nostro lunedì - Regione Marche - Cultura

quais
orfeo tamburi
un
pugno
di
mosche
leonardo
sinisgalli
Una poesia di parole non dà garanzie di durata come non ne
dà una costruzione fatta con la carta e con il legno, il sublime
assemblage giapponese. La casa giapponese è elegantissima
ma fragile. Così fragile e in continuo riassetto, in continuo
stato di febbre, la poesia delle parole.
Non si sfugge al rendiconto di quello che c’è, che esiste.
Si può aprire un registro di infinite pagine per fare la storia
(incompiuta) dell’inesistente.
Ma bastano due punti per definire una linea retta, tre punti
per definire un cerchio. Ci vogliono troppi tentativi e troppa
materia per giustificare una distrazione, una fuga.
Ci sono gli altri che vantano la merce che hai svenduta.
Non è necessario cominciare, necessario è finire.
Dobbiamo sforzarci di lasciare nel limbo le larve, i figli non
nati. Dobbiamo buttare al fuoco gli abbozzi, gli spunti, le improvvise
illuminazioni, i versi scritti nelle notti d’insonnia, le
lettere non spedite
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È inutile illuderci di costruire un universo con la bava, con lo
sputo, con il miele, con la cera.
Lungo i Quais la sera, le cime degli alberi che escono alte di
sopra i muri fanno pensare a…:
“vorrei dire alle stampe giapponesi, per esempio, oppure ad aureole
di sottili fili, ranuncoli riuniti di una fitta rete di ragno”.
Alberi neri e contorti senza una foglia.
Poco prima che si accendano le luci nelle vie,
sopra i ponti, luci pallide d’oro vecchio che mandano bagliori
che brillano come luci sugli altari - come le luci che stanno sugli
altari-, i rosa e i gialli delle case dell’altra sponda sono già
scomparsi nella nebbia.
La cima della Tour Eiffel è anch’essa inghiottita dalla nebbia.
Un cielo basso di piombo opprime il paesaggio e il mio animo
è in pena.
In un giorno come questo, a quest’ora, io mi stupisco di non
poter morire.