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Inaugurazione anno accademico 2006-2007 - Università degli studi ...

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Maria tenuto nel corso di molti anni, e qui presentati per l’arco di tempo che va dal ’42 al ’70. Dico<br />

subito che alcuni di questi brani, relativi agli anni ’40 e ai primi anni ’50, sono letteralmente sconvolgenti:<br />

per cui si auspica la pubblicazione integrale o quasi integrale del diario. Maria sembra aver toccato,<br />

lì, quella che Georges Bataille, a proposito dei momenti estremi della propria “expérience intérieure”,<br />

chiama la “cupa incandescenza”.<br />

Si tratta di momenti in cui ogni autorità di sapere viene bruciata, e il Soggetto entra in contatto con la<br />

propria totale nudità.<br />

Bataille esce da questa esperienza non tanto attraverso un ripristino del sapere, o un sapere recuperato<br />

all’ennesima potenza, quanto attraverso una forma ulteriore di accecamento, che per lui si configura<br />

come “sovrana”, come l’esperienza, insomma, della “sovranità”: quella, conturbante, del “riso” e dell’”estasi”.<br />

Non stupisca l’accostamento a Bataille. Nel decennio 1940-1950, Maria probabilmente persegue un<br />

incessante scrutinio di sé. Il quale registra esperienze interiori del tipo: «io sarò finché muoio un impasto<br />

di infanzia e di maturità» (3 gennaio 1948), ma anche esperienze già declinate secondo una violenza<br />

che scavalca la semplice psicologia, come ad esempio, alla data del 20 gennaio dello stesso <strong>anno</strong>,<br />

questa: «[...] so che la vera vita è ancora assente da me, io non sono al mondo» (sottolineatura nel testo).<br />

Ma ecco i brani ove l’esperienza interiore di Maria si avvicina all’“expérience intérieure” di Bataille,<br />

senza naturalmente le implicazioni conoscitive proprie di quest’ultima.<br />

Alla data del 1° maggio 1942, questo brano, ove la consonanza emotiva con Bataille, anche per il<br />

riferimento, sia pure ambiguo, alla divinità, è sorprendente:<br />

Mi sei venuto vicino in mezzo alla bufera di questi giorni, io mi levavo come un ramo secco incontro al cielo.<br />

Chi sei? Dio? Ti ho visto in piedi in mezzo alla mia camera; se sei Dio, spogliami di tutto quello che ero,<br />

spogliami dei miei desideri. [...] È interminabile il libro dei miei desideri, comprendi? E io tremo nel prenderlo<br />

fra le mani.<br />

A volte prendo una vita e me la faccio crescere smisuratamente fra le mani, sì che annulli tutte le altre. Ma<br />

esse ricompaiono ed io mi sento inadempiuta.<br />

Io non so se la letteratura italiana – del resto così avara di confessioni e di memorie – ospiti passi di<br />

pari altezza nella restituzione intrepida di stati interiori tanto intensi, e di tale incorrotta intimità che ne<br />

dovrebbe risultare intollerabile, proprio a se stessi, la manifestazione per verba.<br />

Alla data del 27 gennaio 1951, sempre in sintomatica coincidenza con Bataille e col suo “non–<br />

sapere” simile a un grido che acceca:<br />

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