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Luglio / Agosto - Sardinews

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SocietàPerché tanti no alle richieste di diplomati e laureati da impiegare nel call center di un’aziendaChi vuol lavorare in turno sabato domenicaa Natale e a Capodanno, prego, si faccia avantiQualche mese fa una testatalocale riportava la notiziadi una selezione per giovanidiplomati e laureati, finalizzata all’inserimento,per diverse figure professionali,in un call center in Sardegna.In particolare l’articolo sottolineavail fatto che la società incaricata dellaselezione, contrariamente alle previsionifatte a tavolino sulla base dei datirelativi alla disoccupazione nell’isola,aveva trovato difficoltà nel reclutamento,difficoltà legata principalmenteal fatto che il tipo di lavoro prevedeval’articolazione su turni.Credo che il tema meriti qualche riflessione,oltre a quelle interessanti giàproposte dall’autore dell’articolo.Se consideriamo il problema dell’orariodi lavoro in assoluto, staccato daspecifici contesti, non c’è niente discandaloso o di anomalo nel fatto chenella maggior parte dei casi una personapreferisca lavorare da giornaliero(mattina e/o pomeriggio). Tutta la nostrasocietà è articolata prevalentementesulla settimana, “gira” con il sabatoe la domenica di riposo, con Natale eil Capodanno rigorosamente festivi.È vero che le cose da questo puntodi vista stanno lentamente cambiando(le città mercato e i negozi aperti nelweek end ne sono una prova), perònella maggior parte dei casi il turnistavive effettivamente un po’ fuoridai ritmi più generali delle società.Società globale, per usare un terminedi moda, nella quale i giovani, sonoprofondamente integrati e nella qualele relazioni e i contatti personali sonoamplificati.Perché, avendo la possibilità di scegliere,non si dovrebbe allora preferirelavorare vicino alla propria abitazione,con un lavoro piacevole, quindi attitudinalee non troppo faticoso? È questal’ambizione di molti, non solo dellenuove generazioni.Qual è però l’elemento di differenza,che cosa contestualizza subito questapossibilità teorica di scelta? Sta tuttonella frase incidentale “avendo la possibilitàdi scegliere”.Esiste cioè in realtà questa alternativa,questa possibilità? Dal rifiuto di queiposti di lavoro si direbbe di si. Ma seè così bisogna chiedersi se dietro vi èuna reale alternativa lavorativa o se sitratta dell’alternativa di una famigliache “copre” comunque e a qualunquecosto i bisogni dei giovani.Nel primo caso è il rifiuto è sacrosanto.Bisogna prendere coscienza del fattoche è corretto mirare alla realizzazionedelle proprie aspettative, trovare un lavoroconfacente alle proprie attitudini,che diverta, perché no, e che consentadi rispettare la scala di priorità che igiovani oggi hanno. Il tema del bilanciamentotra vita professionale e vitaprivata è molto sentito e legittimo,a tutti i livelli. Lo si vede da piccoliindizi. Ai convegni ad esempio ieri cisi presentava elencando i master e ititoli conseguiti, le cariche societariericoperte, oggi si assiste ad autopresentazioninelle quali si parla anchedella famiglia, degli hobby e dei figli.Quasi a sottolineare una nuova dignitàdella parte non lavorativa, privata delsingolo.Il vero problema è rappresentato daquei casi in cui l’alternativa lavorativanon esiste. In questo contesto non siha scelta, bisogna guardare in facciala realtà e accettare di iniziare a fareesperienza per poi cercare di migliorarecon impegno, professionalità ededizione. Credo che a volte i giovaninon riescano a vedere questa mancanzadi alternative, perché in realtàl’alternativa c’è, ed è rappresentata,come accennavo prima, dalla famiglia.Si preferisce sopravvivere in casa easpettare un’occasione migliore, genitoripermettendo. Questo tema hainteressato anche il cinema: nel filmTanguy è dipinta bene questa situazioneparadossale in cui il figlio trentennenon vuole andare via di casa mentre,alla fine i genitori, rendendosi contodella sua totale dipendenza da loro,fanno di tutto per responsabilizzarlo erenderlo autonomo.Credo che la voglia di lavorare, diimparare, di sacrificarsi ci sia ancheoggi. Credo che molta di questa vogliadipenda da come le persone sono stateeducate, dagli esempi che hanno avutoin casa, dai valori che gli sono stati trasmessi.Fa più scalpore il rifiuto di unposto di lavoro di tanti casi di giovaniche vanno fuori a fare esperienza, aspecializzarsi, a costruirsi una professionalità,a prescindere dal titolodi studio.È importante sottolineare ancora chei valori in gioco e le scale di prioritàsono cambiati. E quelli dei giovaninon sono peggiori o migliori dei nostri.Sono diversi. Lo sforzo che dobbiamofare, posto che la mia generazione hacontribuito a trasmetterli e/o a crearliquesti valori, è di non giudicare questadiversa impostazione di vita. Dobbiamocapirla, esserne consapevoli perriuscire comunque a gestirla.Nella mia esperienza non ho rilevatodifferenze tra il senso di responsabilitàdi un giovane e di un anziano per illavoro nel momento in cui entrambivengono coinvolti, si sentono facentiparte di una squadra, sanno di essereun elemento importante e che l’aziendaconta su di loro. Sono rarissime leeccezioni di quelli che si tirano indietro.Certo i giovani non rimangono alavoro se non c’è niente da fare, soloper la presenza davanti al capo. Maquesto non vuol dire non essere attaccatiai “colori” dell’azienda. Vuol direche gli piace giocare a calcetto. Anchedallo sport si impara tanto.Annalisa Aru6luglio agosto 2003

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