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DEI NUMERI PITAGORICI - La Melagrana

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trovano anche in Giamblico (Vit. Pyth., 144) e che questo precetto si ritrova pure in un estratto di<br />

Timeo (di Tauromenia), e vede in questi versi elementi antichi utilizzati dal tardo compilatore dei<br />

Versi Aurei.<br />

Il numero tre ricompare nel verso 41 dei Detti Aurei, il quale prescrive di prendere in esame tre<br />

volte prima di addormentarsi ogni atto della giornata; e, poiché, come osserva il Delatte 5 questo<br />

verso si trova già in Porfirio, anche questo elemento dei Versi Aurei è antico. E come era prevedibile,<br />

il tre compare una terza volta nei Detti Aurei, e precisamente nell'ultimo verso; così esso compare<br />

pitagoricamente tre volte, in principio, in mezzo ed alla fine di questo scritto pitagorico.<br />

Gli ultimi due versi dei Detti Aurei sono:<br />

ν δ’ πολείψας σ µα ς α θέρ’ λεύθερον λθ ς,<br />

σσεαι θ ναθος, θε ς µβροτος, ο κ τι θνητ ς.<br />

ossia letteralmente: se lasciato il corpo perverrai al libero etere / sarai imperituro, dio immortale,<br />

non uccidibile.<br />

Li riportiamo per la loro importanza e perché di solito questi versi sono mal tradotti, e sono mal<br />

tradotti perché sono mal compresi, non bastando la conoscenza della lingua greca per ben comprendere<br />

il senso della "filosofia" pitagorica. Corrette sono le traduzioni del Pesenti e di Ercole Quadrelli<br />

(Tikaipos), errate quella di Fabre d'Olivet, riportata naturalmente dall'Alessio, quella dello Chaignet,<br />

quella che è riportata dal Kremmerz 6 , e persino quella del Delatte. Il Delatte dice che questi<br />

versi costituiscono una promessa di immortalità e dice: «Osserviamo che il poeta suppone precisamente<br />

che l'anima del discepolo, purificata e divenuta perfetta, è sfuggita al ciclo della metempsicosi.<br />

<strong>La</strong> condizione è nettamente espressa: se tu pervieni, dopo la morte, alle altezze del libero etere...».<br />

Ora il tradurre πολείψας σ µα con dopo la morte è interpretare le due parole restringendone<br />

il significato in modo affatto arbitrario, poiché queste due parole significano letteralmente: avendo<br />

abbandonato il corpo, senza specificare quando, come e perché, e se mai con un senso di attività,<br />

cioè avendo posto da banda il corpo, avendo conquistato e non subìto il suo abbandono. E poiché<br />

sappiamo che lo scopo primario che il discepolo pitagorico si proponeva di raggiungere, con ogni<br />

sforzo, era la liberazione dai vincoli del corpo, e non già l'attesa passiva ed inerte della morte, è<br />

chiaro che nel tradurre bisogna almeno lasciare alle due parole il duplice senso che esse hanno nell'originale,<br />

quantunque da tutto il contesto sia evidente che esse alludono a quell'abbandono del corpo<br />

che si ottiene col "distacco volontario rituale" e non a quel distacco che la morte adduce a tutti<br />

gli uomini ed a tutti gli animali. Questo senso attivo è confermato dalla voce λθ ς, che il Delatte<br />

traduce correttamente: se tu pervieni... Anche il su non lodato pitagorico francese Fabre d'Olivet interpreta<br />

in modo arbitrario; invece di abbandonato il corpo egli traduce: en laissant sur le corps régner<br />

l'intelligence. 7 E l'Alessio fedelmente lo segue.<br />

Se ci siamo permessi di insistere si è perché si tratta di cosa assolutamente essenziale per la retta<br />

comprensione del pitagoreismo, ed anche perché risulti meglio che non è per semplice caso, in relazione<br />

ad argomento di questa importanza, che l'ultimo verso contenga tre parole che significano tutte<br />

e tre immortale. Esse sono: θ ναθος, θε ς µβροτος, ο κ τι θνητ ς, ed occorre tradurre:<br />

sarai imperituro, dio immortale, non uccidibile.<br />

I membri del sodalizio pitagorico erano suddivisi in tre classi. Secondo il dialogo tra Policrate e<br />

Pitagora che abbiamo già riportato queste tre classi erano quelle dei matematici, dei fisici e dei contemplanti,<br />

secondo Giamblico citato dallo Chaignet 8 erano quelle dei novizi, matematici e fisici, se-<br />

un Pitagora che rende onore agli Dei solo per contentare il volgo, ma poi in segreto onora la propria fede, diversa ben<br />

inteso dal politeismo pagano.<br />

Questa errata interpretazione è riportata anche in un recente lavoro di uno scrittore italiano, Luigi Alessio - Pitagora<br />

- [Corbaccio/Dall’Oglio], Milano, 1940.<br />

5 Delatte - Études sur la litt. pythag., pag. 9.<br />

6 Giuliano Kremmerz - Avviamento alla Scienza dei Magi, pag. 18.<br />

7 Fabre d'Olivet - Le Vers dorés de Pythagore expliqués – Paris, 1813, pag. 402.<br />

8 Chaignet - Pythag. et la philos. pythag. I, pag. 116.<br />

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