />

Tabella II.4.1: Riserve ufficiali in m<strong>il</strong>ioni di dollari, fine 1913.<br />

Oro Argento Riserve valutarie Totale<br />

GB 169,4 nd nd 169,4<br />

Francia 678,9 123,5 3,2 805,6<br />

Germania 278,7 65,9 49,6 304,2<br />

Totale 1122,5 189,4 52,8 1364,7<br />

Altri paesi europei 1757 309,4 610,6 2677<br />

Emisfero occidentale 1764,9 525,2 64,8 2354,9<br />

Usa 1290,4 523,3 nd 1813,7<br />

Africa, Asia, Australia 201,8 108,5 403,9 714,2<br />

Totale mondo 4846,2 1132,5 1132,1 7110,8<br />

Fonte: Lindert (1969) tavola 1 pagina 11.<br />

Una così elevata quantità di riserve permetteva alla Francia di non dover<br />

modificare frequentemente <strong>il</strong> proprio tasso di sconto in caso di lievi variazioni del<br />

circolante cosa che invece era costretta ad eseguire la Bank of England per evitare<br />

19 Vedi ad esempio <strong>il</strong> caso <strong>della</strong> “Missisipi bubble” e le emissioni di carta moneta <strong>della</strong> “Banque<br />

Royal” del 1720 (Allen 2002).<br />

62


nefasti deflussi di riserve auree.<br />

Alla luce di questi risultati si può attribuire alla Francia un ruolo di<br />

“guardiano” del <strong>sistema</strong> che costringeva la Gran Bretagna a mantenere una certa<br />

disciplina fiscale e nei conti con l'estero. In caso di eventuali turbolenze londinesi<br />

gli investitori si sarebbero potuti orientare su Parigi, ben garantite dalle riserve<br />

<strong>della</strong> Banca di Francia.<br />

Si può forse affermare dunque che <strong>il</strong> gold standard classico sia stato un regime<br />

<strong>monetario</strong> molto più “democratico” di quello nato a seguito degli accordi di<br />

Bretton Woods. Il divario che esisteva all'epoca tra l'economia britannica e quella<br />

degli altri paesi esaminati era meno marcata di quella che esisteva tra gli Stati<br />

Uniti ed <strong>il</strong> resto del mondo dall' alba degli anni '60 in poi. Ciò può aver dato vita<br />

ad un <strong>sistema</strong> prettamente dollaro-centrico, potenzialmente più instab<strong>il</strong>e, dove <strong>il</strong><br />

paese leader non ha nessun incentivo nel perseguire politiche economiche coerenti<br />

con <strong>il</strong> suo ruolo.<br />

A conferma di ciò è ut<strong>il</strong>e notare la differenza tra la percentuale di sterline<br />

detenute a riserva dalle principali banche centrali nel periodo del gold standard<br />

classico con la percentuale di dollari detenuta durante <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> di Bretton Woods.<br />

Nel 1965 <strong>il</strong> dollaro rappresentava <strong>il</strong> 56% delle riserve ufficiali mentre la sterlina<br />

alla fine del 1913 rappresentava solamente <strong>il</strong> 40% circa del totale delle riserve.<br />

Una differenza cospicua di circa 16 punti percentuali. Dalla tabella 135 emerge<br />

63


anche come sterlina, franco francese e marco tedesco nel gold standard classico<br />

fossero molto più alla pari rispetto al rapporto instauratosi tra <strong>il</strong> dollaro e le altre<br />

valute nel periodo di Bretton Woods ed anche nei periodi successivi. Ciò sembra<br />

avvalorare l'ipotesi di un gold standard come <strong>sistema</strong> decentrato per lo meno se<br />

paragonato al <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> del dopo guerra.<br />

II.5) La Granger- causalità tra i tassi di sconto privati di Gran Bretagna,<br />

Francia e Germania tra <strong>il</strong> 1876 ed <strong>il</strong> 1913.<br />

I due autori sopracitati conducono la loro analisi empirica eseguendo un test di<br />

Granger- causalità sui tassi privati di sconto 20 per un periodo compreso tra <strong>il</strong> 1876<br />

ed <strong>il</strong> 1913.<br />

Tullio e Wolters suddividono <strong>il</strong> campione in due periodi distinti: <strong>il</strong> primo<br />

periodo in questione va dal Gennaio del 1876 al Dicembre del 1895 mentre <strong>il</strong><br />

secondo va dal Gennaio del 1896 al Dicembre del 1913. Per entrambi i campioni i<br />

test di radice unitaria escludono abbastanza tranqu<strong>il</strong>lamente la presenza di una<br />

radice unitaria nelle serie e si può dunque accettare in maniera abbastanza<br />

indolore l'ipotesi di stazionarietà e quindi autorizzano l'ut<strong>il</strong>izzo di una<br />

rappresentazione di tipo VAR che presuppone che le variab<strong>il</strong>i ut<strong>il</strong>izzate siano<br />

20 L'ut<strong>il</strong>izzo di un tasso di sconto può sembrare un controsenso visto che fino ad ora abbiamo<br />

sempre parlato di tassi a lungo termine. Purtroppo la mancanza di dati per i tassi a lungo<br />

termine tedeschi costringe gli autori ad analizzare scadenze più brevi.<br />

64


appunto stazionarie. Nella seguente tabella II.5.1 vengono riportati i relativi valori<br />

del test di ADF, i rispettivi p-value, i quali indicano la probab<strong>il</strong>ità del manifestarsi<br />

dell'ipotesi nulla ed <strong>il</strong> numero di ritardi implementati nel test ADF. I tassi di<br />

sconto privati britannici e tedeschi tra <strong>il</strong> 1877 ed <strong>il</strong> 1895 risultano stazionari all'<br />

1% mentre quelli francesi nello stesso periodo lo sono al 10%. Nel periodo<br />

seguente i tassi britannici e francesi risultano stazionari al 5% mentre quelli<br />

tedeschi all'1%.<br />

Tabella II.5.1: test ADF di radice unitaria.<br />

1877:01-1895:12<br />

valore del test ADF P-value numero ritardi<br />

Gran Bretagna -5,53 1,48E-006 3<br />

Francia -2,79 0,0590 4<br />

Germania -4,93 2,78E-005 6<br />

1896:01-1913:12<br />

Gran Bretagna -3,25 0,0172 6<br />

Francia -2,86 0,0490 4<br />

Germania -3,45 0,0094 6<br />

Appurato che le serie in questione sono stazionarie <strong>il</strong> passo successivo consiste<br />

nello specificare una rappresentazione VAR con un adeguato numero di ritardi che<br />

possa tener conto <strong>della</strong> persistenza delle serie. Solitamente <strong>il</strong> metodo a cui si<br />

ricorre è quello di basarsi sui criteri d'informazione. Come abbiamo già detto in<br />

precedenza, i tre principali criteri ut<strong>il</strong>izzati sono <strong>il</strong> “criterio d'informazione di<br />

Akaike (AIC)” dell'omonimo autore, <strong>il</strong> “criterio d'informazione Bayesiana (BIC)”<br />

di Schwarz, e <strong>il</strong> criterio di informazione di Hannan e Quinn (HQC). Riportiamo<br />

65


nella tabella successiva i risultati ottenuti per i due periodi analizzati.<br />

Tabella II.5.2: criteri di selezione del VAR, numero dei ritardi.<br />

la scelta degli autori ricade su una rappresentazione VAR a due ritardi per <strong>il</strong><br />

campione che va dal 1877 al 1895. Le stime ottenute ottenute sono riportate nella<br />

seguente tabella in notazione matriciale. I coefficienti in neretto sono<br />

significativamente diversi da zero. r gb<br />

, r f<br />

, r g<br />

, rappresentano<br />

rispettivamente i tassi privati di sconto sui mercati di Londra, Parigi e Berlino. In<br />

appendice i risultati completi <strong>della</strong> regressione.<br />

Tabella II.5.3: stime modello VAR(2) , 1876:01-1895:12.<br />

[r<br />

gb<br />

t<br />

f<br />

rt ]=[ g<br />

rt 0,125<br />

0,200<br />

0,559]<br />

[<br />

gb<br />

gb<br />

0,891 0,523 0,058 t−1 −0,255 −0,360 0,036 t−2<br />

f<br />

f<br />

−0,035 0,797 0,302 rt−1 0,038 0,047 −0,244 rt−2 0,258 −0,071 0,964][r<br />

−0,240 0,077 −0,183][r<br />

][ g<br />

rt−1 Una volta eseguite le regressioni e trovate le stime si può procedere eseguendo i<br />

già citati test di Granger-causalità tra le variab<strong>il</strong>i del <strong>sistema</strong> e quello di causalità<br />

istantanea. Ovviamente <strong>il</strong> tutto ripetuto per ogni paese. I risultati ottenuti sono<br />

sintetizzati nella tabella II.5.4.<br />

Numero di ritardi<br />

1877:01-1895:12 1896:01-1913:12<br />

AIC 13 14<br />

BIC 2 4<br />

HQC 4 6<br />

Tabella II.5.4: risultati del test di Granger-causalità con due ritardi nel VAR<br />

66<br />

g<br />

rt−2 ][e 1, t<br />

e 2, t<br />

e 3, t]


1876:01-1895:12.<br />

Nota: I valori in parentesi corrispondono ai p-value.<br />

Le stime eseguite ovviamente confermano tutte le conclusioni enunciate nel<br />

lavoro di Tullio e Wolters.<br />

X Z<br />

I test di Granger-causalità evidenziano come i tassi di interesse britannici siano<br />

fortemente influenzati da quelli francesi e tedeschi e viceversa. L' evidenza<br />

empirica dunque non conferma, per <strong>il</strong> periodo dal Gennaio 1876 al Dicembre<br />

1895, la visione classica di un gold standard fortemente gerarchizzato con la<br />

sterlina al vertice <strong>della</strong> piramide. Londra, Parigi e Berlino sembrano interagire<br />

molto di più di quello che è stato in precedenza ipotizzato. Entrambi i test infatti<br />

confermano la presenza di Granger-causalità e di causalità istantanea per tutte e<br />

tre le serie in ogni direzione.<br />

Granger causalità 1876:01-1895 :12<br />

F x z 2 x z<br />

PRE PRF, PRG 8,12 (0,000) 32,68 (0,000)<br />

PRF PRE, PRG 5,65 (0,000) 12,21 (0,002)<br />

PRG PRE, PRF 12,95 (0,000) 29,01 (0,000)<br />

Interessante anche notare per quanto tempo uno shock in uno dei paesi crea<br />

variazioni nei tassi degli altri e la magnitudine dello shock che si va ad osservare.<br />

Lo strumento ut<strong>il</strong>izzato in questo caso è la cosiddetta funzione di risposta<br />

d'impulso (FRI). Tramite questo strumento si può appunto analizzare la portata e<br />

67


l'andamento nel tempo di uno shock. L' asse delle ascisse corrisponde ai periodi in<br />

cui lo shock va dispiegando i suoi effetti mentre sull'asse delle ordinate si trova la<br />

grandezza dello shock. In seguito saranno riportate le funzioni di risposta<br />

d'impulso tra i tre paesi sopra esaminati. La linea bianca corrisponde alla funzione<br />

di risposta d'impulso vera e propria mentre le linea tratteggiata corrisponde<br />

all'intervallo di confidenza del 95%. La prima FRI analizzata è quella tra Gran<br />

Bretagna e Francia tra <strong>il</strong> 1876 ed <strong>il</strong> 1895.<br />

Figura II.5.5: risposta <strong>della</strong> Francia ad uno shock unitario in Gran Bretagna<br />

1876:01- 1895:12.<br />

Come si evince dal grafico uno shock unitario nei tassi britannici porta ad una<br />

risposta blanda dei corrispettivi francesi. Ad un aumento di 100 punti percentuali<br />

corrisponde dopo un mese una diminuzione dei tassi di circa <strong>il</strong> 4% seguito da un<br />

68


aumento del 5% dopo 3 mesi. Dopo questo periodo FRI decade verso lo zero <strong>il</strong><br />

quale viene raggiunto dopo circa 6 mesi. Dopo questa data uno shock nei tassi<br />

britannici non causa più alcun movimento in quelli francesi. Alla stessa maniera si<br />

può vedere l'impatto dei tassi britannici su quelli tedeschi con le predenti<br />

modalità. Qua le cose cambiano decisamente e l'impatto è decisamente più<br />

significativo in termini di grandezza. Infatti, ad un aumento dei tassi britannici<br />

corrisponde dopo circa un mese un aumento di quelli tedeschi del 25% . Dopo due<br />

mesi le funzioni di risposta d'impulso decadono verso lo zero che raggiungono<br />

dopo circa 4 mesi.<br />

Figura II.5.6: risposta <strong>della</strong> Germania ad uno shock unitario britannico<br />

1876:01-1895:12<br />

Per quanto riguarda la Gran Bretagna si può dunque concludere che la sua<br />

69


influenza sui tassi tedeschi è decisamente marcata. Altrettanto non si può dire nei<br />

riguardi dei tassi francesi. Seppur significativo statisticamente, l'impatto è poi<br />

decisamente ridimensionato sul piano delle cifre. Vediamo ora l' impatto <strong>della</strong><br />

Francia sui tassi degli altri paesi cominciando dalla Gran Bretagna. In questo caso<br />

l'impatto di una variazione unitaria nei tassi d'interesse francesi ne ha uno<br />

notevole su quelli britannici. La FRI mostra come ad un aumento dei tassi francesi<br />

corrisponda dopo un mese una variazione dello stesso segno del 50% circa nei<br />

tassi britannici. Questo fatto da un certo punto di vista è sorprendente: da quello<br />

che emerge dai dati, non solo sembrerebbe che la Gran Bretagna non sia stata <strong>il</strong><br />

centro del gold standard ma che anzi <strong>il</strong> ruolo di guida del <strong>sistema</strong> sia stato portato<br />

avanti più dal dal mercato finanziario di Parigi.<br />

70


Figura II.5.7: risposta <strong>della</strong> Gran Bretagna ad uno shock unitario in Francia<br />

1876:01-1895:12.<br />

Alla stessa maniera possiamo valutare l'incidenza dei tassi francesi sull'andamento<br />

di quelli tedeschi<br />

Figura II.5.8: risposta <strong>della</strong> Germania ad uno shock unitario in Francia<br />

71


Stranamente l'impatto in questo caso è molto limitato, inferiore al 10%.<br />

Si può dunque concludere che i tassi francesi sembrano influenzare in maniera<br />

molto significativa i tassi britannici ma che abbiano una limitata capacità di<br />

spiegare l'andamento di quelli tedeschi. Se effettivamente Parigi fosse stato <strong>il</strong><br />

centro del <strong>sistema</strong> ci saremmo aspettati una maggiore influenza sulla piazza<br />

finanziaria berlinese.<br />

Per completezza è doveroso analizzare anche gli impatti dei tassi tedeschi su<br />

quelli britannici e francesi.<br />

Figura II.5.9: risposta <strong>della</strong> Gran Bretagna ad una variazione unitaria dei<br />

tassi <strong>della</strong> Germania 1876:01-1895:12.<br />

L'impatto è decisamente significativo, del 30% dopo circa tre mesi dal primo<br />

movimento dei tassi tedeschi. Il medesimo grafico nei confronti di quelli francesi<br />

72


mostra come anche in questo caso l'impatto è certamente non trascurab<strong>il</strong>e. Dopo<br />

un mese una variazione di cento punti base nei tassi tedeschi provoca una<br />

variazione di trenta in quelli francesi.<br />

Figura II.5.10: risposta <strong>della</strong> Francia ad una variazione unitaria dei tassi<br />

tedeschi 1876:01-1895:12.<br />

In conclusione, si può affermare come nel periodo che va dal Gennaio 1876 al<br />

Dicembre 1895 ci siano dei validi elementi per ritenere che l'egemonia assoluta<br />

<strong>della</strong> sterlina vada un poco ridimensionata. Il fatto che i tre centri finanziari più<br />

importanti dell'epoca siano influenzati dai corrispettivi movimenti degli altri paesi<br />

lascia intendere come la struttura prettamente gerarchica del gold standard sia una<br />

semplificazione troppo forte. Probab<strong>il</strong>mente la sterlina , e con essa <strong>il</strong> mercato<br />

londinese, rimanevano <strong>il</strong> fulcro del <strong>sistema</strong> ma tutto sommato Parigi e Berlino non<br />

73


erano poi così distanti e secondari.<br />

L'analisi dei due autori prosegue per <strong>il</strong> periodo seguente che va dal Gennaio<br />

1896 al dicembre 1913. Testata alla stessa maniera la stazionarietà delle serie<br />

(vedi tabella II.2.1) ed <strong>il</strong> numero di ritardi del VAR (vedi tabella II.2.2) si<br />

prosegue anche in questo caso stimando un VAR(2) di cui però omettiamo le<br />

stime. Come nel periodo precedente vengono riportati test di Granger-causalità e<br />

quello di causalità istantanea tra le variab<strong>il</strong>i.<br />

Tabella II.5.5: risultati del test di Granger-causalità con due ritardi nel VAR<br />

1896:01-1913:12.<br />

X Z<br />

Granger causalità 1876:01-1895 :12<br />

F x z 2 x z<br />

PRE PRF, PRG 6,68 (0,000) 44,58 (0,000)<br />

PRF PRE, PRG 2,28 (0,0585) 23,06 (0,002)<br />

PRG PRE, PRF 8,52 (0,000) 41,78 (0,000)<br />

I risultati non sembrano subire sostanziali mutamenti tranne per <strong>il</strong> fatto che<br />

l'influenza <strong>della</strong> Francia sugli altri due paesi sembra ridursi essendo <strong>il</strong> test <strong>della</strong><br />

Granger-causalità al limite <strong>della</strong> regione di accettazione\rifiuto dell'ipotesi nulla. A<br />

questo punto non resta che vedere le FRI per tutti i paesi. La FRI analizzata è<br />

quella dei tassi britannici nei confronti di quelli francesi. Notiamo<br />

immediatamente una differenza rispetto al periodo precedente. L'impatto dei tassi<br />

britannici nel periodo provoca una reazione consistente in quelli francesi<br />

74


dell'ordine del 20% dopo due mesi rispetto a quelli d'oltre Manica.<br />

Figura II.5.11: risposta d'impulso <strong>della</strong> Francia ad uno shock unitario nella<br />

Gran Bretagna 1896:01-1913:12.<br />

Figura II.5.12: risposta d'impulso <strong>della</strong> Germania ad uno shock unitario<br />

<strong>della</strong> Gran Bretagna 1896:01-1913:12.<br />

75


Per quanto concerne la Germania possiamo ugualmente vedere un notevole<br />

impatto dei tassi britannici, del 30 %, dopo un mese, sull'andamento di quelli<br />

tedeschi. Da questi primi due grafici si evince come <strong>il</strong> ruolo <strong>della</strong> Gran Bretagna<br />

in questo lasso di tempo sia decisamente preponderante con una notevole<br />

influenza sui tassi degli altri due paesi.<br />

Figura II.5.13: risposta d'impulso <strong>della</strong> Gran Bretagna ad uno shock unitario<br />

<strong>della</strong> Francia 1896:01-1913:12.<br />

76


Figura II.5.14: risposta d'impulso <strong>della</strong> Germania ad uno shock unitario<br />

<strong>della</strong> Francia 1896:01-1913:12.<br />

La Francia anche in questo periodo sembra mantenere una notevole influenza su<br />

entrambi i paesi. Concludiamo infine con la Germania.<br />

Figura II.5.15: risposta d'impulso <strong>della</strong> Gran Bretagna ad uno shock unitario<br />

77


Figura II.5.16: risposta d'impulso <strong>della</strong> Francia ad uno shock unitario <strong>della</strong><br />

Germania 1896:01-1913:12.<br />

Dai due grafici emerge un ruolo marginale <strong>della</strong> Germania nell'influenzare gli altri<br />

due paesi. Pur esercitando su di essi una certa forza, quest'ultima è limitata<br />

rispetto a quello che Francia e Gran Bretagna esercitano su di loro e sulla<br />

Germania stessa.<br />

II.6) Conclusioni dell'analisi <strong>della</strong> Granger-causalità.<br />

Il lavoro in questione r<strong>il</strong>eva una notevole presenza di impulsi reciproci tra i tre<br />

centri finanziari di Londra, Parigi e Berlino. Dunque, da quello che emerge, la<br />

Gran Bretagna non sembra <strong>il</strong> “conduttore d'orchestra <strong>internazionale</strong>” ma piuttosto<br />

come <strong>il</strong> paese più influente di un <strong>sistema</strong> molto più decentralizzato e multipolare<br />

78


di quello che fino ad oggi era apparso. Germania e Francia erano esportatori di<br />

capitali netti nel resto del mondo, come del resto la Gran Bretagna , e le loro<br />

riserve auree erano di gran lunga superiori a quelle di quest'ultima (vedi tabella<br />

II.4.1). Inoltre la diffusione di franco e marco nel continente europeo come valute<br />

di scambio era largamente maggiore rispetto a quella <strong>della</strong> sterlina, decisamente<br />

più diffusa nei territori del Commowealth (sempre tabella II.4.1). Si potrebbe<br />

concludere dicendo che pur mantenendo <strong>il</strong> ruolo di centro del <strong>sistema</strong> , questo non<br />

impediva a Francia e Germania di esercitare una significativa influenza sulla<br />

piazza finanziaria di Londra.<br />

II.7) Il <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> del periodo compreso tra i due conflitti mondiali: <strong>il</strong><br />

gold exchange standard.<br />

Lo scoppio <strong>della</strong> prima guerra mondiale indebolì la posizione britannica nei<br />

confronti del mondo. La sospensione <strong>della</strong> convertib<strong>il</strong>ità <strong>della</strong> sterlina con l'oro fu<br />

un destino condiviso da molte altre valute con l'importante eccezione degli Stati<br />

Uniti. La sospensione fu attuata con <strong>il</strong> preciso scopo di finanziare la guerra<br />

monetizzando <strong>il</strong> debito sganciandolo dunque dalle rigidità del gold standard e<br />

<strong>della</strong> conversione aurea. Una volta finito <strong>il</strong> conflitto, l'enorme massa di circolante<br />

si trasformò ben presto in inflazione. La conferenza di Genova del 1922 aveva<br />

dunque lo scopo di programmare politiche fiscali adeguate ad un repentino ritorno<br />

79


alla convertib<strong>il</strong>ità delle varie valute alla parità aurea. Furono messe in atto delle<br />

politiche deflative con <strong>il</strong> preciso scopo di fermare l'ascesa dei prezzi e<br />

contemporaneamente di poter ricreare le condizioni per ritornare a pieno regime<br />

nel <strong>sistema</strong> aureo alle parità pre-belliche. La Germania rientrò nel gold standard<br />

nel 1924, la Gran Bretagna nel 1925 e la Francia nel 1928.<br />

Il più fervente sostenitore del ritorno del gold standard alle parità pre-belliche<br />

era sicuramente Winston Church<strong>il</strong>l, allora ministro delle Tesoro del governo<br />

inglese, <strong>il</strong> quale, facendone un questione di orgoglio nazionale, cercò di accelerare<br />

<strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> rientro <strong>della</strong> Gran Bretagna nel tallone aureo.<br />

La Bank of England adottò dunque una politica monetaria restrittiva tramite un<br />

deciso rialzo del tasso di sconto con <strong>il</strong> preciso scopo di prosciugare la liquidità in<br />

eccesso, attirare capitali dall'estero, ricostituire le riserve auree ed infine tornare<br />

de jure al tallone aureo cosa che come abbiamo visto avvenne nel 1925.<br />

Le politiche deflative mirate a ristab<strong>il</strong>ire la convertib<strong>il</strong>ità non tennero conto<br />

però delle conseguenze sull'economia inglese già in difficoltà per i traumi post<br />

bellici (Allen 2002). Gli alti tassi d'interesse danneggiarono la ripresa industriale<br />

inglese ed <strong>il</strong> continuo apprezzamento <strong>della</strong> sterlina verso i valori ante guerra,<br />

chiaramente sopravvalutati rispetto alla reale posizione competitiva <strong>della</strong> Gran<br />

Bretagna, minarono la competitività delle merci britannici all'estero. Proprio in<br />

quegli anni comincia ad avvenire un cambiamento significativo nella struttura<br />

80


commerciale con l'estero dell'Ingh<strong>il</strong>terra. La posizione di creditore netto nei<br />

confronti del mondo comincia ad indebolirsi.<br />

Tra i più critici nei confronti delle politiche deflazioniste auspicate da Church<strong>il</strong>l<br />

ci fu Keynes (1923) <strong>il</strong> quale sostenne che le politiche restrittive messe in atto<br />

avrebbero avuto l'effetto di indebolire ancora di più la produzione industriale e<br />

aumentare la disoccupazione mentre gli effetti sull'aggiustamento di prezzi e salari<br />

sarebbe stato marginale. Mai previsione fu più corretta.<br />

Progressivamente la Gran Bretagna vide deteriorarsi <strong>il</strong> suo surplus nei conti<br />

con l'estero. Come mostrano Eichengreen e Cairncross (1983, vedi tabella 15)),<br />

pur continuando a mantenere un surplus di conto corrente, anche se non<br />

paragonab<strong>il</strong>e quantitativamente a quello antecedente <strong>il</strong> conflitto, la Gran Bretagna<br />

si ritrovava con una b<strong>il</strong>ancia commerciale, esportazioni meno importazioni, in<br />

deficit. Il surplus di partite correnti è dunque generato dai servizi esportati, in<br />

maggioranza servizi di tipo finanziario, e dai redditi percepiti sulle attività<br />

detenute all'estero.<br />

Molto spesso <strong>il</strong> ritorno alla parità pre-bellica da parte <strong>della</strong> Gran Bretagna<br />

viene motivata come una questione di principio che esula motivazioni prettamente<br />

economiche. Alla luce di questi dati forse non è proprio così. Consapevoli di non<br />

aver più la leadership mondiale in campo industriale, ormai dagli inizi del secolo<br />

superati dagli Stati Uniti e anche dalla Germania, potevano però contare ancora su<br />

81


un <strong>sistema</strong> finanziario molto avanzato. Il ritorno <strong>della</strong> sterlina al gold standard<br />

poteva rientrare nell'ottica di consolidare questo predominio e di mantenere quella<br />

funzione di ancora del <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> a dispetto di fondamentali<br />

macroeconomici che non rispecchiavano più quelli <strong>della</strong> potenza leader. Purtroppo<br />

le politiche deflazionistiche adottate ebbero effetti devastanti sugli equ<strong>il</strong>ibri<br />

economici interni.<br />

Come già accennato, la disoccupazione prese <strong>il</strong> posto <strong>della</strong> stab<strong>il</strong>izzazione <strong>della</strong><br />

moneta sull'agenda delle priorità economiche da affrontare. Inoltre l' aumento dei<br />

tassi d'interesse aggravò la situazione del debito pubblico aumentando la spesa per<br />

interessi. Si cercarono soluzioni di ogni tipo per favorire la ripresa delle<br />

esportazioni britanniche: sussidi agli esportatori, dazi sui prodotti importati e<br />

persino accordi sindacali per cercare di ridurre i salari 21 e di conseguenza favorire<br />

l'export senza dover svalutare la sterlina.<br />

Tutti gli sforzi in tal senso furono vani e nel Settembre del 1931 la sterlina uscì<br />

definitivamente dal gold standard per non rientrarvi più . Fu probab<strong>il</strong>mente questo<br />

l'evento che segnò <strong>il</strong> tramonto definitivo <strong>della</strong> sterlina come valuta di riserva<br />

<strong>internazionale</strong> (Bordo 1992). Si può notare come in coincidenza dell'abbandono<br />

del gold standard da parte del Regno Unito la serie degli spread dei consolidati<br />

21 Quello che Keynes definì nel rapporto <strong>della</strong> commissione McM<strong>il</strong>lan, incaricata di formulare<br />

politiche economiche adatte per uscire dalla grande depressione, “A great National Treaty<br />

among ourself”. Per i dettagli vedi Caincross e Eichengreen (1983).<br />

82


inglesi con i titoli di stato francesi tocchi <strong>il</strong> suo minimo assoluto.<br />

Figura II.3.2: differenziale consolidati britannici e rentes francesi, 1914-1945.<br />

Differenza punti percentuali<br />

2,5<br />

2<br />

1,5<br />

1<br />

0,5<br />

0<br />

-0,5<br />

-1<br />

-1,5<br />

1914<br />

Differenza tra i rendimenti delle rentes e dei consolidati, 1914-<br />

1945<br />

1916<br />

1918<br />

1920<br />

1922<br />

Fonte: H. Sidney, R. Sylla, (1995) storia dei tassi d'interesse pagine 621,622,623.<br />

Non c'è infatti da stupirsi infatti visto che la Francia, unica tra le grandi nazioni,<br />

mantenne la convertib<strong>il</strong>ità con l'oro fino al 1936. Per un brevissimo lasso di tempo<br />

dunque la Francia fu vista come un “safe heaven”(Bordo 1992) più appetib<strong>il</strong>e<br />

<strong>della</strong> Gran Bretagna anche grazie alle sue cospicue riserve auree 22 . Come vedremo<br />

più avanti non era però al paese d'oltralpe che si doveva guardare per trovare <strong>il</strong><br />

successore designato <strong>della</strong> sterlina.<br />

La letteratura economica ha poi indagato a fondo sulle ragioni del fallimento<br />

dell'esperienza del gold standard nel periodo compreso tra le due guerre<br />

individuando tre fattori di debolezza e instab<strong>il</strong>ità insiti nel meccanismo di<br />

funzionamento del <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> degli anni '30, <strong>il</strong> problema delle asimmetrie<br />

22 I dati sulle riserve auree citati provengono dal “world gold counc<strong>il</strong>”<br />

1924<br />

1926<br />

1928<br />

83<br />

1930<br />

1932<br />

1934<br />

1936<br />

1938<br />

Spread rentes francesi consolidati inglesii<br />

1940<br />

1942<br />

1944


dell'aggiustamento, la liquidità e la credib<strong>il</strong>ità del <strong>sistema</strong> (Johnson 1972) 23 .<br />

Il primo problema trattato è quella delle asimmetrie di aggiustamento tra <strong>il</strong><br />

paesi in surplus del <strong>sistema</strong> (Stati Uniti e Francia su tutti) e quelli in deficit come<br />

<strong>il</strong> Regno Unito ( o quanto meno in una posizione in cui i surplus di partite correnti<br />

si stavano decisamente assottigliando rispetto a quelli corposi del gold standard<br />

classico). Gli Stati Uniti e la Francia insieme assorbivano <strong>il</strong> 53% delle riserve<br />

auree esistenti (Eichengreen 1990, tabella 10.1). Come paesi in surplus essi<br />

potevano permettersi, violando le regole del gioco, di ster<strong>il</strong>izzare gli afflussi di<br />

oro e mantenere inalterata la base monetaria interna. Al tempo stesso i paesi in<br />

deficit vedevano diminuire le proprie riserve auree ed erano costretti a contrarre la<br />

propria base monetaria interna con le nefaste conseguenze che abbiamo visto<br />

sull'economia reale. Questo problema si ripresentò poi in maniera diversa anche<br />

nel <strong>sistema</strong> di Bretton Woods.<br />

La seconda questione affrontata dalla letteratura è quello <strong>della</strong> liquidità del<br />

<strong>sistema</strong>. Un <strong>sistema</strong> rigidamente ancorato alle riserve auree dipende chiaramente<br />

in maniera eccessivamente vincolante dall'offerta di oro disponib<strong>il</strong>e sul mercato.<br />

Tale offerta è chiaramente estremamente rigida e vincolata alla scoperta di nuovi<br />

giacimenti minerari. Il gold exchange standard per economizzare le riserve auree<br />

prevedeva che la periferia del <strong>sistema</strong> detenesse a riserva le valute ancora del<br />

23 Questi sono i classici difetti attribuiti anche al <strong>sistema</strong> di Bretton Woods classico (Bordo 1992).<br />

84


<strong>sistema</strong>, la sterlina in primis. Il paese emittente <strong>della</strong> valuta chiave del <strong>sistema</strong><br />

doveva provvedere a fornire la quantità di moneta richiesta. Facendo ciò però <strong>il</strong><br />

rapporto tra quantità di valuta in circolazione e riserve aure si innalzava e i paesi<br />

<strong>della</strong> periferia cominciavano a temere per la solvib<strong>il</strong>ità del paese leader. Questo<br />

altro non è che lo stesso paradosso di Triffin (Triffin 1960) che l'economista belga<br />

teorizzò a proposito del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods. Il <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> degli anni<br />

'30 per funzionare correttamente necessitava di liquidità che poteva essere fornita<br />

solo a discapito <strong>della</strong> credib<strong>il</strong>ità di debitore del paese leader.<br />

L'ultimo punto trattato è strettamente connesso al precedente e riguarda<br />

appunto la perdita di fiducia nella capacità del paese leader di essere un creditore<br />

affidab<strong>il</strong>e nei confronti del resto del mondo. Dopo che la sterlina abbandonò <strong>il</strong><br />

gold exchange standard molti capitali defluirono dalla Gran Bretagna per<br />

accasarsi nel nuovo “safe heaven” dell'epoca, ovvero <strong>il</strong> dollaro. La divisa<br />

americana era ormai pronta per prendere <strong>il</strong> posto <strong>della</strong> valuta britannica come<br />

moneta di riferimento per gli scambi internazionali e solamente la crisi del 1929<br />

che colpì gli Usa ritardò questa transizione. Il passaggio non è stato però<br />

certamente indolore. Il vecchio centro del <strong>sistema</strong>, <strong>il</strong> Regno Unito, messo sotto<br />

pressione dalla crescente fuga di capitali, si ritrovò indebolito. In questi casi<br />

(Bordo 1992) <strong>il</strong> rischio che tale paese possa diventare l'epicentro <strong>della</strong> crisi è<br />

piuttosto elevato contagiando poi tutto <strong>il</strong> <strong>sistema</strong>.<br />

85


Osservando gli spread tra i consolidati inglesi e gli equivalenti titoli a lungo<br />

termine emessi dal governo americano si evince che negli anni a cavallo tra le due<br />

guerre i titoli americani abbiano goduto di tassi d'interesse più bassi rispetto a<br />

quelli britannici. Probab<strong>il</strong>mente è proprio in questo lasso di tempo che <strong>il</strong> dollaro<br />

comincia a sopravanzare la sterlina come valuta di riserva <strong>internazionale</strong><br />

(Eichengreen 2005).<br />

Figura II.3.3: differenziale tra i consolidati e i titoli di stato americano<br />

trentennali, 1920-1944.<br />

punti percentuali<br />

1,6<br />

1,4<br />

1,2<br />

1<br />

0,8<br />

0,6<br />

0,4<br />

0,2<br />

0<br />

-0,2<br />

1920<br />

1922<br />

1924<br />

1926<br />

Spread tassi uk e Us, 1920-1944<br />

1928<br />

.Fonte: H. Sidney, R. Sylla, (1995) storia dei tassi d'interesse pagine 621,622,623.<br />

1930<br />

86<br />

1932<br />

1934<br />

1936<br />

spread tassi uk e Us<br />

1938<br />

1940<br />

1942<br />

1944


CAPITOLO III<br />

IL SISTEMA MONETARIO DI BRETTON WOODS<br />

III.1) la nascita del <strong>sistema</strong> <strong>sistema</strong> di Bretton Woods.<br />

Ancor prima <strong>della</strong> fine del secondo conflitto mondiale, Stati uniti e Gran Bretagna<br />

cominciarono a sedersi al tavolo delle trattative per cercare di definire i futuri<br />

equ<strong>il</strong>ibri dello scacchiere mondiale. Uno dei temi centrali delle trattative fu quello<br />

di come ricostruire un <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> che potesse garantire stab<strong>il</strong>ità e lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo del commercio <strong>internazionale</strong>. Si cercò soprattutto di eliminare le cause<br />

intrinseche di debolezza che portarono al collasso del <strong>sistema</strong> del gold exchange<br />

standard adottato ufficiosamente da molte nazioni nel periodo a cavallo tra i due<br />

conflitti. Il <strong>sistema</strong> che si stava architettando doveva dunque garantire una<br />

maggiore stab<strong>il</strong>ità dei tassi di cambio, un aggiustamento simmetrico tra i paesi in<br />

surplus di b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti e quelli in deficit, negare la possib<strong>il</strong>ità di<br />

svalutazioni competitive a discapito degli altri paesi e garantire appieno gli<br />

equ<strong>il</strong>ibri macroeconomici interni senza farli entrare in conflitto con quelli esterni<br />

(Bordo 1992).<br />

le trattative, che avvennero nella cittadina americana di Bretton Woods, nel<br />

New Hampshire, videro la partecipazione di una delegazione britannica, guidata<br />

da John Maynard Keynes, e di una statunitense capeggiata da Hanry Dexter<br />

White. Lo scenario mondiale e i rapporti di forza tra le nazioni che le due<br />

88


delegazioni si trovarono a fronteggiare era decisamente mutato rispetto a quello<br />

del secolo precedente. L' Europa continentale usciva a pezzi dal conflitto così<br />

come pure <strong>il</strong> Giappone. Ad est minacciosamente l' Unione Sovietica iniziava la<br />

sua ascesa a potenza mondiale.<br />

Il fatto sicuramente più eclatante fu però sicuramente <strong>il</strong> cambio di leadership ai<br />

vertici del potere mondiale con l'ascesa inarrestab<strong>il</strong>e degli Stati Uniti ed <strong>il</strong> lento<br />

ma inesorab<strong>il</strong>e declino <strong>della</strong> Gran Bretagna che era stata la potenza egemone nei<br />

precedenti centocinquanta anni.<br />

Il Regno Unito uscì pesantemente indebitato dal conflitto, sia nei confronti<br />

degli altri paesi del Commonwealth sia, anche se in misura minore, nei confronti<br />

degli Stati Uniti i quali a loro volta si ritrovarono ad essere una nazione creditrice<br />

netta nei confronti del mondo. Durante le trattative emerse la volontà da parte<br />

delle autorità britanniche di continuare, forse un po' presuntuosamente,a<br />

perseguire una politica di piena occupazione incuranti delle conseguenze sulla<br />

b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti. Volevano inoltre mantenere <strong>il</strong> Commonwealth, ricevere<br />

assistenza per la ricostruzione e ottenere condizioni meno stringenti per la<br />

restituzione dei prestiti che le erano stati concessi (Bordo 1992).<br />

Dal canto loro gli Stati Uniti puntavano ad ottenere un accordo che r<strong>il</strong>anciasse<br />

<strong>il</strong> più in fretta possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> commercio <strong>internazionale</strong> soprattutto puntando ad una<br />

progressiva eliminazione dei dazi e degli accordi b<strong>il</strong>aterali tra i paesi che si erano<br />

89


andati affermando sin dagli inizi degli anni trenta. (Gardner, 1969, capitolo I e II).<br />

Di fronte a queste due diverse concezioni e richieste da parte <strong>della</strong> politica, le<br />

due delegazioni arrivarono a formulare due piani distinti su come riorganizzare <strong>il</strong><br />

<strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> <strong>internazionale</strong>.<br />

Il piano Keynes 24 (Keynes 1943) focalizzava la sua attenzione sul come fornire<br />

un' adeguata liquidità <strong>internazionale</strong> per garantire una crescita economica stab<strong>il</strong>e e<br />

costante nel tempo cosa che secondo l'autore era stata una delle cause alla base del<br />

collasso del gold standard degli anni '20. L'essenza del piano consisteva nella<br />

creazione di una camera di compensazione <strong>internazionale</strong> (ICU, dall'inglese<br />

international clearing union)che fosse in grado di emettere una valuta<br />

<strong>internazionale</strong> denominata bancor. Il bancor a sua volta era agganciato ad una<br />

parità fissa in termini di oro. Il piano keynesiano prevedeva inoltre che le banche<br />

centrali dei paesi membri del nuovo <strong>sistema</strong> <strong>internazionale</strong> conferissero all' ICU<br />

parte dei propri attivi domestici, sia riserve auree che valutarie, e che detenessero<br />

un conto in bancor presso questa istituzione e che i regolamenti tra paesi<br />

avvenissero tramite una diminuzione o un aumento dei confronti <strong>della</strong> camera di<br />

compensazione. Un paese in deficit con la b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti avrebbe visto<br />

diminuire le proprie attività nei confronti dell' ICU mentre un paese in surplus<br />

avrebbe viste aumentare la sua posizione creditizia.<br />

24 In appendice viene presentata una descrizione più dettagliata del funzionamento del piano<br />

keynesiano.<br />

90


Nel caso in cui un paese in deficit non disponesse di adeguate riserve in bancor<br />

la camera di compensazione poteva erogare dei prestiti per poter garantire <strong>il</strong><br />

corretto funzionamento del <strong>sistema</strong>. Ovviamente i tassi d'interesse diventavano<br />

sempre più onerosi mano a mano che la quota di indebitamento aumentava di<br />

modo da disincentivare i paesi a mantenere dei deficit di b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti<br />

oltre <strong>il</strong> tempo strettamente necessario a ristab<strong>il</strong>ire l'equ<strong>il</strong>ibrio. Il piano Keynes<br />

prevedeva inoltre che un paese potesse come extrema ratio svalutare la propria<br />

valuta se <strong>il</strong> deficit <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti fosse stato strutturale e non legato<br />

a dinamiche di breve periodo. Dal canto loro i paesi in surplus erano coinvolti nel<br />

processo di aggiustamento con misure di espansione del credito, rivalutazione<br />

delle proprie valute, diminuzione delle tariffe e dei dazi sulle importazioni,<br />

concessioni di prestiti internazionali. Il piano prevedeva inoltre pervasivi controlli<br />

di capitale, sia in entrata che in uscita, in particolare nei confronti dei movimenti<br />

a breve termine con fini prettamente speculativi.<br />

Keynes aveva infatti compreso, probab<strong>il</strong>mente prima e meglio dei suoi<br />

contemporanei, che l'asimmetria degli aggiustamenti tra i paesi in deficit e quelli<br />

in surplus era stato <strong>il</strong> vero vulnus del gold standard. Un paese in una cronica<br />

posizione di deficit <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti rischiava infatti di esaurire ben<br />

presto le sue riserve ufficiali e di dover ricorrere ad una pesante quanto repentina<br />

svalutazione. Un paese in surplus invece poteva tranqu<strong>il</strong>lamente ster<strong>il</strong>izzare le<br />

91


variazioni indesiderate degli attivi esteri, e dunque non aggiustarsi rispetto al<br />

<strong>sistema</strong>, tramite movimenti uguali ma di segno opposto sul lato domestico degli<br />

attivi. I controlli di capitali erano proprio finalizzati a sventare eventuali attacchi<br />

speculativi sui paesi in deficit <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti.<br />

Il piano White (White 1943) puntava maggiormente l'attenzione sulla stab<strong>il</strong>ità<br />

dei tassi di cambio piuttosto che sul problema <strong>della</strong> liquidità <strong>internazionale</strong>. Ogni<br />

paese si impegnava a stab<strong>il</strong>ire una parità con una unità di conto <strong>internazionale</strong>,<br />

detta unitas. Ogni membro era dunque obbligato a mantenere la parità con questa<br />

unità di conto. In caso di squ<strong>il</strong>ibri cronici <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti, la nazione<br />

in questione doveva chiedere <strong>il</strong> permesso agli altri paesi membri prima di<br />

procedere con una svalutazione <strong>della</strong> propria valuta . Per essere più precisi,<br />

svalutazioni nell'ordine del 10% potevano essere effettuate previa comunicazione<br />

agli altri membri del <strong>sistema</strong> (Bordo 1992). Svalutazioni di portata più consistente<br />

dovevano essere approvate dai ¾ delle nazioni aderenti.<br />

Fu pensata l'istituzione di una organizzazione <strong>internazionale</strong> in grado di<br />

garantire prestiti ai membri che risultavano carenti di liquidità <strong>internazionale</strong>, ai<br />

paesi momentaneamente in difficoltà, con modalità progressivamente<br />

disincentivanti come quelle previste dall' ICU keynesiano. Richieste di<br />

aggiustamento più lasche e meno pressanti furono imposte ai paesi creditori più<br />

di quanto non prevedesse <strong>il</strong> piano Keynes.<br />

92


Venne fuori un compromesso, quello che Keynes definì “<strong>il</strong> cane bastardo”, tra i<br />

due piani previsti dai due economisti che sfociò nel Articles of agreement of the<br />

international monetary fund (22 Luglio 1944) in cui però le istanze <strong>della</strong><br />

delegazione americane assunsero un peso preponderante. La linea di Keynes fu<br />

sostanzialmente bocciata e la richiesta di creare una clearing house <strong>internazionale</strong><br />

fu definitivamente accantonata.<br />

Non si trattava però di una bocciatura delle idee keynesiane, che anzi oggi<br />

vengono riab<strong>il</strong>itate e riportate alla ribalta sia dai tecnici (Xiaochuan 2009) che<br />

dagli accademici (Alessandrini e Fratianni 2008), ma semplicemente si sancirono i<br />

nuovi rapporti di forza tra gli Stati Uniti, la vera potenza vincitrice <strong>della</strong> guerra, e<br />

la Gran Bretagna, ormai avviata verso un lento quanto inesorab<strong>il</strong>e declino rispetto<br />

ai fasti del secolo precedente.<br />

I punti salienti e i temi toccati dall'articolo possono essere così riassunti:<br />

• Determinazione delle parità tra le varie valute<br />

• Funzionamento mult<strong>il</strong>aterale del <strong>sistema</strong> dei pagamenti<br />

• La gestione delle risorse del Fondo<br />

• Il potere di intervento del Fondo stesso<br />

• la sua organizzazione<br />

Come abbiamo già detto in precedenza, ogni paese aderente al <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong><br />

93


doveva dichiarare una parità con le altre valute ed impegnarsi ad intervenire sul<br />

mercato valutario per mantenerla nel tempo entro una banda di osc<strong>il</strong>lazione di +/-<br />

1% rispetto alla parità stessa. Svalutazione per un importo inferiore al 10% erano<br />

concesse liberamente previa comunicazione agli altri paesi aderenti. Svalutazioni<br />

di importi superiori dovevano essere ratificate dal Fondo.<br />

Svalutazioni un<strong>il</strong>aterali erano sanzionate con l'impossib<strong>il</strong>ità di accedere a<br />

prestiti del Fondo Monetario ed in caso di reticenza potevano portare<br />

all'esclusione permanente <strong>della</strong> nazione dall'organizzazione. Infine una modifica<br />

permanente delle parità di tutte le valute nei confronti dell'oro doveva essere<br />

ratificata dalla maggioranza qualificata dei votanti e doveva essere<br />

successivamente approvata da tutti i paesi con una quota nel Fondo <strong>superiore</strong> al<br />

10%. Come si può notare questo punto è fortemente influenzato dalle posizioni di<br />

White piuttosto che da quelle keynesiane.<br />

Un' altra clausola imponeva ai paesi di mantenere la convertib<strong>il</strong>ità delle proprie<br />

valute per regolare le transazioni <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia commerciale ma al tempo stesso<br />

era concesso di mantenere controlli sui capitali in entrata ed in uscita. Era un<br />

tentativo di mantenere un <strong>sistema</strong> di pagamenti multipolare non accentrando <strong>il</strong><br />

ruolo di valuta <strong>internazionale</strong> sulle spalle di una singola divisa.<br />

Un altro punto dirimente era quello <strong>della</strong> gestione delle risorse del Fondo e<br />

<strong>della</strong> loro successiva assegnazione nel momento di un eventuale intervento. Il<br />

94


totale del capitale del Fondo stab<strong>il</strong>ito ammontò a circa nove m<strong>il</strong>iardi di dollari<br />

composti per ¼ da oro e per i restanti ¾ in riserve ufficiali (Bordo 1992). Il Fondo<br />

impose una serie di restrizioni e una serie di vincoli per l'uso delle risorse per i<br />

paesi in disavanzo <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti in modo da impedire che esso<br />

potesse accumulare una quantità ingente di monete deboli esaurendo<br />

contemporaneamente le sue riserve di valute pregiate. Il Fondo poteva poi<br />

decidere in che valuta i paesi membri dovevano saldare i propri debiti. Nel caso di<br />

valute legate a paesi con un ampio avanzo di partite correnti poteva scattare la<br />

clausola di scarce currency ( articolo VII ). Se <strong>il</strong> Fondo dichiarava una valuta<br />

scarsa e insufficiente a sostenere la domanda degli altri paesi esso poteva<br />

razionarne l'uso sul mercato tramite misure di controllo sui tassi di cambio.<br />

Per far rispettare tutte queste condizioni <strong>il</strong> Fondo doveva disporre di un<br />

notevole di intervento e, nel caso di inadempienze dei paesi, sanzionatorio. Il<br />

potere di questa autorità prevedeva tra le altre cose approvare e disapprovare i<br />

seguenti eventi:<br />

• cambiamenti <strong>della</strong> parità<br />

• controlli sui tassi di cambio<br />

• concessione dei prestiti e le condizioni di emissione<br />

• dichiarare una valuta scarsa<br />

95


• potere di dichiarare un membro interdetto alle risorse del Fondo<br />

• estromettere una nazione dall'organizzazione<br />

Con grande rammarico di Keynes e dello stesso White, <strong>il</strong> Fondo ebbe un'<br />

influenza decisamente limitata nel poter intervenire nelle questioni riguardanti la<br />

politica fiscale interna dei singoli paesi ma, vedendo le difficoltà e la diffidenza<br />

che persistono ancora oggi nel cedere parte del controllo delle politiche interne ad<br />

una organizzazione sovranazionale, non stupisce che le idee dei due fossero<br />

probab<strong>il</strong>mente troppo ambiziose per i governanti dell'epoca.<br />

III.2) Il funzionamento del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods tra 1946 ed <strong>il</strong> 1958.<br />

Il lasso di tempo che occorse al <strong>sistema</strong> di Bretton Woods per diventare<br />

pienamente operativo fu decisamente lungo, sicuramente si protrasse molto di più<br />

di quanto i suoi due ideatori avessero immaginato.<br />

Il periodo di pre-convertib<strong>il</strong>ità delle valute fu uno dei periodi più diffic<strong>il</strong>i <strong>della</strong><br />

seconda metà del XX secolo. Le economie europee e quella giapponese uscirono<br />

devastate dal conflitto bellico e pesantemente indebitate. Il deficit dei paesi<br />

aderenti a quello che poi sarebbe diventato l' OECD raggiunse un picco di 59<br />

m<strong>il</strong>iardi di dollari nel 1947 (Vedi Triffin 1957, pag 329) che ammontava<br />

pressapoco al surplus che contemporaneamente gli Stati Uniti avevano<br />

accumulato nei confronti del mondo (Vedi Bordo 1992 figura 12) essendo l'unico<br />

96


paese industrializzato ad aver mantenuto inalterata la propria capacità di<br />

produzione industriale. Il fatto di essere un paese in forte surplus portò ad una<br />

mancanza di dollari sul mercato e, in virtù del ruolo di unica valuta convertib<strong>il</strong>e<br />

con l'oro, ad una conseguente scarsità di liquidità del <strong>sistema</strong>.<br />

La soluzione a questo problema era tanto semplice e ovvia quanto di<br />

complicata attuazione. I paesi europei dovevano essere in grado di generare dei<br />

surplus cosa che, alla luce <strong>della</strong> ridotta capacità industriale post bellica, essi non<br />

erano più in grado di compiere adeguatamente. La scarsità di liquidità<br />

<strong>internazionale</strong> era ulteriormente aggravata dalle parità stab<strong>il</strong>ite basandosi sui<br />

valori pre-bellici (Bordo 1992, figura 2) che erano eccessivamente sopravvalutate<br />

e che danneggiavano ulteriormente le già traballanti esportazioni europee.<br />

Si decise dunque di fornire un adeguato supporto all'industria europea e di<br />

ricostruire a poco a poco la sua capacità produttiva. Tutto questo sfociò nel<br />

cosiddetto piano Marshall per l' Europa.<br />

Il piano Marshall, nel periodo che va dal 1948 al 1952, fornì all' Europa<br />

Occidentale i capitali necessari ( Quasi 13 m<strong>il</strong>iardi di dollari, una cifra enorme,<br />

vedi M<strong>il</strong>ward 1984) per puntellare le economie domestiche, ripristinare la propria<br />

capacità di esportare e ricostituire dunque le proprie riserve in valuta pregiata.<br />

Alla fine del 1952 la capacità industriale dei paesi europei migliorò del 39% e<br />

sfociò infine in surplus di partite correnti ( vedi Solomon 1976 pag 18). Si può<br />

97


dunque dire (Eichengreen e Uzan 1991) che <strong>il</strong> piano Marshall aumentò in maniera<br />

permanente <strong>il</strong> tasso di crescita dei paesi che ricevettero gli aiuti senza però passare<br />

per i soliti canali di spesa pubblica ma tramite un aumento permanente del tasso di<br />

produttività dei paesi in questione cercando dunque di intervenire sui deficit<br />

strutturali di tali paesi.<br />

Il problema delle parità sopravvalutate si risolse molto semplicemente con una<br />

serie di svalutazioni delle principali valute per raggiungere livelli di parità che<br />

rispecchiassero in nuovi rapporti di forza tra le valute di queste nazioni. Tra le<br />

principali svalutazioni di questo periodo annoveriamo quella del franco francese<br />

nel 1947, quella per certi aspetti clamorosa ed inaspettata <strong>della</strong> sterlina inglese nel<br />

1949 25 e la altrettanto sorprendente decisione del Canada nel 1950 di lasciare<br />

fluttuare liberamente sul mercato dei cambi la sua moneta.<br />

La svalutazione <strong>della</strong> sterlina poc'anzi annunciata diede un pesante colpo alle<br />

ambizioni di quest'ultima come valuta di riserva (Bordo 1992 e Eichengreen<br />

1991). Per un certo periodo infatti si pensava che la sterlina avrebbe comunque<br />

mantenuto <strong>il</strong> suo status di valuta <strong>internazionale</strong> in coabitazione con <strong>il</strong> dollaro. C'è<br />

da dire che molto spesso la posizione <strong>della</strong> sterlina come valuta di riserva viene<br />

sopravvalutata in quanto una ingente quantità di sterline detenute a riserva<br />

proveniva dai paesi del Commonwealth i quali erano legati alla Gran Bretagna da<br />

25 La svalutazione del Settembre del 1949 portò la sterlina a svalutarsi nei confronti del dollaro da<br />

1£=4,08$ a 1£=2,8$.<br />

98


un legame molto stretto, soprattutto in termini m<strong>il</strong>itari, in virtù del quale essi<br />

decisero di non abbandonare la sterlina al proprio destino, almeno in un primo<br />

momento (Bordo 1992).<br />

Al di fuori dei confini del Commonwealth <strong>il</strong> dollaro americano aveva già<br />

soppiantato ampiamente la sterlina come valuta di riserva <strong>internazionale</strong>. Grazie<br />

alla quota di ricchezza detenuta sul totale mondiale e grazie soprattutto al suo<br />

mercato di capitali così aperto e liquido, <strong>il</strong> dollaro americano emerse dapprima<br />

come valuta di riserva e di scambio priv<strong>il</strong>egiata tra gli operatori privati. Era prassi<br />

per gli esportatori ed importatori dell'epoca fatturare le proprie transazioni in<br />

dollari. Quasi contemporaneamente <strong>il</strong> dollaro assunse <strong>il</strong> ruolo di rifermento anche<br />

nell'ambito degli operatori ufficiali come le banche centrali le quali sempre più<br />

spesso decidevano di intervenire sul mercato dei cambi in dollari al fine di<br />

mantenere inalterate le parità dichiarate.<br />

III.3) Il periodo di piena convertib<strong>il</strong>ità tra <strong>il</strong> 1959 ed <strong>il</strong> 1967.<br />

Nel Dicembre del 1958, dopo più di un decennio dalla sua ideazione, <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> di<br />

Bretton Woods poté finalmente operare a pieno regime. Come stab<strong>il</strong>ito dagli<br />

accordi originari, ogni paese si impegnava a mantenere una parità fissa con le altre<br />

valute entro una banda di osc<strong>il</strong>lazione la quale nel frattempo era passata dall' 1%<br />

dell'accordo originario ad un 2%. Il ministero del Tesoro americano si impegnava<br />

99


inoltre a garantire la convertib<strong>il</strong>ità del dollaro ad un tasso fisso di 35$ per un'<br />

oncia di oro.<br />

Questo fatto ancorava indirettamente le varie valute alle riserve auree, usando<br />

come tramite <strong>il</strong> dollaro americano. L'arbitraggio triangolare tra oro, dollaro e la<br />

valuta di un paese terzo rendeva possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> mantenimento dell'equ<strong>il</strong>ibrio tra<br />

queste tre componenti. Pervasivi controlli ai capitali in entrata ed in uscita erano<br />

presenti in quasi tutti i paesi in modo da prevenire destab<strong>il</strong>izzanti attacchi<br />

speculativi sulle valute dei paesi che presentavano accentuati deficit di partite<br />

correnti.<br />

Il <strong>sistema</strong> di Bretton Woods, nel corso dei dodici anni che intercorsero tra la sua<br />

ideazione e la sua effettiva entrata a regime, mutò de facto in maniera piuttosto<br />

consistente. L'idea che ogni valuta dovesse essere trattata in maniera paritaria<br />

rispetto alle altre ben presto lasciò di fatto <strong>il</strong> posto ad un realtà in cui <strong>il</strong> dollaro era<br />

decisamente preponderante ( <strong>il</strong> cosiddetto dollar exchange standard Bordo 1992).<br />

Inoltre in questo periodo <strong>il</strong> declino <strong>della</strong> sterlina divenne sempre più evidente ed<br />

accentuato. Come già accennato in precedenza, una crescita consistente del tasso<br />

d'inflazione ad inizio degli anni '60 (Bordo 1992 ma anche tabella 17) portò la<br />

sterlina ad essere usata solo nell'ambito degli scambi tra i paesi membri del<br />

Commonwealth per poi essere abbandonata anche da questi ultimi paesi quando la<br />

moneta britannica venne svalutata nuovamente nel 1967.<br />

100


Una seconda evidente differenza con la stesura originale era <strong>il</strong> passaggio da un<br />

<strong>sistema</strong> di parità fisse ma al tempo stesso aggiustab<strong>il</strong>i ad un <strong>sistema</strong> rigidamente a<br />

cambi fissi. Questo era accaduto perché le autorità monetarie dei vari paesi si<br />

erano rese conto di come la probab<strong>il</strong>ità di un attacco speculativo fosse più elevata<br />

in un <strong>sistema</strong> in cui era tutto sommato abbastanza agevole fare una svalutazione<br />

moderata <strong>della</strong> propria valuta. In questo <strong>sistema</strong> era molto più conveniente<br />

mantenere un tasso fisso e svalutare solamente quando questo evento non era più<br />

assolutamente prorogab<strong>il</strong>e. Evolvendo da un <strong>sistema</strong> a cambi flessib<strong>il</strong>i ad uno a<br />

cambi fissi, esattamente come prevedeva <strong>il</strong> gold exchange standard, non stupisce<br />

certo che si ricadde nuovamente nei sui stessi difetti originari che sia White che<br />

Keynes avevano cercato in tutti i modi di correggere. I tre problemi, di cui<br />

abbiamo già detto, ma che negli anni '60 si ripresentarono in una nuova veste,<br />

sono quelli dell' aggiustamento, <strong>della</strong> liquidità e <strong>della</strong> fiducia.<br />

III.4) I problemi dell' aggiustamento, <strong>della</strong> liquidità e <strong>della</strong> fiducia.<br />

Il problema dell'aggiustamento del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods può essere scisso in<br />

due distinte problematiche. Da una parte vi era la differenza tra <strong>il</strong> fardello<br />

dell'aggiustamento che <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> prevedeva per i paesi in surplus rispetto a quello<br />

più marcato e pericoloso per quelli in deficit. Dall'altro lato <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> dollaro<br />

centrico che si era andato affermando nel corso del tempo permetteva agli Stati<br />

101


uniti di non aggiustare i suoi squ<strong>il</strong>ibri con l'estero e di essere un forza esogena<br />

rispetto al <strong>sistema</strong>. Per quanto riguarda <strong>il</strong> primo problema ci focalizzeremo su due<br />

esempi, quello <strong>della</strong> Gran Bretagna, all'epoca paese in deficit, e quello <strong>della</strong><br />

Germania, paese in surplus con la b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti, completamente opposti<br />

che meglio di altri esemplificano la diversità di aggiustamento tra i paesi in<br />

disavanzo e quelli in avanzo.<br />

III.4.1) La Gran Bretagna<br />

La Gran Bretagna degli anni '60 era un paese in deficit <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei<br />

pagamenti causato dalle politiche monetarie e fiscali espansive che le autorità<br />

implementavano con l'obbiettivo di garantire la piena occupazione nel mercato del<br />

lavoro britannico. Le politiche espansive portavano inevitab<strong>il</strong>mente ad un<br />

aumento delle pressioni inflative, ad un peggioramento dei conti con l'estero e ad<br />

un assottigliamento delle riserve ufficiali, cedendo al mercato valuta estera, in<br />

questo caso dollari, e ritirando valuta domestica dal mercato, con <strong>il</strong> fine di<br />

mantenere <strong>il</strong> tasso di cambio all'interno delle bande di osc<strong>il</strong>lazione consentite ed<br />

evitare dunque azioni speculative contro la valuta britannica (Bordo 1992).<br />

Gli anni '60 furono un calvario per la sterlina sottoposta a continui e logoranti<br />

attacchi speculativi che culminarono con una svalutazione nel Novembre del<br />

1967. La chiusura del canale di Suez in seguito alla guerra dei sei giorni (5<br />

Giugno 1967, 11 Giugno 1967) alimentò una pesante speculazione sulla sterlina.<br />

102


Tre m<strong>il</strong>iardi di aiuti da parte del fondo non furono sufficienti ad evitare una<br />

svalutazione di oltre <strong>il</strong> 14% 26 (Caincross e Eichengreen 1983). La svalutazione<br />

<strong>della</strong> sterlina del 1967 pose fine al suo ut<strong>il</strong>izzo come valuta di riserva<br />

<strong>internazionale</strong> anche da parte di quelle banche centrali appartenenti al<br />

Commonwealth che fino a quel momento avevano mantenuto considerevoli quote<br />

di attività nella valuta britannica (Bordo 1992). La crisi <strong>della</strong> sterlina del 1967<br />

fece capire più chiaramente come un paese con un deficit cronico di partite<br />

correnti poteva essere forzato ad aggiustare i propri equ<strong>il</strong>ibri con l'estero tramite<br />

una repentina quanto brutale svalutazione <strong>della</strong> valuta domestica.<br />

Il vero problema era che nel tentativo di difendere strenuamente <strong>il</strong> proprio tasso<br />

di cambio dalle mire degli speculatori, la banca centrale di un paese in deficit<br />

andava d<strong>il</strong>apidando una enorme quantità di riserve ufficiali in valuta pregiata. Alla<br />

fine <strong>della</strong> crisi dunque l'istituto centrale in questione si ritrovava comunque con<br />

una moneta svalutata e con un enorme spreco di risorse diffic<strong>il</strong>mente ripristinab<strong>il</strong>e<br />

in tempi brevi. Inoltre <strong>il</strong> tentativo di difesa ad oltranza del tasso di cambio era<br />

accompagnato da un rialzo dei tassi d'interesse interni da parte <strong>della</strong> banca<br />

centrale con <strong>il</strong> preciso scopo di tamponare la fuga di capitali verso l'estero. Questo<br />

rialzo dei tassi non poteva certo non avere conseguenze negative sulla crescita<br />

interna ed in definitiva sull'occupazione.<br />

26 La sterlina passò dunque da un valore di 1£=2,8$ ad uno di 1£=2,41$.<br />

103


III.4.2) La Germania.<br />

All'estremo opposto <strong>della</strong> Gran Bretagna si trovava sempre durante gli anni '60 la<br />

Germania Ovest. Un rapido aumento del tasso di crescita coniugato con un tasso<br />

d' inflazione relativamente basso rispetto agli altri partners commerciali permise al<br />

paese di accumulare un cospicuo surplus nei propri conti con l'estero.<br />

Il problema <strong>della</strong> Germania non risiedeva certo nella possib<strong>il</strong>e fuga di capitali<br />

con conseguente deprezzamento del marco, quanto piuttosto in un eccessivo<br />

afflusso di capitali che ne facesse salire la domanda con conseguente pressioni<br />

speculative su una possib<strong>il</strong>e rivalutazione. Per mantenere la parità prefissata la<br />

Bundesbank doveva acquistare sul mercato dei cambi la quantità di dollari in<br />

eccesso immettendo sul mercato <strong>il</strong> loro controvalore in marchi. Così facendo però<br />

<strong>il</strong> paese si esponeva ad un aumento indesiderato <strong>della</strong> base monetaria interna ed in<br />

ultima istanza si creavano i presupposti per un rialzo delle attese future di<br />

inflazione. Parte di questo aumento sgradito <strong>della</strong> base monetaria veniva<br />

ster<strong>il</strong>izzato dalle autorità monetarie tedesche tramite operazioni di mercato aperto<br />

di vendita di titoli di stato domestici per riassorbire parte <strong>della</strong> base monetaria.<br />

Un'altra soluzione, effettivamente molto usata, era quella di imporre severi<br />

vincoli e restrizioni sui capitali in entrata. Quando però anche i controlli sui<br />

capitali non furono più sufficienti, la Germania dovette rivalutare del 5% <strong>il</strong> marco<br />

nel 1961. Come possiamo vedere, l'aggiustamento di un paese in surplus è<br />

104


certamente meno doloroso di quello di un paese in deficit. Dopo che la Germania<br />

rivalutò <strong>il</strong> marco, la sua posizione nei confronti con l'estero non mutò e le sue<br />

esportazioni non ne furono danneggiate in maniera sensib<strong>il</strong>e (Obstfeld 2007).<br />

Aprendo una breve finestra sul presente, questa è una delle esperienze storiche che<br />

si portano all'attenzione quando si vuole incoraggiare la Cina ad allentare la sua<br />

politica di tasso fisso con <strong>il</strong> dollaro e di permettere un rivalutazione <strong>della</strong> sua<br />

moneta senza per ciò danneggiare le proprie esportazioni (Obstfeld 2007).<br />

Le autorità tedesche attribuivano la maggior parte dei problemi del <strong>sistema</strong><br />

<strong>monetario</strong> <strong>internazionale</strong> all' inflazione che i paesi erano costretti ed “importare”<br />

dall'esterno, in particolar modo dagli Stati Uniti. Questo problema è strettamente<br />

legato a quello dell'aggiustamento (o per meglio dire, del mancato aggiustamento)<br />

del paese emittente la valuta di riserva.<br />

III.4.3) L'asimmetria dell'aggiustamento degli Stati Uniti.<br />

Gli Stati Uniti cominciarono a presentare un deficit nella b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti a<br />

partire dal 1958 che si protrasse, tranne che nel 1968-1969, fino alla fine del<br />

<strong>sistema</strong> a cambi fissi (Bordo figura 18 per <strong>il</strong> 1958 e 1959, tabella n 3 in<br />

appendice). Sempre dalla figura in questione si evince come però <strong>il</strong> paese<br />

presentasse contemporaneamente un surplus di partite correnti mantenuto<br />

praticamente per tutto <strong>il</strong> periodo. Il deficit di b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti era dunque<br />

causato da un deflusso di capitali verso l'estero non compensato a sufficienza dalle<br />

105


esportazioni americane. Due questioni distinte emersero connesse al deficit <strong>della</strong><br />

b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti americana.<br />

Il primo problema era chiaramente legato al declino <strong>della</strong> fiducia che le autorità<br />

americane fossero effettivamente in grado di garantire la convertib<strong>il</strong>ità dei dollari<br />

sparsi nelle banche centrali di tutto <strong>il</strong> mondo. A questo era legata la convinzione<br />

che <strong>il</strong> deficit di b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti statunitense non poteva essere riassorbito<br />

senza che nel <strong>sistema</strong> si generasse un crisi di liquidità. Da tutto ciò scaturivano le<br />

perplessità dei paesi europei, in particolare di Francia e Germania. Come paese<br />

emittente di valuta di riserva gli Stati Uniti erano esonerati dall'aggiustare la<br />

propria economia in funzione degli squ<strong>il</strong>ibri con l'estero. Era prassi per la Federal<br />

Reserve ster<strong>il</strong>izzare i flussi di capitali in uscita con l'immissione di nuova liquidità<br />

nel <strong>sistema</strong> impedendo ai tassi americani di alzarsi, all'economia di contrarsi ed in<br />

ultimo al deficit di riassorbirsi. La domanda <strong>internazionale</strong> di dollari, essendo la<br />

valuta di riserva, non diminuiva mai e ciò permetteva agli Stati Uniti di scaricare<br />

<strong>il</strong> fardello dell'aggiustamento, tramite “esportazione” di inflazione, sui paesi in<br />

surplus.<br />

Una politica di disavanzo eccessivo sarebbe stata punita dagli speculatori con<br />

una fuga di capitali dal paese ed in ultima istanza da una svalutazione come nel<br />

caso precedentemente analizzato <strong>della</strong> Gran Bretagna. Il fatto di emettere valuta<br />

accettata internazionalmente metteva gli Stati Uniti al riparo da questa eventualità.<br />

106


Molti economisti sostengono che <strong>il</strong> deficit di b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti americano<br />

non sia mai stato un problema e che esso non lo sia in realtà nemmeno oggi<br />

(Bernanke 2005). Il resto del mondo infatti volutamente vuole detenere dollari e<br />

finanziare <strong>il</strong> deficit americano perché trova nel mercato di capitali americano<br />

caratteristiche non riscontrab<strong>il</strong>i da nessuna altra parte.<br />

In questo contesto gli Stati Uniti erano considerati durante gli anni '60 <strong>il</strong><br />

“banchiere del mondo” (Despres, Kindleberger e Salant 1966), capaci di attirare<br />

capitali a breve termine da ogni parte del mondo e reinvestire, sia all'interno che<br />

all'estero, a scadenze più lunghe. Come ogni buon intermediario bancario gli Stati<br />

Uniti lucravano sulla differenza tra <strong>il</strong> costo di indebitarsi a breve termine<br />

sull'estero, un costo esiguo visto la costante ed elevata domanda di attività in<br />

dollari, e <strong>il</strong> ritorno sui propri investimenti a lunga scadenza. Questa politica di<br />

disinteresse nei confronti del deficit con l'estero viene definita di “benign neglect”<br />

in quanto la mancanza di attenzione da parte delle amministrazioni americane nei<br />

confronti del proprio deficit permetteva ai restanti paesi del mondo di ottenere la<br />

liquidità necessaria per finanziare le propria crescita economica.<br />

III.4.4) I problemi <strong>della</strong> liquidità e <strong>della</strong> fiducia.<br />

Gli altri due problemi, quello <strong>della</strong> liquidità e quello <strong>della</strong> fiducia, sono in ogni<br />

caso strettamente legati al problema del mancato aggiustamento da parte degli<br />

Stati Uniti.<br />

107


Triffin (Triffin 1960) sosteneva che la mancanza di liquidità che cominciò a<br />

manifestarsi ad inizio degli anni '60 era strettamente legata all'inadeguatezza <strong>della</strong><br />

quantità di riserve auree presenti nel <strong>sistema</strong>. Vincolare l'offerta di moneta<br />

all'offerta di un bene, l'oro, che per sua natura tende ad essere abbastanza rigida<br />

significava creare un <strong>sistema</strong> in cui la carenza di liquidità era endemica. Come<br />

abbiamo detto <strong>il</strong> “benign neglect” degli Stati Uniti permise dunque di far fronte a<br />

questa carenza di liquidità. Questo comportamento simultaneamente però andava<br />

ad erodere <strong>il</strong> rapporto tra le passività emesse in dollari e le quantità di riserve<br />

auree detenute dagli Stati Uniti. Più questi ultimi fornivano la liquidità necessaria<br />

al funzionamento del <strong>sistema</strong> più essi diminuivano la propria capacità di<br />

convertire i dollari in circolazione in oro come prevedevano gli accordi originali<br />

di Bretton Woods. E' <strong>il</strong> cosidetto “paradosso di Triffin” (Triffin 1960).<br />

III.5) I primi segnali <strong>della</strong> crisi.<br />

Segnali di possib<strong>il</strong>i avvisaglie di crisi divennero sempre più frequenti nel corso<br />

<strong>della</strong> seconda metà degli anni '60. Nell'Ottobre del 1960 la speculazione spinse <strong>il</strong><br />

prezzo dell'oro presso <strong>il</strong> mercato di Londra sopra i 40$ l'oncia contro un cambio<br />

ufficiale da parte del tesoro americano di circa 35$ per oncia (Bordo 1992).<br />

Immediatamente si temette una corsa alla conversione dei dollari in circolazione<br />

in oro ed ad una repentina diminuzione di delle riserve auree americane. Rapidi<br />

108


provvedimenti furono presi da parte delle banche centrali dei maggiori paesi per<br />

stab<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> prezzo dell'oro intorno alla parità ufficialmente dichiarata. Il<br />

cosiddetto gold pool, che si formò ufficialmente nel novembre del 1961, riuscì a<br />

stab<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> prezzo dell'oro sul mercato ma non riuscì ovviamente a tamponare <strong>il</strong><br />

declino delle riserve auree americane rapportate alle loro passività fintanto che gli<br />

Stati Uniti continuavano a presentare deficit di b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti.<br />

Al di là dell'esempio di positiva collaborazione offerto dal gold pool, gli anni<br />

'60 furono caratterizzati da due forze che andarono a minare <strong>il</strong> legame tra l'oro ed<br />

<strong>il</strong> dollaro. La prima fu la crescente scarsità del metallo pregiato, la seconda,<br />

l'inizio di un periodo di crescita inflativa negli Stati Uniti (Bordo 1992). La<br />

produzione di oro si andò a stab<strong>il</strong>izzare ad inizio degli anni '60 ed iniziò a<br />

declinare nel 1966 (vedi Bordo 1992 figura 21). Contemporaneamente la domanda<br />

privata di oro iniziò ad aumentare (Bordo figure 22 e 27) tanto che <strong>il</strong> gold pool<br />

diventò un venditore netto di riserve auree nel 1966 per prevenirne un aumento di<br />

prezzo.<br />

Sempre in quegli anni l' amministrazione democratica del presidente Johnson<br />

diede inizio ad una politica economica definita di “guns and butter” che<br />

consisteva in un aumento <strong>della</strong> spesa sia per quanto concerneva la sfera sociale sia<br />

per quello che riguardava l'impegno americano in Vietnam (1962-1975). Il<br />

conseguente aumento <strong>della</strong> base monetaria portò ad un aumento dell'inflazione<br />

109


(Bordo 1992, figura 1 e 28) e ad un ulteriore peggioramento <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei<br />

pagamenti e, novità <strong>della</strong> seconda metà degli anni '60, anche <strong>il</strong> conto corrente<br />

andò in disavanzo nel 1964. Nello scenario appena descritto non vi è alcun<br />

meccanismo che costringa <strong>il</strong> paese leader del <strong>sistema</strong>, in questo caso gli Stati<br />

Uniti, a portare avanti una politico monetaria quanto più stab<strong>il</strong>e possib<strong>il</strong>e.<br />

Questo fatto, a partire dalla seconda metà degli anni '60, creò dei pesanti<br />

malumori tra i paesi europei che mal sopportavano di doversi accollare <strong>il</strong> peso<br />

dell'aggiustamento americano sotto forma di inflazione importata. Tra i critici più<br />

accaniti verso la politica americana di “benign neglect” vi era <strong>il</strong> presidente<br />

francese Charles De Gaulle che più volte minacciò di convertire in oro i dollari<br />

detenuti a riserva dalla Banque de France.<br />

III.6) Il collasso del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods.<br />

A partire dal 1968 la pressione per un aggiustamento delle parità dei tassi di<br />

cambio divenne insostenib<strong>il</strong>e e ci furono numerosi e significativi riallineamenti<br />

delle parità. Come abbiamo già detto, la Gran Bretagna svalutò la sterlina nel<br />

1967. Di lì a poco anche la Francia seguì quella strada svalutando <strong>il</strong> franco di oltre<br />

l' 11% nell' Agosto del 1969, seguita dalla Germania che nel mese di Settembre<br />

dello stesso anno rivalutò <strong>il</strong> marco tedesco del 9%. Contemporaneamente ( vedi<br />

tabella 3 in appendice) l' avanzo di conto corrente degli Stati Uniti iniziò a<br />

110


deteriorarsi a partire dal 1968. Da questo momento le fuoriuscite di capitali dagli<br />

Stati Uniti verso i paesi in surplus, specialmente la Germania, cominciarono a<br />

divenire ogni giorno più consistenti. La base monetaria tedesca crebbe dal 6% al<br />

12% nel 1971 ed <strong>il</strong> tasso d' inflazione passò dal 1,8% al 5,3% nello stesso anno<br />

(Melzer, 1991, pag 73). Non potendo più tollerare tassi d'inflazione così elevati la<br />

Germania decise di ricorrere all' extrema ratio e di sospendere dunque le<br />

operazioni sul mercato <strong>monetario</strong> e di lasciare dunque fluttuare liberamente <strong>il</strong><br />

marco tedesco. Sim<strong>il</strong>i provvedimenti furono presi dai governi di Austria, Belgio,<br />

Paesi Bassi e Svizzera (Solomon 1971 pag 179)<br />

Nel 1971 per la prima volta (vedi tabella 3) <strong>il</strong> conto corrente degli Stati Uniti<br />

virò verso <strong>il</strong> deficit (dopo che già dal 1958 la b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti era in<br />

disavanzo) e da più parti si iniziò a ipotizzare una possib<strong>il</strong>e svalutazione del<br />

dollaro nei confronti dell'oro.<br />

Sotto la minaccia francese e britannica di convertire tutte le riserve in dollari in<br />

oro, <strong>il</strong> 15 Agosto del 1971 <strong>il</strong> presidente americano Richard Nixon annunciò di “to<br />

suspend temporar<strong>il</strong>y the convertib<strong>il</strong>ity of the dollar into gold or other reserve<br />

assets...” 27 accompagnando <strong>il</strong> tutto con un blocco di novanta giorni dei salari, una<br />

tassa del 10% sulle importazioni e una tassa del 10% sul credito per investimenti.<br />

19 mesi più tardi, nel Gennaio 1973, sparirono anche le parità aggiustab<strong>il</strong>i tra le<br />

27 “di sospendere temporaneamente la conversione del dollaro in oro o in altre attività di<br />

riserva...”<br />

111


varie valute ed <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> di Bretton Woods ebbe ufficialmente termine.<br />

III.7) La dominanza del dollaro: un' analisi empirica di cointegrazione (1960-<br />

1971).<br />

Credo che ci siano ben pochi dubbi che <strong>il</strong> dollaro sia stata la valuta più usata e<br />

trattata tra gli anni 1960 e 1971, grossomodo quelli <strong>della</strong> piena convertib<strong>il</strong>ità del<br />

<strong>sistema</strong> di Bretton Woods. La tabella 15 mostra come <strong>il</strong> suo ruolo come valuta<br />

usata come riserva ufficiale sia progressivamente aumentato negli anni a partire<br />

dalla metà degli anni '60. Nel 1965 le riserve in dollari rappresentavano <strong>il</strong> 56,1%<br />

del totale. Alla fine del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods la quota era salita al 64,5% e<br />

dopo altri cinque anni al 79,2% del totale. Queste cifre sembrano non lasciare<br />

adito ad alcun dubbio sui rapporti di forza tra le valute mondiali durante gli anni<br />

'60 e '70. Un altro dato che emerge abbastanza chiaramente è l'abbandono <strong>della</strong><br />

sterlina come valuta di riserva dopo la svalutazione del 1967 passando da una<br />

quota mondiale del 20% nel 1965 ad un misero 4,02% nel 1973. Se si fa un<br />

confronto storico si nota immediatamente come <strong>il</strong> dollaro nel 1965 avesse una<br />

posizione di dominanza maggiore rispetto a quella che aveva la sterlina nel 1913<br />

(vedi tabella 15).<br />

Anche osservando le statistiche descrittive dei tassi di interesse decennali (vedi<br />

tabella 17) di cinque paesi che possiamo definire <strong>il</strong> centro del <strong>sistema</strong>, possiamo<br />

112


notare come gli Stati Uniti abbiano di gran lunga i tassi più bassi dell'intero<br />

periodo di riferimento confermando uno dei fattori caratterizzanti la dominanza di<br />

una valuta.<br />

Fatta questa premessa proveremo ora a stab<strong>il</strong>ire la dominanza del dollaro<br />

sfruttando un'analisi econometrica di cointegrazione di cui abbiamo parlato in<br />

precedenza nel capitolo II.<br />

III.7.1) La cointegrazione dei tassi decennali nominali.<br />

Proveremo per prima cosa a vedere se vi sono delle relazioni di cointegrazione<br />

b<strong>il</strong>aterali tra i tassi d' interesse nominali decennali tra gli Stati Uniti e Canada,<br />

Francia, Gran Bretagna e Germania. La scelta dei tassi decennali è dovuta sia per<br />

scelta obbligata, in quanto non sono disponib<strong>il</strong>i dati per tassi d'interesse a minor<br />

scadenza per <strong>il</strong> periodo antecedente al 1966 per tutti i paesi, sia perché <strong>il</strong> tasso<br />

decennale rappresenta <strong>il</strong> tasso di riferimento quando si vuole analizzare <strong>il</strong> rischio<br />

di insolvenza di un paese 28 . Se, come abbiamo visto nel capitolo II, una delle<br />

determinanti che influisce sulla scelta <strong>della</strong> valuta di riserva <strong>internazionale</strong> è la<br />

relativa sicurezza e stab<strong>il</strong>ità di tale paese. Il tasso decennale, sia nominale che<br />

reale, sembra dunque un buon riferimento per tale analisi.<br />

Il primo passo, dopo aver verificato la presenza di una radice unitaria (vedi<br />

28 Solitamente un indicatore di rischio molto semplice e molto usato è quello dello spread tra i<br />

tassi decennali di un paese considerato sicuro e quello di un paese considerato invece a rischio.<br />

Maggiore è la differenza maggiore è <strong>il</strong> rischio di insolvenza attribuito a tale paese.<br />

113


tabella n 4) e la seguente scelta del numero dei ritardi del VAR da inserire sulla<br />

medesima scia di quanto fatto per l'analisi dei tassi nel gold standard, è quello di<br />

verificare l'effettiva presenza di relazioni di cointegrazione tra i suddetti tassi. I<br />

risultati dei test di Johansen sono riportati nelle tabelle 5,6 e 7 in appendice.<br />

Per quanto riguarda i tassi nominali <strong>il</strong> test di cointegrazione di Johnasen (per <strong>il</strong><br />

caso di costante non vincolata) suggerisce la presenza di relazioni di<br />

cointegrazione tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (livello di significatività del<br />

5%), <strong>il</strong> Canada (livello di significatività del 5%) , la Francia (livello di<br />

significatività del 10%) mentre non si riscontra nessuna relazione di<br />

cointegrazione significativa con i tassi d'interesse tedeschi. I test di cointegrazione<br />

nel caso di costante vincolata non modificano i risultati raggiunti anche se i livelli<br />

di significatività peggiorano lievemente. Continueremo ora analizzando i risultati<br />

per <strong>il</strong> caso di costante non vincolata anche se in appendice saranno riportati i<br />

risultati per tutta la casistica.<br />

Nella tabella 7 in appendice sono riportati i risultati delle stime prodotte per <strong>il</strong><br />

modello a correzione d'errore tra Stati Uniti e Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna<br />

e Stati Uniti e Canada.<br />

Quello che a noi interessa è verificare se i tassi statunitensi possono essere<br />

considerati una forza esogena al <strong>sistema</strong> ovvero se possono influenzare tramite un<br />

relazione di lungo periodo i tassi dell'altro paese senza venirne a loro volta<br />

114


condizionati. Questo test, anche chiamato di esogeneità debole, e che prevede di<br />

porre <strong>il</strong> coefficiente di lungo periodo legato agli Stati Uniti come nullo,<br />

permette appunto di verificare questo scenario. Come riportato nel capitolo II<br />

questo test viene eseguito mediante un test di rapporto delle verosimiglianze tra <strong>il</strong><br />

modello libero e quello vincolato. Se la differenza tra i valori delle due<br />

verosimiglianze non è troppo marcata allora <strong>il</strong> modello vincolato è accettab<strong>il</strong>e in<br />

luogo di quello libero.<br />

Dai risultati emerge che pur vincolando <strong>il</strong> coefficiente <strong>della</strong> matrice dei pesi<br />

collegato agli Stati Uniti ad essere nullo, questo però non porta all'accettazione del<br />

modello vincolato essendo <strong>il</strong> valore del test di rapporto di verosimiglianza troppo<br />

elevato.<br />

C'è da dire inoltre che i test di autocorrelazione e di eteroschedasticità<br />

mostrano una significativa presenza di quest'ultima. In un'analisi di serie storiche<br />

essa può stare ad indicare che <strong>il</strong> modello non è correttamente specificato e che vi<br />

sia un'abbondante quantità di informazione non spiegata nel modello.<br />

III.7.2) La cointegrazione dei tassi reali con inflazione attesa futura.<br />

Riproveremo adesso inserendo nel modello a correzione di errore l' inflazione<br />

attesa futura in modo da costruire dei tassi d'interesse reali ex ante. Un'analisi di<br />

quelli ex post sarebbe infatti poco significativa. I mercati infatti fanno le loro<br />

scelte sulle previsioni di inflazione e non sui valori passati.<br />

115


I nostri tassi reali saranno costruiti sommando a quelli decennali la media del<br />

tasso d'inflazione dei dodici mesi seguenti a quelli del mese di partenza. Si può<br />

ovviamente anche operare una ulteriore distinzione nel caso si voglia considerare<br />

valida oppure no l'equazione di Fisher che definisce i tassi reali come<br />

˙r = ˙i − ˙<br />

dove ˙r rappresenta la variazione dei tassi reali, ˙i la variazione dei tassi<br />

nominali e ˙ la variazione del tasso di inflazione futura attesa. In caso di<br />

assunzione di validità <strong>della</strong> relazione di Fisher <strong>il</strong> coefficiente legato all'inflazione<br />

è da considerarsi unitario. In alternativa tale coefficiente sarà diverso dall'unità. In<br />

appendice i risultati di entrambe le possib<strong>il</strong>ità.<br />

Per quanto riguarda i tassi d'interesse reali che implicano la validità<br />

dell'equazione di Fisher possiamo vedere come non vi sia traccia di significative<br />

relazioni di cointegrazione (Tabella 6).<br />

Almeno una relazione di cointegrazione risulta essere presente per tutti i paesi<br />

nel caso di tassi d'interesse reali in cui non viene assunta valida l'equazione di<br />

Fisher (Tabella 7). Anche in questo caso però i vincoli imposti per testare<br />

l'esogeneità dei tassi americani vengono <strong>sistema</strong>ticamente rifiutati per tutti i paesi.<br />

Inoltre <strong>il</strong> test LM-ARCH segnala la presenza di eteroschedasticità in varie<br />

equazioni del <strong>sistema</strong> VECM.<br />

116


III.7.4) L'analisi di Granger- causalità in un VAR cointegrato<br />

Un approccio leggermente diverso può essere seguito, cercando di implementare<br />

un test di Granger-causalità in un VAR cointegrato (Dolado e Lutkepohl 1996).<br />

Ut<strong>il</strong>izzando sempre le stesse serie storiche dei tassi nominali decennali tra <strong>il</strong> 1960<br />

ed <strong>il</strong> 1961, è possib<strong>il</strong>e eseguire un test di cointegrazione, questa volta multivariato,<br />

e successivamente eseguire <strong>il</strong> test di Granger- causalità di cui sopra accennato.<br />

Come riportato nella tabella 3 in appendice le serie storiche dei tassi sono<br />

chiaramente non stazionarie e quindi adatte per un eventuale test di<br />

cointegrazione. Le tabelle 10A e 10B mostrano come i tassi d'interesse decennali<br />

mostrino una elevata significatività (1%) nell' aiutare ad esplicare eventuali<br />

movimenti dei corrispettivi tassi negli altri paesi. Al contrario, i restanti paesi<br />

mostrano una minore significatività ( Gran Bretagna livello di significatività pari<br />

al 5% ) o una capacità davvero limitata nell'esplicare eventuali movimenti nei<br />

tassi degli altri paesi (Germania, Francia e Canada).<br />

Da questa analisi sembrerebbe invece confermata l'idea degli Stati Uniti centro<br />

del <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong>, ipotesi peraltro mai messa in discussione. C'è da<br />

aggiungere come i risultati di questo test di Granger-causalità in un VAR<br />

cointegrato sia soggetto a numerose critiche in quanto i risultati dei test ad esso<br />

connesso risultano essere poco potenti 29 . Le stime prodotte debbono essere dunque<br />

29 Ricordiamo che per potenza del test si intende la capacità di accettare l'ipotesi alternativa<br />

essendo questa effettivamente vera.<br />

117


prese con una certa cautela.<br />

IV.7.3) Conclusioni dell'analisi econometrica di cointegrazione.<br />

Contrariamente alle previsioni, per <strong>il</strong> periodo che va dagli inizi degli anni '60 al<br />

1971, l'analisi econometrica di cointegrazione sembra non supportare l'ipotesi che<br />

i tassi d'interesse americani possano essere considerati come una forza esogena al<br />

<strong>sistema</strong> in grado dunque di indirizzare i tassi d'interesse degli altri paesi e di non<br />

esserne a loro volta influenzati.<br />

I vari vincoli imposti sui modelli presentati vengono infatti rifiutati<br />

<strong>sistema</strong>ticamente dai test di rapporto delle verosimiglianze che bocciano dunque<br />

l'ipotesi di esogeneità debole da parte dei tassi statunitensi.<br />

Inoltre la presenza dell' eteroschedasticità in un campione di serie storiche<br />

suggerisce che <strong>il</strong> modello potrebbe non essere correttamente specificato<br />

suggerendo una bassa capacità del modello di spiegare i movimenti dei tassi<br />

d'interesse. Sembra chiaro che i tassi d'interesse decennali si muovano per altri<br />

motivi che non sono strettamente legati all'andamento dei tassi esteri o dei tassi<br />

d'inflazione di altri paesi. Probab<strong>il</strong>mente vi sono altre variab<strong>il</strong>i macroeconomiche,<br />

come ad esempio la condizione dei conti con l'estero, in grado di spiegare più<br />

adeguatamente l'andamento dei tassi decennali.<br />

D'altro canto bisogna sottolineare come l'inserimento di codeste variab<strong>il</strong>i<br />

implicherebbe un passaggio dai tassi d'interesse mens<strong>il</strong>i a quelli trimestrali<br />

118


operazione altrettanto discutib<strong>il</strong>e. Infatti, la media mens<strong>il</strong>e di un tasso d'interesse è<br />

già una semplificazione molto forte di una variab<strong>il</strong>e che muta praticamente<br />

istantaneamente con le quotazioni sui mercati. Come abbiamo visto nel capitolo<br />

<strong>della</strong> letteratura sull'argomento, molti preferiscono mantenere la cadenza mens<strong>il</strong>e<br />

che aumentare l'informazione presente diminuendo la frequenza delle<br />

osservazioni.<br />

Detto questo non si deve certo cadere nella tentazione di escludere la<br />

dominanza del dollaro del periodo di pieno funzionamento del <strong>sistema</strong> di Bretton<br />

Woods. Le cifre riportate nella tabella 15 non sembrano certo mostrare alcuna<br />

possib<strong>il</strong>ità di fraintendimento. Semplicemente, un approccio di tipo econometrico<br />

non è <strong>il</strong> più adatto a supportare l'evidenza empirica di dominanza del dollaro. Alla<br />

luce dell'ambiguità dei risultati raggiunti da altri lavori non dissim<strong>il</strong>i in questo<br />

campo non si deve certo rimanere sorpresi di tale conclusione non positiva.<br />

III.8) Conclusioni.<br />

Il <strong>sistema</strong> di Bretton Woods collassò principalmente per tre ragioni (Bordo 1992).<br />

Per prima cosa, due crepe piuttosto evidenti minacciavano <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> dall'interno.<br />

La prima è che <strong>il</strong> paese leader si andava esponendo inevitab<strong>il</strong>mente ad una crisi di<br />

convertib<strong>il</strong>ità dovendo esso fornire al mondo la liquidità necessaria, tramite i<br />

propri deficit di b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti, da permettere al <strong>sistema</strong> di funzionare ed<br />

119


al tempo stesso far si che non sorgessero dubbi sulla sua effettiva capacità di<br />

convertire i dollari in circolazione in oro (Triffin 1960).<br />

Il secondo difetto endemico era da ricercarsi nel fatto che <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> si era<br />

evoluto da uno in cui le parità erano aggiustab<strong>il</strong>i ad un altro in cui i tassi di<br />

cambio era di fatto fissi senza prevedere alcun tipo di aggiustamento ufficiale tra i<br />

paesi in surplus e quelli in deficit.<br />

La seconda ragione che viene spesso evidenziata è quella di come la politica<br />

monetaria statunitense, a partire dalla seconda metà degli anni '60, sia stata<br />

inappropriata per <strong>il</strong> ruolo di valuta cardine attribuita al dollaro. L'aumento <strong>della</strong><br />

spesa pubblica portò ad una politica inflazionistica che portò rapidamente <strong>il</strong><br />

<strong>sistema</strong> al collasso.<br />

I paesi in surplus, Germania in primis, erano r<strong>il</strong>uttanti ad accumulare ingenti<br />

riserve di dollari e a rivalutare la propria moneta penalizzando così le proprie<br />

esportazioni<br />

120


121


CAPITOLO IV<br />

DALLA FINE DEL SISTEMA DI BRETTON WOODS AL “PACIFIC<br />

DOLLAR STANDARD”<br />

IV.1) Il <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> dopo la fine degli accordi di Bretton Woods.<br />

All'indomani <strong>della</strong> fine del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods <strong>il</strong> mondo si ritrovò in uno<br />

scenario del tutto inedito con l'adozione di un <strong>sistema</strong> di cambi flessib<strong>il</strong>i. Le<br />

osc<strong>il</strong>lazioni dei tassi di cambio divennero dunque determinate dai mercati e<br />

sempre meno dall'intervento delle banche centrali anche se quest' ultime<br />

mantennero ancora un notevole potere di intervento per molti degli anni a seguire.<br />

I cambi fissi vennero progressivamente abbandonati in quanto si cominciò a<br />

capire che molte delle crisi valutarie che accaddero tra gli anni '70 e '80,<br />

specialmente in America Latina, erano da attribuirsi principalmente ad attacchi<br />

speculativi contro valute che non erano più in linea con i fondamentali<br />

dell'economia causando gravi perdite di ricchezza ai paesi colpiti.<br />

Una significativa eccezione fu quella dell'istituzione del <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong><br />

europeo meglio conosciuto come SME. Questo <strong>sistema</strong> prevedeva che le valute<br />

europee dovessero osc<strong>il</strong>lare intorno ad una parità prefissata rispetto alle altre<br />

valute e che le autorità centrali fossero in grado di intervenire sul mercato per<br />

mantenere queste parità. Ovviamente non vi erano interventi sul mercato dei<br />

cambi nei confronti di valute extra SME.<br />

122


Tolto <strong>il</strong> caso fortunato dello SME che, tra alti e bassi, alla fine degli anni '90 ha<br />

portato alla alla creazione <strong>della</strong> nuova valuta europea, l' euro, i restanti tentativi di<br />

sistemi monetari a cambi fissi hanno riguardato paesi di secondaria importanza o<br />

si sono conclusi in maniera disastrosa e deleteria per chi li ha adottati (vedi <strong>il</strong> caso<br />

eclatante del currency board argentino). Unica, ma significativa eccezione, tra i<br />

sistemi a cambi fissi attualmente in vigore è quello che vige tra <strong>il</strong> dollaro<br />

americano ed <strong>il</strong> renmimbi cinese che andremo di seguito ad analizzare.<br />

IV.2) Il <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> odierno: <strong>il</strong> Pacific dollar standard.<br />

Le autorità del paese asiatico mantengono fisso <strong>il</strong> cambio renmimbi/dollaro<br />

americano a quota 7 renmimbi per un dollaro. Questo intervento <strong>della</strong> banca<br />

centrale cinese, la People's Bank of China, ha de facto prodotto quella che Dooley,<br />

Folkerts-Landau e Garber (2003) hanno recentemente definito la “Bretton Wood<br />

II”, concetto poi ripreso successivamente in alcuni influenti paper da Nouriel<br />

Roubini (2004 e 2005) e che noi chiameremo Pacific dollar standard in virtù del<br />

fatto che l'asse centro (Stati Uniti) /nuova periferia (Cina) si affaccia sull' Oceano<br />

Pacifico (vedi figura 6).<br />

Seguendo la tradizionale relazione che sussiste in un’ economia aperta, <strong>il</strong><br />

surplus/deficit di partite correnti che presenta un paese è equivalente alla<br />

differenza che c’è tra <strong>il</strong> risparmio nazionale, sia pubblico che privato, e gli<br />

123


investimenti. Se <strong>il</strong> risparmio nazionale eccede gli investimenti <strong>il</strong> paese in<br />

questione si troverà in una situazione di surplus di partite correnti, viceversa un<br />

risparmio nazionale inferiore alla quota degli investimenti provocherà un<br />

disavanzo di partite correnti e la necessità per <strong>il</strong> paese di finanziare questo eccesso<br />

di investimenti andando a prelevare risparmio e capitali dall’estero. Nel caso di un<br />

<strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> a cambi fissi, <strong>il</strong> surplus/deficit di partite correnti si tramuta in<br />

un accumulo/decrescita di riserve ufficiali. In formule potremmo dunque<br />

sintetizzare così:<br />

p<br />

dove St p<br />

S t Deficit t− I t = Cat = Rut rappresenta <strong>il</strong> risparmio privato, Deficit t rappresenta <strong>il</strong> deficit nel<br />

b<strong>il</strong>ancio dello stato, I t gli investimenti, Ca t rappresenta <strong>il</strong> saldo di conto<br />

corrente e Ru t le riserve ufficiali.<br />

Come abbiamo visto nel <strong>sistema</strong> classico di Bretton Woods gli Stati Uniti<br />

finanziavano <strong>il</strong> proprio deficit <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti attirando risorse dalla<br />

periferia del <strong>sistema</strong>, che negli anni '60 era rappresentata principalmente dai paesi<br />

europei, Germania Ovest in primis e dal Giappone, la quale presentava un cronico<br />

surplus <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti e con la quale gli Stati Uniti mantenevano un<br />

cambio fisso ad una parità prestab<strong>il</strong>ita.<br />

Il <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> attuale si basa invece essenzialmente su cambi flessib<strong>il</strong>i<br />

124


tra gli Stati Uniti ed i paesi che corrispondono a quelli <strong>della</strong> vecchia periferia, i<br />

quali di fatto non partecipano in alcun modo al finanziamento esterno degli Stati<br />

Uniti. Al contrario i paesi asiatici, quelli che appartengono a ciò che abbiamo<br />

definito la “nuova periferia”, hanno deciso di adottare un tasso di cambio fisso<br />

con <strong>il</strong> dollaro americano in alcuni casi de iure come la Cina, in altri de facto come<br />

nel caso del Giappone 30 , riproponendo sostanzialmente <strong>il</strong> medesimo schema di<br />

funzionamento del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods ovvero con <strong>il</strong> centro del <strong>sistema</strong>, gli<br />

Stati Uniti, in deficit nei confronti del mondo, e con i paesi asiatici nel ruolo di<br />

finanziatori di questo deficit.<br />

Le politiche di cambio fisso dei paesi asiatici permettono dunque agli Stati<br />

Uniti di avere un vincolo esterno morbido. Inoltre, <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> dollaro sia ancora<br />

la valuta di riferimento <strong>internazionale</strong> fa sì che i paesi asiatici fino ad ora si siano<br />

dimostrati desiderosi di accumulare questa ingente quantità di dollari nelle<br />

casseforti delle proprie banche centrali. Analizzeremo ora più in dettaglio le<br />

caratteristiche ed i problemi che incombono sui paesi che de facto aderiscono a<br />

questo <strong>sistema</strong> a cambi fissi, focalizzandoci principalmente sugli Stati Uniti e la<br />

Cina e in maniera più def<strong>il</strong>ata anche sull'Europa.<br />

IV.2.1) Gli Stati Uniti.<br />

Gli Stati Uniti sono in una posizione di crescente deficit di conto corrente<br />

30 Il Giappone faceva parte , come abbiamo visto, anche dei paesi finanziatori degli Stati Uniti nel<br />

<strong>sistema</strong> di Bretton Woods. Può essere considerato dunque “vecchia periferia”.<br />

125


all’incirca dall’inizio degli anni ’90 31 e la situazione fino ad oggi non ha fatto che<br />

deteriorarsi (Vedi per maggiori dettagli la figura 2 e la tabella 11 in appendice).<br />

Agli inizi dell'era del presidente democratico Clinton si è assistito ad un<br />

significativo aumento degli investimenti privati i quali sono passati da circa <strong>il</strong><br />

16% rispetto al prodotto interno lordo ad un valore che nell'anno 2000 ha sfiorato<br />

quasi <strong>il</strong> 20% (vedi tabella 5.2.1). Mentre gli investimenti privati aumentavano la<br />

quota di risparmio privato sul PIL è rimasta pressoché invariata. Per le usuali<br />

relazioni che sussistono in una economia aperta che abbiamo poc'anzi citato,<br />

questa differenza tra investimenti e risparmio privato è stata finanziata dagli Stati<br />

Uniti attirando capitali dall'estero ed incrementando <strong>il</strong> proprio deficit di conto<br />

corrente. C'è da dire che durante gli anni '90 <strong>il</strong> deficit di partite correnti è stato in<br />

una certa maniera contenuto dal fatto che <strong>il</strong> deficit <strong>della</strong> finanza pubblica<br />

americana si è mantenuto su livelli incredib<strong>il</strong>mente bassi, anzi registrando negli<br />

anni '97,98 e 99 un surplus.<br />

31 In verità, tranne un lieve surplus nel 1991, <strong>il</strong> disavanzo di partite correnti si protrae dal 1983 in<br />

poi (vedi tabella 2).<br />

126


Tabella IV.2.1: saldo dei conti pubblici, saldo dei conti con l'estero,<br />

investimenti e risparmio, percentuale del PIL, 1992-2007.<br />

1992 -4,02% -0,80% 16,42% 15,90%<br />

1993 -3,05% -1,28% 17,00% 16,00%<br />

1994 -2,31% -1,73% 18,12% 16,80%<br />

1995 -1,45% -1,55% 18,15% 16,90%<br />

Amministrazione<br />

Clinton<br />

1996 -0,28% -1,61% 18,56% 17,30%<br />

1997 0,83% -1,71% 19,46% 18,20%<br />

1998 1,43% -2,47% 19,96% 18,10%<br />

1999 2,53% -3,27% 20,34% 17,50%<br />

2000 1,29% -4,27% 20,49% 16,60%<br />

2001 -1,53% -3,82% 18,85% 15,20%<br />

2002 -3,55% -4,41% 18,07% 14,00%<br />

2003 -3,70% -4,79% 18,08% 13,50%<br />

2004 -2,68% -5,49% 18,91% 13,60%<br />

2005 -1,96% -6,09% 19,31% 13,50%<br />

2006 -1,20% -6,16% 20,00% 15,40%<br />

2007 -3,26% -4,89% 18,70% 14,10%<br />

Amministrazione<br />

Bush<br />

Fonte: World Development Indicator 2008 (WDI).<br />

E’ negli anni dell' amministrazione Clinton che si comincia ad innescare la bolla<br />

speculativa <strong>della</strong> new economy e dei titoli dotcom e <strong>il</strong> boom di investimenti di cui<br />

abbiamo poc'anzi parlato è andato a finanziare proprio <strong>il</strong> comparto delle aziende<br />

del ramo tecnologico.<br />

Saldo federale<br />

% del P<strong>il</strong><br />

Con l'inizio del nuovo m<strong>il</strong>lennio lo scenario, economico e politico, muta<br />

rapidamente. Una nuova amministrazione repubblicana guidata dal presidente<br />

Bush viene eletta nel Novembre del 2000 e contemporaneamente scoppia la bolla<br />

127<br />

saldo di<br />

partite<br />

Investimenti<br />

correnti % (% del PIL)<br />

del PIL<br />

Risparmio (%<br />

del PIL)


speculativa legata ai titoli <strong>della</strong> new economy trascinando gli Stati Uniti in una<br />

breve quanto lieve recessione. L’amministrazione Bush decide però di agire<br />

massicciamente a sostegno dell’economia tramite un congruo taglio fiscale per<br />

r<strong>il</strong>anciare i consumi interni. Contemporaneamente la Federal Reserve, allora<br />

guidata da Alan Greenspan, decide di intraprendere anch’essa una politica<br />

monetaria fortemente espansiva. Queste due mosse hanno dato <strong>il</strong> via a due<br />

tendenze: la finanza pubblica degli Stati Uniti passa nel giro di poco tempo da una<br />

situazione di sostanziale equ<strong>il</strong>ibrio ad una di accentuato deficit mentre <strong>il</strong> denaro a<br />

tassi così bassi ha spinto le famiglie americane a diminuire <strong>il</strong> risparmio, già<br />

storicamente molto basso rispetto a quello di altri paesi, in maniera consistente e a<br />

ricorrere sempre più al debito per finanziare l’ acquisto di beni durevoli e non.<br />

Nel frattempo avviene <strong>il</strong> tragico attentato alle torri gemelle di New York dell'11<br />

settembre 2001. Gli interventi m<strong>il</strong>itari che seguirono,in Afghanistan prima ed in<br />

Iraq poi, non hanno fatto altro che peggiorare <strong>il</strong> deficit <strong>della</strong> finanza pubblica ed in<br />

ultima istanza incrementando <strong>il</strong> deficit di partite correnti che proprio ad inizio<br />

degli anni 2000 comincia ad aumentare in maniera significativa (vedi tabella<br />

IV.2.1).<br />

Gli Stati Uniti sono in una situazione che viene definita di “twin deficit” in cui<br />

ad un consistente deficit <strong>della</strong> finanza pubblica si associa un deficit nei conti con<br />

l'estero. Da una situazione in cui questi squ<strong>il</strong>ibri dipendevano principalmente da<br />

128


elevati investimenti, si è passati ad una in cui ad una diminuzione di quest’ultimi,<br />

fisiologica dopo lo scoppio di una bolla, è seguita una diminuzione ancora più<br />

marcata del risparmio, sia privato che pubblico. Il deficit di conto corrente attuale<br />

è in definitiva da attribuirsi al basso livello di risparmio. La differenza non è solo<br />

numerica: un' elevata spesa per investimenti può lasciar presupporre in futuro<br />

redditi maggiori oppure un significativo aumento <strong>della</strong> produttività cosa che<br />

diffic<strong>il</strong>mente accadde quando l'incremento è di spesa pubblica.<br />

Al di là dei giudizi qualitativi che si possono dare sulle variazioni del saldo di<br />

parte corrente, una cosa accomuna entrambi i tipi di deficit ovvero <strong>il</strong> loro bisogno<br />

di trovare finanziatori sul mercato dei capitali esteri per poter essere colmati. Nel<br />

caso degli Stati Uniti questo generoso finanziatore prende <strong>il</strong> nome di Repubblica<br />

Popolare Cinese.<br />

IV.2.2) La Cina<br />

Come abbiamo ricordato sopra, un deficit di conto corrente implica che <strong>il</strong> paese in<br />

questione debba rivolgersi ai mercati di capitali internazionali per poter finanziare<br />

<strong>il</strong> proprio disavanzo. Il modello economico di sv<strong>il</strong>uppo adottato dalla Cina si è<br />

basato e continua ad imperniarsi tutt'oggi essenzialmente sul favorire <strong>il</strong> più<br />

possib<strong>il</strong>e le esportazioni di beni a basso contenuto tecnologico di modo che <strong>il</strong><br />

mercato del lavoro interno possa assorbire i m<strong>il</strong>ioni di lavoratori che ogni anno<br />

dalle campagne si riversano nelle città industrializzate in cerca di un impiego.<br />

129


Uno degli strumenti cardine <strong>della</strong> politica economica cinese per incentivare<br />

l'export (vedi figura 6) è quello di tenere un tasso di cambio tra dollaro ed <strong>il</strong><br />

renmimbi fisso ed ampiamente sottovalutato. Questa politica di tasso di cambio, la<br />

quale ha generato un enorme surplus di partite correnti, ha permesso alla Cina di<br />

diventare nell’arco di un ventennio un creditore netto nei confronti del mondo<br />

specialmente nei confronti degli Stati Uniti. La politica di cambio fisso<br />

renmimbi/dollaro coniugata con l'immenso surplus di partite correnti ha permesso<br />

alla Cina di accumulare un' ingente quantità di riserve valutarie in dollari, per un<br />

valore che si aggira intono agli 800 m<strong>il</strong>iardi di dollari (vedi tabella IV.2.2).<br />

IV.2.3) L' Europa<br />

L' Europa sembra tagliati fuori da questo duopolio Stati Uniti-Estremo Oriente in<br />

quanto, essendo una unione monetaria la cui banca centrale non interviene sul<br />

mercato dei cambi per statuto costituente, essa risulta essere un'area in sostanziale<br />

equ<strong>il</strong>ibrio di conti con l'estero (vedi tabella 1) non partecipando dunque al<br />

processo di finanziamento del deficit di partite correnti americano. L' Europa più<br />

che altro risulta danneggiata dal cambio fisso renmimbi/dollaro ogni qual volta<br />

l'euro si rafforza nei confronti <strong>della</strong> valuta americana. Questo fatto corrisponde nei<br />

fatti ad un apprezzamento dell'euro sul renmimbi ed un'ulteriore perdita di<br />

competitività dell'industria manifatturiera europea nei confronti di quella cinese.<br />

Anche se per <strong>il</strong> momento vengono esclusi nella maniera più categorica<br />

130


interventi sul mercato valutario da parte <strong>della</strong> BCE, non è impensab<strong>il</strong>e che in<br />

futuro, di fronte ad ulteriori apprezzamenti indesiderati dell'euro nei confronti del<br />

dollaro, la politica monetaria <strong>della</strong> banca centrale possa mutare, intervenendo sul<br />

mercato dei cambi per frenare <strong>il</strong> rafforzamento dell'euro, ed unirsi alle banche<br />

centrali asiatiche nel finanziamento del deficit americano (Roubini 2005).<br />

IV.2.4) Il resto del mondo<br />

La Cina e l'estremo oriente non sono certo i soli paesi che finanziano <strong>il</strong> deficit<br />

estero americano. A questi paesi si devono infatti aggiungere i paesi esportatori di<br />

petrolio, in particolar modo l' Arabia Saudita, la Russia ed <strong>il</strong> Bras<strong>il</strong>e (vedi tabella 1<br />

in appendice). La quota di finanziamento, seppur non raggiungendo i livelli dei<br />

paesi asiatici, è tutt'altro che marginale, oltre i 400 m<strong>il</strong>iardi di dollari.<br />

Roubini (2005) afferma che <strong>il</strong> via ad una eventuale fuga dal dollaro potrà<br />

arrivare più da questi paesi che da quelli asiatici, visto che le economie di questi<br />

paesi sarebbero meno danneggiate dall'apprezzamento delle proprie valute. Paesi<br />

come la Cina infatti potranno diversificare le proprie riserve in valuta solamente a<br />

discapito di un apprezzamento delle proprie divise nazionali danneggiando così le<br />

proprie produzioni industriali e manifatturiere a basso costo (oltre che ad esporsi a<br />

grandi perdite sulle riserve in dollari accumulate che comunque è un problema<br />

anche degli altri paesi). Gli altri paesi sono invece essenzialmente produttori di<br />

commodities (Bras<strong>il</strong>e) e di prodotti petroliferi (Russia e Arabia Saudita). Essendo<br />

131


la domanda di questi beni essenzialmente inelastica ad aumenti di prezzo è lecito<br />

pensare che questi paesi verrebbero danneggiati in maniera marginale dalla<br />

sostituzione del dollaro con un' altra valuta di riserva.<br />

IV.2.5) Il funzionamento del Pacific dollar standard.<br />

Il <strong>sistema</strong> così descritto funziona pressapoco in questa maniera: <strong>il</strong> paese in deficit,<br />

gli Stati uniti, <strong>il</strong> quale rappresenta l’ 85% del totale dei deficit mondiali (vedi<br />

tabella 1), importa beni e servizi dai paesi emergenti del sud est asiatico in<br />

particolar modo dalla Cina e paga questa afflusso di merci emettendo dollari i<br />

quali, in virtù del loro status di valuta <strong>internazionale</strong> di riserva, vengono<br />

accumulati dalle banche centrali dei paesi asiatici nelle loro riserve valutarie.<br />

Tabella IV.2.2: maggiori detentori di riserve valutarie in dollari, Apr<strong>il</strong>e 2009.<br />

Fonte: Department of the Treasury/ Federal Reserve Board, Giugno 2009. www.treas.gov/tic/mfh.txt .<br />

Note: (a): I paesi dei Caraibi includono: Bahamas, Bermuda, isole Cayman, Panama e Ant<strong>il</strong>le olandesi, isole<br />

vergini britanniche<br />

Paese Riserve in m<strong>il</strong>iardi $<br />

Cina 763,5<br />

Giappone 685,9<br />

paesi dei Caraibi (a) 204,7<br />

paesi esportatori di petrolio (b) 189,5<br />

Regno Unito 152,8<br />

Russia 137<br />

Bras<strong>il</strong>e 126<br />

Lussemburgo 97,5<br />

Hong Kong 80,9<br />

(b): i paesi esportatori di petrolio includono: Ecuador, Venezuela, Indonesia, Barhain, Iran, Iraq, Kuwait,<br />

Oman, Qutar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Gabon, Libia e Nigeria.<br />

132


Le banche centrali dei paesi che, come quella Cinese, desiderano mantenere un<br />

tasso di cambio fisso con <strong>il</strong> dollaro devono essere pronte ad assorbire l’eccesso di<br />

dollari sul mercato per evitare che le proprie valute si apprezzino causando una<br />

perdita di competitività delle merci domestiche. Per far ciò, le banche centrali<br />

asiatiche debbono aumentare gli attivi esteri in b<strong>il</strong>ancio ed immettere valuta<br />

nazionale nel mercato <strong>monetario</strong> aumentando così <strong>il</strong> circolante e gli aggregati<br />

monetari domestici e contemporaneamente accumulare riserve ufficiali.<br />

IV.3) I rischi insiti Pacific dollar standard.<br />

IV.3.1) Il nuovo “benign neglect”.<br />

Il dibattito oggi è più che mai aperto se <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> del pacific dollar standard sia<br />

stab<strong>il</strong>e oppure se esso sia destinato prima o poi a crollare come tutti i sistemi a<br />

cambi fissi che si sono succeduti nella storia, dal gold standard a Bretton Woods.<br />

Molti ritengono (Vedi ad esempio Bernanke 2005) che l'attuale deficit di conto<br />

corrente americano sia una risposta endogena del <strong>sistema</strong> ad un aumento esogeno<br />

del tasso di risparmio delle nuove economie emergenti non adeguatamente<br />

compensato da un equivalente aumento <strong>della</strong> spesa, sia pubblica che privata. E' <strong>il</strong><br />

cosiddetto problema del saving glut. Secondo questo f<strong>il</strong>one, gli Stati Uniti, con <strong>il</strong><br />

loro mercato finanziario liquido e sv<strong>il</strong>uppato, offrono un naturale canale di sbocco<br />

per i capitali provenienti dai paesi in via di sv<strong>il</strong>uppo i quali solitamente difettano<br />

133


di mercati finanziari adeguati per collocare una tale massa di investimenti.<br />

Questo scenario ricorda molto da vicino la politica di benign neglect che di<br />

fatto ha portato alla fine del <strong>sistema</strong> di Bretton Woods. Nella rivisitazione<br />

moderna gli Stati Uniti non si curano affatto dei propri conti con l'estero ben<br />

sapendo che questo comportamento è ben gradito dai paesi asiatici i quali possono<br />

continuare a perseguire una politica di cambio fisso con <strong>il</strong> dollaro, accumulare<br />

riserve in dollari e con le quali finanziare <strong>il</strong> deficit di partite correnti americano.<br />

Per entrare più nello specifico, anche <strong>il</strong> ruolo degli Stati Uniti è cambiato<br />

rispetto a quello che essi avevano nel <strong>sistema</strong> di Bretton Woods. Da “banchiere<br />

del mondo” , <strong>il</strong> quale semplicemente si indebitava a breve sull'estero a tassi<br />

d'interesse bassi e poi reinvestiva a scadenze più elevati e con ritorni più elevati,<br />

essi sono diventati <strong>il</strong> “venture capitalist” del mondo. Essi dunque si indebitano<br />

sempre a breve nei confronti del mondo ma poi vanno a finanziare gli investimenti<br />

esteri diretti (I.E.D) nelle nuove economie emergenti proprio come una normale<br />

banca d'affari. Analizzando la b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti degli Stati Uniti (vedi tabella<br />

n. 11 in appendice) si può vedere come <strong>il</strong> flusso di IED in uscita dagli Stati Uniti<br />

in questi anni non sia mai diminuito nonostante <strong>il</strong> persistente deficit di conto<br />

corrente suggerirebbe che questi capitali dovrebbero essere impiegati per<br />

finanziarie la propria domanda interna di capitali.<br />

Chiusa la parentesi sul ruolo degli Stati Uniti, c'è da dire che <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> fino ad<br />

134


ora ha funzionato molto bene in quanto ha permesso ai paesi asiatici di potersi<br />

sv<strong>il</strong>uppare in maniera esponenziale e a agli Stati Uniti di poter ammorbidire <strong>il</strong><br />

proprio vincolo di b<strong>il</strong>ancio esterno e finanziare una parte consistente <strong>della</strong> propria<br />

crescita tramite <strong>il</strong> ricorso al debito, sia da parte delle famiglie sia da parte<br />

dell'amministrazione statale.<br />

Ammettendo che la situazione non sia ovviamente prorogab<strong>il</strong>e all'infinito, i<br />

sostenitori <strong>della</strong> tesi secondo la quale <strong>il</strong> deficit di conto corrente statunitense è una<br />

risposta endogena ad uno shock esogeno affermano che tali squ<strong>il</strong>ibri si<br />

riaggiusteranno automaticamente e senza traumi negli anni a venire. Tali<br />

esponenti, che potremmo definire “gli ottimisti” in virtù delle loro posizioni<br />

conc<strong>il</strong>ianti verso tale scenario, prevedono dunque che ad un certo punto in Cina<br />

l'inevitab<strong>il</strong>e aumento dei salari porterà ad un incremento dei prezzi dei beni<br />

prodotti. Questo fatto, coniugato con le possib<strong>il</strong>e pressioni inflative dovute alla<br />

grandi quantità di circolante immessa sul mercato in questi anni, farà sì che le<br />

merci cinesi diventeranno meno competitive sui mercati internazionali riducendo<br />

lentamente la posizione di surplus nei confronti dell'estero. Gli Stati Uniti<br />

diminuiranno le importazioni dalla Cina mentre la Cina aumenterà i propri<br />

consumi interni. Questi due fatti uniti riequ<strong>il</strong>ibreranno i conti con l'estero di<br />

entrambi i paesi senza dover passare per aggiustamenti repentini e brutali dei conti<br />

con l'estero o dei tassi di cambio.<br />

135


IV.3.2) la posizione dei pessimisti.<br />

Una parte del mondo economico si sta però preoccupando che questo scenario non<br />

solo non sia sostenib<strong>il</strong>e nel lungo periodo ma che esso possa portare ad un<br />

aggiustamento repentino in seguito al verificarsi di un non meglio precisato shock<br />

esterno. Roubini e Setser (2004 e 2005), Obstfeld e Rogoff (2006), Alessandrini e<br />

Fratianni (2008) in una serie di influenti paper hanno messo in guardia sui vari<br />

fattori di rischio insiti nel Pacific dollar standard che pongono una spada di<br />

Damocle sulla tenuta dell'intera struttura. Per quanto essi stessi ammettano che <strong>il</strong><br />

<strong>sistema</strong> vigente abbia garantito indubbiamente un certo grado di benessere a tutti i<br />

partecipanti coinvolti, essi sottolineano che i rischi e le frag<strong>il</strong>ità che stanno<br />

emergendo dovrebbero destare una preoccupazione decisamente maggiore, quanto<br />

meno tale almeno da giustificare un intervento regolatore.<br />

Paradossalmente <strong>il</strong> paese che si sta assumendo i rischi maggiori, pur essendo<br />

quello che ha tratto maggior beneficio dalla politica di cambio fisso, è la Cina.<br />

Due sono i principali problemi che le autorità cinesi si dovranno trovare ad<br />

affrontare nel prossimo futuro: l' aumento incontrollato dell'inflazione dovuto<br />

all'aumento <strong>della</strong> base monetaria in circolazione e le perdite in conto capitale che<br />

<strong>il</strong> paese potrebbe subire sulle sue riserve in dollari in caso di un pesante<br />

deprezzamento di quest'ultimo.<br />

Il primo problema è strettamente legato alla politica di cambio fisso<br />

136


implementata dalle autorità monetarie di Pechino. Per mantenere <strong>il</strong> tasso di<br />

cambio prefissato la People's Bank of China deve essere pronta ad acquistare con<br />

operazioni di mercato aperto tutti i dollari in eccesso sul mercato per prevenirne <strong>il</strong><br />

deprezzamento nei confronti del renmimbi. Per far ciò però l'istituto centrale<br />

cinese immette sul mercato valuta locale andando così ad aumentare la base<br />

monetaria e, secondo la teoria quantitativa <strong>della</strong> moneta, le aspettative di<br />

inflazione futura.<br />

Per contrastare questa creazione incontrollata di base monetaria le autorità<br />

centrali hanno applicato per lo più delle strategie indirette in modo da non<br />

penalizzare lo strepitoso boom economico in atto nel paese: da una parte esse<br />

hanno provveduto ad implementare operazioni di ster<strong>il</strong>izzazione <strong>della</strong> base<br />

monetaria domestica, immettendo titoli domestici sul mercato e ritirando valuta<br />

nazionale. Questa operazione non riesce però a controb<strong>il</strong>anciare totalmente la<br />

quantità di renminbi immessa in circolazione. Roubini (2005) calcola che<br />

solamente un 50% dell'incremento di base monetaria dovuta alle politiche di tasso<br />

di cambio fisso viene poi ster<strong>il</strong>izzata dalla banca centrale cinese.<br />

Contemporaneamente per prevenire questa espansione monetaria si sta agendo<br />

anche sul moltiplicatore <strong>monetario</strong> con incrementi dei tassi di sconto <strong>della</strong> banca<br />

centrale e del coefficiente di riserva obbligatoria ma anche ut<strong>il</strong>izzando misure più<br />

draconiane come <strong>il</strong> massimale sugli impieghi e sul credito che le banche possono<br />

137


concedere a propri clienti con <strong>il</strong> fine di limitare l'immissione di credito nel <strong>sistema</strong><br />

e cap<strong>il</strong>lari controlli sui capitali, soprattutto in entrata. La crisi dei mutui sub-prime<br />

di fine 2008 ha di fatto ridimensionato queste operazioni anche se è di pochi<br />

giorni fa la notizia che la People's Bank of China è sul punto di riprendere<br />

politiche monetarie restrittive 32 a partire dal Gennaio 2010.<br />

Il secondo problema è probab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> vero punto debole del <strong>sistema</strong> che lo<br />

può rendere potenzialmente instab<strong>il</strong>e sotto molti punti di vista. La già ampiamente<br />

descritta politica di cambio fisso ha permesso alla Cina di accumulare sino ad ora<br />

un qualcosa come ottocento m<strong>il</strong>iardi di riserve in dollari (vedi tabella IV.2.2).<br />

Questo accumulo di riserve in dollari espone la Cina a possib<strong>il</strong>i ed ingenti perdite<br />

in conto capitale legate ad un possib<strong>il</strong>e deprezzamento del dollaro.<br />

Obstfeld e Rogoff (2006) ipotizzano che se <strong>il</strong> deficit di conto corrente<br />

statunitense dovesse improvvisamente riassorbirsi, per una qualche causa esterna<br />

non meglio precisata, la svalutazione del dollaro nei confronti delle principali<br />

valute potrebbe aggirarsi, a seconda degli scenari, per un valore che si aggira<br />

intorno al 30%. Il d<strong>il</strong>emma a cui si trovano di fronte le autorità del paese asiatico,<br />

se continuare o meno <strong>il</strong> proprio sostegno al dollaro, è a questo punto evidente.<br />

La stab<strong>il</strong>ità del dollaro dipende in definitiva dalla volontà dei cinesi di<br />

continuare a finanziare <strong>il</strong> deficit di partite correnti statunitense. Ma più <strong>il</strong> paese<br />

32 Vedi www.m<strong>il</strong>anofinanza.it del 12/01/10.<br />

138


finanzia questo disavanzo e più <strong>il</strong> suo stock di riserve valutarie in dollari<br />

incrementa e più esso si espone ad un rischio di consistenti perdite in conto<br />

capitale nel momento in cui decidesse di fermare o comunque ridimensionare <strong>il</strong><br />

flusso di capitali verso gli Stati Uniti.<br />

La posizione delle autorità cinesi non è dunque fac<strong>il</strong>e. Perseguire nella politica<br />

di cambio fisso e sottovalutato implica dei costi, sia in termini di inflazione attesa<br />

che di perdite in conto capitale, decisamente ingenti. D'altro canto l'abbandono del<br />

peg renmimbi-dollaro comporterebbe una istantanea rivalutazione <strong>della</strong> moneta<br />

cinese sui mercati e la perdita di competitività <strong>internazionale</strong> delle merci cinesi<br />

con pesanti ricadute sul tasso di occupazione interno.<br />

Obstfeld (2006) suggerisce che una graduale rivalutazione <strong>della</strong> divisa cinese<br />

avrebbe un impatto limitato sulla competitività delle sue esportazioni. L'autore fa<br />

riferimento in questo caso alle continue rivalutazioni del marco da parte <strong>della</strong><br />

Germania Ovest nel <strong>sistema</strong> di Bretton Woods. Tali rivalutazioni non hanno infatti<br />

minato la competitività delle merci tedesche consentendo al paese di mantenere un<br />

ingente surplus di b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti anche dopo aver ripetutamente rivalutato<br />

<strong>il</strong> marco (Bordo 1992). Che la Cina prima o poi dovrà in qualche modo rivedere la<br />

sua politica di cambio fisso è sotto gli occhi di tutti. Quando ed in che misura non<br />

ci è però dato saperlo e anche sugli effetti, anche solamente di tipo psicologico,<br />

che avrà l'immissione di una tale quantità di riserve in dollari sui mercati, non<br />

139


possiamo che fare supposizioni.<br />

Dal canto loro anche gli Stati Uniti si stanno esponendo a considerevoli rischi<br />

anche se di natura diversa da quelli <strong>della</strong> loro controparte asiatica. Il<br />

finanziamento del debito estero da parte <strong>della</strong> Cina ha permesso agli Stati Uniti di<br />

consumare ed investire per una quantità maggiore di quello che <strong>il</strong> loro basso<br />

risparmio nazionale concederebbe. Inoltre <strong>il</strong> continuo supporto all'offerta da parte<br />

degli istituti centrali asiatici ai titoli americani ha permesso di mantenere i tassi di<br />

quest'ultimi a livelli incredib<strong>il</strong>mente bassi. Tale intervento può essere considerato<br />

a tutti gli effetti come un intervento distorsivo nella corretta allocazione tra<br />

risparmio ed investimento e tra quali settori economici ripartire questi ultimi<br />

(Roubini 2005).<br />

Se i bassi tassi d'interesse intuitivamente hanno fac<strong>il</strong>itato i consumi a discapito<br />

del risparmio delle famiglie americane, creando i presupposti per una corsa<br />

all'indebitamento selvaggio, più sott<strong>il</strong>e è <strong>il</strong> meccanismo che si annida nella scelta<br />

di collocare gli investimenti in un settore piuttosto che in un altro.<br />

I bassi tassi d'interesse hanno certamente favorito lo sv<strong>il</strong>uppo di quei settori<br />

come ad esempio quello dei settori dei beni non tradable, come ad esempio<br />

l'ed<strong>il</strong>izia, a discapito dei beni commerciati internazionalmente, i cosiddetti<br />

tradable. Questo fatto, coniugato alla grande concorrenza <strong>internazionale</strong> delle<br />

merci a basso costo asiatiche, ha fatto si l'industria manifatturiera americana sia<br />

140


stata pesantemente ridimensionata dal <strong>sistema</strong> del Pacific dollar standard<br />

(Obstfeld e Rogoff 2006). Un eventuale aggiustamento del deficit di conto<br />

corrente americano sarà tanto più fac<strong>il</strong>e da fronteggiare quanto l'economia<br />

americana sarà in grado di sostituire i beni importati dall'estero con quelli prodotti<br />

tra le mura domestiche. Se questa capacità come abbiamo visto negli anni è<br />

venuta meno, l'aggiustamento dovrà per forza di cose prevedere una diminuzione<br />

più marcata dei consumi interni ed un aumento molto forte del prezzo dei beni<br />

d'importazione in seguito ad un deprezzamento del dollaro.<br />

Bisogna inoltre considerare però un altro fatto che può sembrare paradossale.<br />

Quando <strong>il</strong> dollaro perde terreno nei confronti delle altre valute (vedi figura 4),<br />

oltre che far guadagnare competitività alle merci prodotte sul suolo americano, si<br />

assiste anche al miglioramento <strong>della</strong> posizione netta sull'estero (vedi tabella n. 13<br />

A, quinta colonna da sinistra). Questo fatto curioso avviene perché lo status di<br />

valuta <strong>internazionale</strong> del dollaro permette agli Stati Uniti di emettere le passività<br />

nella propria valuta e di detenere attività sull'estero nelle valute locali. Ciò<br />

consente agli Stati Uniti di essere l'unico paese che migliora la sua posizione netta<br />

sull'estero, che comunque rimane ancora ampiamente negativa (vedi tabella n 11),<br />

quando la propria moneta si deprezza. Questo ulteriore spunto ci fa capire come<br />

gli Stati Uniti siano ben poco interessati ad una repentina riforma di un <strong>sistema</strong><br />

<strong>monetario</strong> che tolga loro la possib<strong>il</strong>ità di emettere valuta di riserva <strong>internazionale</strong>.<br />

141


Un ulteriore elemento di preoccupazione per gli Stati Uniti può essere<br />

rappresentato dalla diminuzione <strong>della</strong> scadenza media del proprio debito (Roubini<br />

2005 e vedi tabella 14). La maturity media è passata dai 68 mesi del 1990 ai 49<br />

del 2008 esponendo <strong>il</strong> paese al rischio di doversi rifinanziare più spesso che in<br />

passato ed a tassi decisamente superiori. Il rischio è così sentito che nel bollettino<br />

redatto trimestralmente dal ministero del Tesoro del 4 Novembre 2009 33 viene<br />

esplicitamente menzionata l'opportunità di approntare politiche atte ad innalzare la<br />

scadenza media del debito americano. Questi dati si riferiscono però alla totalità<br />

del debito americano ma sarebbe interessante analizzare la scadenza del debito<br />

nelle mani degli investitori stranieri per vedere se le scadenze diminuiscono<br />

ancora di più.<br />

Un altro elemento di criticità del Pacific dollar standard che può toccare gli<br />

Stati Uniti è di natura più politica che economica. Infatti, nonostante i potenziali<br />

rischi a cui si sta esponendo, i circa ottocento m<strong>il</strong>iardi di dollari di riserve in<br />

dollari sono una formidab<strong>il</strong>e arma di ricatto che la Cina può esibire in qualsiasi<br />

momento nei confronti degli Stati Uniti. La minaccia, anche solo velata, di<br />

smettere di finanziare <strong>il</strong> deficit di conto corrente americano è uno spauracchio che<br />

obbliga l'amministrazione americana a muoversi con prudenza ogni qual volta si<br />

deve esporre su argomenti spinosi per le autorità cinesi. Dalla questione del Tibet<br />

33 http://www.treas.gov/press/releases/tg348.htm<br />

142


a quella di Taiwan, dalle minaccia nucleare Nord Coreana al tema dei diritti civ<strong>il</strong>i<br />

passando per la possib<strong>il</strong>e rivalutazione del renmimbi, ogni volta la diplomazia<br />

americana deve ricordarsi dell' ingente quantità di Treasury b<strong>il</strong>ls nelle casse di<br />

Pechino. Un primo esempio di come l'opinione cinese a Washington cominci a<br />

pesare ed anche molto si è avuto al momento del salvataggio da parte del Tesoro<br />

americano dei due colossi erogatori di mutui Freddie Mac e Fannie Mae in cui i<br />

vari fondi sovrani cinesi avevano investito una quota considerevole 34 . Una<br />

telefonata del presidente Hu Jintao deve aver ricordato gli interessi cinesi sul<br />

suolo americano dando <strong>il</strong> là ad una delle più massicce e cospicue operazioni di<br />

salvataggio del 2008.<br />

Quest'ultimo caso ci porta a parlare anche del ruolo e <strong>della</strong> preoccupazione che<br />

i cosiddetti fondi sovrani stanno suscitando negli Stati Uniti. Stanchi di investire<br />

solamente in titoli di stato, molti paesi detentori di riserve in dollari stanno<br />

creando questi fondi d'investimento (Vedi tabella IV.3.3) per diversificare la<br />

propria gamma di investimenti, puntando ad acquisire partecipazioni in società<br />

quotate, le quali possano garantire un rendimento maggiore rispetto al semplice<br />

Buono del tesoro. Il timore è che questi fondi possano entrare nei consigli di<br />

amministrazione di molte imprese considerate strategiche per gli Stati Uniti.<br />

34 C'è chi parla di una valore dell'investimento pari al 10% del prodotto interno lordo cinese.<br />

Purtroppo questo valore proviene dal web e non da una fonte ufficiale. Altre fonti<br />

(www.chinada<strong>il</strong>y.com) parlano addirittura di 1/5 del totale delle riserve cinesi in dollari<br />

investite nelle due banche in questione.<br />

143


Eclatante è stato <strong>il</strong> caso <strong>della</strong> sospensione da parte delle autorità americane<br />

dell'acquisizione da parte del fondo sovrano di Abu Dhabi <strong>della</strong> società che<br />

gestisce i porti sul territorio statunitense, la P&O 35 , adducendo come motivazione<br />

<strong>il</strong> mantenimento <strong>della</strong> sicurezza nazionale. Evidentemente negli Stati Uniti l'idea<br />

che in settori strategici per <strong>il</strong> paese, siedano amministratori delegati che possano<br />

rispondere direttamente a Hu Jintao o a Vladimir Putin piuttosto che a logiche<br />

prettamente di mercato, desta evidentemente più di una preoccupazione.<br />

Tabella IV.3.3: lista dei primi dieci fondi sovrani per capitalizzazione, fine<br />

2008.<br />

Paese Nome del fondo attività (m<strong>il</strong>iardi di $)<br />

Abu Dhabi Abhu Dhabi Investment Authority 875<br />

Arabia Saudita Governament Pension Fund 433<br />

Singapore Governament of Singapore investment corporation 330<br />

Norvegia Governament Pension Fund 301<br />

Kuwait kuwait Investment Authority 265<br />

Russia National Social Security Fund 225<br />

Russia National welfare Fund 93<br />

Cina China Investment Corporation 200<br />

Hong Kong Hong Kong Monetary Authority Investment Portfolio 173<br />

Singapore Temasek Holding 134<br />

Fonte:International Financial Service London (IFSL).<br />

C'è da dire che sino ad oggi nessun tracollo e nessuna fuga dal dollaro è stata<br />

messa in atto. Anzi, durante la crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti lo<br />

scorso anno, <strong>il</strong> dollaro si è rafforzato nei confronti di tutte le principali valute in<br />

particolar modo nei confronti dell'euro. Questo segnale è stato interpretato come<br />

35 Penisula & Oriental Steam Navigation company.<br />

144


la volontà da parte dei mercati di considerare le attività in dollari ancora come <strong>il</strong><br />

bene rifugio per eccellenza nonostante che negli Stati Uniti fioccassero fallimenti<br />

(Lehman brothers ed i già citati Freddie Mac e Fannie Mae i casi più eclatanti) e<br />

interventi statali a sostegno degli istituti di credito in difficoltà.<br />

Il fatto che fino ad ora non sia accaduto non ci assicura certo che in futuro uno<br />

shock esterno non meglio precisato possa dare <strong>il</strong> là ad una fuga dal dollaro.<br />

Magari, come abbiamo sottolineato, non di natura economica, ma un eventuale<br />

scontro di natura geo politica tra Cina e Stati Uniti per l'egemonia nel sud est<br />

asiatico.<br />

Il merito di questi accademici, al di là delle previsioni che per lo più si sono<br />

rivelate sbagliate 36 , è quello di focalizzare l'attenzione sulle possib<strong>il</strong>i e ingenti<br />

perdite che <strong>il</strong> disfacimento del Pacific dollar standar provocherebbe. Di fronte a<br />

tale minaccia ci sembra più indicata una politica di tipo costruttivo in grado<br />

dunque di gestire attivamente gli squ<strong>il</strong>ibri mondiali piuttosto che continuare a<br />

perseguire una politica di new benign neglect , la quale lascia la porta aperta ad<br />

una serie di punti interrogativi .<br />

Nel prossimo paragrafo riporteremo un'idea presentata da Alessandrini e<br />

Fratianni (2008) i quali propongono di riesumare la vecchia idea keynesiana<br />

36 Roubini nei suoi paper (2005 e 2006) affermava che c'era una seria possib<strong>il</strong>ità che <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> di<br />

Bretton Woods 2 sarebbe potuto crollare entro <strong>il</strong> 2008. All'inizio del 2010è sotto gli occhi di<br />

tutti che ciò non sia ancora avvenuto.<br />

145


(Keynes 1943) di cui abbiamo parlato nel capitolo 4 e di riadattarla al <strong>sistema</strong><br />

<strong>monetario</strong> moderno. L'idea è di per sé affascinante al punto che, come abbiamo<br />

già citato nell'introduzione, anche <strong>il</strong> governatore <strong>della</strong> People's Bank of China,<br />

Zhou Xiauchuan, ha lanciato la proposta di creare una valuta sovranazionale per<br />

gestire i pagamenti internazionali.<br />

IV.4) Dal piano Keynes al New international clearing union.<br />

Il progetto keynesiano può essere tranqu<strong>il</strong>lamente riproposto per ristrutturare e<br />

riformare <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> odierno ovviamente aggiornandolo con le<br />

caratteristiche di quello attuale.<br />

Innanzi tutto occorre partire da dove <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> di Bretton Woods aveva fallito<br />

ovvero nella mancanza di accordi vincolanti che regolino le azioni dei vari<br />

partecipanti al nuovo <strong>sistema</strong> <strong>internazionale</strong>. Il primo passo in direzione di una<br />

riforma convincente del <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> <strong>internazionale</strong> prevederebbe un<br />

accordo tra i tre paesi che di fatto dominano la scena valutaria. Mentre appare<br />

scontata la partecipazione a questo accordo da parte <strong>della</strong> FED e <strong>della</strong> BCE<br />

altrettanto non si può dire di un eventuale sottoscrizione da parte <strong>della</strong> Cina. Molti<br />

sono gli scettici in tal senso i quali affermano che la Cina non sia ancora pronta<br />

per un ruolo così importante sul piano <strong>internazionale</strong>. Ribattiamo dicendo che è<br />

ormai tempo che tutti prendano atto che la Cina diverrà, se già non lo è, una delle<br />

146


economie leader del prossimo futuro, e che non è più pensab<strong>il</strong>e di poterla<br />

escludere da decisioni di portata planetaria. Anzi probab<strong>il</strong>mente sarebbe<br />

opportuno, come sottolineeremo in seguito, ampliare questo accordo anche ad<br />

altre economie emergenti, Russia e Bras<strong>il</strong>e in testa, ed hai paesi esportatori di<br />

prodotti petroliferi. La quantità di riserve ufficiali accumulate da tali paesi è tale e<br />

tanta che qualsiasi tentativo di riformare <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> e di stab<strong>il</strong>izzarlo senza <strong>il</strong> loro<br />

consenso e approvazione appare pura utopia.<br />

Il passo successivo da parte delle banche centrali sarebbe quello di cedere parte<br />

dei propri attivi domestici presso <strong>il</strong> conto del NICU e ricevere in cambio una<br />

quantità prestab<strong>il</strong>ita <strong>della</strong> nuova moneta sovranazionale (SBM). Naturalmente per<br />

poter far ciò esse devono perseguire nel medio-lungo termine un tasso d'inflazione<br />

non dissim<strong>il</strong>e (e di conseguenza anche tassi d'interesse). Analiticamente<br />

l'operazione si potrebbe riassumere nella seguente maniera.<br />

SMB j =S j / dcmq dcs j / scmq sc<br />

dove S j / i rappresenta la quantità di valuta j per una unità di valuta i<br />

(incerto/certo), q dc = D dc , q sc = D sc ovvero che la quantità dei depositi<br />

presso <strong>il</strong> NICU è una frazione di quelli domestici. Con la sigla sc indicheremo<br />

tutti i surplus country, di cui ovviamente la Cina è ovviamente l'esponente di<br />

spicco, mentre con la sigla dc rappresenta tutti i deficit country, di cui gli Stati<br />

147


Uniti rappresentano l'85% (vedi tabella n 1).<br />

Supponiamo ora che le poste in b<strong>il</strong>ancio del NICU siano per comodità espresse<br />

in dollari. Avremo dunque<br />

S<br />

DusS $/ odcm DodcS $/ scm Dscm=q usS $ / odcm qodcS $/ scmq sc=SMS $<br />

la quale rappresenta l'offerta di SBM in dollari statunitensi. La sigla odc sta a<br />

rappresentare gli other deficit country.<br />

La creazione di SBM non altera dunque la quantità di base monetaria presente<br />

nel <strong>sistema</strong> ma modifica semplicemente la composizioni degli attivi esteri delle<br />

varie banche centrali introducendo la SBM. Ad esempio la base monetaria <strong>della</strong><br />

Federal Reserve dopo lo “swap” con <strong>il</strong> NICU diverrà<br />

B us =1− D us Ru us SMB us<br />

con<br />

D us =SMB us<br />

dove appunto SBM us rappresenta la quantità di valuta sovranazionale ottenuta<br />

dalla Federal Reserve consegnando D us dei suoi attivi domestici.<br />

Vediamo ora come doverebbe funzionare l' aggiustamento degli Stati Uniti<br />

tramite <strong>il</strong> NICU. Sotto <strong>il</strong> regime del NICU le banche centrali dei paesi in surplus,<br />

nel nostro caso la People's Bank of China, hanno la facoltà, secondo gli accordi<br />

stipulati, di chiedere <strong>il</strong> regolamento in SBM. La base monetaria degli Stati Uniti si<br />

148<br />

.


modificherà dunque di conseguenza<br />

B us =1− D us Ru us 1− SMB us<br />

dove rappresenta <strong>il</strong> valore <strong>monetario</strong> del deficit americano nei confronti dei<br />

paesi in surplus. Questa ultima espressione ci dice che la quantità di valuta sovra<br />

nazionale detenuta dagli Stati Uniti diminuirà di un ammontare <strong>monetario</strong> pari al<br />

suo deficit di conto corrente.<br />

Come si vede la quantità di base monetaria nel <strong>sistema</strong> rimane inalterata e la<br />

posizione <strong>della</strong> clearing house <strong>internazionale</strong> perfettamente coperta.<br />

NICU S =SBM us − SBM us SBM odc SBM c SBM us SBM osc .<br />

Alla fine del processo, secondo le regole del gioco e in assenza di ster<strong>il</strong>izzazione,<br />

la base monetaria del paese in surplus si espande, quella americana si contrae ed <strong>il</strong><br />

NICU si trova perfettamente coperto e non esposto a rischi di cambio. Il fardello<br />

dell'aggiustamento viene equamente diviso tra paesi in surplus e quelli in deficit.<br />

Assumiamo ora che 1 ovvero che la dotazione di SBM degli Stati Uniti<br />

sia inadeguata per far fronte alla richiesta <strong>della</strong> controparte in surplus. Il NICU<br />

provvederà a concedere un prestito temporaneo (OD) agli Usa dell'importo pari a<br />

1− SBM us =OD us<br />

Solo in codesto caso avremo che la camera di compensazione altererà la sua base<br />

monetaria, ampliandola. Le poste di b<strong>il</strong>ancio <strong>della</strong> Federal Reserve diverranno<br />

149


B us =1− D us Ru us OD us .<br />

Nelle poste del NICU invece avremo <strong>il</strong> temporaneo aumento esogeno di base<br />

monetaria.<br />

NICU A = D odc D c D osc= SBM odc SBM c SBM osc OD us= NICU P<br />

dove chiaramente i prestiti del NICU saranno offerti a tassi progressivamente<br />

svantaggiosi e con un limite di quantità stab<strong>il</strong>ito in precedenza di modo che<br />

nessun paese possa indebitarsi per più di quello che le è consentito dall'accordo.<br />

Questa temporanea espansione <strong>della</strong> base monetaria <strong>internazionale</strong> deve<br />

permettere al paese di attuare le giuste politiche di rientro con elasticità. Nel lungo<br />

termine se nel <strong>sistema</strong> prevale l'inflazione sarà <strong>il</strong> paese in deficit a dover<br />

sopportare <strong>il</strong> pese dell'aggiustamento, riducendo la base monetaria ed innalzando i<br />

tassi d'interesse. Se prevale la disoccupazione dovrà essere <strong>il</strong> paese in surplus ad<br />

usare le proprie riserve per innalzare la crescita globale.<br />

150


CONCLUSIONI<br />

Non sono state presentate le conclusioni per la parte econometrica riguardante <strong>il</strong><br />

Pacific dollar standard a causa <strong>della</strong> scarsa significatività dei risultati ottenuti da<br />

quest'ultima. Le analisi eseguite mostrano come non vi sia una significativa<br />

presenza di cointegrazione tra i tassi d'interesse dei vari paesi nel periodo che va<br />

dal 1995 al 2008 37 . Alla luce dei risultati deboli ottenuti per <strong>il</strong> periodo 1960- 1971,<br />

periodo in cui ricordiamo che <strong>il</strong> dollaro era la valuta cardine del <strong>sistema</strong> per<br />

statuto, la mancanza di robustezza per la cointegrazione dei tassi nel secondo lasso<br />

di tempo non deve certo stupire. Probab<strong>il</strong>mente la cointegrazione non è lo<br />

strumento più adatto per verificare la dominanza di una valuta sulle altre. Ciò non<br />

significa che non possiamo trarre nessuna conclusione interessante dal confronto<br />

con i sistemi monetari delle varie epoche.<br />

Tutti i dati raccolti suggeriscono come <strong>il</strong> gold standard classico possa essere<br />

considerato un <strong>sistema</strong> molto più decentrato se paragonato ai sistemi monetari che<br />

si sono poi susseguiti nei periodi successivi. Dalla tabella 15 emerge come la<br />

quantità di sterline detenute a riserva alla fine del 1913 rappresenti una quota<br />

decisamente inferiore di quelle contab<strong>il</strong>izzate in dollari e si può anche notare<br />

come la differenza esistente tra la sterlina con <strong>il</strong> marco tedesco ed <strong>il</strong> franco<br />

37 Come già detto in precedenza <strong>il</strong> 1995 è l'anno in cui le autorità monetarie cinesi svalutano <strong>il</strong><br />

renmimbi e decidono di agganciarlo al dollaro ad un tasso di 1$=7R circa dando <strong>il</strong> via a tutto <strong>il</strong><br />

<strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong> di cui abbiamo abbondantemente argomentato.<br />

151


francese nel 1913 fosse decisamente inferiore rispetto a quella esistente tra <strong>il</strong><br />

dollaro e qualsiasi altra valuta nel <strong>sistema</strong> di Bretton Woods. C'è da dire che<br />

probab<strong>il</strong>mente se fossero disponib<strong>il</strong>i statistiche affidab<strong>il</strong>i sulle valute detenute a<br />

riserva dagli investitori privati dell'epoca, probab<strong>il</strong>mente la posizione <strong>della</strong><br />

sterlina ne risulterebbe decisamente rivalutata e più in linea con una visione del<br />

gold standard piramidale.<br />

Dal canto suo <strong>il</strong> dollaro, almeno per quanto riguarda le riserve detenute<br />

(sempre tabella 15), risulta essere la valuta dominante sia nel periodo di Bretton<br />

Woods, <strong>il</strong> che è in una certa qual misura prevedib<strong>il</strong>e si se considera, come<br />

abbiamo detto, che <strong>il</strong> dollaro era l'unica valuta convertib<strong>il</strong>e con l'oro, sia anche in<br />

seguito al crollo del regime a cambi fissi. La cosa sorprendente è che <strong>il</strong> dollaro<br />

non solo è sopravvissuto, ma per un certo periodo ha rafforzato addirittura la sua<br />

posizione : nel 1977 <strong>il</strong> dollaro rappresentava circa 80% delle riserve valutarie<br />

contro un 56% per cento del 1965. Ad oggi <strong>il</strong> dollaro rappresenta circa <strong>il</strong> 64%<br />

delle riserve delle banche centrali e risulta, quindi, essere la valuta più scambiata<br />

sul mercato dei cambi (vedi tabella I.3.1) e quella più usata per la fatturazione da<br />

parte delle aziende (Golberg e T<strong>il</strong>le tavole 1 e 2). Solo per quanto riguarda<br />

l'emissione di nuovi assets l'euro ha superato <strong>il</strong> dollaro come principale valuta<br />

( vedi tabella I.3.2). Da quello che emerge dai dati, dunque, si può affermare che<br />

<strong>il</strong> dollaro abbia assunto <strong>il</strong> ruolo di valuta di riserva in una maniera molto più<br />

152


accentrata rispetto alla sterlina di fine XIX secolo.<br />

Anche le statistiche descrittive dei tassi d'interesse sui titoli a lungo termine<br />

(vedi tabella 17) conferma come sia la Gran Bretagna del XIX secolo sia gli Stati<br />

Uniti durante <strong>il</strong> periodo di Bretton Woods abbiano potuto godere di tassi<br />

d'interesse a lungo termine inferiori rispetto a quelli degli altri paesi, confermando<br />

dunque uno degli elementi caratteristici <strong>della</strong> dominanza delle rispettive valute. La<br />

stessa cosa non si può dire per <strong>il</strong> periodo 1995-2008 38 . I tassi d'interesse americani<br />

risultano essere in media più alti, seppur di poco, dei corrispettivi di Francia e<br />

Germania<br />

I test econometrici di cointegrazione per <strong>il</strong> periodo 1960-1971 non aggiungono<br />

elementi significativi al dibattito eccezion fatta per <strong>il</strong> test di Granger-causalità<br />

ut<strong>il</strong>izzando un VAR cointegrato. La bassa potenza di questo tipo di analisi<br />

suggerisce di prendere con molta cautela i risultati da esso ottenuti.<br />

Il vero elemento di differenziazione che emerge tra i tre periodi in questione è<br />

però un altro. La Gran Bretagna, per tutto <strong>il</strong> lasso di tempo che la sterlina è stata la<br />

valuta di riferimento del <strong>sistema</strong>, era un paese con una enorme capacità di<br />

generare un consistente surplus di partite correnti (vedi figura n 2). Ciò le<br />

permetteva di accumulare una ingente quantità di riserve auree (vedi tabella II.4.1)<br />

anche se non al livello di Germania e, soprattutto, Francia. Nel periodo tra le due<br />

38 La data del 1995 non è casuale ma coincide con l'inizio <strong>della</strong> politica di cambio fisso<br />

Renmimbi/dollaro di cui si è discusso ampiamente nel capitolo IV.<br />

153


guerre mondiali la posizione sull'estero britannica iniziò a declinare (vedi tabella<br />

2) diventando negativa nel 1931. E' in questo periodo che di fatto inizia la<br />

transizione con <strong>il</strong> dollaro che, lentamente ma inesorab<strong>il</strong>mente, si approprierà dello<br />

scettro di valuta di riserva <strong>internazionale</strong>. Gli Stati Uniti del periodo 1960-1971<br />

risultano anch'essi un paese con un lieve surplus di partite correnti (vedi figura n<br />

3) ma con una b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti negativa già a partire dal 1958 (Bordo<br />

1992). Tramite questo deficit <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti, gli Stati Uniti<br />

fornivano la liquidità necessaria al funzionamento del <strong>sistema</strong>. Così facendo però<br />

perdevano credib<strong>il</strong>ità come debitore affidab<strong>il</strong>e nei confronti del mondo. E' questo<br />

<strong>il</strong> già ampiamente citato paradosso di Triffin (Triffin 1960). Un solo anno di<br />

deficit di partite correnti, <strong>il</strong> 1971, fa saltare <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> a cambi fissi.<br />

Il dollaro è sopravvissuto alla fine di Bretton Woods ma lo scenario attuale è<br />

veramente un caso unico nella storia. Il paese leader del <strong>sistema</strong>, gli Stati Uniti, è<br />

anche un debitore netto con l'estero presentando un saldo di partite correnti<br />

decisamente negativo (vedi tabella 11 e figura 3), sia in termini assoluti che<br />

rapportato al PIL, e una posizione netta sull'estero altrettanto deficitaria (figura<br />

12). Nonostante ciò, <strong>il</strong> ruolo del dollaro negli ultimi anni non è certo uscito<br />

ridimensionato (tabella 15), e questo perché <strong>il</strong> finanziamento del debito estero<br />

statunitense (vedi figura n 6) è passato principalmente attraverso le banche<br />

centrali di alcuni paesi asiatici, dei quali senza dubbio la Cina è l'esponente più di<br />

154


spicco. Questi hanno tra i loro obbiettivi principali quello di mantenere un tasso di<br />

cambio fisso, e nella maggior parte dei casi decisamente sottovalutato, tra le loro<br />

valute ed <strong>il</strong> dollaro americano.<br />

Emerge dunque la vera differenza tra <strong>il</strong> Pacific dollar standard e tutti i suoi<br />

predecessori: là dove i sistemi monetari in passato, sia <strong>il</strong> gold standard che<br />

Bretton Woods, erano stati concepiti per preservare la stab<strong>il</strong>ità delle valute e dei<br />

prezzi e favorire dunque <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e i commerci internazionali, al contrario<br />

oggi ve ne è uno che, adottato un<strong>il</strong>ateralmente senza alcun accordo di tipo<br />

<strong>internazionale</strong> a ratificarne la validità, è l'effetto di una politica di cambio fisso<br />

renmimbi/dollaro studiata per avvantaggiare sensib<strong>il</strong>mente le esportazioni cinesi<br />

ed in generale del Sud Est asiatico.<br />

Il <strong>sistema</strong> in questione, che pure ha servito egregiamente le finalità di quei<br />

paesi i quali hanno conosciuto uno sv<strong>il</strong>uppo senza precedenti, ha però posto seri<br />

interrogativi sul futuro del <strong>sistema</strong> <strong>monetario</strong>: dalle potenziali perdite dei paesi<br />

detentori di riserve in dollari connessi ad una svalutazione del biglietto verde per<br />

riequ<strong>il</strong>ibrare i conti con l'estero, passando per l'incontrollato aumento <strong>della</strong> massa<br />

monetaria, <strong>il</strong> Pacific dollar standard sembra essere dunque un <strong>sistema</strong><br />

profondamente instab<strong>il</strong>e.<br />

Anche se lo scenario di una fuga precipitosa dal dollaro sembra piuttosto<br />

remoto, la portata degli eventuali aggiustamenti, suggerirebbe di adottare una<br />

155


strategia pro attiva in grado quanto meno di garantire un graduale riassorbimento<br />

degli squ<strong>il</strong>ibri nei conti con l'estero attuali.<br />

Ecco perché la proposta di creare una moneta sovranazionale sull'idea del<br />

bancor keynesiano sta riscuotendo diversi favori tra gli addetti ai lavori. Essa<br />

rappresenta infatti una soluzione fattib<strong>il</strong>e per evitare futuri squ<strong>il</strong>ibri troppo elevati<br />

nei conti con l'estero di un paese anche se questo è <strong>il</strong> leader del <strong>sistema</strong>.<br />

156


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166


APPENDICE<br />

Appendice al capitolo III: <strong>il</strong> piano Keynes e la creazione dell'ICU.<br />

Come abbiamo detto ampiamente nel capitolo III, Keynes aveva capito prima di<br />

molti altri economisti suoi contemporanei come <strong>il</strong> fardello dell'aggiustamento in<br />

un <strong>sistema</strong> a cambi fissi si distribuisca in maniera asimmetrica tra paesi in surplus<br />

e quelli in deficit. I paesi in deficit si espongono infatti al rischio di subire attacchi<br />

speculative nel caso in cui <strong>il</strong> livello di deficit con l'estero raggiunga livelli<br />

insostenib<strong>il</strong>i.<br />

L'idea di fondo di come strutturare <strong>il</strong> SMI si basa appunto sul presupposto che<br />

questa possib<strong>il</strong>ità di indebitamento incontrollato sia preclusa a qualsiasi<br />

partecipante al <strong>sistema</strong>, anche al paese che fino a quel momento ha emesso valuta<br />

di riserva <strong>internazionale</strong>, mediante l'introduzione di una moneta sovranazionale<br />

tramite la quale regolare le transazioni tra paesi. Sempre secondo Keynes, la<br />

gestione di questa moneta sovranazionale viene portata avanti da una<br />

international clearing house (ICU) <strong>il</strong> cui compito risultava essere quello di<br />

raccogliere i depositi in oro delle varie banche centrali e a fronte di questi<br />

emettere la valuta <strong>internazionale</strong>,chiamata dallo stesso Keynes, bancor, <strong>il</strong> cui<br />

valore sarebbe stato agganciato ad un tasso fisso, ma aggiustab<strong>il</strong>e, alle riserve<br />

auree depositate presso l'ICU.<br />

Altro compito <strong>della</strong> camera di compensazione sarebbe stato quello di emettere<br />

167


dei prestiti temporanei ai paesi in difficoltà con i deficit di b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti<br />

e permettere loro di rientrare gradualmente in una situazione di equ<strong>il</strong>ibrio.<br />

Le poste di b<strong>il</strong>ancio <strong>della</strong> i-esima banca centrale sarebbero state dunque così<br />

composte:<br />

attivi i =Bancor i Ru i D i =BM i OD i = passivi i<br />

dove per Ru i si intendono le riserve ufficiali in valuta estera, che insieme al<br />

bancor costituisce la componente estera degli attivi di una banca centrale mentre<br />

D i corrisponde appunto agli attivi domestici. Dal lato delle passività, BM i<br />

corrisponde alla base monetaria emessa e OD i rappresenta i prestiti ottenuti<br />

dal' ICU e che permettono di espandere temporaneamente la base monetaria del<br />

<strong>sistema</strong>.<br />

La quantità di bancor detenuta da un istituto centrale corrispondeva alla<br />

quantità di oro detenuto inizialmente presso la camera di compensazione. Nel<br />

<strong>sistema</strong> di Bretton Woods un paese in deficit (surplus) era obbligato a stab<strong>il</strong>izzare<br />

<strong>il</strong> proprio tasso di cambio rispetto al dollaro diminuendo (aumentando) le proprie<br />

riserve ufficiali nella valuta americana o in generale nella valuta eletta ancora del<br />

<strong>sistema</strong>. Nel <strong>sistema</strong> pensato da Keynes <strong>il</strong> paese, sia che sia in deficit o in surplus,<br />

poteva esercitare <strong>il</strong> diritto di regolare le proprie transazioni diminuendo o<br />

aumentando la propria posizione in bancor presso l' ICU. Il paese in deficit<br />

168


avrebbe visto un aumento delle proprie passività in bancor o una diminuzione dei<br />

propri attivi in quella valuta mentre <strong>il</strong> paese in surplus un aumento delle proprie<br />

attività o una diminuzione delle proprie passività sempre presso l' ICU. La<br />

caratteristica principale di questo <strong>sistema</strong> è che avrebbe agito simmetricamente tra<br />

i paesi in surplus e quelli in deficit, anche nei confronti del paese emittente la<br />

valuta di riserva <strong>internazionale</strong>.<br />

Un esempio in tal senso può essere chiarificatore: mettiamo caso che la<br />

Germania abbia un surplus commerciale nei confronti degli Stati uniti. Nel<br />

<strong>sistema</strong> di BW questo avrebbe comportato un regolamento di questo surplus da<br />

parte degli Usa usando dollari (la valuta <strong>internazionale</strong> del <strong>sistema</strong>) ed ad un<br />

accumulo da parte <strong>della</strong> Bundesbank di riserve ufficiali in dollari. La Germania<br />

non aveva nessun' altra alternativa valida a quella di accettare i dollari americani<br />

ancor quando le politiche economiche americane non fossero state coerenti con la<br />

salvaguardia del valore del dollaro.<br />

Nel <strong>sistema</strong> architettato da Keynes l'alternativa consisteva nell'uso del bancor.<br />

La Germania avrebbe potuto richiedere un pagamento in bancor agli Usa, con<br />

conseguente miglioramento <strong>della</strong> posizione tedesca presso l' ICU, seguito da un<br />

incremento <strong>della</strong> base monetaria mentre la posizione statunitense sarebbe<br />

peggiorata con conseguente diminuzione del circolante ed aumento dei propri<br />

tassi d'interesse. In tale <strong>sistema</strong>, gli Usa sono vincolati esternamente alla loro<br />

169


posizione in bancor senza poter abusare <strong>della</strong> loro posizione dominante. In questo<br />

scenario paesi in deficit e paesi in surplus condividevano lo stesso peso<br />

dell'aggiustamento. Naturalmente operazioni di ster<strong>il</strong>izzazione non potevano<br />

essere consentite.<br />

Keynes non era però contrario all'ut<strong>il</strong>izzo di processi di ster<strong>il</strong>izzazione purchè<br />

operassero nel breve periodo. Secondo Keynes gli obbiettivi macroeconomici<br />

interni, inflazione e disoccupazione, non dovevano mai essere subordinati a quelli<br />

esterni, come ad esempio <strong>il</strong> mantenimento del tasso di un cambio fisso. Nel lungo<br />

periodo l'aggiustamento doveva avvenire con modalità diverse a secondo che <strong>il</strong><br />

problema fosse l'inflazione oppure la disoccupazione. In caso di prevalenza<br />

mondiale <strong>della</strong> prima, <strong>il</strong> peso dell'aggiustamento doveva cadere sui paesi in<br />

deficit, i quali avrebbero dovuto diminuire la domanda interna e di conseguenza i<br />

prezzi mondiali. Nel caso in cui a prevalere fosse stata la disoccupazione<br />

sarebbero stati i paesi in surplus a dover supportare la domanda mondiale tramite<br />

una maggiore spesa.<br />

La partecipazioni dei paesi creditori all'aggiustamento è la più grande sfida del<br />

piano keynesiano. Secondo l'economista inglese bisognava convincere questi<br />

ultimi ad accettare bancor nel breve periodo ma non accumularli nel lungo. Come<br />

si è dimostrato negli anni un meccanismo che si basa solamente sulle “regole del<br />

gioco” non può essere un valido p<strong>il</strong>astro su cui regolare le scelte valutarie future.<br />

170


Appendice al capitolo IV: traccia di un possib<strong>il</strong>e modello dinamico per <strong>il</strong><br />

Pacific dollar standard.<br />

Qui di seguito daremo una traccia di un possib<strong>il</strong>e modello dinamico (Obstfeld e<br />

Rogoff 1996) in grado di sintetizzare matematicamente le possib<strong>il</strong>e relazioni del<br />

Pacific dollar standard.<br />

Come abbiamo detto in precedenza, la politica economica cinese è stata tutta<br />

indirizzata in questi anni nel cercare di favorire <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e le esportazioni nel<br />

tentativo di garantire un tasso di occupazione <strong>il</strong> più elevato possib<strong>il</strong>e. Lo<br />

strumento cardine di questa politica è stato <strong>il</strong> mantenere un tasso di cambio fisso e<br />

ampiamente sottovalutato con <strong>il</strong> dollaro statunitense. In termini formali la Cina<br />

cerca di massimizzare una funzione obbiettivo<br />

∞<br />

max V =∫ e<br />

t =0<br />

−rt U [Cat , Rut ]dt<br />

con<br />

U / Ca 0<br />

U / Ru 0<br />

dove Ca t rappresenta <strong>il</strong> saldo delle partite correnti e la nostra variab<strong>il</strong>e di<br />

controllo mentre Ru t rappresenta lo stock di riserve ufficiali accumulate e la<br />

−rt <br />

nostra variab<strong>il</strong>e di stato e e<br />

<strong>il</strong> fattore di sconto intertemporale.<br />

All'aumentare dell'attivo delle partite correnti aumenterà anche la funzione di<br />

171


ut<strong>il</strong>ità <strong>della</strong> Cina, mentre l'incremento dello stock di riserve ufficiali provocherà,<br />

in virtù delle politiche monetarie da effettuare in presenza di un cambio fisso, un<br />

aumento <strong>della</strong> base monetaria in circolazione e delle conseguenti aspettative di<br />

inflazione attesa ed inoltre acuisce la possib<strong>il</strong>ità di maggiori perdite future in<br />

conto capitale. La funzione di ut<strong>il</strong>ità sarà dunque correlata in maniera negativa nei<br />

confronti dell'aumento dello stock di riserve ufficiali.<br />

Chiaramente le partite correnti cinesi dipenderanno positivamente dal tasso di<br />

cambio: in caso di deprezzamento <strong>della</strong> valuta cinese ( ext R/$ ), le merci di<br />

questo paese saranno più competitive, le partite correnti miglioreranno<br />

( Ca t ) e con essa la relativa funzione di ut<strong>il</strong>ità.<br />

Ca t= f ex t R/ $ <br />

con<br />

Ca / ex R / $ 0 .<br />

Il tasso di cambio renmimbi/dollaro a sua volta sarà determinato dalla quantità di<br />

riserve ufficiali che la Cina deciderà eventualmente di immettere sul<br />

mercato.<br />

ext = f Rut Cina Dove 01<br />

con<br />

ex / Ru 0 .<br />

172


Quando =0 significa che la Cina non immette riserve ufficiali in dollari sul<br />

Forex, <strong>il</strong> che corrisponde grossomodo alla situazione attuale, <strong>il</strong> cambio rimane<br />

fisso mentre se ≠0 <strong>il</strong> tasso di cambio varierà per l'intervento delle autorità<br />

cinesi. È dunque la vera variab<strong>il</strong>e di politica economica che la Cina può<br />

manovrare: a seconda infatti di quante riserve essa decide di immettere sul<br />

mercato si stab<strong>il</strong>isce anche <strong>il</strong> valore delle partite correnti e la quantità di riserve da<br />

accumulare in futuro.<br />

Per quanto riguarda la quantità di riserve ufficiali accumulate, una b<strong>il</strong>ancia dei<br />

pagamenti in attivo conduce ad una posizione netta sull'estero positiva (la Cina è<br />

un creditore netto sull'estero)ed in definitiva ad un accumulo di riserve ufficiali.<br />

Dove<br />

˙<br />

Ru t=r Ru tCa t<br />

˙<br />

Ru rappresenta la variazione di riserve ufficiali al tempo t, r Ru t<br />

rappresenta lo stock di riserve al tempo t-1 più i relativi interessi mentre Ca t<br />

è <strong>il</strong> solito saldo delle partite correnti.<br />

Gli Usa a loro volta massimizzeranno una funzione di ut<strong>il</strong>ità che dipenderà<br />

principalmente dal livello dei loro consumi interni. I consumi interni<br />

dipenderanno in maniera negativa dalle partite correnti Usa: un maggiore<br />

indebitamento implicherà consumi maggiori e di conseguenza un' ut<strong>il</strong>ità più<br />

elevata. Gli Usa non hanno però alcun modo di intervenire sul tasso di cambio che<br />

viene determinato dalle esogenamente dalle autorità cinesi ma al tempo stesso<br />

173


possono stab<strong>il</strong>ire quanto consumare una volta fissato <strong>il</strong> tasso di cambio.<br />

da cui i consumi<br />

∞<br />

max V =∫ e<br />

t =0<br />

−rt U [C t , Pnt ]<br />

con<br />

U / C 0<br />

U / Pn 0<br />

C t = f Ca us ,t <br />

con<br />

C / Ca 0<br />

ovvero al peggiorare delle partite correnti statunitensi avremo un aumento dei<br />

consumi negli Stati Uniti e un successivo aumento <strong>della</strong> funzione di ut<strong>il</strong>ità.<br />

Viceversa la funzione sarà negativamente correlata con la posizione netta con<br />

l'estero degli Stati Uniti: al peggiorare <strong>della</strong> posizione netta sull'estero aumenterà<br />

<strong>il</strong> rischio di una possib<strong>il</strong>e insolvenza, i tassi d'interesse americani<br />

conseguentemente saliranno penalizzando investimenti e consumi ed in ultima<br />

istanza peggiorerà anche l'ut<strong>il</strong>ità americana.<br />

Come abbiamo visto <strong>il</strong> meccanismo penalizzante per <strong>il</strong> paese leader scatta<br />

solamente dopo aver raggiunto un certo livello negativo di indebitamento con l'<br />

174


estero Pn critico , un valore incognito non meglio precisato. La funzione<br />

obbiettivo americana può essere così riscritta<br />

V =[<br />

∞<br />

∫<br />

t = 0<br />

∞<br />

∫ U [C t] se Pn t Pncritico t = 0<br />

U [C t , Pn t] se Pn t Pncritico] Essendo la posizione netta sull'estero uguale all'incremento/ decremento di riserve<br />

ufficiali avremo che la legge di moto degli Stati Uniti sarà uguale all'opposto di<br />

quella cinese e dunque che ad un peggioramento <strong>della</strong> posizione netta sull'estero<br />

americana corrisponderà un accumulo di riserve ufficiali da parte delle People's<br />

bank of China.<br />

Ru ˙ t Cina= pnt ˙ Cina=− ˙pnt Us <br />

infine si avranno le due condizioni di trasversalità che impongono che le<br />

posizione sull'estero di entrambi i paesi devono chiudersi nel lungo periodo<br />

ovvero le posizioni sull'estero di entrambi i paesi devono tendere a zero al<br />

crescere del tempo.<br />

lim pn cina =− pn us =0<br />

175


Dopo aver deciso se <strong>il</strong> modello va approntato nel continuo o nel discreto ed aver<br />

deciso la forma funzionale <strong>della</strong> funzione di ut<strong>il</strong>ità si procederà con <strong>il</strong> cercare di<br />

risolvere <strong>il</strong> problema di ottimizzazione dinamica al fine di trovare la traiettoria<br />

ottimale per le variab<strong>il</strong>i di controllo e di stato. Per una questione di semplicità e di<br />

eleganza svolgeremo questa parte del continuo adottando come forma funzionale<br />

<strong>della</strong> funzione di ut<strong>il</strong>ità quella <strong>della</strong> CRRA (Constant relative risk adversion) la<br />

quale si presenta nella forma:<br />

Per la Cina avremo dunque:<br />

∞<br />

Max V =∫ 0<br />

<br />

[c , s]1−<br />

U ces =<br />

1−<br />

e −zt [Ca t Rut ]1− dt sotto <strong>il</strong> vincolo<br />

1−<br />

˙<br />

Ru c=r Ru ct Cat .<br />

Con Ca t= variab<strong>il</strong>e di controllo e Ru t= variab<strong>il</strong>e di controllo .<br />

La relativa funzione Ham<strong>il</strong>toniana sarà dunque:<br />

H =e −zt [Cat Ru t]1− −1<br />

[r Ru tCa tRu t]<br />

1−<br />

con che rappresenta la cosiddetta variab<strong>il</strong>e di co-stato (prezzi ombra).<br />

176


Le relative condizioni del primo ordine saranno:<br />

1)<br />

H <br />

=0 la quale ci dice che la derivata <strong>della</strong> funzione ham<strong>il</strong>toniana<br />

Cat <br />

rispetto alla variab<strong>il</strong>e di stato deve essere uguale a zero.<br />

H <br />

2) −[<br />

Rut ]= ˙t la quale ci dice che l'opposto <strong>della</strong> derivata <strong>della</strong><br />

funzione ham<strong>il</strong>toniana rispetto alla variab<strong>il</strong>e di stato deve essere uguale alla<br />

variazione <strong>della</strong> variab<strong>il</strong>e di co-stato.<br />

3)<br />

H <br />

= ˙<br />

Ru t la quale ci dice assicura <strong>il</strong> rispetto del vincolo.<br />

Le traiettorie così ottenute saranno le condizioni necessarie ma non sufficienti per<br />

determinare le traiettorie ottime <strong>della</strong> variab<strong>il</strong>e di controllo e di stato. Sv<strong>il</strong>uppando<br />

completamente <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> sarà possib<strong>il</strong>e ottenere le traiettorie ottimali delle partite<br />

correnti e delle riserve ufficiali in grado di ottimizzare l'ut<strong>il</strong>ità-paese <strong>della</strong> Cina.<br />

Lo stesso medesimo procedimento potrà essere eseguito Per gli Stati Uniti.<br />

Risolvendo congiuntamente <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> sarà possib<strong>il</strong>e trovare la traiettoria ideale<br />

delle variab<strong>il</strong>i di controllo e di stato per entrambi i paesi contemporaneamente.<br />

177


Tabella 1 : Saldo di conto corrente di varie aree e paesi, fine 2008.<br />

Paesi Saldo di conto corrente (m<strong>il</strong>iardi di dollari)<br />

Europa -16,41<br />

Area euro 23,86<br />

di cui<br />

Germania 255,53<br />

Francia -31,25<br />

Italia -51,03<br />

Spagna -145,36<br />

Regno Unito -119,16<br />

Svizzera 58,02<br />

Norvegia 60,46<br />

Svezia 38,42<br />

Danimarca 3,4<br />

Islanda -3,18<br />

Est Europa -78,22<br />

Nord America -732,26<br />

Stati Uniti -731,21<br />

Canada 12,64<br />

Messico -5,52<br />

Altri -8,17<br />

Asia 738,41<br />

Giappone 210,49<br />

Cina 371,83<br />

Arabia Saudita 95,08<br />

Russia 76,24<br />

Altri -15,23<br />

Sud America 34,41<br />

Bras<strong>il</strong>e 1,46<br />

Argentina 7,11<br />

C<strong>il</strong>e 7,2<br />

Venezuela 20<br />

Altri -2,87<br />

Africa -0,93<br />

Nigeria 21,97<br />

Sud Africa -20,63<br />

Angola 9,4<br />

Altri -11,67<br />

Oceania -66,82<br />

Australia -56,58<br />

Nuova Zelanda -10,24<br />

Totale deficit mondiali -855,29<br />

% deficit Stati Uniti sul totale 85,49%<br />

Fonte: IMF database 2008.<br />

Note: Est Europa: Polonia, Romania, Ungheria, Croazia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ucraina, Serbia,<br />

Macedonia, Moldavia, Bielorussia, Albania.<br />

177


Fonte: Caincross e Eichengreen (1983) pagina 35.<br />

Tabella 2: b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti britannica, 1925-1938, in m<strong>il</strong>ioni di sterline.<br />

1925 1926 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938<br />

Importazioni 1208 1140 1115 1095 1117 953 786 641 619 683 724 786 950 849<br />

Esportazioni 943 794 845 858 854 670 464 425 427 463 541 523 614 564<br />

B<strong>il</strong>ancia commerciale -265 -346 -270 -237 -263 -283 -322 -216 -192 -220 -183 -263 -336 -285<br />

B<strong>il</strong>ancia dei servizi 296 307 348 341 339 298 208 154 174 188 196 223 279 220<br />

Saldo conto corrente 31 -39 78 104 76 15 -114 -62 -18 -32 13 -40 -57 -65<br />

Flussi capitali lungo termine -78 -89 -138 -111 -52 -61 -5 9 -12 -36 -18 -2 -3 20<br />

Flussi capitali breve termine 45 151 78 -11 -32 53 3 196 152 78 84 253 189 -223<br />

Aiuti esteri 82 -114<br />

Conto capitale -33 62 -60 -122 -84 -8 80 91 140 42 66 251 186 -203<br />

Variazione riserve ufficiali -2 23 18 -18 -8 7 -34 29 122 10 79 211 129 -268<br />

178


Fonte: Buareau of Economics Analysis 2009.<br />

Tabella 3: saldo <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti degli Stati Uniti, 1960-1970, m<strong>il</strong>ioni di dollari.<br />

Conto corrente<br />

1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970<br />

1 Esportazioni beni e servizi e redditi da capitale 30556 31402 33340 35776 40165 42722 46454 49353 54911 60132 68387<br />

Di cui:<br />

2 Esportazioni beni e servizi 25940 26403 27722 29620 33341 35285 38926 41333 45543 49220 56640<br />

3 Redditi da capitale 4616 4999 5618 6157 6824 7437 7528 8021 9367 10913 11748<br />

4 Importazione beni e servizi e interessi passivi -23670 -23453 -25676 -26970 -29102 -32708 -38468 -41476 -48671 -53998 -59901<br />

Di cui:<br />

5 Importazioni beni e servizi -22432 -22208 -24352 -25410 -27319 -30621 -35987 -38729 -45293 -49129 -54386<br />

6 Interessi passivi -1238 -1245 -1324 -1560 -1783 -2088 -2481 -2747 -3378 -4869 -5515<br />

7 Trasferimenti un<strong>il</strong>aterali netti -4062 -4127 -4277 -4392 -4240 -4583 -4955 -5294 -5629 -5735 -6156<br />

8 Saldo conto corrente (1+4+7) 2824 3822 3387 4414 6823 5431 3031 2583 611 399 2331<br />

9 Saldo b<strong>il</strong>ancia commerciale (1+4) 3508 4195 3370 4210 6022 4664 2940 2604 250 91 2254<br />

10 Saldo redditi da capitale (3+6) 3379 3755 4294 4596 5041 5350 5047 5274 5990 6044 6233<br />

Conto finanziario<br />

1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970<br />

11 Attività estere americane, esclusi i derivati -4099 -5538 -4174 -7270 -9560 -5716 -7321 -9757 -10977 -11585 -8470<br />

Di cui:<br />

12 Riserve ufficiali 2145 607 1535 378 171 1225 570 53 -870 -1179 3348<br />

13 Titoli di stato diversi dalle riserve ufficiali -1100 -910 -1085 -1662 -1680 -1605 -1543 -2423 -2274 -2200 -1589<br />

14 Attività private -5144 -5235 -4623 -5986 -8050 -5336 -6347 -7386 -7833 -8206 -10229<br />

Di cui:<br />

15 Investimenti esteri diretti -2940 -2653 -2851 -3483 -3760 -5011 -5418 -4805 -5295 -5960 -7590<br />

16 attività di portafoglio -663 -762 -969 -1105 -677 -759 -720 -1308 -1569 -1549 -1076<br />

17 Attività estere negli Stati Uniti, esclusi i derivati<br />

Di cui:<br />

2294 2705 1911 3217 3643 742 3661 7379 9928 12702 6359<br />

18 Riserve ufficiali negli Stati Uniti<br />

Di cui:<br />

1473 765 1270 1986 1660 134 -672 3451 -774 -1301 6908<br />

19 In attività del governo 655 233 1409 816 432 -141 -1527 2261 -769 -2343 9439<br />

20 In titoli del tesoro 655 233 1410 803 434 -134 -1548 2222 -798 -2269 9411<br />

21 Altre attività estere negli Stati Uniti<br />

821 1939 641 1231 1983 607 4333 3928 10703 14002 -550<br />

22 Investimenti esteri diretti 315 311 346 231 322 415 425 698 807 1263 1464<br />

23 Titoli del tesoro -364 151 -66 -149 -146 -131 -356 -135 136 -68 81<br />

24 Saldo conto finanziario (11+17) -1805 -2833 -2263 -4053 -5917 -4974 -3660 -2378 -1049 1117 -2111<br />

179


Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .<br />

Tabella 4: Test Dickey-Fuller per la presenza di radice unitaria, 1960-1971.<br />

Variab<strong>il</strong>e Valore Test ADF con costante P-value Valore test ADF costante e trend P-value Ritardi<br />

r_c -1,2035 0,6753 -1,8179 0,6963 9<br />

r_f 0,2142 0,9727 -2,3540 0,4021 1<br />

r_g -1,6806 0,4412 -2,8776 0,1698 3<br />

r_uk -1,4522 0,5581 -1,5404 0,8159 1<br />

r_us -1,1645 0,6920 -2,5221 0,3173 9<br />

fli_c -2,0863 0,2504 -3,9675 0,0097 9<br />

fli_f -2,2378 0,1929 -2,3686 0,3961 3<br />

fli_g -2,2455 0,1902 -2,2857 0,4412 10<br />

fli_uk -2,5240 0,1097 -4,3607 0,0025 10<br />

fli_us -1,7507 0,4056 -2,2661 0,4521 9<br />

rr_c -3,4971 0,0081 -3,5980 0,0299 9<br />

rr_f -2,9703 0,0378 -3,4349 0,0468 5<br />

rr_g -2,5666 0,1000 -2,3716 0,3945 10<br />

rr_uk -4,1494 0,0008 -4,2744 0,0034 10<br />

rr_us -1,8454 0,3587 -2,5641 0,2971 2<br />

180


Tabella 5: Riassunto procedura di Johansen per i tassi d'interesse nominali decennali di Canada,, Gran Bretagna, Francia e Germania, nei confronti con<br />

gli Stati Uniti 1960-1971.<br />

selezione ritardi del VAR<br />

Paese AIC BIC HQC caso scelto Ritardo scelto Autovalore Test <strong>della</strong> Traccia P-value Test del massimo autovalore P-value<br />

Regno Unito 3 2 2 C.N.V 4<br />

Germania 4 2 3 C.N.V 3<br />

Francia 2 1 2 C.N.V 2<br />

Canada 3 3 3 C.N.V 2<br />

selezione ritardi del VAR<br />

Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .<br />

Rango=0 0,10646 16,837 0,0295 15,760 0,0267<br />

Rango=1 0,00767 1,078 0,2992 1,078 0,2992<br />

Rango=0 0,03404 6,849 0,6011 4,883 0,7561<br />

Rango=1 0,01385 1,967 0,1608 1,967 0,1608<br />

Rango=0 0,09204 13,710 0,0907 13,710 0,0593<br />

Rango=1 0,00000 0,000 0,9935 0,000 0,9935<br />

Rango=0 0,16796 27,389 0,0004 26,111 0,0003<br />

Rango=1 0,00896 1,278 0,2583 1,278 0,2583<br />

Paese AIC BIC HQC caso scelto Ritardo scelto Autovalore Test <strong>della</strong> Traccia P-value Test del massimo autovalore P-value<br />

Regno Unito 3 2 2 C.V 4<br />

Germania 4 2 3 C.V 3<br />

Francia 2 1 2 C.V 2<br />

Canada 3 3 3 C.V 2<br />

H 0<br />

H 0<br />

Rango=0 0,10692 17,398 0,1192 15,831 0,0492<br />

Rango=1 0,01114 1,568 0,8511 1,568 0,8501<br />

Rango=0 0,03767 7,395 0,8657 5,415 0,8425<br />

Rango=1 0,01395 1,980 0,7779 1,980 0,7768<br />

Rango=0 0,09315 16,753 0,1438 13,884 0,1015<br />

Rango=1 0,02000 2,868 0,6131 2,868 0,6119<br />

Rango=0 0,16850 27,747 0,0030 26,202 0,0005<br />

Rango=1 0,01083 1,546 0,8548 1,546 0,8538<br />

181


Tabella 6: Riassunto procedura di Johansen per i tassi d'interesse reali attesi (validità relazione di Fisher) di Canada, Gran Bretagna, Francia e<br />

Germania, nei confronti degli Stati Uniti, 1960-1971.<br />

selezione ritardi del VAR<br />

Paese<br />

Regno Unito<br />

AIC<br />

10<br />

BIC<br />

1<br />

HQC<br />

1<br />

caso scelto<br />

C.N.V<br />

Ritardo scelto<br />

1<br />

H 0<br />

Rango=0<br />

Rango=1<br />

Autovalore<br />

0,04934<br />

0,01400<br />

Test <strong>della</strong> Traccia<br />

8,539<br />

1,861<br />

P-value<br />

0,4168<br />

0,1726<br />

Test del massimo autovalore<br />

6,679<br />

1,861<br />

P-value<br />

0,5358<br />

0,1726<br />

Germania 4 2 2 C.N.V 2<br />

Rango=0<br />

Rango=1<br />

0,04804<br />

0,01740<br />

8,749<br />

2,300<br />

0,3961<br />

0,1294<br />

6,449<br />

2,300<br />

0,5637<br />

0,1294<br />

Francia 1 1 1 C.N.V 1<br />

Rango=0<br />

Rango=1<br />

0,03584<br />

0,03046<br />

8,901<br />

4,084<br />

0,3815<br />

0,0433<br />

4,818<br />

4,084<br />

0,7637<br />

0,0433<br />

Canada 2 1 2 C.N.V 2<br />

Rango=0<br />

Rango=1<br />

0,10423<br />

0,06045<br />

22,588<br />

8,168<br />

0,0029<br />

0,0043<br />

14,420<br />

8,168<br />

0,0453<br />

0,0043<br />

selezione ritardi del VAR<br />

Paese<br />

Regno Unito<br />

AIC<br />

10<br />

BIC<br />

1<br />

HQC<br />

1<br />

caso scelto<br />

C.V<br />

Ritardo scelto<br />

1<br />

H 0<br />

Rango=0<br />

Rango=1<br />

Autovalore<br />

0,05071<br />

0,01532<br />

Test <strong>della</strong> Traccia<br />

8,907<br />

2,038<br />

P-value<br />

0,7460<br />

0,7674<br />

Test del massimo autovalore<br />

6,870<br />

2,038<br />

P-value<br />

0,6892<br />

0,7663<br />

Germania 4 2 2 C.V 2<br />

Rango=0<br />

Rango=1<br />

0,06009<br />

0,00741<br />

9,093<br />

0,974<br />

0,7294<br />

0,9395<br />

8,118<br />

0,974<br />

0,5443<br />

0,9389<br />

Francia 1 1 1 C.V 1<br />

Rango=0<br />

Rango=1<br />

0,03587<br />

0,03052<br />

8,913<br />

4,091<br />

0,7455<br />

0,4108<br />

4,822<br />

4,091<br />

0,8926<br />

0,4099<br />

Canada 2 1 2 C.V 2<br />

Rango=0<br />

Rango=1<br />

0,10494<br />

0,06101<br />

22,769<br />

8,246<br />

0,0203<br />

0,0751<br />

14,523<br />

8,246<br />

0,0806<br />

0,0751<br />

Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .<br />

182


Tabella 7: riassunto procedura di Johansen per i tassi d'interesse reali decennali di Canada, Gran Bretagna, Francia e Germania, nei confronti degli Stati<br />

Uniti,1960-1971, con inflazione attesa ( non validità relazione di Fisher) .<br />

selezione ritardi del VAR<br />

Paese AIC BIC HQC caso scelto Ritardo scelto H 0<br />

Rango=0<br />

Autovalore<br />

0,21462<br />

Test <strong>della</strong> Traccia<br />

57,567<br />

P-value<br />

0,0040<br />

Test del massimo autovalore<br />

31,648<br />

P-value<br />

0,0114<br />

Regno Unito 13 1 1 C.N.V 2<br />

Rango=1<br />

Rango=2<br />

0,11095<br />

0,05922<br />

25,919<br />

10,513<br />

0,1348<br />

0,2476<br />

15,406<br />

7,998<br />

0,2724<br />

0,3874<br />

Rango=3 0,01902 2,515 0,1127 2,515 0,1127<br />

Rango=0 0,17696 51,117 0,0223 25,513 0,0889<br />

Germania 13 1 2 C.N.V 2<br />

Rango=1<br />

Rango=2<br />

0,10044<br />

0,06420<br />

25,604<br />

11,739<br />

0,1451<br />

0,1719<br />

13,866<br />

8,692<br />

0,3903<br />

0,3200<br />

Rango=3 0,02299 3,047 0,0809 3,047 0,0809<br />

Rango=0 0,17121 44,140 0,1063 24,600 0,1156<br />

Francia 1 1 1 C.N.V 2<br />

Rango=1<br />

Rango=2<br />

0,08043<br />

0,04856<br />

19,541<br />

8,557<br />

0,4655<br />

0,4151<br />

10,984<br />

6,521<br />

0,6573<br />

0,5550<br />

Rango=3 0,01542 2,036 0,1536 2,036 0,1536<br />

Rango=0 0,23204 79,795 0,0000 34,586 0,0037<br />

Canada 13 1 2 C.N.V 2<br />

Rango=1<br />

Rango=2<br />

0,19630<br />

0,11515<br />

45,209<br />

16,58200<br />

0,0003<br />

0,0325<br />

28,627<br />

16,0270<br />

0,0026<br />

0,0240<br />

Rango=3 0,00423 0,55504 0,4563 0,5550 0,4563<br />

selezione ritardi del VAR<br />

Paese AIC BIC HQC caso scelto Ritardo scelto H 0<br />

Rango=0<br />

Autovalore<br />

0,21737<br />

Test <strong>della</strong> Traccia<br />

61,242<br />

P-value<br />

0,0089<br />

Test del massimo autovalore<br />

32,108<br />

P-value<br />

0,0140<br />

Regno Unito 13 1 1 C.V 2<br />

Rango=1<br />

Rango=2<br />

0,12419<br />

0,06610<br />

29,135<br />

11,763<br />

0,1962<br />

0,4788<br />

17,372<br />

8,958<br />

0,2194<br />

0,4506<br />

Rango=3 0,02118 2,805 0,6246 2,805 0,6235<br />

Rango=0 0,17740 52,752 0,0642 25,582 0,1169<br />

Germania 13 1 2 C.V 2<br />

Rango=1<br />

Rango=2<br />

0,11095<br />

0,06426<br />

27,170<br />

11,765<br />

0,2841<br />

0,4786<br />

15,405<br />

8,701<br />

0,3551<br />

0,4785<br />

Rango=3 0,02312 3,064 0,5779 3,064 0,5768<br />

Rango=0 0,17315 48,270 0,1498 24,907 0,1407<br />

Francia 1 1 1 C.V 2<br />

Rango=1<br />

Rango=2<br />

0,09804<br />

0,05176<br />

23,363<br />

9,846<br />

0,5088<br />

0,6596<br />

13,517<br />

6,962<br />

0,5192<br />

0,6786<br />

Rango=3 0,02178 2,885 0,6101 2,885 0,6089<br />

Rango=0 0,23405 81,621 0,0000 34,930 0,0047<br />

Canada 13 1 2 C.V 2<br />

Rango=1<br />

Rango=2<br />

0,19638<br />

0,11657<br />

46,691<br />

18,05100<br />

0,0015<br />

0,0980<br />

28,640<br />

16,2370<br />

0,0041<br />

0,0420<br />

Rango=3 0,01375 1,81390 0,8081 1,8139 0,8070<br />

Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .<br />

183


Tabella 8: risultati delle stime del vettore dei cointegrazione per i tassi d'interesse nominali e dei relativi modelli vincolati, per <strong>il</strong> periodo che va dal 1960al<br />

1971.<br />

Modello libero (costante non vincolata) Modello vincolato (costante non vincolata)<br />

Paesi Numero ritardi <br />

<br />

Deviazione standard<br />

<br />

Test t parte ECM P-value<br />

<br />

vincoli<br />

<br />

Deviazione standard<br />

<br />

test t ECM P-value Test rapporto verosimiglianza<br />

Valore P-value Valore<br />

Test LM-autocorrelazione<br />

P-value<br />

Test LM-ARCH<br />

Valore P-value<br />

Regno Unito<br />

Usa<br />

4<br />

1,0000<br />

-0,9734<br />

-0,0702<br />

0,0817<br />

0,0000<br />

0,0983<br />

0,0317<br />

0,0297<br />

-2,213<br />

2,753<br />

0,02860<br />

0,00670<br />

1<br />

-0,8793<br />

-0,0907<br />

0<br />

0,0000<br />

0,1330<br />

0,0309<br />

0,0000<br />

-2,9340<br />

NA<br />

0,0039<br />

NA<br />

7,29778 0,00690<br />

14,23350<br />

9,30832<br />

0,28600<br />

0,67600<br />

9,32723<br />

48,82230<br />

0,67476<br />

0,00000<br />

Francia<br />

1,0000 -0,0382 0,0000 0,0244 -1,567 0,11930 1 -0,0481 0,0000 0,0241 -1,9960 0,0479<br />

6,29427 0,90100 0,55843 1,00000<br />

2<br />

9,93885 0,00162<br />

Usa -1,0671 0,1172 0,0846 0,0371 3,163 0,00190 -1,0682 0 0,1588 0,0000 NA NA 16,41860 0,17300 53,64900 0,00000<br />

Canada<br />

1,0000 -0,0731 0,0000 0,0633 -1,154 0,25050 1 -0,2050 0,0000 0,0480 -4,2680 0,0000<br />

13,00530 0,36900 34,34340 0,00060<br />

2<br />

9,50600 0,00205<br />

Usa -0,8893 0,2561 0,0274 0,0809 3,168 0,00190 -0,8664 0 0,0339 0,0000 NA NA 15,25510 0,22800 55,53850 0,00000<br />

Modello libero (costante vincolata) Modello vincolato (costante vincolata)<br />

Paesi Numero ritardi<br />

<br />

Deviazione standard<br />

<br />

Test t parte ECM P-value<br />

<br />

vincoli<br />

<br />

Deviazione standard<br />

<br />

test t ECM P-value Test rapporto verosimiglianza<br />

Valore P-value Valore<br />

Test LM-autocorrelazione<br />

P-value<br />

Test LM-ARCH<br />

Valore P-value<br />

Regno Unito<br />

Usa 4<br />

1,0000<br />

-0,9746<br />

-0,0688<br />

0,0828<br />

0,0000<br />

0,0983<br />

0,0317<br />

0,0296<br />

-2,173<br />

2,794<br />

0,03150<br />

0,00600<br />

1<br />

-0,8793<br />

-0,0907<br />

0<br />

0,0000<br />

0,1325<br />

0,0307<br />

0,0000<br />

-2,9590<br />

NA<br />

0,0037<br />

NA<br />

7,26774 0,00702<br />

14,24380<br />

9,30268<br />

0,28500<br />

0,67700<br />

9,22371<br />

47,71040<br />

0,68371<br />

0,00000<br />

-1,8950 0,5064 -2,4491<br />

Francia<br />

Usa 2<br />

1,0000<br />

-1,0671<br />

-0,0428<br />

0,1126<br />

0,0000<br />

0,0846<br />

0,0243<br />

0,0369<br />

-1,758<br />

3,053<br />

0,08100<br />

0,00270<br />

1<br />

-1,0682<br />

-0,0481<br />

0<br />

0,0000<br />

0,1582<br />

0,0186<br />

0,0000<br />

-2,5890<br />

NA<br />

0,0106<br />

NA<br />

7,38754 0,00657<br />

6,30025<br />

16,55520<br />

0,90000<br />

0,16700<br />

0,55628<br />

50,99270<br />

1,00000<br />

0,00000<br />

-1,2696 0,4350 -1,5216<br />

Canada<br />

Usa 2<br />

1,0000<br />

-0,8895<br />

-0,0710<br />

0,2582<br />

0,0000<br />

0,0274<br />

0,0633<br />

0,0807<br />

-1,123<br />

3,198<br />

0,26350<br />

0,00170<br />

1<br />

-0,8664<br />

-0,2050<br />

0<br />

0,0000<br />

0,0339<br />

0,0479<br />

0,0000<br />

-4,2840<br />

NA<br />

0,0000<br />

NA<br />

9,58726 0,00196<br />

13,01310<br />

15,36580<br />

0,36800<br />

0,22200<br />

34,35560<br />

52,76790<br />

0,00059<br />

0,00000<br />

-1,49350 0,14081 -1,62140<br />

Fonte: OECD database 2009, www.oecd.org .<br />

184


Tabella 9: risultati delle stime del vettore dei cointegrazione per i tassi d'interesse reali attesi (non validità relazione di Fisher) e dei relativi modelli<br />

vincolati, per <strong>il</strong> periodo che va dal 1960-al 1971.<br />

Modello libero (costante non vincolata) Modello vincolato (costante non vincolata)<br />

Paesi Numero ritardi<br />

Deviazione standard<br />

<br />

Test t parte ECM P-value<br />

<br />

vincoli<br />

<br />

Deviazione standard<br />

<br />

test t ECM P-value Test rapporto verosimiglianza<br />

Valore P-value Valore<br />

Test LM-autocorrelazione<br />

P-value<br />

Test LM-ARCH<br />

Valore P-value<br />

Regno Unito<br />

1,0000 0,0085 0,0000 0,0033 2,543 0,01220 1 -0,0390 0,0000 0,0109 -3,5850 0,0005<br />

21,07990 0,04920 12,03350 0,44299<br />

Infl_UK<br />

Usa<br />

2<br />

1,8861<br />

-10,3660<br />

-0,0153<br />

0,0118<br />

0,6370<br />

1,7180<br />

0,0091<br />

0,0029<br />

-1,681<br />

4,022<br />

0,09530<br />

0,00010<br />

-0,8378<br />

2,1832<br />

0,0466<br />

0<br />

0,2392<br />

0,6451<br />

0,0309<br />

0,0000<br />

1,5080<br />

NA<br />

0,1340<br />

NA<br />

12,05580 0,00052<br />

62,15010<br />

19,14810<br />

0,00000<br />

0,08500<br />

38,97090<br />

57,18010<br />

0,00011<br />

0,00000<br />

Infl_us 4,3772 0,0132 0,8994 0,0054 2,464 0,01510 -1,2610 -0,0384 0,3377 0,0183 -2,0990 0,0378 38,62180 0,00012 8,29293 0,76184<br />

Francia<br />

1,0000 0,0036 0,0000 0,0149 0,243 0,80870 1 -0,0412 0,0000 0,0213 -1,9320 0,0556<br />

4,57672 0,97100 0,57009 1,00000<br />

Infl_F<br />

Usa<br />

2<br />

0,0866<br />

-1,7745<br />

-0,0054<br />

0,0822<br />

0,1105<br />

0,2201<br />

0,0518<br />

0,0197<br />

-0,104<br />

4,174<br />

0,91760<br />

0,00006<br />

0,1597<br />

-1,1968<br />

-0,0202<br />

0<br />

0,1075<br />

0,2140<br />

0,0752<br />

0,0000<br />

-0,2681<br />

NA<br />

0,7891<br />

NA<br />

12,13900 0,00049<br />

35,84720<br />

20,18880<br />

0,00034<br />

0,06360<br />

36,49440<br />

53,76010<br />

0,00027<br />

0,00000<br />

Infl_us 0,4832 0,0815 0,1551 0,0359 2,269 0,02500 -0,0815 0,1376 0,1508 0,0520 2,6470 0,0092 39,70030 0,00008 7,01999 0,85629<br />

Canada<br />

1,0000 -0,1908 0,0000 0,0353 -5,404 0,00000 1 -0,2711 0,0000 0,0575 -4,7130 0,0000<br />

9,70851 0,64200 20,45450 0,05896<br />

Infl_C<br />

Usa<br />

2<br />

0,3167<br />

-0,2181<br />

0,1242<br />

-0,2391<br />

0,0601<br />

0,0937<br />

0,1495<br />

0,0459<br />

0,831<br />

-5,204<br />

0,40750<br />

0,00000<br />

0,1522<br />

-0,7130<br />

-0,1546<br />

0<br />

0,0333<br />

0,0519<br />

0,2920<br />

0,0000<br />

-0,5293<br />

NA<br />

0,5975<br />

NA<br />

4,91508 0,02662<br />

44,40380<br />

17,00570<br />

0,00001<br />

0,14900<br />

17,26950<br />

55,61760<br />

0,13974<br />

0,00000<br />

Infl_us -0,61517 0,01412 0,08316 0,08822 0,16010 0,87310 -0,20314 0,34708 0,04607 0,17066 2,03400 0,04410 43,97550 0,00002 13,24830 0,35125<br />

Germania<br />

1,0000 0,0015 0,0000 0,0031 0,4653 0,6425 1,0000 -0,0049 0,0000 0,0080 -0,6084 0,5440<br />

9,8193 0,6320 22,6955 0,0304<br />

Infl_G<br />

Usa<br />

2<br />

1,5379<br />

-7,2846<br />

-0,0241<br />

0,0136<br />

0,7594<br />

1,3131<br />

0,0088<br />

0,0039<br />

-2,7430<br />

3,4730<br />

0,0070<br />

0,0007<br />

0,9991<br />

-2,6911<br />

-0,0906<br />

0,0000<br />

0,3442<br />

0,5951<br />

0,0221<br />

0,0000<br />

-4,0900<br />

NA<br />

0,0001<br />

NA<br />

7,0862 0,0078<br />

50,1680<br />

19,6168<br />

0,0000<br />

0,0747<br />

15,4793<br />

55,0051<br />

0,2163<br />

0,0000<br />

Infl_us 3,8803 0,0116 0,8304 0,0070 1,6500 0,1015 1,0292 0,0154 0,3763 0,0185 0,8326 0,4067 41,5253 0,0000 10,7013 0,5547<br />

Modello libero (costante vincolata) Modello vincolato (costante vincolata)<br />

Paesi Numero ritardi <br />

Deviazione standard<br />

<br />

Test t parte ECM P-value<br />

<br />

vincoli<br />

<br />

Deviazione standard<br />

<br />

test t ECM P-value Test rapporto verosimiglianza<br />

Valore P-value Valore<br />

Test LM-autocorrelazione<br />

P-value<br />

Test LM-ARCH<br />

Valore P-value<br />

Regno Unito<br />

1,0000 0,0085 0,0000 0,0033 2,543 0,01220 1 -0,0390 0,0000 0,0109 -3,5850 0,0005<br />

21,07990 0,04920 12,03350 0,44299<br />

Infl_UK<br />

Usa<br />

2<br />

1,8861<br />

-10,3660<br />

-0,0153<br />

0,0118<br />

0,6370<br />

1,7180<br />

0,0091<br />

0,0029<br />

-1,681<br />

4,022<br />

0,09530<br />

0,00010<br />

-0,8378<br />

2,1832<br />

0,0466<br />

0<br />

0,2392<br />

0,6451<br />

0,0309<br />

0,0000<br />

1,5080<br />

NA<br />

0,1340<br />

NA<br />

12,05580 0,00052<br />

62,15010<br />

19,14810<br />

0,00000<br />

0,08500<br />

38,97090<br />

57,18010<br />

0,00011<br />

0,00000<br />

Infl_us 4,3772 0,0132 0,8994 0,0054 2,464 0,01510 -1,2610 -0,0384 0,3377 0,0183 -2,0990 0,0378 38,62180 0,00012 8,29293 0,76184<br />

Francia<br />

1,0000 0,0036 0,0000 0,0149 0,243 0,80870 1 -0,0412 0,0000 0,0213 -1,9320 0,0556<br />

4,57672 0,97100 0,57009 1,00000<br />

Infl_F<br />

Usa<br />

2<br />

0,0866<br />

-1,7745<br />

-0,0054<br />

0,0822<br />

0,1105<br />

0,2201<br />

0,0518<br />

0,0197<br />

-0,104<br />

4,174<br />

0,91760<br />

0,00006<br />

0,1597<br />

-1,1968<br />

-0,0202<br />

0<br />

0,1075<br />

0,2140<br />

0,0752<br />

0,0000<br />

-0,2681<br />

NA<br />

0,7891<br />

NA<br />

12,13900 0,00049<br />

35,84720<br />

20,18880<br />

0,00034<br />

0,06360<br />

36,49440<br />

53,76010<br />

0,00027<br />

0,00000<br />

Infl_us 0,4832 0,0815 0,1551 0,0359 2,269 0,02500 -0,0815 0,1376 0,1508 0,0520 2,6470 0,0092 39,70030 0,00008 7,01999 0,85629<br />

Canada<br />

1,0000 -0,1908 0,0000 0,0353 -5,404 0,00000 1 -0,2711 0,0000 0,0575 -4,7130 0,0000<br />

9,70851 0,64200 20,45450 0,05896<br />

Infl_C<br />

Usa<br />

2<br />

0,3167<br />

-0,2181<br />

0,1242<br />

-0,2391<br />

0,0601<br />

0,0937<br />

0,1495<br />

0,0459<br />

0,831<br />

-5,204<br />

0,40750<br />

0,00000<br />

0,1522<br />

-0,7130<br />

-0,1546<br />

0<br />

0,0333<br />

0,0519<br />

0,2920<br />

0,0000<br />

-0,5293<br />

NA<br />

0,5975<br />

NA<br />

4,91508 0,02662<br />

44,40380<br />

17,00570<br />

0,00001<br />

0,14900<br />

17,26950<br />

55,61760<br />

0,13974<br />

0,00000<br />

Infl_us -0,61517 0,01412 0,08316 0,08822 0,16010 0,87310 -0,20314 0,34708 0,04607 0,17066 2,03400 0,04410 43,97550 0,00002 13,24830 0,35125<br />

Germania<br />

1,0000 0,0015 0,0000 0,0029 0,5007 0,6174 1,0000 -0,0049 0,0000 0,0080 -0,6084 0,5440<br />

9,8193 0,6320 22,6955 0,0304<br />

Infl_G<br />

Usa 2<br />

1,5783<br />

-7,7295<br />

-0,0215<br />

0,0130<br />

0,8109<br />

1,4022<br />

0,0083<br />

0,0037<br />

-2,6060<br />

3,5440<br />

0,0103<br />

0,0006<br />

1,0187<br />

-2,6214<br />

-0,0936<br />

0,0000<br />

0,3383<br />

0,5849<br />

0,0221<br />

0,0000<br />

-4,0900<br />

NA<br />

0,0001<br />

NA<br />

6,6585 0,0099<br />

50,1680<br />

19,6168<br />

0,0000<br />

0,0747<br />

15,4793<br />

55,0051<br />

0,2163<br />

0,0000<br />

Infl_us 4,1492 0,0113 0,8868 0,0066 1,7110 0,0895 0,9985 0,0110 0,3699 0,0185 0,8326 0,4067 41,5253 0,0000 10,7013 0,5547<br />

Fonte: OECD database, www.oecd.org .<br />

185


Fonte: OECD database, www.oecd.org .<br />

Tabella 10 A e B: Riassunto analisi di Granger causalità in un VAR cointegrato nel periodo 1960-1971<br />

Numero<br />

ritardi<br />

2<br />

Rango di<br />

cointegrazione<br />

Autovalore Test traccia P-value Test L-Max P-value<br />

0 0,2631 86,1650 0,0011 43,3520 0,0016<br />

1 0,1317 42,8130 0,1372 20,0580 0,3486<br />

2 0,1046 22,7560 0,2667 15,6830 0,2540<br />

3 0,0353 7,0728 0,5755 5,1083 0,7292<br />

4 0,0137 1,9646 0,1610 1,9646 0,1610<br />

Granger causalità 1960:01-1971 :12<br />

X Z<br />

r_us r_uk, r_g, r_c, r_f 2,6846 0,0016<br />

r_uk r_us, r_g, r_c, r_f 1,8301 0,0405<br />

r_g r_us, r_uk, r_c, r_f 1,5132 0,1146<br />

r_c r_us, r_uk, r_g, r_f 1,7161 0,0596<br />

r_f r_us, r_uk, r_g , r_c 1,5575 0,0998<br />

186


Fonte: Buareau of Economics Analysis 2009.<br />

Tabella 11: saldo <strong>della</strong> b<strong>il</strong>ancia dei pagamenti degli Stati Uniti, 2000-2008, in m<strong>il</strong>ioni di dollari.<br />

Conto corrente<br />

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008<br />

1 Esportazioni beni e servizi e redditi da capitale 1421515 1295692 1258411 1340647 1572971 1816723 2133905 2462099 2591233<br />

Di cui:<br />

2 Esportazioni beni e servizi 1070597 1004895 977469 1020191 1159233 1281460 1451684 1643168 1826596<br />

3 Redditi da capitale 350918 290797 280942 320456 413739 535263 682221 818931 764637<br />

4 Importazione beni e servizi e interessi passivi -1780296 -1629475 -1652615 -1790372 -2115739 -2459633 -2846179 -3072675 -3168938<br />

Di cui:<br />

5 Importazioni beni e servizi -1450432 -1370400 -1399071 -1515225 -1769220 -1996728 -2212043 -2344590 -2522532<br />

6 Interessi passivi -329864 -259075 -253544 -275147 -346519 -462905 -634136 -728085 -646406<br />

7 Trasferimenti un<strong>il</strong>aterali netti -58645 -64487 -64948 -71794 -88362 -105772 -91273 -115996 -128363<br />

8 Saldo conto corrente (1+4+7) -417426 -398270 -459151 -521519 -631130 -748683 -803547 -726573 -706068<br />

9 Saldo b<strong>il</strong>ancia commerciale (1+4) -379835 -365505 -421601 -495034 -609987 -715268 -760359 -701422 -695936<br />

10 Saldo redditi da capitale (3+6) 21054 31722 27398 45309 67219 72358 48085 90845 118231<br />

Conto finanziario<br />

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008<br />

11 Attività estere americane, esclusi i derivati -560523 -382616 -294646 -325424 -1000870 -546631 -1285729 -1472126 -106<br />

Di cui:<br />

12 Riserve ufficiali -290 -4911 -3681 1523 2805 14096 2374 -122 -4848<br />

13 Titoli di stato diversi dalle riserve ufficiali -941 -486 345 537 1710 5539 5346 -22273 -529615<br />

14 Attività private -559292 -377219 -291310 -327484 -1005385 -566266 -1293449 -1449731 534357<br />

Di cui:<br />

15 Investimenti esteri diretti -159212 -142349 -154460 -149564 -316223 -36235 -244922 -398597 -332012<br />

16 attività di portafoglio -127908 -90644 -48568 -146722 -170549 -251199 -365129 -366524 60761<br />

17 Attività estere negli Stati Uniti, esclusi i derivati 1038224 782870 795161 858303 1533201 1247347 2065169 2129460 534071<br />

Di cui:<br />

18 Riserve ufficiali negli Stati Uniti 42758 28059 115945 278069 397755 259268 487939 480949 487021<br />

Di cui:<br />

19 In attività del governo 35710 54620 90971 224874 314941 213334 428401 269897 543498<br />

20 In titoli del tesoro -5199 33700 60466 184931 273279 112841 208564 98432 477652<br />

21 Altre attività estere negli Stati Uniti 995466 754811 679216 580234 1135446 988079 1577230 1648511 47050<br />

22 Investimenti esteri diretti 321274 167021 84372 63750 145966 112638 243151 275758 319737<br />

23 Titoli del tesoro -69983 -14378 100403 91455 93608 132300 -58229 66807 196619<br />

187


Fonte. Buareau of Economics Analysis 2009.<br />

Tabella 12: posizione netta sull'estero degli Stati Uniti, 2000- 2008, m<strong>il</strong>ioni di dollari.<br />

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008<br />

1 Attività estere degli Stati Uniti 6.238.785 6.308.681 6.649.079 7.638.086 9.340.634 11.961.552 14.428.137 18.278.842 19.888.158<br />

di cui<br />

Riserve ufficiali 128.400 129.961 158.602 183.577 189.591 188.043 219.853 277.211 293.732<br />

Titoli di stato diversi dalle riserve ufficiali 85.168 85.654 85.309 84.772 83.062 77.523 72.189 94.471 624.100<br />

Attività private 6.025.217 6.093.066 6.405.168 7.369.737 9.067.981 10.505.957 12.897.100 15.347.828 12.345.777<br />

di cui<br />

Investimenti esteri diretti 1.531.607 1.693.131 1.867.043 2.054.464 2.498.494 2.651.721 2.948.172 3.451.482 3.698.784<br />

Attività di portafoglio 2.425.534 2.169.735 2.076.722 2.948.370 3.545.396 4.329.259 5.604.475 6.835.079 4.244.311<br />

2 Attività estere negli Stati Uniti 7.569.415 8.177.556 8.687.049 9.724.599 11.586.051 13.886.698 16.612.419 20.418.758 23.357.404<br />

di cui<br />

Riserve ufficiali 1.030.708 1.109.072 1.250.977 1.562.564 2.011.899 2.306.292 2.825.628 3.403.995 3.871.362<br />

di cui<br />

Attività del governo 756.155 847.005 970.359 1.186.500 1.509.986 1.725.193 2.167.112 2.540.062 3.228.438<br />

Attività del tesoro 639.796 720.149 811.995 986.301 1.251.943 1.340.598 1.558.317 1.736.687 2.325.672<br />

Attività private 6.538.707 7.068.484 7.436.072 8.162.035 9.574.152 10.448.292 12.607.632 14.526.903 13.021.075<br />

di cui<br />

Investimenti esteri diretti 1.421.017 1.518.473 1.499.952 1.580.994 1.742.716 1.905.979 2.154.062 2.450.132 2.646.847<br />

Attività del tesoro 381.630 375.059 473.503 527.223 561.610 643.793 567.861 639.715 884.965<br />

3 Posizione netta sull'estero (1-2) -1.330.630 -1.868.875 -2.037.970 -2.086.513 -2.245.417 -1.925.146 -2.184.282 -2.139.916 -3.469.246<br />

188


Tabella 13 A e 13 B: componenti delle variazioni <strong>della</strong> posizione netta sull'estero del Stati Uniti, 2000-2008, m<strong>il</strong>ioni di dollari.<br />

Anno<br />

Anno<br />

Fonte: Buareau of Economics Analysis 2009.<br />

Componenti delle variazioni delle attività estere degli Stati Uniti<br />

con investimenti diretti a prezzi di mercato, 2008-2008<br />

[M<strong>il</strong>ioni di dollari]<br />

variazione nella posizione esclusi i derivati<br />

189<br />

altre variazioni<br />

(a) (b) (c) (d) (a+b+c+d)<br />

2000 7.399.678 560.523 -305.366 -298.276 44.633 1.514 ...... 7.401.192<br />

2001 7.401.192 382.616 -714.070 -168.687 29.433 -470.708 ...... 6.930.484<br />

2002 6.930.484 294.646 -848.839 265.971 162.362 -125.860 ...... 6.804.624<br />

2003 6.804.624 325.424 767.481 483.631 -68.412 1.508.124 ...... 8.312.748<br />

2004 8.312.748 1.000.870 468.747 308.986 113.585 1.892.188 ...... 10.204.936<br />

10.204.936 546.631 1.079.180 -441.684 1.558.764 2.742.891 ...... 12.947.827<br />

2006 12.947.827 1.285.729 1.111.633 412.526 143.627 2.953.515 48.966 15.950.308<br />

2007 15.950.308 1.472.126 558.117 719.377 35.057 2.784.677 1.320.337 20.055.322<br />

2008 20.055.322 106 -4.225.894 -775.766 141.578 -4.859.976 4.065.217 19.260.563<br />

4 2005<br />

posizione<br />

iniziale<br />

Flussi<br />

finanziari<br />

variazioni di<br />

prezzo<br />

variazioni<br />

tasso di<br />

cambio<br />

Totale<br />

Componenti delle variazioni delle attività estere negli Stati Uniti<br />

con investimenti diretti a prezzi di mercato, 2008-2008<br />

[M<strong>il</strong>ioni di dollari]<br />

variazione nella posizione esclusi i derivati<br />

altre variazioni<br />

(a) (b) (c) (d) (a+b+c+d)<br />

2000 8.395.221 1.038.224 -439.082 -27.682 -35.048 536.412 ...... 8.931.633<br />

2001 8.931.633 782.870 -489.886 -17.002 11.762 287.744 ...... 9.219.377<br />

2002 9.219.377 795.161 -783.562 34.724 -56.786 -10.463 ...... 9.208.914<br />

2003 9.208.914 858.303 775.363 68.161 -312.259 1.389.568 ...... 10.598.482<br />

2004 10.598.482 1.533.201 278.469 39.204 111.362 1.962.236 ...... 12.560.718<br />

12.560.718 1.247.347 -66.777 -49.990 1.107.391 2.237.971 ...... 14.798.689<br />

2006 14.798.689 2.065.169 529.069 44.005 267.433 2.905.676 47.045 17.751.410<br />

2007 17.751.410 2.129.460 243.201 80.653 48.492 2.501.806 1.308.701 21.561.917<br />

2008 21.561.917 534.071 -2.469.888 -91.633 -244.135 -2.271.585 3.977.107 23.267.439<br />

4 2005<br />

posizione<br />

iniziale<br />

Flussi<br />

finanziari<br />

variazioni di<br />

prezzo<br />

variazioni<br />

tasso di<br />

cambio<br />

Totale<br />

Variazioni<br />

derivati<br />

finanziari<br />

Variazioni<br />

derivati<br />

finanziari<br />

posizione<br />

finale<br />

posizione<br />

finale


Tabella 14: composizione valutaria delle riserve ufficiali, 1995-2008, m<strong>il</strong>ioni di dollari.<br />

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008<br />

Totale riserve ufficiali 1,389,801 1,566,268 1,616,248 1,643,803 1,781,947 1,936,282 2,049,630 2,408,109 3,025,110 3,748,400 4,174,556 5,036,925 6,411,087 6,909,257<br />

di cui<br />

dollari 610,34 760,07 828,89 888,72 979,78 1,079,916 1,122,431 1,204,673 1,465,752 1,751,012 1,902,535 2,171,075 2,641,645 2,703,311<br />

euro 246,95 277,69 301,03 427,33 559,25 658,53 683,81 831,95 1,082,276 1,112,260<br />

franchi 24,36 22,64 18,31 20,81<br />

marchi 163,09 179,92 184,35 176,95<br />

yen 70,07 82,31 73,49 80,03 87,94 92,08 79,19 78,15 87,61 101,79 101,77 102,05 120,48 131,7<br />

sterline 21,87 32,88 32,86 34,14 39,83 41,8 42,4 50,54 61,66 89,46 102,24 145,21 192,66 170,71<br />

Fonte: IMF database 2008, currency composition of official foreign exchange reserve (COFER), pagina 7 e 8.<br />

Tabella 15: percentuale riserve ufficiali di una determinata valuta sul totale delle riserve.<br />

Anno Dollaro Sterlina Marco Franco francese Yen Franco svizzero Fiorino olandese Euro<br />

1913 n.d 40,61% 14,33% 25,88% n.d n.d n.d n.d<br />

1965 56,10% 20% 0,01% 0,09% 0% 0% 0% n.d<br />

1973 64,50% 4,02% 5,05% 0,07% 0,01% 1,01% 0,05% n.d<br />

1977 79,20% 1,01% 9,03% 1,01% 2,02% 1,09% 0,07% n.d<br />

1982 57,90% 1,00% 11,06% 1% 4,01% 2,03% 1% n.d<br />

1987 53,90% 1,09% 13,08% 0,09% 6,08% 1,07% 1,02% n.d<br />

1992 48,90% 2,06% 14% 2,06% 7,04% 0,08% 0,07% n.d<br />

1997 59,10% 3,03% 13,07% 1,05% 5,01% 0,05% 0,05% n.d<br />

2003 65,90% 2,08% n.d n.d 3,09% 0,02% n.d 25,20%<br />

2004 65,90% 3,04% n.d n.d 3,08% 0,02% n.d 24,80%<br />

2005 66,90% 3,06% n.d n.d 3,06% 0,01% n.d 24,10%<br />

2006 65,50% 4,04% n.d n.d 3,01% 0,02% n.d 25,10%<br />

2007 63,90% 4,07% n.d n.d 2,09% 0,02% n.d 26,50%<br />

Fonti: Lindert (1969) per <strong>il</strong> 1913, Chinn e Frankel (2005) dal 1965 al 1997, IMF 2008 dal 2003 al 2007.<br />

190


Fonte: Treasury Bulletin 30/09/09, www.treas.gov .<br />

Tabella 16: scadenza e composizione del debito americano, 1990- 2008<br />

Scadenza media del debito americano in<br />

Composizione debito americano<br />

mesi<br />

B<strong>il</strong>ls 2-3 anni 4-7 anni 10-15 anni Bonds TIPS<br />

1990 68 23,10% 20,10% 24,20% 14,40% 18,20% n.d<br />

1991 68 23,80% 20,90% 23,30% 14,20% 17,80% n.d<br />

1992 67 23,80% 21,20% 23,80% 13,80% 17,30% n.d<br />

1993 65 22,80% 21,50% 24,80% 13,70% 17,20% n.d<br />

1994 63 22,70% 21,70% 25,10% 13,90% 16,60% n.d<br />

1995 60 22,70% 21,50% 25,90% 13,90% 16,00% n.d<br />

1996 61 22,40% 21,50% 25,80% 14,40% 16,00% n.d<br />

1997 63 20,50% 21,40% 25,70% 15,00% 16,80% 0,70%<br />

1998 65 19,20% 19,70% 25,10% 15,90% 18,40% 1,80%<br />

1999 67 20,30% 17,90% 22,20% 16,80% 20,00% 2,90%<br />

2000 69 20,60% 16,20% 19,90% 18,20% 21,20% 3,80%<br />

2001 66 25,20% 13,30% 16,80% 19,10% 21,00% 4,60%<br />

2002 60 27,80% 18,20% 13,20% 17,40% 19,00% 4,40%<br />

2003 56 26,50% 23,70% 11,50% 16,80% 16,70% 4,80%<br />

2004 54 25,00% 24,40% 13,60% 16,90% 14,40% 5,80%<br />

2005 53 22,60% 23,90% 15,90% 17,10% 12,80% 7,50%<br />

2006 54 21,40% 21,50% 18,60% 16,70% 12,60% 9,30%<br />

2007 55 21,70% 18,10% 20,40% 16,70% 12,70% 10,40%<br />

2008 49 28,50% 15,30% 19,30% 15,70% 11,20% 10,00%<br />

191


Tabella 17: Riassunto statistiche descrittive tassi d'interesse a lungo termine e tassi di inflazione per vari paesi.<br />

Periodo 1880- 1913 Periodo 1880-1913<br />

Tassi interesse Media Dev.Standard Tassi inflazione Media Dev. Standard<br />

r_uk 2,84 0,26 infl_uk nd nd<br />

r_f 3,25 0,3 infl_f nd nd<br />

r_g 3,68 0,23 infl_g nd nd<br />

Periodo 1960- 1971 Periodo 1960-1971<br />

Media Dev. Standard Media Dev.Standard<br />

r_us 5,02 1,17 infl_us 2,8 2,91<br />

r_uk 6,8 1,18 infl_uk 4,4 5,59<br />

r_c 5,97 1,04 infl_c 2,66 4,69<br />

r_g 6,85 0,88 infl_g 2,71 4,03<br />

r_f 6,58 1,18 infl_f 4,1 4,1<br />

Periodo 1995-2008 Periodo 1995-2008<br />

Media Dev. Standard Media Dev.Standard<br />

r_us 5,11 1 infl_us 2,44 4,54<br />

r_uk 5,48 1,25 Infl_uk 1,86 4,38<br />

r_g 4,72 1 Infl_g 1,55 3,63<br />

r_f 4,85 1,09 infl_f 1,6 2,92<br />

Fonte: Per <strong>il</strong> periodo dal 1880 al 1913 Homer e Sylla (1996), per i restanti due periodi OECD database 2008.<br />

Note: i tassi per <strong>il</strong> periodo 1880- 1913 rappresentano rendite perpetue, i restanti sono tassi decennali.<br />

192


endimento medio annuo %<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

1810<br />

Figura 1: rendimenti medi annui consolidati britannici e rentes francesi, 1810-1913.<br />

Rendimenti medi annui consolidati inglesi e rentes francesi,<br />

1810-1913<br />

1815<br />

1820<br />

1825<br />

1830<br />

1835<br />

1840<br />

1845<br />

1850<br />

Fonte: H. Sidney, R. Sylla (1995), Storia dei tassi d'interesse, pagina 311 .<br />

1855<br />

193<br />

1860<br />

1865<br />

1870<br />

1875<br />

1880<br />

1885<br />

1890<br />

1895<br />

rendimento consolidati inglesi rendimento rentes francesi<br />

1900<br />

1905<br />

1910


Fonte: Jones-Obstefeld database, 1996, NBER. w ww.nber.org/nberhistory .<br />

Figura 2: saldo di conto corrente britannico in rapporto al PIL, 1850-1944.<br />

194


2,00%<br />

1,00%<br />

0,00%<br />

-1,00%<br />

-2,00%<br />

-3,00%<br />

-4,00%<br />

-5,00%<br />

-6,00%<br />

-7,00%<br />

Fonte: Federal Reserve di St. louis database (FRED) 2009.<br />

Figura 3: saldo di conto corrente americano in rapporto al PIL, 1960-2008.<br />

Saldo di conto corrente/PIL, percentuale<br />

1960<br />

1963<br />

1966<br />

1969<br />

1972<br />

1975<br />

1978<br />

1981<br />

1984<br />

1987<br />

1990<br />

1993<br />

Saldo di conto corrente/PIL<br />

195<br />

1996<br />

1999<br />

2002<br />

2005<br />

2008


120,00<br />

110,00<br />

100,00<br />

90,00<br />

80,00<br />

70,00<br />

60,00<br />

Figura 4: Trade weighted exchange index: maggiori valute, da Marzo 2000 a Settembre 2009.<br />

Trade weighted exchange index: valute principali<br />

03/01/2000 03/01/2002 03/01/2004 03/01/2006 03/01/2008<br />

Trade weighted exchange index: valute principali<br />

Fonte: Board of Governor of the Federal Reserve System, settembre 2009<br />

Note: maggiori valute: euro, dollaro canadese, yen, sterlina, dollaro australiano, franco svizzero e corona svedese.<br />

196


Fonte: IMF database 2008.<br />

Figura 5: dislocazione geografica dei surplus e dei deficit di partite correnti, 2008.<br />

Surplus> 50 m<strong>il</strong>iardi 0


Fonte: Limes n 5, Ottobre 2009 e www.limesonline.it .<br />

Figura 6: a chi è in mano <strong>il</strong> debito estero americano?<br />

198


M<strong>il</strong>iardi di dollari<br />

400<br />

300<br />

200<br />

100<br />

0<br />

Fonte: Federal Reserve di St. louis database (FRED) 2009.<br />

Figura 7: importazioni americane dalla Cina, m<strong>il</strong>iardi di dollari, 1995-2008.<br />

Importazioni dalla Cina degli Stati Uniti,m<strong>il</strong>iardi di<br />

dollari 1995-2008<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

199<br />

2002<br />

2003<br />

imp dalla Cina<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008

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