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DEI NUMERI PITAGORICI - La Melagrana

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Si ha così la diade, la dualità. Essa è determinata dalla distinzione fondamentale della monade e<br />

dell' λλος 21 .<br />

Nella vita ordinaria, umana, lo spirito accoppiato al corpo fa le spese di questo dualismo. Però<br />

come una nave ormeggiata può levare le ancore, aprire le vele e prendere il largo, così lo spirito ancorato<br />

al corpo può lasciare il porto e «metter sé per l'alto mare aperto». In greco questa operazione<br />

del levare le ancore e prendere il largo si chiamava anagoga. Metaforicamente essa è l'anagogia.<br />

Osserva il Delatte a questo proposito 22 che Giamblico fa uso di questa locuzione in senso traslato<br />

spirituale, e che Olimpiodoro (In Platonem Phedon pag. 171), parlando dell'uscita dell'anima, la paragona<br />

ad una nave che prende il largo 23 . Con questo la dualità persiste, ma si ha la possibilità di<br />

una vita anfibia; si può vivere tenendo la «piccioletta barca" alla fonda nelle tranquille acque di un<br />

porto e si può «mettersi in pelago», si può per «acquistar virtute e conoscenza» metter il «navigio<br />

per l'alto sale».<br />

Al tempo di Pitagora non difettavano gli esempi di simili casi, ed è rimasta memoria di più di<br />

uno di questi «grandi maestri della sapienza misteriosa», come li chiama il Rohde 24 , ai quali si attribuiva<br />

la facoltà di lasciare il corpo anche per lunghi anni... I più famosi furono Ermotimo di Clazomene<br />

ed Epimenide di Creta, dai quali, dice il Rohde, Platone trasse il mito di Er. Di altri due e precisamente<br />

di Abaris e di Aristea fa menzione Pindaro. I pitagorici conoscevano queste cose e si ha<br />

notizia dei loro rapporti con questi personaggi. Il Ciaceri 25 osserva che gli «stessi antichi biografi<br />

del filosofo Pitagora avevano posto in rilievo la conoscenza da parte dei pitagorici dei maravigliosi<br />

racconti che si narravano intorno ad Aristea». «Questo Aristea Proconnesio, dice ancora il Ciaceri,<br />

era un personaggio di carattere religioso e fantasticamente leggendario che sarebbe fiorito nel VI<br />

secolo, presunto autore del poema Arimaspeia, per scrivere il quale sarebbe andato sin nella terra di<br />

quei mostri da un solo occhio, verso la regione degli Iperborei». Dei rapporti di Pitagora con Aristea<br />

parlano Giamblico ed Apollonio 26 , e dei rapporti di Pitagora con l'altro iperboreo, ossia con Abaris,<br />

parla Porfirio 27 ; ed il Diels 28 dimostra che Abaris, al pari di Epimenide e di Aristea, era presentato<br />

come un precursore di Pitagora.<br />

Invece, secondo il neo-pitagorico Giamblico 29 , Epimenide di Creta era discepolo di Pitagora; e<br />

questa asserzione è accettata e riportata da Porfirio nella sua vita di Pitagora 30 . Ora pur tenendo con-<br />

21 I Theologumena Arithmetica (Cfr. A. Delatte - Études sur la litt. pyth., pag. 172) dicono che la diade ha questo<br />

nome perché tramezza ed attraversa e per prima si allontana dalla monade (∆υ ς ε ρηται παρ τ διέναι κα διαπορεύσθαι·<br />

πρ τη γ ρ χώρισεν αύτ ν κ τ ς µονάδος) e che essa si disgiunge (διαιρε σθαι) in due parti eguali. Anche<br />

Anatolio usa il termine dieresi ossia separazione ed i termini κίνησις, movimento, ed ρµή, violenza. Essa è chiamata<br />

anche τόλµα perché ha l'audacia e la temerità di separarsi ed opporsi alla monade. <strong>La</strong> diade è l'avversaria della<br />

monade nel senso etimologico, l'etimologia è la stessa di quella della parola diavolo, il «nostro avversario» come lo<br />

chiama Dante. Ed anche il concetto è lo stesso col vantaggio che la diade non si presta facilmente ad una personificazione<br />

ed identificazione col Maligno, il demonio, Lucifero, Satanasso, Mammone... e tutte le altre divinità del politeismo<br />

semitico popolare.<br />

22 A. Delatte - Études sur la litt. pythag., pag. 18.<br />

23 Ricordiamo a nostra volta che, secondo Dante, «le scritture si possono intendere e debbonsi sponere massimamente<br />

per quattro sensi» (Convito, Il, I). Dante dichiara che «lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso», e questo<br />

dice poche righe dopo aver detto che «lo tempo chiama e domanda la mia nave uscire di porto». Dante fa uso frequente<br />

di questo simbolismo navale in senso anagogico, per esempio in Inf. XXVI, Purg. I, Purg. II, 13; e dichiara egli<br />

stesso di nascondere la sua dottrina sotto il velame delli versi strani. Egli del resto non fa anche in questo che imitare gli<br />

antichi; Ovidio ad esempio, che in un passo, riportato dal Rostagni (Il Verbo di Pitagora – [Bocca, Torino, 1924] pag.<br />

282) in cui si occupa della metempsicosi esclama: poiché l'alto mare mi ha preso ed ho dato piene le vele ai venti...<br />

Notiamo infine che anche Filolao fa uso della parola governare in senso simbolico, tale e quale del resto come è adoperata<br />

da tutti.<br />

24 Erwin Rohde - Psiche, versione it., II, 4.<br />

25 Emanuele Ciaceri - Storia della Magna Grecia - Milano, 1928 - I, 122 ed I, 119.<br />

26 Giamblico - De vita Pythagorae, 136; ed Apollonio – Mirab., 2.<br />

27 Porfirio - Vita Pythagorae, 28 ed anche Giamblico - De vita Pythagorae, 90, 135, 275.<br />

28 Diels - Sitzungb. der Berlin. Akadem. 1891; pag. 393 e seg.<br />

29 Giamblico - De vita Pythagorae - I, 22.<br />

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