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20 URBAN<br />
“SE SAI LA DECLINAZIONE LATINA TE LE COMPRO TUTTE IO”<br />
stasera, che non sa il latino e a cui quelle quarantaduemila<br />
lire servono per campare. Poi cos’è<br />
che racconta quando al telefono i parenti di<br />
Ceylon gli chiedono com’è l’Italia?<br />
Fifty fifty. I maschi, nelle coppie che incontro, si<br />
dividono in due categorie. Quelli che mi considerano<br />
un’occasione per fare i brillanti e che mi<br />
eleggono a protagonista delle loro battute più<br />
penose, e quelli che mi considerano un potenziale<br />
pericolo per la serata. Questi ultimi li si riconosce<br />
perché, come mi vedono, assumono la stessa<br />
espressione finto-consapevole di un concorrente<br />
del Quiz Show. Ce li si immagina a pensare:<br />
“Ma faccio più bella figura se la compro, la rosa,<br />
o se non la compro, o se la compro e poi dico<br />
che l’ho comprata solo perché lui ne ha bisogno,<br />
o se faccio finta di non avere il cambio, oppure<br />
gliela compro e basta, e se poi lei la considera<br />
una cafonata cosa faccio? Magari dovrei…”<br />
La tensione raggiunge livelli solidi. Appena mi<br />
allontano senza insistere il sollievo è palpabile.<br />
Primo gioco. Si individui una coppia di uomini<br />
eterosessuali e ci si avvicini loro con un mazzo<br />
di rose. Quello dei due che pensa di essere più<br />
tollerante e disinibito abbozzerà un sorriso tipo<br />
“Ehi, amico, che cosa hai capito, non sono mica<br />
omosessuale, cioè non che ci sia nulla di male,<br />
però davvero non ci servono rose”. L’altro si<br />
guarderà inorridito intorno cercando che so, una<br />
guardia, la polizia, una donna qualsiasi da baciare<br />
per ribadire la propria virilità. Assumerà pose<br />
mache, magari portandosi una mano sul pacco e<br />
chiedendo all’altro un sigaro. È sufficiente che<br />
capiti una cosa del genere due volte in una serata<br />
e poche ore dopo il primo dei due inaugurerà<br />
un ciclo di analisi quinquennale, l’altro avrà degli<br />
irrisolti sessuali per tutta la vita.<br />
Regola della bambina fra i cinque e i nove<br />
anni. Fai capire alla bambina che le rose sono<br />
blu perché un po’ magiche e che sono le preferite<br />
di Harry Potter e chiunque nel locale, pur di<br />
farla stare zitta, le comprerà una rosa blu.<br />
Regola del politically correct. Se nell’avvicinarti<br />
a un tavolo gli occupanti ti avranno fatto sedere,<br />
offerto da bere, offerto da fumare, offerto conforto,<br />
parlato di quello che gli piace della cucina del<br />
tuo paese che degustano almeno una volta la settimana<br />
nel ristorante etnico sotto casa e alla fine<br />
salutato compiacendosi fra sé e sé di quanto<br />
sono democratici e no global, sei capitato al tavolo<br />
dei politically correct. Comunque non compreranno<br />
rose “ché è così triste vederle appassire”.<br />
Postulato delle rose senza spine. Il numero di<br />
persone che faranno le spiritose ricordandoti<br />
che non c’è rosa senza spine è direttamente<br />
proporzionale al tempo impiegato vendendo<br />
rose. Nella misura di uno ogni sessanta secondi.<br />
Se va bene.<br />
Secondo gioco. Si prenda un gruppo a forte<br />
maggioranza femminile. Cinque a uno, o sei a<br />
due. Il gioco consiste nella tacita scommessa fra<br />
chi vende fiori e le ragazze, che convincere il<br />
maschietto a donare una rosa a testa sia per loro<br />
una sciocchezza. Alla fine del gioco avrete venduto<br />
un sacco di rose, il maschietto sarà convinto<br />
di essere un dio e le ragazze avranno ulteriore<br />
conferma della superiorità del genere femminile.<br />
Il sublime. Assumo la solita aria un po’ rumena<br />
e provo a entrare in un locale. In mano il<br />
consueto mazzo di rose. Bianche e blu. “Uhè,<br />
cioccolato bianco, vediamo di fare un giretto<br />
veloce nèh.” A sentire “cioccolato bianco” sono<br />
in estasi. Ma urge un’astrazione. Da una parte ci<br />
si mette un razzista che chiama “cioccolato”<br />
ogni ragazzo nero che passa dal suo locale a<br />
vendere fiori. Dall’altra ci mettiamo il passaggio<br />
mentale che porta dal cioccolato al cioccolato<br />
bianco la rara volta che a venderli è un bianco.<br />
Se, con una forzatura, si consideri la mente<br />
umana parte della natura, mi sento, come scrisse<br />
Kant, di fronte ad uno spettacolo naturale che<br />
supera il potere della mia immaginazione. Il che<br />
non riabilita certo il proprietario di quella mente,<br />
ma ricorda fino a che punto siamo in grado di<br />
mortificarla.<br />
Il bello. Il bello me lo trovo davanti più tardi,<br />
all’improvviso, dopo la frugale cena che divido<br />
con i ragazzi cingalesi che mi hanno dato le<br />
rose da vendere. Racconto di una serata<br />
tranquilla, a tratti divertente. Ci si scambiano<br />
aneddoti di proprietari un po’ rudi e di clienti<br />
bislacchi. Un po’ mi vergogno. Quella che per<br />
me è stata una gita, per Sadi e gli altri è un<br />
lavoro. Per me è stato spesso facile ciò che per<br />
loro non lo è quasi mai. Ho venduto duecento<br />
rose, pari a seicentoquarantaduemila lire.<br />
Esentasse. Però io sono bianco e parlo un buon<br />
italiano ed è fin troppo ovvio quanto mi abbia<br />
aiutato. Per le rose loro hanno investito molti<br />
soldi, i risparmi di una vita per pagare in anticipo<br />
e in contanti i fiori di un mese intero. Sono<br />
assieme a persone che vivono in cantina e che<br />
pagano per una branda cinquecentomila lire al<br />
mese. Esentasse. Di ciò che rimane, parte serve<br />
per vivere, essenzialmente cibo, niente vestiti, né<br />
telefono, né corrente elettrica, il resto viene spedito<br />
a casa. Sto per ringraziare e andare via e<br />
saluto il più anziano. Sival. Ha sessant’anni, è in<br />
Italia da quindici e mi chiede un favore. Mi chiede<br />
di dargli del lei. Capisce che non capisco, che<br />
lo prendo per un gesto di allontanamento.<br />
“Delle cose che potete fare per fare sentire<br />
accettato uno straniero – mi spiega – è la più<br />
bella. Non ti rivolgeresti mai ad un anziano con<br />
il tu. A me danno del tu tutti quelli che incontro<br />
per strada. Il tuo dare del tu è diverso da quello<br />
degli altri, ma per noi sarebbe bellissimo essere<br />
rispettati da tutti nella maniera più semplice,<br />
quella che usate fra di voi, come primo segno di<br />
rispetto”. Magari non è così importante, magari<br />
è una fissa dei cingalesi e basta, o, ancora meno,<br />
un vezzo di Sival. Però è stato bello imparare<br />
una cosa che nessun corso di politically correct<br />
avrebbe mai insegnato. Buonasera, signor Sival