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da un edema cerebrale
nell’ineffabile confi ne tra
sonno e veglia, le loro reazioni
si collocano agli antipodi:
Attilio, ferocemente attaccato,
sul vuoto di mezzi concreti, al
suo fi lo di ragno di speranza,
con incedere inesausto
percorre la città e il deserto
per portare ad una persona
sola tutto l’aiuto possibile.
Fuad, al contrario, tornato in
patria come segno di protesta,
si trincera in una casa in cui
zampillano fontane e fi oriscono
alberi ma che, infi ne, chiusa
alla magia della disponibilità
che è l’amore, si tramuta
in infetta parete calcinata.
Sebbene la sua vicenda non
sia del tutto delineata a livello
drammaturgico, si intuisce il
disagio di un individuo che
non riesce a sciogliere il canto
del proprio dolore e trova
estremo rifugio nel nichilismo.
Da lui la guerra, soltanto
evocata in un notturno
defl agrare di bombe lontane
come un pianto di stelle, è
interpretata quale necessità
di liberare il mondo da
un’umanità che dall’innocenza
originaria ha cavato beffe di
demoni, decretando creatrice la
propria illusione. Così, mentre
Fuad, volendo salvare un’intera
nazione, non sa neppure salvare
se stesso, Attilio, alleviando le
sofferenze del singolo, mostra
che la battaglia contro la
morte si combatte nella trincea
dell’affetto verso quanti ci
circondano. Sono gesti piccoli,
i suoi, ma più potenti di tutte
le ideologie sull’integrazione,
e certo tra tutti spicca il Padre
Nostro biascicato ad Allah in
tutta fretta, sotto l’urgenza
di scacciare una mosca dal
capezzale dell’inferma. Il
miracolo ottenuto da Attilio
e la sua carica rivoluzionaria
risiedono, secondo quanto più
volte dichiarato dallo stesso
Benigni, nel suo essere poeta.
Come si ascolta nella sequenza
della lezione universitaria,
l’essere poeta consiste sì nel
saper vedere il mondo con
gli occhi di uno stupore
sempre nuovo, nello scoprire
nelle cose le somiglianze e le
relazioni più ingegnose, ma
soprattutto nell’esercitare
un mestiere, nell’inchiodare,
tagliare, piallare parole per
creare un oggetto insieme
impalpabile e concreto, con
l’umiltà dell’artigiano che
costruisce una sedia, una tazza,
qualcosa che renda migliore
la vita. La pellicola del regista
toscano segue alla lettera
questa impostazione teorica,
regalando un fi lm di parole
che si risolvono in cose, di
versi di passione, estrapolati da
Bertolucci, Montale, Ungaretti,
Neruda, Tagore che trovano
ragion d’essere nell’atto del fare
l’amore.
Il canto che singhiozza da “La
tigre e la neve” è dunque un
canto di pace nel suo cocciuto
ribadire la pienezza della vita
e dei sentimenti, richiamata,
durante la narrazione, dal
sogno delle nozze e dal tema
della colonna sonora, You can
never hold back spring. E che
non sia possibile trattenere la
primavera, impedire ai fi ori di
sbocciare e alla vita di essere
meravigliosa sembra essere il
messaggio fi nale, traboccante
di gioia, di questa fi aba che
punta diretta al cuore.
* i fili intessuti
nell’ordito della recensione
appartengono a:
Giuseppe pp Ungaretti, g “Commiato”,
da “L’allegria”, g 1919
Guido Gozzano, “La signorina g
felicita ovvero la felicità”,
da “I colloqui”, q 1911
Attilio Bertolucci, “La rosa bianca”,
da “Fuochi di novembre”, 1934
Paolo Conte, “Vieni via con me”,
da “Paris Milonga” g
Giuseppe pp Ungaretti, g “Veglia”, g
da “Il pporto sepolto”, p 1919
Giuseppe pp Ungaretti, g “Sono una
creatura”, , da “L’allegria”, g , 1919
Gabriele Pepe, p “CPAP ( (Continous
Positive Airways y Pressure)”,
da “Parking g Luna”, 2002
Giuseppe pp Ungaretti, g “La p ppietà”,
da “Sentimento del tempo”, p 1933
Gabriele Pepe, p “Epidemia”,
p
da “Parking g Luna”, 2002
Giuseppe pp Ungaretti, g “In memoria”,
da “L’Allegria”, g 1919
Giovanni Pascoli, “X agosto”,
da “Myricae”, y 1891
Giovanni Pascoli, “Il fanciullino”,
1903
Laura Mancinelli, “L’ultimo
postiglione”, p g da “Il fantasma di
Mozart,” 1994
Eugenio g Montale, “So l’ora in cui la
faccia”, da “Ossi di seppia”, 1925.
La tigre e la neve
Anno: 2005
Nazione: Italia
Regia: g Roberto Benigni g
Sceneggiatura: gg Roberto Benigni,
Vincenzo Cerami
Produzione: Melampo p
Colonna Sonora: Nicola Piovani,
Tom Waits
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