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TAPPETO VOLANTE - Urban

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C’era una volta la trattoria romana. A Piazza<br />

Renzi, quando non facevi una cena completa<br />

dall’antipasto al dolce, Augusto grugniva<br />

infuriato scuotendo la testa: “Nun se magna<br />

più come ’na vorta…”. L’unica alternativa era<br />

il ristorante del ‘generone romano’, il trionfo<br />

del kitsch con pretese di eleganza: i poveri<br />

camerieri con la marsina stretta e le tele spaventose<br />

dell’artista-amico-dell’oste in bella<br />

vista alle pareti. Il Giubileo ha portato un<br />

vento di novità: agghiaccianti catene di fastfood<br />

nostrani pronte a rimpinzare gli stomaci<br />

famelici di pellegrini. Grazie a Dio, in questa<br />

deregulation della ristorazione si è affermata<br />

un’altra tendenza che vige ormai da anni nelle<br />

grandi capitali del mondo, quella per cui il palato<br />

è importante, sì, ma anche l’occhio vuole<br />

la sua parte. C’è una classe di giovani imprenditori<br />

romani ‘colti’, che ha viaggiato per<br />

il mondo, ha imparato questa lezione e ha iniziato<br />

a investire su un’‘urbanistica del piacere’.<br />

E a Roma c’è stata un’esplosione di locali<br />

che mai si sarebbe potuta immaginare solo<br />

qualche anno fa. Ne sanno qualcosa gli architetti<br />

dello studio p+r+v lab. arch., classe<br />

1965. Dopo aver progettato parchi e piazze,<br />

si sono gettati con piacere nella mischia di<br />

questo rinascimento che è partito dal gusto<br />

(in tutte le sue articolazioni semantiche).<br />

Prima incursione: il progetto, nel cuore di<br />

Roma, dello store in Piazza di Spagna e poi<br />

del wine-bar in via delle Carrozze del fortunato<br />

Shaki. Ora stanno ultimando due grandi<br />

locali decentrati, una vera sfida: per le dimensioni<br />

inconsuete a Roma, e per l’ubicazione<br />

centrifuga rispetto al cuore della città.<br />

“L’esigenza di Shaki era avere una grande<br />

visibilità dalla strada”, dice Marco Valenti.<br />

“Il wine-bar doveva essere tutto proiettato<br />

fuori, quasi annullando il filtro interno-esterno”.<br />

Un tentativo di riqualificare una strada<br />

che è una delle poche carrabili del centro, restituendole<br />

dignità di luogo di passeggio.<br />

Shaki è stato pensato come una piacevole sosta<br />

in un ambiente domestico a metà tra il<br />

living e la cucina. Nel loro studio di Testaccio,<br />

i tre architetti aspettano ora la reazione di<br />

Roma a Retro e Greyhound, i due locali periferici<br />

che hanno progettato e quasi finito di<br />

realizzare. “In Retro – spiega Alessandro, il<br />

fratello (gemello) Valenti – c’è un edificio<br />

moderno che si è come dissolto, lasciando<br />

superstite la struttura, un grande contenitore<br />

in cui muovere degli oggetti”. Il sogno di tutti<br />

gli architetti, insomma, specie a Roma dove<br />

non si muove foglia (e sanpietrino) che Dio (e<br />

la sovrintendenza alle Belle Arti) non voglia.<br />

“Retro è l’esatto opposto di Shaki – spiega<br />

Marco – è dietro una strada, sul retro di un<br />

grande edificio nei pressi di viale Marconi, un<br />

quartiere di vocazione popolare che si sta<br />

evolvendo come tutto il polo sud di Roma, a<br />

pochi isolati dalla nuova multisala Uci e<br />

dall’India, il teatro del Comune negli ex stabilimenti<br />

industriali della Mira Lanza, a cinque<br />

minuti da Testaccio. Al ristorante si accede da<br />

una rampa che scende in un open-space di<br />

oltre 300 metri quadri, un ex garage poi<br />

riconvertito in distilleria. Anche qui abbiamo<br />

cercato di ricreare un ambiente domestico tipo<br />

cucina anni Trenta. Mi sembra un miracolo<br />

che a Roma comincino a farsi strada giovani<br />

imprenditori disposti a esportare qualità in<br />

zone di genetico degrado edilizio”. Ma pure<br />

Greyhound è il sogno di qualsiasi architetto.<br />

È un intero edificio, una unità edilizia isolata,<br />

un tempo adibita ad altra destinazione: stazione<br />

di rifornimento di benzina su una strada<br />

di grande scorrimento qual è la Tiburtina<br />

poco prima del raccordo anulare. Diventerà<br />

un bar, self-service, ristorante, edicola. “Il bello<br />

è che lì si perde ogni riferimento spaziale:<br />

potresti essere su una freeway sperduta in<br />

qualsiasi angolo del mondo”, spiega<br />

Alessandro. “C’è un’enorme pensilina che è<br />

un fuoriscala clamoroso rispetto all’edificio. Ci<br />

ha fatto pensare all’attesa nelle grandi stazioni<br />

d’autobus americane, non è un punto di<br />

partenza né di arrivo, ma di attraversamento,<br />

che è la vocazione delle periferie.<br />

La utilizzeremo per creare uno spazio per<br />

pranzare all’aperto”. Ma che significa concepire<br />

spazi adibiti al piacere? “Noi progettiamo<br />

luoghi in cui ci piacerebbe stare – dice Paola<br />

Pampini –, e cerchiamo di lasciare una grande<br />

libertà d’uso. Non siamo nati come architetti<br />

d’interni, non siamo arredatori né designer:<br />

non vogliamo appoggiare oggetti nello spazio,<br />

ci piace che siano gli spazi a generare le forme.<br />

E se quando la gente li vive, cambia la destinazione<br />

che gli avevamo attribuito, siamo anche<br />

più soddisfatti. Nella piazza Piaggio, che<br />

abbiamo realizzato al villaggio Breda, i dissuasori<br />

del traffico sono stati usati per metterci<br />

la piantina o sbatterci lo zerbino, i bambini<br />

hanno utilizzato le panchine per lanciarsi<br />

con lo skateboard e hanno sistemato il biliardino<br />

sotto la pensilina. Il nostro lavoro finisce<br />

quando la gente comincia a vivere gli spazi<br />

che noi abbiamo pensato. Se la città li fa suoi,<br />

per noi è un successo”.<br />

ROMAFUORIROMA<br />

TRE ARCHITETTI, una città, l’urbanistica del tempo libero e la voglia di sfuggire alle regole.<br />

“Il nostro lavoro finisce quando la gente comincia a viverci dentro”. Così Roma si affaccia<br />

fuori dal suo centro storico e “conquista” territori nuovi. Per mangiare fuori dai soliti cliché<br />

testo Monica Capuani / foto Guido Fuà<br />

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URBAN 17

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