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Il turismo selvaggio<br />

L’urbanizzazione eccessiva -spesso dovuta a fenomeni di abusivismo edilizio- e l’eccessivo carico antropico localizzato<br />

in periodi ristretti dell’anno possono mettere a dura prova gli ecosistemi marini delle località turistiche. Oltre 175 milioni<br />

sono i turisti che nell’arco dei pochi mesi estivi ed in particolare ad agosto, mese in cui chiudono la maggior parte delle<br />

aziende, si concentrano nei Paesi che affacciano sul Mediterraneo, in particolare lungo le coste; secondo le stime dell’UNEP<br />

a questa enorme massa di presenze sono destinati ad aggiungersi da <strong>qui</strong> al 2025 altri 137 milioni di turisti.<br />

Il turismo di per sé è un fenomeno positivo, sia per chi lo pratica che ne trae indubbi vantaggi dal punto di vista<br />

dell’accrescimento culturale, dello scambio di vedute e di esperienza o anche semplicemente in termini di riposo, sia per i<br />

Paesi che dal turismo traggono importanti fette della propria ricchezza nazionale. Basti pensare che nella sola Italia il<br />

fatturato turistico nel 1997 ha rappresentato circa il 12% del PIL, una percentuale notevole di cui il 56% è stato generato<br />

direttamente dai consumi dei turisti. Un turismo sostenibile può <strong>qui</strong>ndi essere un importante volano di sviluppo ed una<br />

valida alternativa ad uno scriteriato sviluppo industriale in zone ancora poco industrializzate del mondo e del nostro stesso<br />

Paese. Ma in questo caso la sostenibilità della risorsa è ancora più importante perché un turismo dissennato fatto di<br />

cementificazione delle coste e di una pressione eccessiva e troppo concentrata della presenza umana, finisce con il<br />

distruggere la fonte stessa di attrattiva nei confronti del turista, sempre più alla ricerca di naturalità, di ambienti integri, di<br />

riscoperta di tradizioni e abitudini differenti, di gastronomia basata su prodotti locali, di paesi caratterizzati da una propria<br />

identità e non solo di divertimentifici tutti uguali, che finiscono con il ricreare in piccolo tutte le condizioni urbane da cui<br />

si cerca di fuggire. Un’importante battaglia da condurre è <strong>qui</strong>ndi quella dell’allungamento della stagione turistica delle<br />

località di mare sia per diluire nel tempo gli impatti che per rendere più fruibili questi luoghi per i turisti e per i residenti.<br />

Gran parte di questi flussi si concentrano infatti nella stagione estiva, con un’affluenza che registra nel mese di agosto picchi<br />

vicini al 55% creando problemi di sostenibilità sia a livello ambientale in senso stretto che di funzionalità di servizi come<br />

la disponibilità d’acqua, la gestione dei rifiuti, la depurazione dei reflui, la gestione del territorio, i trasporti e le emissioni<br />

in atmosfera.<br />

In questo panorama, un’attività come il turismo subacqueo, una forma di turismo inizialmente considerata di nicchia,<br />

ma che sta nel tempo assumendo una dimensione sempre più di massa, può costituire non solo un utile stimolo alla<br />

crescita dell’offerta turistica e di tutto l’indotto susseguente, ma anche un importante contributo alla delocalizzazione<br />

stagionale dei flussi turistici. Secondo dati presenti in uno studio commissionato dall’Assosub, l’associazione che<br />

riunisce gli operatori del settore subacqueo, industrie, importatori, diving, tour operator, didattiche e imprese editoriali,<br />

in Italia tra praticanti dello snorkeling e subacquei che adoperano l’erogatore si possono contare circa 2.500.000<br />

persone, ed in questo quadro le aree marine protette possono rivestire un ruolo importante contribuendo a sviluppare<br />

forme sempre più evolute di turismo sostenibile, sia per quello che riguarda la subacquea o il diporto nautico, che per<br />

tutte le altre forme di fruizione del mare.<br />

La pressione sulle coste<br />

Sulle sponde del nostro mare vivono quasi 400 milioni di abitanti, dei quali circa 130 milioni, pari al 35%, vive nelle<br />

aree costiere.<br />

I dati forniti dal Piano di Azione Mediterranea delle Nazioni Unite sono impressionanti: lungo le coste del nostro mare<br />

troviamo 584 città, 750 porti turistici e 286 commerciali, 13 impianti di produzione di gas: 55 raffinerie, 180 centrali<br />

termoelettriche, 112 aeroporti e 238 impianti per la dissalazione delle acque. Oltre 200.000 navi solcano ogni anno le acque<br />

del Mediterraneo, tra cui molte petroliere: le acque mediterranee sono tra le più in<strong>qui</strong>nate al mondo da residui catramosi.<br />

Pur rappresentando solo lo 0,7% del totale della superficie delle acque del pianeta, nel Mediterraneo transita il 23% del<br />

traffico mondiale marittimo di prodotti petroliferi. Secondo molte stime, proseguendo con il trend attuale, altri 20 milioni<br />

di persone andranno ad aggiungersi alla popolazione residente entro il 2025, così come ulteriori 137 milioni di turisti si<br />

uniranno ai 175 milioni che già oggi frequentano i paesi mediterranei nei mesi estivi. Questo territorio costiero così sotto<br />

pressione, diventa via via sempre più ridotto perché il fenomeno erosivo delle coste rosicchia ogni anno nuove fette di<br />

territorio. La cementificazione del letto di fiumi e torrenti assieme alla costruzione di dighe e la deviazione artificiale dei<br />

corsi d’acqua ha, infatti, negli ultimi 50 anni diminuito del 90% la quantità di sedimento che raggiunge il mare. Questo<br />

impedisce l’apporto di sabbia e detrito necessario a mantenere vitali le nostre spiagge, il risultato è che ogni anno spariscono<br />

dai 30 centimetri ai 10 metri di litorale sabbioso, e che si spendono milioni di euro per cercare di contrastare il fenomeno.<br />

Italia, Spagna e Grecia hanno il poco piacevole primato Mediterraneo per l’erosione costiera: le loro spiagge si sono ridotte<br />

del 40% nell’ultimo mezzo secolo.<br />

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