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gli effetti sulla nostra salute. Data l’intrinseca tossicità, persistenza e tendenza al bioaccumulo, molte sostanze naturali e<br />

artificiali sono in grado di danneggiare i processi biologici negli organismi acquatici e possono anche finire con il penetrare<br />

nel nostro organismo.<br />

La natura degli in<strong>qui</strong>nanti<br />

L'impatto dell'in<strong>qui</strong>namento sul mare assume varie forme. L'in<strong>qui</strong>namento che deriva dai liquami delle fognature<br />

non sufficientemente depurate può creare problemi di in<strong>qui</strong>namento microbiologico, con presenza di virus come quello<br />

dell’epatite e batteri coliformi fecali. Ciò dipende dal mancato o insufficiente trattamento delle acque reflue. Gli scarichi<br />

urbani, la presenza di alcune sostanze presenti nei detersivi e gli scarti dell'agricoltura sono alla base del fenomeno<br />

chiamato eutrofizzazione, causata da un eccessivo apporto di nutrienti (azoto e fosforo). Un'altra fonte d’in<strong>qui</strong>namento<br />

non trascurabile è rappresentata dalla deposizione atmosferica di ossidi di azoto derivante dalle emissioni delle navi,<br />

che favorisce, in prossimità delle coste, la proliferazione di alghe che sottraggono ossigeno all'acqua. L'in<strong>qui</strong>namento<br />

industriale peggiora spesso la situazione, perché alcune delle sostanze che dagli scarichi delle industrie finiscono in<br />

mare contribuiscono anch’esse a sottrarre ossigeno all'acqua. Del petrolio abbiamo già parlato ma ci sono altre sostanze<br />

chimiche che minacciano la salute degli oceani. Sono infatti circa 100.000 i composti chimici impiegati in tutto il mondo,<br />

un numero alto che aumenta continuamente con un ritmo di oltre mille nuove sostanze immesse ogni anno sul mercato.<br />

Di queste, oltre 4500 sono potenzialmente pericolose per la salute dell’uomo e degli organismi marini; sono i cosiddetti<br />

POP, Persistent Organic Pollutant, ovvero in<strong>qui</strong>nanti organici persistenti, una definizione complicata per descrivere una<br />

cosa molto semplice: si tratta di sostanze che non solo sono tossiche, ma non vengono degradate nell’ambiente marino<br />

e tendono ad accumularsi nei tessuti degli organismi provocando conseguenze gravi come alterazioni del sistema<br />

ormonale, tumori, sviluppo embrionale alterato, inversione sessuale, difficoltà riproduttive, alterazioni del processo di<br />

crescita e del sistema immunitario. Alcuni esempi sono le diossine, i PCB insieme a molti tipi di insetticidi e al DDT.<br />

Come se non bastasse i POP possono essere trasportati lungo grandi distanze in atmosfera attraverso il meccanismo<br />

dell’evaporazione e della precipitazione delle piogge, con una tendenza a rimanere in maggiore quantità nelle regioni<br />

più fredde, dove l’evaporazione è meno intensa. Il risultato è che troviamo DDT -che ormai è usato solo da alcuni Paesi<br />

cosiddetti sottosviluppati per combattere il flagello della malaria- nei tessuti del salmone scozzese, nel grasso delle<br />

foche artiche e nell’organismo dei cacciatori inuit che di quelle foche si nutrono! La cosa più preoccupante, perché può<br />

darci una idea concreta di quanto persistenti siano questi composti, è che alcune delle sostanze più pericolose, da<br />

tempo ormai non utilizzate, continuano ad essere rinvenute in abbondanza nell'ambiente marino che ne conserva così<br />

la memoria. Quello che non bisogna mai dimenticare è che gli esseri umani sono in cima alla catena alimentare e<br />

<strong>qui</strong>ndi rischiano di essere i recettori finali di contaminanti che tendono al bioaccumulo e alla bioamplificazione.<br />

L'incremento delle attività umane lungo la costa (ad es. sviluppo dei porti, lavori di protezione del litorale, bonifica<br />

dei terreni, attività turistiche, estrazione della sabbia e della ghiaia) ha un grave impatto sugli habitat costieri e sui<br />

relativi processi ecologici, che può ripercuotersi anche a notevole distanza dalla riva. In particolare tra le attività<br />

industriali destano preoccupazione e necessitano di particolare regolamentazione le industrie minerarie (anche le<br />

piattaforme petrolifere) e le industrie di lavorazione dei metalli: la quantità di mercurio rilasciato nell'ambiente dalle<br />

attività industriali è quattro volte quella imputabile ai processi naturali come le eruzioni vulcaniche. L'in<strong>qui</strong>namento da<br />

macrorifiuti (plastica, polistirolo, lattine, bottiglie) è un problema che è purtroppo divenuto comune in tutti i mari del<br />

globo. Secondo un rapporto dell’UNEP ogni anno circa 6,4 milioni di tonnellate di macrorifiuti vengono scaricati in mare,<br />

con una media di oltre 8 milioni di pezzi al giorno! Di questi oltre 5.000.000 proverrebbero dalle navi. Nel Mare del<br />

Nord alcuni scienziati tedeschi hanno contato 110 pezzi di rifiuti (barattoli, bottiglie, plastica) per chilometro quadrato<br />

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