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Trovai la popolazione in<br />

tanta indigenza e povertà<br />

che fu necessario continuare<br />

l’uso di conservare<br />

in Chiesa un paio<br />

di lenzuola e una coperta<br />

da valersene nella contingenza<br />

di amministrare<br />

il Santo Viatico.<br />

Matteo Olcese 1770,<br />

in “Bollettino parrocchiale<br />

di Roccatagliata” 1958<br />

Questa pianta si alza da<br />

terra quasi come le canne,<br />

e fa fiori gialli, che a niente<br />

servono; perché molto<br />

abbondantemente si propaga<br />

dalla sua radice,<br />

in cui fa molti globi,<br />

ognun de’ quali dà fuora<br />

molti germogli; tantoché<br />

se si lasciano sotterra più<br />

di due anni, ogni germoglio<br />

fa un nuovo globo,<br />

e viene ad essere<br />

un aggregazione di globi,<br />

che ha una gran<br />

somiglianza alla radica<br />

<strong>della</strong> canna.<br />

FANELLI 1773, pagina 259<br />

Dondero, secondo quanto riferisce il trattato De’<br />

pomi di terra (1793) ebbe le prime notizie sulle<br />

patate attraverso il Giornale del Parroco (1773),<br />

del sacerdote Geremia Fanelli di Vernazza, dove si<br />

parla del “tartuffo”, assai diffuso nel Modenese e<br />

in Toscana. Fanelli definisce i “tartuffi” “una scoperta<br />

dalla quale spero si leveranno molti peccati,<br />

perché si leveranno molte miserie”, e illustra la<br />

tecnica per coltivarli e farne pane; tuttavia - questo<br />

è sfuggito agli autori del trattato - non stava<br />

parlando di patate, ma di topinambur; per capirlo,<br />

basta leggere la descrizione del “tartuffo”.<br />

Che ancora nel 1793 si potessero confondere<br />

patate e topinambur non deve stupire, trattandosi<br />

di piante in quegli anni ancora poco note. In<br />

ogni modo, stimolato dall’opera di Fanelli e dalla<br />

lettura degli “Avvisi”, nel 1786 Dondero acquista<br />

e pianta le prime patate. Sappiamo che gli abitanti<br />

di Roccatagliata considerarono la nuova coltura<br />

una stravaganza del parroco; sulla loro reazione<br />

esistono due versioni.<br />

La prima vive nella memoria locale e racconta che<br />

i parrocchiani non si fidavano dei tuberi, fatti<br />

arrivare da Parigi, credendoli velenosi e temendo<br />

che Dondero volesse avvelenarli tutti. Esortazioni<br />

e prediche non servirono a nulla, così il parroco<br />

decise di dare l’esempio e, una sera, durante una<br />

veglia, mangiò patate dinanzi ai presenti. Il giorno<br />

dopo i parrocchiani attendevano di sentire i<br />

rintocchi dell’agonia per annunciare la morte del<br />

parroco, ma non successe nulla. Allora pensarono<br />

che, conoscendo la Medicina, avesse preso un<br />

antidoto, oppure che avesse fatto solo finta di<br />

mangiare le patate, senza però ingoiarle. Il parroco<br />

la sera successiva ripeté il pubblico assaggio<br />

dinanzi ai parrocchiani attenti; tutti videro che le<br />

mangiava davvero e, poiché “anche questa volta”<br />

non morì, qualcuno cominciò ad assaggiarle.<br />

L’altra versione la racconta lo stesso Dondero in<br />

una lettera inviata agli “Avvisi” nel 1792 [numero<br />

14]: «Sei anni circa fa si fecero venire dalle montagne<br />

degli Svizzeri alcune libre di patate rosse, e<br />

si seminarono. Fu copioso il prodotto che per<br />

altro non venne applaudito da que’ contadini,<br />

mentre per mancanza certamente di bastevoli<br />

cognizioni, non si vollero indurre dapprima a<br />

farne uso ne’ cibi, tuttoché dall’esempio animati<br />

di persona illuminata, ed autorevole. Per quanto<br />

fosse messa in ridicolo la recente esperienza, e il<br />

buon esito <strong>della</strong> medesima, non si tralasciò di<br />

seminarne delle altre per la seconda volta, ed<br />

anche in maggior copia; a segno di poterne pure,<br />

oltre l’uso fattosene tra la famiglia, ingrassare<br />

due majali, che furono trovati pesare 2 cantara<br />

[circa 95 kg] per ciascuno. A questa seconda prova<br />

si mostrarono alquanto più umani verso un frutto,<br />

che prospera molto con poco; tantoché divolgatasene<br />

la voce per le ville circonvicine, s’invogliarono<br />

moltissimi di tale coltivazione, potendo<br />

se non altro esser vantaggiosa per il bestiame.<br />

Anzi crebbe in loro l’impegno dall’avere osservato,<br />

che da quella porzione di terreno, donde non<br />

potevano ricavare che uno stajo [24 litri] di altre<br />

derrate, ne uscivano cinquanta rubbi [400 kg] di<br />

pomi di terra; i quali a calcolo fatto equivalevano<br />

a 25 rubbi di granone».<br />

Superate le prime diffidenze, le patate divennero<br />

il prodotto principale di Roccatagliata: dal 1787 al<br />

1790 su un terreno che, nella migliore delle annate,<br />

non avrebbe reso più di 7 quintali di mais ogni<br />

misurata in rubbi (1 rubbo = 8 chili)<br />

18 19<br />

Giornale del Parroco (1773)<br />

di Geremia Fanelli<br />

3 - Produzione di patate nell’Oltregiogo (1796)<br />

Val d’Àveto Santo Stefano (30.000)<br />

Val Borbera Cabella (400), Cantalupo (700), Carrega (0), Grondona (170),<br />

Mongiardino (4.340), Roccaforte (5.000), Rocchetta (1890)<br />

Valle Scrivia Busalla (4.000), Casella (7.000), Croce Fieschi (1.500),<br />

Isola del Cantone (800), Montoggio (55.000), Ronco (800),<br />

Savignone (8.000)<br />

Valle Stura Campofreddo (2.500)<br />

Val Trebbia Fascia (1.600), Fontanigorda (3.400), Gorreto (4.500),<br />

Montebruno (6.000), Ottone (5.800), Propata (800), Rondanina (800),<br />

Rovegno (6.000), Torriglia (4.500)<br />

I dati sono tratti dalla relazione del topografo Pellegrini (1796), citata in A. Sisto, I feudi imperiali del<br />

tortonese (secoli XI-XIX), Giappichelli, Torino 1956, pag. 176; in evidenza le produzioni di Montoggio e<br />

Santo Stefano d’Aveto.

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