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ABORIGENO<br />
URBANO<br />
Suona un tubo. Cioè: un ramo di eucalipto scavato<br />
dalle termiti. Insomma, un didgeridoo, atavico<br />
strumento aborigeno. Bellissimo, certo, ma andateci<br />
piano con quella roba: vi ruba l’anima<br />
testo: Viola Chandra<br />
foto: Emmanuel Mathez<br />
Cosa fa un australiano, di notte, a Milano, in<br />
via Martinetti? Si sbronza? Difficile, se si trova<br />
nel Centro tibetano. No: Phil Drummy, nato 33<br />
anni fa vicino a Melbourne, insegna didgeridoo<br />
e cultura del popolo aborigeno australiano.<br />
Pur essendo un viso pallido.<br />
Compositore e musicista di vari tipi di strumenti,<br />
a fiato o a percussioni, dice: “Il didgeridoo per<br />
me rappresenta l’origine di qualsiasi strumento<br />
a fiato. Questo ramo di eucalipto scavato dalle<br />
termiti, grezzo e rudimentale, produce un suono<br />
dalle frequenze e dai toni molto bassi, che imita<br />
i versi degli animali selvatici e che agisce<br />
sul lato più istintivo degli uomini. È una musica<br />
profondamente legata alla terra e all’anima.<br />
Secondo gli aborigeni il suo suono, modulato<br />
dagli antenati creativi, ha dato forma ai vari<br />
aspetti della natura. Ed è proprio la natura, dove<br />
gli antenati creativi oggi vivono, a farne nuovamente<br />
dono agli indigeni”. Che lo cercano,<br />
lo trovano, lo puliscono e lo suonano seguendo<br />
rituali arcaici.<br />
Phil Drummy è entrato lentamente nel loro mondo,<br />
da bambino: incantato, attratto e traghettato dai<br />
suonatori di didgeridoo che incontrava nei mercati<br />
o in campagna. Loro lo hanno accolto, si sono<br />
fidati e gli hanno insegnato le tecniche e i segreti<br />
dello strumento.<br />
Non tutti i segreti, però: le canzoni sacre, che si<br />
basano su note immutate da secoli, sono “proprietà”<br />
esclusiva degli iniziati e vengono suonate<br />
esclusivamente nelle cerimonie religiose tribali.<br />
“Secondo la tradizione indigena, un esterno, un<br />
non iniziato, non può avvicinarsi a questa musica<br />
perché la sua energia può distruggerlo.<br />
E distruggere chi gliel’ha trasmessa: cioè l’indigeno<br />
eretico”. Una strage, insomma. La sola<br />
musica che può essere ascoltata, conosciuta e<br />
suonata da tutti è un’altra: quella profana,<br />
da relax. Sono questi i suoni che Phil Drummy<br />
usa, rielabora e contamina: mixandoli con le<br />
canzoni tradizionali di altri paesi e introducendo<br />
delle componenti elettroniche. Una ricerca che<br />
lo ha portato a lavorare molto: con Randy<br />
Crawford e David Lee Roth, per esempio.<br />
In Italia, con Antonella Ruggiero, la PFM e<br />
Eugenio Finardi; nel 1996 è stato in tourné con<br />
Sting e due anni fa ha dato vita al progetto musicale<br />
SongLine, a cui partecipano anche quattro<br />
aborigeni australiani (tra cui Rrurrambu<br />
Burarrawaaanga, uno dei pionieri della musica<br />
indigena). E quindi il disco: Desert Rainbow<br />
(Tropical Music). Intanto lui, che continua<br />
a tenere in tutta Europa stage, corsi e seminari<br />
sul didgeridoo e sulla cultura aborigena (info:<br />
pdrummy@libero.it), è in partenza per<br />
l’Australia: “Ho bisogno di spazi aperti. Qui è<br />
tutto troppo affollato”. Certo, gli immensi spazi<br />
aperti del deserto australiano sono un’altra cosa.<br />
“Ma c’è una cosa qui che laggiù non hanno:<br />
le brioche calde, comprate alle tre di notte,<br />
riesco a mangiarne anche dieci, una dopo l’altra.<br />
Il giorno dopo sto da cani, ma non importa”.<br />
Maledizione aborigena?<br />
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