semio 5.indd - Andrea Valle - Università degli Studi di Torino
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c’è una struttura dell’inconscio se non nella misura in cui l’inconscio<br />
parla ed è linguaggio. Non c’è una struttura dei corpi se non nella<br />
misura in cui si ritiene che i corpi parlino con un linguaggio che è<br />
quello dei sintomi. Le cose stesse hanno una struttura solo nella misura<br />
in cui tengono un <strong>di</strong>scorso silenzioso, che è il linguaggio dei segni<br />
(Deleuze 1967: 12).<br />
Questa idea non ha allora niente a che vedere con la vecchia concezione del<br />
linguocentrismo barthesiano o del linguaggio come sistema modellizzante primario<br />
<strong>di</strong> Lotman, che ponevano entrambe al centro <strong>di</strong> ogni sistema <strong>semio</strong>tico<br />
il modello del linguaggio verbale. Si tratta qui <strong>di</strong> tutt’altro. Deleuze non sta<br />
affatto <strong>di</strong>cendo che ogni struttura deve fondarsi sul modello del linguaggio e che<br />
anche i sistemi non linguistici devono basarsi sulla struttura <strong>di</strong> quelli linguistici;<br />
sta invece <strong>di</strong>cendo che non esiste struttura se non <strong>di</strong> ciò che è linguaggio, e<br />
che dunque ogni linguaggio è essenzialmente una struttura e che dunque una<br />
struttura per sua stessa essenza “parla”, e cioè possiede un’essenza <strong>di</strong>scorsiva,<br />
e non percettiva o presentativa. È il suo metodo per uscire dalla fenomenologia<br />
attraverso la <strong>semio</strong>tica strutturale (cfr. Deleuze 1968, 1983: capitolo 3). È il<br />
suo metodo per uscire finalmente<br />
dall’approccio che parte dall’esperienza originaria, fondamentale complicità<br />
con il mondo che darebbe luogo alla nostra possibilità <strong>di</strong> parlarne<br />
e costituirebbe il visibile come base dell’enunciabile (la fenomenologia, il<br />
“Mondo parla”, come se le cose visibili mormorassero già un senso che il<br />
nostro linguaggio dovrebbe soltanto risvegliare, o come se il linguaggio<br />
si appoggiasse a un silenzio espressivo) (Deleuze 1983: 62).<br />
Ecco allora che quando Deleuze ci <strong>di</strong>ce che non c’è struttura se non <strong>di</strong> ciò<br />
che è linguaggio sta innanzi tutto affermando il primato della <strong>di</strong>scorsività<br />
del “<strong>di</strong>re” sulla visibilità del “mostrare”, il primato dell’elemento evenemenziale<br />
della struttura, la singolarità, sulla complicità fenomenologica tra<br />
corpo e mondo che costituirebbe un “visibile” sensibile e percettivo posto a<br />
fondamento dell’enunciabile. Si tratta del rovesciamento del primato della<br />
percezione sulle altre attività cognitive <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne superiore. Questa posizione,<br />
oggi largamente minoritaria non solo in <strong>semio</strong>tica, ma anche in semantica e in<br />
scienze cognitive, era allora esattamente quella sostenuta da Peirce nel saggio<br />
“Some consequences of four incapacities” in cui, attraverso la riduzione<br />
<strong>di</strong> qualsiasi “classe <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazioni <strong>di</strong> coscienza” (sentimenti, percezioni,<br />
emozioni etc.) alla struttura <strong>semio</strong>tica dell’inferenza valida, Peirce fondava<br />
la <strong>semio</strong>tica sul rovesciamento del primato dell’estesico rispetto al logico,<br />
del percettivo rispetto al <strong>di</strong>scorsivo, del presentativo rispetto al ripresentativo<br />
(cfr. CP 5.264-317).<br />
Si tratta allora <strong>di</strong> insistere sulla nozione capitale <strong>di</strong> singolarità che, come <strong>di</strong>ce<br />
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