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Frontespizio<br />
del trattato (1905)<br />
di E.S. BELLENOUX<br />
sulla coltura intensiva delle<br />
patate “di gran reddito”<br />
[La Bianca di Como]<br />
non si è ancora diffusa<br />
come merita, e da alcune<br />
località a gran produzione<br />
vediamo arrivare sui nostri<br />
mercati delle patate scadenti,<br />
grossolane, a pelle<br />
ruvida, di sapore sgradevole,<br />
che si direbbero<br />
addirittura selvatiche.<br />
Noi pensiamo che se nella<br />
nostra zona di alta montagna<br />
a clima rigido - comuni<br />
di Santo Stefano d’Àveto,<br />
Rezzoaglio, Maissana,<br />
Varese Ligure, etc. -<br />
si coltivasse la patata<br />
comasca, come in Riviera,<br />
essa sarebbe in grado<br />
presto di fornire<br />
a quest’ultima<br />
le patate da seme.<br />
“La Semente”, 1923<br />
alle malattie in confronto alle varietà nostrali». Di<br />
selezione in selezione, nei primi anni del secolo, si<br />
arriva a varietà capaci di produzioni eccezionali,<br />
fino a 1.000 quintali per ettaro! mentre da noi -<br />
osserva Ugo Somma nel 1904 - «contrariamente a<br />
quanto hanno fatto all’estero […], nessuno si è<br />
occupato <strong>della</strong> selezione delle varietà indigene,<br />
ragione per cui la loro produzione è meschina».<br />
Tuttavia, nonostante la differente produttività e<br />
la propaganda, le varietà straniere penetrano a<br />
fatica, a differenza di alcune nostrali che, soprattutto<br />
dopo il 1910, fanno la loro comparsa sul<br />
mercato genovese: la <strong>Quarantina</strong> gialla di<br />
Entraque, proveniente dal Cuneese, la Matilde<br />
(buccia rosea e polpa gialla) proveniente da<br />
Bergamo, e la Cinquantina di Chioggia. Ma la<br />
patata che, a partire dagli stessi anni, ottiene il<br />
maggiore consenso è la Bianca di Como: tubero<br />
tondo-ovale, appiattito, di pasta bianca e gemme<br />
chiare. La sua coltura, per molto tempo, è limitata<br />
alla Riviera, come riferisce una nota del 1923,<br />
pubblicata sul bollettino <strong>della</strong> Cattedra ambulante<br />
di Chiavari, dove si osserva che nell’entroterra<br />
chiavarese tale varietà è ancora poco conosciuta.<br />
L’arrivo delle nuove varietà non dipende solo<br />
dalle strade istituzionali (comizi agrari, cattedre<br />
ambulanti di agricoltura e consorzi), ma anche<br />
dall’iniziativa degli stessi contadini di ritorno<br />
dall’America o dalla guerra. E’ così che in alta val<br />
d’Àveto dopo il 1918 giunge la Prugnona, sul cui<br />
arrivo esistono almeno due versioni: la prima che<br />
la vuole proveniente dai monti di Cuneo, portata<br />
da Noè Abramo Bassi; la seconda ne attribuisce<br />
l’introduzione ad “Angiulin” Guarnicceri che l’avrebbe<br />
portata da Montarsiccio (Bedonia). In ogni<br />
caso, la Prugnona, si presenta come una probabile<br />
variante locale <strong>della</strong> Red King Edward, selezionata<br />
nel 1916 dalla King Edward VII.<br />
Dopo la prima guerra mondiale arrivano altre<br />
due varietà che per molti anni saranno moltiplicate<br />
sulla Montagna genovese: la Tombacca e la<br />
Cabannina. Quest’ultima è importata<br />
dall’America, tra fine ‘800 e inizi ‘900, da un certo<br />
Badaracco, divenuto un facoltoso commerciante<br />
di Rezzoaglio, detto anche o Milion; la<br />
Cabannina, detta anche Badaracca in alta val d’Àveto,<br />
presto si diffonde in valle Sturla e nell’alta<br />
Fontanabuona anche grazie alla sua elevata produttività<br />
e nonostante il gusto mediocre (forse<br />
doveva originariamente trattarsi di una patata<br />
adatta all’industria). Viene abbandonata all’indomani<br />
dell’ultima guerra, durante la quale pare<br />
che fosse servita per sfamare i numerosi sfollati<br />
che da Genova si erano rifugiati sui monti del<br />
Levante ligure.<br />
Anche la Tombacca arriva dagli Stati Uniti<br />
(Chicago), portata da Domenico Garibaldi di<br />
Conscenti, detto Ciccolìn e poi - dopo il ritorno -<br />
Tombacco, per il frequente intercalare “tichitombàcche”,<br />
di significato ignoto (forse la storpiatura<br />
di un’espressione inglese), che ha dato il<br />
nome anche alla patata. Assai diffusa e apprezzata<br />
in media e bassa val Graveglia intorno agli anni<br />
1930-1950 è poi gradualmente scomparsa per la<br />
progressiva diminuzione <strong>della</strong> produzione.<br />
L’arrivo delle varietà portate dagli emigranti - nel<br />
corso dell’Ottocento si assiste a un importante<br />
flusso migratorio tra il territorio chiavarese e<br />
l’America Latina, soprattutto il Cile - permette di<br />
discutere la tesi sostenuta da R.N. Salaman, secondo<br />
il quale tutte le varietà di patata presenti in<br />
Europa derivano, in buona sostanza, dai due<br />
ceppi portati alla fine del secolo XVI e da quelli<br />
introdotti dall’America<br />
latina subito dopo l’infezione<br />
di peronospora<br />
degli anni 1845-1846. In<br />
effetti, come è parzialmente<br />
documentabile<br />
per la Liguria, è esistito<br />
un passaggio informale e<br />
non controllato di tuberi<br />
tra le due sponde<br />
dell’Atlantico, a partire<br />
da quelli portati a<br />
Chiavari già nel 1774.<br />
Solo negli anni 1930,<br />
sullo stimolo dei consorzi<br />
26 27<br />
La Chave,<br />
chiamata anche<br />
Shaw o Montagnarde.<br />
Da questa varietà<br />
potrebbe derivare<br />
la nostra Giana rionda