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Parigi piange e sorride amaro per ai migranti<br />
Il Trittico di Lampedusa conquista la Comédie<br />
Laura Anello<br />
Lo scandalo dei naufragi nel Mediterraneo arriva nel cuore<br />
d'Europa, con le voci di Shauba, Mohamed, Saïd, Mahama.<br />
E il pubblico francese applaude, si commuove e ride<br />
- seppur di riso amaro - di fronte al sarcasmo e alle verità disarmanti<br />
della parola di Lina Prosa, che trasfigura la cronaca in poesia.<br />
Lei, fondatrice vent'anni fa a Palermo del «Progetto<br />
Amazzone» con Anna Barbera, è la prima autrice e regista italiana<br />
donna a varcare la soglia della Comédie Francaise nella storia<br />
plurisecolare del tempio del teatro francese. E ora si gode l'abbraccio<br />
del pubblico di Parigi, che la acclama, la chiama sulla<br />
scena, la ringrazia fuori dalla sala.<br />
D'altronde lei è arrivata con quattro compagni d'eccezione. Con<br />
Shauba. Shauba che annega, e mentre sprofonda nel mare di<br />
Lampedusa tra cadaveri, pesci e panini già addentati, racconta la<br />
partenza dall'Africa, il sogno di un lavoro in Italia in una famiglia<br />
«capitalista», la violenza sul barcone strapieno «che non è questione<br />
di morale, ma di equilibrio». Con Mohamed, che invece in<br />
Italia è riuscito ad arrivare, ma che finisce a morire in montagna -<br />
lui, omone nero, tra la neve candida - dov'è stato mandato ad<br />
aspettare il permesso di asilo insieme con altri migranti. E infine<br />
con Saïd e Mahama, zii dei due ragazzi, venuti a cercarli sull'isola<br />
otto mesi dopo, ad attendere su una panca beckettiana una notizia<br />
che non arriverà mai.<br />
Sono loro i personaggi del Triptyque du naufrage, tre atti unici tradotti<br />
da Jean-Paul Manganaro che alla “prima” di sabato sera sono<br />
stati accolti da ovazioni e applausi al Théâtre du Vieux-Colombier,<br />
lo scrigno piu antico del Teatro francese, dove andranno in scena<br />
a rotazione fino a mercoledì. Asciutta e vibrante Céline Samie,<br />
Shauba la naufraga, protagonista di Lampedusa Beach, il monologo<br />
più intenso da cui tutto è partito: presentato l'anno scorso in<br />
una sala collaterale della Comédie grazie alla scelta del Bureau<br />
des Lecteurs del teatro, e amato a tal punto da partorire gli altri<br />
due atti: Lampedusa snow, interpretato dall'unico attore nero della<br />
compagnia, Bakary Sangaré, con un'ironia così sferzante da mescolare<br />
risate alla pietà, e Lampedusa way dove Cécile Brune e<br />
Gilles David sono due vecchi lievi e un po’ goffi, come i nostri emigranti<br />
catapultati per la prima volta fuori dal loro mondo.<br />
Per tutti loro, il potere - che sia il capo dello Stato italiano, il dittatore<br />
d'Africa, il tenente di Lampedusa, il capitalista che muove le<br />
fila del mondo, o l'ambasciatore al quale Saïf e Mahama scrivono<br />
chiedendo notizie dei loro ragazzi «spariti dentro una nuvola»<br />
- è talmente lontano, imperscrutabile, irraggiungibile da diventare<br />
quasi irreale, evanescente. E l'Occidente è ora sogno infranto<br />
sin dal primo sguardo («Valeva la pena di arrivare fin qui<br />
a Lampedusa per accorgersi che è uguale a Triburti?», si<br />
chiede Shauba), ora fabbrica del consumismo colonialista che<br />
produce occhiali copiati in Francia, fatti in Cina, venduti in America,<br />
inviati in regalo in Italia, finiti in Africa, nel miscuglio di griffe<br />
e marchi taroccati raccontato in scena da Mohamed.<br />
Abiti contemporanei, scena essenziale, solo una quinta bianca<br />
che ora diventa mare, ora diventa neve, e nell'ultimo atto scompare<br />
del tutto. Teatro di parola, di una parola così densa da diventare<br />
corpo da toccare, di carne e sangue. Corpo che sta<br />
annegando, corpo senza vita che ancora racconta in un presente<br />
eterno, corpo che nell'istante estremo abbraccia un altro<br />
corpo di animale: una sarda, per Shauba, che la bacia e le procura<br />
un sussulto di piacere. Un camoscio ferito, per Mohamed,<br />
che lo scalda nella neve prima di diventare gelido anche lui. «Io<br />
non so - dice Lina Prosa - se il sacrificio di questa moltitudine<br />
di naufraghi morti nel mare-cimitero che è diventato il Mediterraneo<br />
cambierà la storia del domani. So però che la poesia è<br />
un atto politico e spero che questo produrrà una presa di coscienza<br />
collettiva».<br />
(Giornale di Sicilia)<br />
17febbraio2014 asud’europa 7