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Collezione<br />

di quanto si è scritto di più<br />

importante e di più adatto<br />

intorno alla coltivazione<br />

ed uso delle patate (1803)<br />

ne rilevati tra il 1796 e il 1822, espressi in rubbi (1<br />

rubbo = 8 kg circa): Cabella passa da 400 rubbi a<br />

27.700; Cantalupo da 700 a 18.000; Carrega da 0<br />

a 18.000; Mongiardino da 4.340 a 17.000;<br />

Roccaforte da 5.000 a 13.000, Rocchetta scende<br />

da 1.890 rubbi a soli 180; dal confronto emerge<br />

un consistente aumento di produzione per quasi<br />

tutti i comuni [vedi il rapporto statistico dell’aprile<br />

1822, in “In Novitate” 1992, numero 14].<br />

Un interessante quadro delle “produzioni territoriali”<br />

<strong>della</strong> provincia di Genova nel corso <strong>della</strong><br />

prima metà del secolo, è contenuto nel Dizionario<br />

geografico (1833-1856) di Goffredo Casalis. Le<br />

patate sono menzionate nelle schede di molti<br />

comuni dell’entroterra, ma senza alcun particolare<br />

rilievo, salvo per Tiglieto, dove rappresentano<br />

la “ricolta principale” con una produzione di circa<br />

10.000 rubbi, ben lontana dalle rese rilevate<br />

trent’anni prima in val Borbera (il dato si riferisce<br />

al 1850, pochi anni dopo la grande infestazione<br />

di peronospora). Sul Levante - nelle valli Àveto,<br />

Fontanabuona e Graveglia - la loro coltura è pressoché<br />

assente; del resto lo stesso Casalis, in un<br />

giudizio riguardante la provincia di Chiavari<br />

(1833), osserva che i “pomi di terra” «preferiscono<br />

i luoghi montani [… e aggiunge]. Pretendono<br />

gli agricoltori di Chiavari, che la coltivazione delle<br />

patate sia dannosa in quei terreni già naturalmente<br />

troppo sterili». In ogni caso, venti anni più<br />

tardi (1856) la coltura figura al quarto posto nella<br />

tabella dei “prodotti vegetabili” <strong>della</strong> stessa provincia,<br />

dopo il frumento, le olive e il granoturco.<br />

La scarsa diffusione registrata sulla Riviera di<br />

Levante nella prima metà del secolo, trova conferma<br />

anche nel territorio savonese, come mostra<br />

la Statistica del Dipartimento di Montenotte<br />

(1824), curata dal prefetto Chabrol, che non fa<br />

cenno alle patate se non per auspicarne la coltura<br />

sugli altopiani più elevati.<br />

Gli anni 1845 e 1846, durante i quali la peronospora<br />

(Phytophtora infestans) distrugge buona<br />

parte dei raccolti in Irlanda e si diffonde<br />

nell’Europa occidentale, segnano l’inizio <strong>della</strong><br />

moderna ricerca di selezioni più resistenti alle<br />

malattie e più produttive di quelle fino a quel<br />

momento coltivate. A partire da questi anni - in<br />

Francia, Germania e Inghilterra - viene prodotto,<br />

per incrocio, un numero crescente di varietà che,<br />

da 221 nel 1848, passa a oltre 600 nel giro di<br />

trent’anni. Nel frattempo e fino alla fine del secolo,<br />

in Italia - dove non si cura la ricerca varietale<br />

(la prima selezione ottenuta per incrocio sarà la<br />

San Michele, realizzata nel corso degli anni 1950)<br />

- le patate vengono riconosciute ancora solo per<br />

il colore <strong>della</strong> buccia o <strong>della</strong> pasta.<br />

Gli Atti <strong>della</strong> Giunta sulla Inchiesta Agraria e sulle<br />

condizioni <strong>della</strong> classe agricola, nel volume dedicato<br />

alla provincia di Genova, riferiscono: «La<br />

patata è coltivata estesamente su tutto il territorio<br />

ligure. Questa pianta, la cui coltura si è diffusa<br />

tra noi sul fiorire del secolo scorso, forma,<br />

dopo le castagne, il supplementare alimento<br />

delle classi agricole. Fra le tante varietà di patate<br />

che esistono in Liguria si coltivano principalmente<br />

- come scrive il Mela - le seguenti: la patata<br />

gialla a tubercoli generalmente rotondi, la parmentaria,<br />

gialla e violetta, a tubercoli piuttosto<br />

allungati e schiacciati. L’avv. Degli Oddi, aggiunge<br />

la patata detta bianca dal colore del suo tubero».<br />

[volume X, Roma 1883]<br />

Le brevi descrizioni <strong>della</strong> “gialla”, <strong>della</strong> “parmentaria”<br />

e <strong>della</strong> “bianca” potrebbero fare pensare<br />

rispettivamente alla Giana rionda, alla Morella e<br />

alla <strong>Quarantina</strong> bianca;<br />

infatti, sono proprio i<br />

primi anni 1880 quelli cui<br />

permettono di risalire le<br />

più remote testimonianze<br />

raccolte sulle tre varietà e<br />

sulla Cannellina nera. In<br />

particolare la <strong>Quarantina</strong><br />

bianca, che a<br />

Roccatagliata vogliono<br />

sia stata introdotta direttamente<br />

da don Michele<br />

Dondero e in alta val d’Àveto<br />

sostengono che sia<br />

giunta «al tempo dei<br />

22 23<br />

Una patraque<br />

a buccia chiara,<br />

già nota prima del 1815:<br />

la Chardon

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