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SHIRIN, LA DONNA<br />
CHE HA VINTO<br />
SHIRIN NESHAT, artista iraniana. Fotografa donne libere. Con poesie sulle mani, negli occhi,<br />
sulle parti “consentite” del corpo, armate di fucile, dure e bellissime. Con i suoi scatti ha<br />
fatto guerra all’integralismo. E ha vinto. Grande donna, Shirin. E grande mostra. A Torino<br />
testo: Guglielmina Paoli / foto: Shirin Neshat<br />
Ci devo riuscire! Così si sarà detta l’artista<br />
iraniana più famosa al mondo. E tanto ha<br />
pensato, ha studiato, s’è arrovellata che alla<br />
fine ce l’ha fatta: è riuscita a far parlare le<br />
donne che l'Islam vuole coperte dal chador e<br />
mute, sottomesse all'uomo: le donne del suo<br />
paese. Come? Con la pelle. Le ha prese, fotografate<br />
e ha scritto sulle parti del corpo che il<br />
codice obbligatorio di comportamento islamico<br />
permette di lasciare scoperte, antichi versi<br />
di poeti persiani o versi ribelli di pionieristiche<br />
poetesse. Le ha fatte parlare con i volti, le<br />
mani e i piedi. Semplice no? Bisognava arrivarci<br />
però e non era facile. E così ha sfidato<br />
l’integralismo di Teheran.<br />
Shirin Neshat è nata a Qazvim, in Iran, nel<br />
1957 ed è andata a studiare arte all’Università<br />
di Berkley, in California, nel 1974. In quel momento<br />
l’Iran è al culmine della sua spinta di<br />
modernizzazione, il velo, che non è obbligatorio<br />
dal 1936, lo porta solo chi vuole. È un<br />
paese moderno nel quale le donne fanno tutto<br />
quel che noi troviamo normale, cose banali<br />
come stare in un bar, andare al cinema, andare<br />
a ballare, uscire con la minigonna.<br />
Nel 1990 Shirin torna e rimane sconvolta dagli<br />
spaventosi cambiamenti imposti dalla rivoluzione<br />
integralista di Khomeini: una forte ricostruzione<br />
dell'identità islamico-iraniana e le<br />
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donne obbligate a rimettere il velo dal 1983.<br />
La distanza tra quello che sa e ricorda della<br />
straordinaria e antichissima cultura della sua<br />
terra e quel che trova soltanto sedici anni dopo<br />
la annichilisce. Alla fine del suo corso di<br />
studi non pensava di “diventare”, di “fare”<br />
l’artista ma quel che vede la spinge di nuovo<br />
da quelle parti, a cercare moduli espressivi,<br />
“modi di dirlo”. L’arte, appunto.<br />
In Iran il corpo femminile è considerato alternativamente<br />
bandiera e simbolo dell’orgoglio<br />
nazionale, emblema di vergogna e umiliazione.<br />
Shirin non ci sta, vuole fare qualcosa e<br />
comincia a fotografare se stessa coperta dal<br />
velo, desiderosa di capire, di comprendere<br />
quello che sta accadendo, di immaginare quel<br />
che succederà in futuro.<br />
Le sue donne velate, una serie di foto raccolte<br />
sotto il titolo The Woman of Allah, spesso oltre<br />
al chador (che letteralmente significa tenda), e<br />
alla pelle che parla, “indossano” anche fucili o<br />
pistole, che stanno a testimoniare la necessità,<br />
la voglia e la forza di opporsi all'oppressione.<br />
Dopo tante bellissime foto, a un certo punto<br />
a Shirin non basta più l’immagine fissa della<br />
fotografia, sente il bisogno di nuovi mezzi<br />
espressivi, nuovi linguaggi. Studia cinema e<br />
diventa assistente del più famoso regista<br />
iraniano, Abbas Kiarostami. Da quel momento<br />
realizza piccoli capolavori, film essenziali,<br />
taglienti, di rara intensità e sensibilità, grande<br />
rigore espressivo e incisività, proiettati in gallerie<br />
d’arte e musei. Con uno di questi,<br />
Turbulent, ha anche vinto un premio alla<br />
Biennale di Venezia (su due schermi contrapposti<br />
scorre l’antitesi tra il mondo maschile e<br />
quello femminile: da una parte violenza e<br />
disordine, dall’altra il sogno e il desiderio di<br />
libertà). Persino Philip Glass, grande compositore<br />
minimalista americano, gliene ha commissionato<br />
uno da presentare durante un tour<br />
di concerti live. Chi li ha visti ammette che la<br />
figura maschile, beh ecco, non fa proprio quella<br />
che si definisce una bella figura.<br />
Esile e minuta, ma forte come l’acciaio, due<br />
grandi occhi scuri di velluto resi ancor più<br />
profondi dal kajal, Shirin vive in una casa-studio<br />
in una stradina di Soho, a New York, un<br />
pezzetto di Iran odoroso come il banco di un<br />
profumiere in un souk: alle pareti tante foto e<br />
decorazioni, per terra tappeti, fiori sempre<br />
freschi, un figlio di otto anni che guarda continuamente<br />
cartoni animati alla tv e un gattone<br />
che si stiracchia sopra i libri. Il governo di<br />
Kathami l’ha riabilitata. Non è più un mostro,<br />
Shirin, e presto ci sarà una sua mostra al<br />
Museo d’Arte Contemporanea di Teheran.<br />
A suo modo, ha vinto.<br />
LA MOSTRA<br />
Per chi vuole conoscere<br />
l’opera di Shirin Neshat,<br />
ma non può andare fino<br />
a Teheran, ecco<br />
l’occasione giusta: la<br />
sua prima grande mostra<br />
pubblica nel nostro<br />
paese, un’antologica<br />
ampia e completa con<br />
le foto e i video, curata<br />
da Giorgio Verzotti.<br />
Ospita il Museo d'Arte<br />
Contemporanea<br />
del Castello di Rivoli,<br />
a due passi, ma proprio<br />
due, da Torino. Dal 28<br />
gennaio al 5 maggio<br />
2002. Il catalogo è<br />
realizzato da Charta.<br />
Per l’occasione,<br />
al Castello di Rivoli<br />
troverete anche <strong>Urban</strong>.<br />
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