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MEDICINA NUCLEARE MEDICINA NUCLEARE - AIMN

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emerso dal convegno è che nello studio della cardiopatia ischemica le possibilità diagnostiche sono oggi<br />

veramente notevoli e la difficoltà attuale consiste soprattutto nel codificare gli algoritmi diagnostici più<br />

opportuni nelle varie classi di pazienti, nel rispetto dei rapporti benefici/rischi e benefici/costi.<br />

In realtà il quadro dell’ischemia miocardica è un complesso equilibrio di fattori statici e dinamici,<br />

estremamente eterogenei, che ne rendono difficile l’approccio diagnostico in quanto ben più complesso<br />

della semplice diagnosi di stenosi coronarica. Il quadro fisiopatologico sottostante la cardiopatia<br />

ischemica è integrazione di molteplici eventi, ciascuno con il suo impatto prognostico, comprendenti<br />

fattori che si realizzano anche a valle della stenosi del vaso epicardico, come il microcircolo, la viscosità<br />

ematica, l’endotelio, i circoli collaterali, la vulnerabilità miocardica, l’ipertrofia ed altri ancora. Tale<br />

insieme di variabili non possono essere esaminate da una singola metodica e ciò rende palese l’assenza di<br />

un vero gold standard, capace di una valutazione della malattia ischemica su una base che non sia<br />

meramente anatomica. Se infatti l’aterosclerosi coronarica rappresenta una precondizione quasi sempre<br />

necessaria, molto spesso non è elemento sufficiente nel determinismo degli eventi che caratterizzano l’<br />

ischemia e solo l’integrazione ragionata di differenti tecniche può condurre ad un inquadramento globale<br />

e clinico del paziente, capace di avere effetti favorevoli sulla sua prognosi.<br />

Come è noto, il fine ultimo della circolazione coronarica è quello di assicurare il flusso nutriente al<br />

miocita. Pertanto più lo studio della funzione coronarica viene effettuato a valle, cioè a livello cellulare,<br />

tanto più sarà espressione delle condizioni fisiopatologiche che interagiscono a vari livelli nel<br />

determinismo dell’ischemia. I traccianti di perfusione utilizzati con la SPECT, hanno come destino finale<br />

il miocita e le strutture mitocondriali; nel lungo viaggio verso la cellula la loro concentrazione miocardica<br />

dipende non solo dalla stenosi coronarica, ma anche da molti degli eventi che si realizzano a valle, e non<br />

ultima l’integrità metabolica della cellula. Inoltre l’imaging miocardico di perfusione viene eseguito<br />

routinariamente in quelle condizioni di stress frequentemente necessarie per indurre ischemia, come la<br />

tachicardia, la stimolazione adrenergica, le variazioni pressorie e dei rapporti temporali sisto/diastolici.<br />

Tali fattori sfuggono ad una valutazione morfologica e statica dell’albero coronarico. Questa potenziale<br />

capacità di rappresentare differenti meccanismi fisiopatologici, ciascuno con il suo valore clinico e<br />

prognostico, è alla base non solo del riconosciuto ruolo diagnostico della SPECT miocardica, ma<br />

soprattutto del suo potere di stratificazione del rischio, che è documentato per l’imaging di perfusione con<br />

più grande evidenza rispetto alle altre tecniche, anche di tipo invasivo. Pertanto, quando si fanno<br />

confronti tra metodiche differenti è importante definire l’obbiettivo da raggiungere, capire ad esempio se<br />

si cerca la diagnosi di stenosi coronarica, di ischemia miocardica, entrambe, o, cosa più interessante,<br />

definire qual’ è il rischio del paziente.<br />

Negli ultimi anni si sta infatti osservando una progressiva transizione da un approccio basato sulla<br />

diagnosi (evidenza di stenosi coronarica, rivascolarizzazione) ad un approccio basato sul rischio che vede<br />

come momento centrale appunto la stratificazione del rischio, in modo da riservare solo ad un numero<br />

limitato di pazienti le procedure più complesse, invasive e costose, siano esse di ordine diagnostico o<br />

terapeutico. L’approccio basato sulla diagnosi sembra stia tramontando non solo in relazione ad aspetti<br />

economici, ma anche in virtù di dati emersi da alcuni recenti importanti trials clinici di confronto tra<br />

terapia medica ed angioplastica, in cui emerge che, nel paziente stabile, l’angioplastica non riduce il<br />

rischio di morte e infarto quando aggiunta ad una ottimale terapia mediaca. D’altra parte è noto che solo<br />

nel paziente con ischemia, a rischio maggiore, la rivascolarizzazione trova una valida indicazione. Se<br />

quindi storicamente l’accuratezza di un test viene valutata utilizzando i valori di sensibilità e specificità<br />

nel definire la stenosi, oggi è necessario, sia per implicazioni cliniche che economiche, focalizzare<br />

l’attenzione sulla prognosi (intimamente connessa al significato fisiopatologico della malattia); ed in<br />

questo scenario la cardiologia nucleare gioca un ruolo fondamentale.<br />

Questo ruolo è emerso chiaramente durante il convegno, grazie anche alle relazioni chiave di Sambuceti,<br />

nel definire il substrato fisiopatologico dell’imaging di perfusione, e Cuocolo che ne ha sottilineato<br />

invece il valore prognostico, dando la diffusa percezione all’auditorio che allo stato la SPECT, nonostante<br />

l’avvento di importanti tecniche alternative, continui ad essere esame centrale nella valutazione del<br />

paziente ischemico.<br />

<strong>AIMN</strong> - Notiziario elettronico di Medicina Nucleare ed Imaging Molecolare, Anno III, n 3 , 2007 pag. 16/77

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