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Giuseppe Garibaldi visto da Cuticchio<br />

I pupi raccontano lo sbarco dei Mille in Sicilia<br />

Sinora la storia ha enumerato eroiche camicie rosse, un<br />

Garibaldi in sella al cavallo bianco, i picciotti che correvano<br />

ad arruolarsi e le donne impegnate a tagliare le lenzuola<br />

per farne bandoliere e bendaggi. Eppure esiste anche<br />

un'altra storia, magari non esattamente ufficiale, che racconta dei<br />

tradimenti degli ufficiali borbonici, della polizia del tempo, della<br />

Francia e dell'Austria; narra di battaglie a Salemi, Monreale e Marsala,<br />

di Gibilrossa dove Garibaldi non vinse per l'arrivo dei tremila<br />

rivoluzionari contro duemila borbonici, ma per il tradimento dei nobili<br />

e dei notabili. Insomma, un'altra storia, di certo più veritiera,<br />

che sa di sangue, sudore, fatica, uomini e donne che chiedevano<br />

libertà e terra. Mimmo Cuticchio è partito da qui, dalla voce del<br />

popolo siciliano per costruire il suo O a Palermo o all'inferno - Ovvero<br />

lo sbarco di Garibaldi in Sicilia che ritorna in scena al Teatro<br />

Biondo dopo una prima «uscita» due anni fa a Palazzo dei Normanni,<br />

per le manifestazioni per l'Unità d'Italia. E proprio in questa<br />

occasione il puparo e cuntista aveva messo mano all'epopea<br />

garibaldina, «il mio secondo testo storico dopo la storia di Carlo<br />

Gesualdo, principe di Venosa - spiega Mimmo Cuticchio, maniante<br />

con il figlio Giacomo, Fulvio Verna, Tania Giordano -; in questo<br />

caso ho studiato parecchio, dagli atti dei processi ai cunti, ai libri<br />

di storia. D’altronde Salvo Licata mi chiedeva spesso se volevo<br />

raccontare solo favole o fare drammaturgia scenica, io gli rispondevo<br />

che preferivo avere il tempo di studiare, scrivere, preparare.<br />

O a Palermo o all'inferno è la summa del mio lavoro che avvicina<br />

il cuntista all'attore e al puparo».<br />

Lo spettacolo alterna infatti il racconto delle ragioni storiche e politiche,<br />

dei colloqui tra Garibaldi e i suoi uomini, fra Cavour e Vittorio<br />

Emanuele, con l'incalzare delle battaglie sulle pendici di<br />

Calatafimi, sui monti intorno a Palermo, nella città stessa. In questo<br />

caso Cuticchio ha preparato con cura la drammaturgia, lasciando<br />

pochissimo spazio all'improvvisazione. «Lascio intatta<br />

certa “ribalderia” del teatro di una volta - ride Cuticchio - ma la<br />

piego al mio lavoro, per far rivivere in certi punti, la farsa popolare».<br />

La manovra dei pupi è a vista, di fronte al teatrino tradizionale,<br />

secondo un'abitudine ormai sperimentata da Cuticchio negli ultimi<br />

anni. I pupi, realizzati per lo spettacolo, ricordano per fattezze<br />

e caricature, precisi personaggi storici, ma anche il<br />

popolo che guida l'insurrezione. In questo caso, i personaggi<br />

della «farsa» sono meno irridenti del solito e più vicini a comprendere<br />

e apprezzare quanto sta accadendo. «Faccio incontrare<br />

i testimoni oculari pro e contro Garibaldi, Nofriu e Virticchio<br />

contro padre Giuseppe Buttà che non rinnegò mai i borbonici».<br />

Riondino porta il naziskin e la zingara al Teatro Musco di Catania<br />

«La vertigine del drago è uno spettacolo fatto di cliché, frasi<br />

fatte, luoghi comuni talmente reiterati da sembrare surreali,<br />

persino grotteschi». È la linea registica che ha voluto dare<br />

Michele Riondino al testo scritto da Alessandra Mortelliti, sotto la<br />

supervisione di Andrea Camilleri, nonno dell'autrice. Regista e autrice<br />

calcano le scene dando volto e voce a due personaggi «border<br />

line». Lo spettacolo ha debuttato al Teatro Musco, per il<br />

cartellone dello Stabile di Catania. La storia è quella di Francesco,<br />

naziskin alle prime armi, che incontra Mariana, zingara zoppa<br />

ed epilettica. Uomo fisicamente e verbalmente violento il personaggio<br />

maschile, che sembra non lasciare spazio alla pietà e alla<br />

comprensione, donna apparentemente fragile, disadattata, sola,<br />

il personaggio femminile, insieme, nei loro tratti singolarmente goffi<br />

e a volte persino buffi, trovano velocemente spazio per un latente<br />

e insospettabile filo rosso, estratto dalle loro problematicità.<br />

«Ho conosciuto una ragazza rom - racconta l'autrice - e<br />

sono rimasta particolarmente colpita dalla sua forza, dalla sua<br />

grinta. È nata così l'idea di questo testo». Durante un agguato<br />

ad un campo rom ad opera di un gruppo di neonazisti, Francesco<br />

rimane gravemente ferito e per riuscire a mettersi in salvo<br />

prende in ostaggio Mariana. Tra le quattro mura di un angusto<br />

e squallido garage, i due sono costretti ad una convivenza forzata.<br />

Due giovani infelici, senza prospettive, abbandonati dai<br />

loro stessi clan d'appartenenza, che riusciranno, a loro modo,<br />

a trovare una certa forma di rinascita e spazio per condividere<br />

le loro, seppur diverse, forme di ribellione.<br />

17febbraio2014 asud’europa 37

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