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l’invasione delle specie aliene<br />

Quando si parla di specie aliene, con buona pace dei patiti degli UFO, naturalmente non stiamo<br />

parlando di esseri provenienti da lontane galassie ma più semplicemente di specie, sottospecie o<br />

raggruppamenti tassonomici (taxon) che occupano aree al di fuori del loro normale areale conosciuto,<br />

aree che non potrebbero naturalmente raggiungere attraverso la propria capacità di dispersione, o<br />

nelle quali penetrano a seguito dei mutamenti climatici. Insomma sono specie la cui presenza nel<br />

nostro mare è dovuta indirettamente o direttamente all’azione dell’uomo. Per definire queste specie<br />

si usano anche espressioni come specie non native, non indigene, alloctone o esotiche.<br />

Nel momento in cui le specie hanno una grande facilità di insediare popolazioni stabili in nuovi<br />

territori, colonizzandoli rapidamente ed irreversibilmente e diffondendosi velocemente, vengono<br />

dette specie invasive.<br />

Quando una nuova specie si è stabilizzata su un territorio dando vita ad una popolazione in<br />

grado di mantenersi e riprodursi autonomamente senza il supporto dell’uomo, si definisce specie<br />

insediata. Questo avviene più spesso di quanto comunemente si creda e numerose specie che<br />

sembrano ormai far parte stabilmente dei nostri ecosistemi sono state introdotte in epoca storica:<br />

è il caso del daino e dell’istrice introdotti all’epoca dei romani nella macchia mediterranea e della<br />

Caulerpa prolifera, un’alga verde di origine indopacifica, ormai acclimatata e stabilizzatasi nel nostro<br />

bacino.<br />

L’arrivo di specie invasive a rapido accrescimento è sempre problematico, perché una nuova<br />

specie introdotta in un nuovo ambiente, dove magari non incontra predatori o competitori attrezzati,<br />

finisce con l’alterare profondamente un ecosistema provocando veri e propri sconvolgimenti che<br />

possono portare all’estinzione di alcune specie autoctone, determinando dise<strong>qui</strong>libri e perdita di<br />

biodiversità.<br />

Vettori di diffusione<br />

Ma come arrivano le nuove specie? Oltre a giungere direttamente sulle proprie pinne, possono<br />

arrivare attraverso il trasporto passivo, che può avvenire in molti modi diversi: per esempio aderendo<br />

ad un pezzo di plastica galleggiante, oppure alle zampe di uccelli acquatici, o nello stomaco di<br />

predatori, se si tratta di uova o di forme resistenti. Gli organismi che costituiscono il fouling, ovvero<br />

quegli organismi che incrostano qualunque tipo di substrato duro, possono giungere sugli scafi<br />

delle navi, altri ancora possono arrivare con la melma raccolta in porto dalle ancore. Contribuiscono<br />

al fenomeno della tropicalizzazione anche l’importazione di specie ittiche tropicali per gli acquari,<br />

la ricerca di nuove specie per lo sviluppo dell'acquacoltura e le specie importate come esche vive<br />

per la pesca.<br />

Uno dei vettori principali di diffusione degli organismi alieni è sicuramente costituito dalle acque<br />

di zavorra delle navi. Queste, per potere navigare in sicurezza, debbono avere un assetto stabile sia<br />

quando sono cariche sia quando sono vuote; se proviamo a far galleggiare una bacinella vuota ed<br />

una in cui avremo posto un peso al centro, ci renderemo conto come quella con il peso sia assai<br />

più stabile, anche se muovendo l’acqua simuliamo delle onde. Il principio della zavorra è proprio<br />

questo: quando le navi sono prive del loro carico devono avere comunque a bordo un peso che le<br />

stabilizzi e che permetta di affrontare anche il cattivo tempo in condizioni di sicurezza. Fino a qualche<br />

anno fa questo problema veniva risolto con dei pesi, generalmente pani di piombo, posti nella stiva<br />

della nave lungo l’asse della chiglia. È stata una soluzione adottata per migliaia di anni, molto<br />

adatta per le navi a vela; ancora oggi quelle di altura hanno il bulbo zavorrato sulla deriva, per<br />

bilanciare la spinta del vento sull’albero e sulle vele. Ma una zavorra fissa limita in realtà il carico<br />

utile che può portare un mercantile e così si è escogitato il sistema delle casse di zavorra, che<br />

imbarcano acqua quando la nave è scarica e la rigettano a mare quando hanno un carico pagante.<br />

Il carico e lo scarico delle acque di zavorra avvengono in porto e le pompe movimentano enormi<br />

quantità di acqua: una grossa nave cisterna può imbarcare decine di migliaia di tonnellate di acqua<br />

di zavorra e con esse un bel campione assai rappresentativo della fauna e della flora presente, che<br />

poi scaricherà in un altro porto quando dovrà imbarcare un altro carico.<br />

In questo modo, organismi anche potenzialmente nocivi o pericolosi per la salute oltre che per<br />

l’ambiente, dal porto di Rio de Janeiro potranno giungere nelle calde e buie cisterne di un mercantile<br />

sino al porto di Genova e <strong>qui</strong> una volta scaricati, nel caso trovassero un ambiente favorevole,<br />

insediarsi e moltiplicarsi. Quando questo fenomeno avviene con specie invasive, le conseguenze per<br />

la biodiversità e anche quelle economiche possono essere catastrofiche, come è accaduto già diverse<br />

volte nel mondo.<br />

La comunità internazionale ha cercato di porvi rimedio con la Ballast Water Convention che<br />

quando sarà a regime imporrà che tutta l’acqua di zavorra dovrà essere trattata prima di venire<br />

scaricata in mare. Passeranno probabilmente parecchi anni prima che tutte le navi si adeguino e nel<br />

frattempo le specie continueranno a trasferirsi da una parte all’altra del mondo, causando<br />

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I CAMBIAMENTI CLIMATICI

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