FuoriAsse #18
Officina della cultura
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ecenti, la riflessione concerne il carattere<br />
e la percezione dei protagonisti. In<br />
tutti i casi la cifra della scrittura di<br />
Atzeni consiste in una ricerca intorno<br />
alla narrazione in cui il racconto moderno<br />
è rivitalizzato dal ricorso alla tradizione<br />
narrativa orale. Le vite, i quartieri<br />
e i paesi da raccontare sono rivissuti<br />
nella dimensione che con Chamoiseau<br />
– il cui Texaco aveva tradotto nel 1994 –<br />
e altri scrittori postcoloniali delle Antille,<br />
si può definire «oraliture», una narrazione<br />
mista tra affabulazione orale e<br />
scrittura. In questa forma convivono la<br />
ricerca letteraria colta moderna e l’anima<br />
profonda, “notturna” della Sardegna<br />
e dei suoi stessi protagonisti. Per questo<br />
Atzeni può rivendicare tra suoi modelli,<br />
accanto agli scrittori sudamericani, primo<br />
fra tutti Gabriel Garcia Marquez,<br />
l’oscuro «zio Paddori», una probabile<br />
figura di narratore popolare ascoltata<br />
nell’infanzia. Questa “oralitura” si presta<br />
a una narrazione ibridata dove gli<br />
elementi ritmici si affiancano al discorso<br />
prosastico. Atzeni del resto era abituato<br />
a scrivere ascoltando la musica: le sue<br />
frasi brevi e taglienti, i frammenti narrativi,<br />
il periodo che tende alle cadenze del<br />
verso disseminano la narrazione di stacchi<br />
e procedimenti sincopati che richiamano<br />
il jazz o altri generi musicali contemporanei,<br />
come il blues o il rock. Così<br />
avviene esplicitamente nei Racconti con<br />
colonna sonora (2002, postumo), brevi<br />
pezzi narrativi ispirati a una precisa<br />
canzone e al suo ritmo; ma l’accostamento<br />
può essere esteso idealmente<br />
anche alle altre opere, tutte fortemente<br />
pausate.<br />
Anche Passavamo sulla terra leggeri è<br />
allora un epos in prosa che rievoca<br />
eventi noti alla storia sarda inseriti<br />
dentro la costruzione di una leggenda<br />
originaria, quella di un popolo indomito<br />
©Mindaugas Gabrenas<br />
che tramanda la propria diversità e autonomia<br />
e si protegge dagli invasori,<br />
dalla servitù e dall’assimilazione. A questa<br />
Sardegna atavica del mito, Atzeni<br />
però non fa le concessioni identitarie di<br />
altri suoi conterranei. Il passato dell’isola<br />
ne viene fuori trasformato in una veste<br />
narrativa che recupera la logica<br />
orale della memoria. «Sui fatti si deposita<br />
il velo della memoria, che lentamente<br />
distorce, trasforma, infavola, il narrare<br />
dei protagonisti non meno che il resoconto<br />
degli storici»: queste parole, poste<br />
ad epilogo del Figlio di Bakunìn 4 , esprimono<br />
il taglio narrativo di Atzeni: una<br />
riflessione e una pratica di scrittura che<br />
contiene il modo di pensare e di raccontare<br />
i fatti, restituendo l’immagine del<br />
passato (e altrove del presente) anche<br />
grazie alla mentalità della voce che lo<br />
narra.<br />
E però la Sardegna su cui riflette<br />
Atzeni è luogo attraversato dai conflitti e<br />
dalle forme anche più appariscenti della<br />
contaminazione globale. Non si presenta<br />
tanto come un territorio in via di omolo-<br />
4 S. ATZENI, Il figlio di Bakunìn, Palermo, Sellerio, 1991, p. 119.<br />
FUOR ASSE<br />
16<br />
Il rovescio e il diritto