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Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 10.00 Pagina 37<br />

L<br />

Aprile<br />

2011<br />

don Marco Nemesi*<br />

a pittura di Paul Gauguin è una sintesi<br />

delle principali correnti che attraversano<br />

il variegato e complesso panorama della<br />

pittura francese di fine secolo. Egli partì dalle<br />

stesse posizioni impressioniste, comuni a tutti<br />

i protagonisti delle nuove ricerche pittoriche di<br />

quegli anni. Superò l’Impressionismo per ricercare<br />

una pittura più intensa sul piano espressivo.<br />

Fornì, dunque, soprattutto per i suoi colori forti<br />

e intensi, stesi a campiture piatte, notevoli suggestioni<br />

agli espressionisti francesi del gruppo<br />

dei «Fauves», ma soprattutto per l’intensa spiritualità<br />

delle sue immagini, diede un importante<br />

contributo a quella pittura «simbolista», che<br />

si sviluppò in Francia ed oltre, in polemica con<br />

il naturalismo letterario di Zola e Flaubert e con<br />

il realismo pittorico di Courbet, Manet e degli<br />

Impressionisti.<br />

Il suo contributo al «simbolismo» avvenne attraverso<br />

la formazione del gruppo detto «scuola di<br />

Pont-Aven». Fonte d’ispirazione per questa pittura<br />

erano le vetrate gotiche e<br />

gli smalti cloisonne medievali.<br />

Prendendo spunto da essi i pittori<br />

di Pont-Aven stendevano colori<br />

puri e uniformi, contornati da<br />

un netto segno nero.<br />

Ne derivò una pittura dai toni intimistici<br />

che rifiutava la copia dal<br />

vero e l’imitazione della visione<br />

naturalistica.Gauguin, figlio di un<br />

giornalista e di una madre di nobile<br />

famiglia spagnola, nacque il<br />

7 giugno del 1848, entrò per qualche<br />

tempo in seminario, divenne<br />

poi impiegato di Banca e soltanto<br />

a ventiquattro anni incominciò<br />

a dipingere da dilettante.<br />

La sua anima profondamente<br />

religiosa era tutta protesa alla<br />

ricerca di un’arte primitiva che<br />

potesse dare voce a quella visione<br />

di bellezza che ogni uomo ha<br />

in sé, per questo lascerà ripetutamente<br />

la Francia per recarsi<br />

in Polinesia dove dipingerà molti dei suoi capolavori.<br />

Fondamentale per lui sarà il confronto con<br />

Van Gogh, con il quale Gauguin stringerà un’amicizia<br />

profonda ma drammaticamente conflittuale.<br />

Morirà per una crisi cardiaca, povero e segnato<br />

dalla malattia, l’8 maggio del 1903 all’età di<br />

55 anni. Nell’opera presa in esame, L’agonia nel<br />

Giardino, la sagoma di un albero nero taglia di<br />

Paul Gauguin,<br />

L’agonia nel Giardino<br />

Norton Museum of Art, West Palm Beach, Florida 1889<br />

netto la scena dividendola in due; risuonano in<br />

cuore le parole del Battista: la scure è alle radici.<br />

L’albero segna lo scoccare dell’ora della verità<br />

e mentre i toni verde-blu dell’oscurità sembrano<br />

inghiottire ogni cosa; squillante e vivo, palpita un<br />

raggio di sole sulla chioma del Cristo.<br />

Un Cristo fulvo, come un vero figlio di Davide,<br />

fulvo perché infuocato dall’amore divino che gli<br />

arde in petto.<br />

Gauguin definirà questo colore un “rosso soprannaturale”<br />

e terrà a lungo questo quadro con sé<br />

intuendo che non sarebbe stato facilmente compreso.<br />

Nei lineamenti di Cristo, infatti, si distingue<br />

chiaramente l’autoritratto dell’artista.<br />

Gauguin si rivede nella serena tristezza di Cristo,<br />

incompreso e drammaticamente solo nonostante<br />

la presenza di due dei suoi discepoli lì,<br />

più oltre, alle sue spalle. E, forse, in questa interpretazione<br />

così personalizzata del Primo Mistero<br />

doloroso, c’è il tacito invito dell’artista rivolto a<br />

tutti quelli che hanno sperimentato il tradimento<br />

e l’incomprensione, che hanno amato a fondo<br />

perso, ad immedesimarsi nella melanconica<br />

solitudine di Gesù.<br />

Gauguin, così attento all’anima delle cose, pare<br />

qui raccogliere le tempeste di tutti i tempi e d’intere<br />

generazioni, e stende vigorose pennellate<br />

radenti che, come pioggia battente, infuriano sul<br />

37<br />

paesaggio.Tutto si muove nell’incertezza:<br />

gli alberi, il prato, le rocce.<br />

Anche i due discepoli paiono<br />

ombre, fuggiaschi e persi in un mondo divenuto<br />

all’improvviso inospitale. Essi in qualche modo<br />

incarnano la società francese sul finire<br />

dell’Ottocento, così inquieta, presaga di un mondo<br />

in profondo mutamento ma incapace di indovinarne<br />

gli sviluppi, le conseguenze, i confini.<br />

Una società in cui l’amore, vera potenza che muove<br />

il mondo, è come infiacchito, indebolito dalla<br />

provvisorietà e dall’immediato.<br />

Un ritratto tanto vicino a quello della società odierna<br />

dove il relativismo muove ogni rapporto umano,<br />

ogni evento, ogni scelta e si fatica a ritrovare<br />

i confini del reale, del vero e del Bene.<br />

Gauguin non si ferma, però, ad annotare lo strazio<br />

di un mondo senza freni e senza coordinate,<br />

c’è pur sempre un’ora in cui scocca la possibilità<br />

di ritrovare la giusta rotta. Di là dall’albero<br />

austero c’è Cristo che è confinato, è vero, entro<br />

uno spazio angusto, ma è più vivo e reale dell’intero<br />

scenario in cui è immerso.<br />

Anche il tratto della pennellata<br />

cambia e cade pesante a terra<br />

segnando con il suo senso verticale<br />

l’oppressione dell’anima<br />

di Gesù il quale, compreso della<br />

gravità dell’ora, si ritrova solo<br />

con il suo Amore.<br />

Gauguin ridisegna nel volto di<br />

Cristo se stesso perché s’identifica<br />

con quanti, pur nella loro<br />

fragilità, cercano di rimanere fedeli<br />

ad un ideale di amore puro.<br />

Così ciascuno di noi è invitato<br />

a domandarsi da quale parte dell’albero<br />

stare.<br />

Paul Gauguin con la sua arte e,<br />

con la sua vita tormentata, ci incoraggia<br />

a metterci senza remore<br />

dentro i panni del «suo» Gesù,<br />

così oppresso, così pesante nel<br />

corpo ma vittorioso e lucente nel<br />

capo. Sì, quanti scelgono l’amore,<br />

sperimentano una lotta che li condanna<br />

sempre più spesso entro spazi angusti,<br />

ma - affidandosi a quell’Amore con la maiuscola<br />

che non mente né cede - partecipano pure alla<br />

sua vittoria. Il loro corpo si batterà nelle tenebre,<br />

ma il loro capo brillerà nella luce, non saranno<br />

disorientati né sopraffatti perché l’Amore stesso<br />

li guiderà.<br />

*direttore Ufficio diocesano Beni culturali<br />

l’estesa campagna veliterna. Nella “Didattica delle<br />

scienze” – n. 188 del feb. 1997 – il Dir. Mauro<br />

Laeng, docente di Pedagogia all’Univ. di Roma,<br />

scrive : “Tra i maestri geniali che hanno passato<br />

una vita a inventare per i ragazzi le occasioni<br />

e gli strumenti adatti ad un avviamento intelligente<br />

alla ricerca è Gino Felci, docente nelle scuole<br />

di <strong>Velletri</strong>. Meccanica dei solidi e dei fluidi, acustica,<br />

ottica, elettricità e magnetismo, sistemi di<br />

misura sono esplorati con apparecchi semplicissimi<br />

e ingegnosi. Serie di domande ben impostate<br />

fanno riflettere davanti alle cose, con manipolazioni<br />

dirette, e non davanti alle sole parole<br />

di un manuale. Ma i sussidi del Felci si estendono<br />

anche alla geografia, alla storia e alle altre<br />

discipline…Alcuni dei materiali allestiti nelle scuole<br />

di <strong>Velletri</strong> sono visibili nella città a cura dello<br />

stesso insegnante. Sono stati visitati da pedagogisti<br />

e da allievi delle magistrali, e mostrati in<br />

parecchi convegni ai quali il Felci è sempre invitato<br />

come “mago della didattica”.<br />

Con questa felice espressione di “mago” buono<br />

e suadente, capace di entusiasmare i piccoli<br />

attori sul palco della conoscenza, ognuno<br />

con la sua parte da recitare e con la luce dell’intelligenza<br />

da accendere nella comunità, mi<br />

piace terminare questa “dedica” al mio carissimo<br />

ed indimenticabile “collega” Gino.

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