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Luglio / Agosto - Sardinews

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GlobalizzazioneQualche riflessione sulle turbolenze dell’euro forte e sulla proposta della cappatura nera pro LazioSe il dollaro si sgonfia che accade in Sardegna?Il mal di pancia della “filiera” del latte ovinoDopo quattro anni di super dollaro,risvegliarsi e costatare undeprezzamento di quasi il 30 percento, per di più nell’arco di pochi mesi,è stato certamente traumatico per il compartolattiero caseario sardo.Come noto, circa il 60 per cento dellaproduzione di formaggi e ricotte di latteovino è composta dal pecorino romano.Questo prodotto per oltre due terzi èesportato negli Stati Uniti, in sostanzapiù del 40 per cento dell’intera produzionecasearia.Se questi sono i numeri del comparto,si capisce facilmente perché il livello dicambio euro/dollaro è così importante ene influenza marcatamente l’andamentoeconomico. Con un dollaro forte il prezzodei formaggi, ma soprattutto il prezzodel pecorino romano, sale. Viceversa conil dollaro debole.Anche il mercato del latte, che è moltoconcorrenziale, riflette questo andamento.Il costo dei formaggi dipende per oltreil 70 per cento dal prezzo del latte, è quindinella logica delle cose, oltre che nellenormali leggi di mercato, che sul prezzodel latte, e quindi sul settore primario, siriflettano maggiormente i benefici o i guaidel rapporto fra le monete. Si capisconole accese “lamentazioni” degli allevatorima, se dal formaggio si ricava poco, pocosi può pagare il latte.Il problema e le lamentele sono da porsisu un piano diverso. Occorre uscire daquesta logica di mercato che vede benpochi margini di manovra. Partendo dallaconstatazione che oggi operiamo in unsettore certamente maturo, dove i marginidi profitto sono bassi, bisogna porsi inun’ottica d’innovazione e cambiamentoper andare dove da qualche tempo ilcomparto mondiale si muove. Spostarele produzioni verso formaggi più “facili”da mangiare, che incontrino l’ormaiconsolidato nuovo stile di vita che richiedemaggiorente prodotti freschi emeno calorici. Non che si parta dall’annozero, negli ultimi trent’anni in Sardegnaun po’ di diversicazione produttiva si èfatta, i formaggi da tavola sono una realtàconsolidata. Però certamente non è sufficiente,se il pecorino romano continua adessere preponderante sul totale della produzionecasearia, questo è un fattore che,alla luce delle cicliche crisi del comparto,va ridimensionato.Il “romano”, artefice della nascita e dellosviluppo dell’industria casearia in Sardegna,deve le sue recenti performance, intermini di quantità prodotte, (triplicatenegli ultimi trent’anni) alle restituzioniall’export. Le restituzioni, nate per compensarele misure protezionistiche deipaesi in cui si esportano le merci, sonodiventate vere e proprie incentivazioniall’export raggiungendo negli anni ottantaquasi il 50% del prezzo di venditadel formaggio. In queste condizioni sicapisce l’incremento della produzione,e quindi delle vendite, che però sonoaumentate nel settore dei prodotti a bassoprezzo. Come tutte le forzature, questisistemi che drogano il mercato, devono,prima o poi, fare i conti con la realtà chenon può mantenerli sine die. Oggi, conle restituzioni al 7/8 per cento del prezzofinale di vendita e con il dollaro a 1,15euro (1680 lire) la remunerazione delromano è molto bassa senza possibilità didifesa. Negli Stati Uniti, gran parte dellevendite e indirizzata all’uso industrialedove il consumo non è del prodotto talquale ma come ingrediente e dove quindirisulta difficile far valere i marchi e lecertificazioni Dop o Iso.Per tornare alle responsabilità e allelamentele, è quindi sul piano della diversificazioneproduttiva che, a mio avvisova affrontato il problema del crollo delprezzo del latte. Prescindendo da qualsiasiconsiderazione etica, che pure è datener presente, su un piano più strettamentemercantile, il settore della trasformazionedel latte, le industrie casearie,si devono rendere conto che il prezzodella matteria prima va salvaguardato.Considerarlo unicamente in relazioneal prezzo di vendita dei formaggi e nonpreoccuparsene se il rapporto è corretto,prescindendo da una sua eventuale nonsufficiente remunerazione, è una gravemiopia. Il mestiere di allevatore nelsettore ovino e notoriamente disagiato,soffre di un endemico sotto dimensionamentodelle aziende, con una mediadi non più di duecento capi, e i giovanispesso non gradiscono questo mestiere.Se non ci si pone l’obiettivo di un’adeguataremunerazione del latte, e moltoprobabile che le quantità di latte ovino(oggi circa 300 milioni di litri l’anno)diminuiranno sensibilmente. Va da séche anche il settore della trasformazionesubirà un ridimensionamento con tutto ilcorollario di crisi e tensioni che un’ipotesidi questo tipo comporta.8luglio agosto 2003

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