semio 5.indd - Andrea Valle - Università degli Studi di Torino
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1.3 Pratica e sensibile<br />
Questa ipotesi pare <strong>di</strong> rilievo rispetto al sensibile. Qual è l’interesse apportato<br />
dallo stu<strong>di</strong>o del sensibile alla <strong>semio</strong>tica? I punti nodali sono due:<br />
1. il primo è (esclusivamente) tematico: il corpo rientra nella descrizione <strong>semio</strong>tica<br />
che ne articola gli effetti. Questi effetti sono effetti evidentemente testuali. Filosoficamente<br />
si potrebbe <strong>di</strong>re che “la aisthesis è sensibile per la sua provenienza,<br />
non per il modo in cui si registra nell’anima” (Ferraris 1997: 49).<br />
2. il secondo è epistemologico/metodologico: da un lato conduce ad un ra<strong>di</strong>cale<br />
ripensamento dell’intero statuto formale della <strong>di</strong>sciplina (Fontanille 2004);<br />
dall’altro quantomeno mette in luce, minimalmente, che ha senso parlare del<br />
sensibile in maniera <strong>di</strong>fferente rispetto all’approccio testuale soltanto nel momento<br />
in cui si suppone che il sensibile sia una pratica del sensibile: un luogo<br />
in cui il soggetto del riconoscimento coincide con quello della produzione.<br />
1.4. Sensibile e u<strong>di</strong>bile<br />
Dunque, il sensibile è una pratica del sensibile. A tal proposito si può osservare<br />
come l’u<strong>di</strong>bile si ponga come caso assai più adatto del visibile per esemplificare la<br />
<strong>di</strong>mensione prasseologica del sensibile. In generale, la logica che governa l’u<strong>di</strong>bile<br />
è una logica dell’evento: il suono è necessariamente qualcosa che accade nel tempo.<br />
Di qui una declinazione peculiare della figuratività, che si presenta all’u<strong>di</strong>bile<br />
primariamente nella forma <strong>di</strong> una meccanica figurativa. In sostanza, si <strong>di</strong>rebbe che<br />
nell’u<strong>di</strong>bile il “che cos’è” richieda sempre una formulazione nei termini <strong>di</strong> un “che<br />
cos’è che fa”: alla risposta visibile nei termini <strong>di</strong> una configurazione risultante si<br />
oppone la risposta u<strong>di</strong>bile in quelli <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> configurazione. Nota opportunamente<br />
Bayle che “fonctionellement l’écoute est vigilance” (Bayle 1993: 101),<br />
uno stare all’erta rispetto all’evenemenzialità. Di qui una sovradeterminazione temporale<br />
delle figure u<strong>di</strong>bili: nell’approccio ecologico <strong>di</strong> Bregman l’oggetto u<strong>di</strong>bile<br />
è sempre “flusso”, “stream” (Bregman 1990), e l’ascolto è sempre un’operazione<br />
<strong>di</strong> ripartizione in flussi, striatura attorializzante del dominio liscio dell’u<strong>di</strong>bile.<br />
Quest’operazione, che prende il nome <strong>di</strong> “analisi della scena u<strong>di</strong>tiva” (“au<strong>di</strong>tory<br />
scene analysis”) è però sempre provvisoria e <strong>di</strong>pende caratteristicamente ad un<br />
insieme <strong>di</strong> euristiche peculiarmente vasto: non traduzione, più o meno lineare, del<br />
fisico nello psicofisico, ma contrattazione accanita in cui:<br />
“heuristic criteria must be used to decide how to group the acoustic evidence.<br />
These criteria are allowed to combine their effects in a process<br />
very much like voting”. (Bregman 1990: 33)<br />
Tra questi criteri, la storicità dell’ascolto ha così un ruolo centrale. E d’altra parte<br />
che l’ascoltare sia un saper ascoltare risulta ovvio non appena si consideri la<br />
varietà <strong>degli</strong> ascolti rispetto al musicale. Ne consegue una peculiare molteplicità<br />
ed instabilità delle figure u<strong>di</strong>bili, che <strong>di</strong>pende appunto dalla varietà delle pratiche<br />
<strong>di</strong> riconoscimento. Si tratterà ora <strong>di</strong> chiedersi come declinare la relazione testo/<br />
pratica rispetto all’u<strong>di</strong>bile. L’unico tentativo teorico conciliabile con un approc-<br />
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