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I libri del
mese
Paola Mattioli
Viera, storia di un’italiana del ’23
di Erika Bresci
«
Lo aprii lentamente per paura di rovinarlo (…) un
quaderno dimenticato, o lasciato per essere ritrovato».
Il diario di vita della madre Viera capita tra
le mani di Paola Mattioli per fortunoso caso. Ci sono storie
che meritano di essere raccontate. Storie che possono in superficie
assomigliare a tante altre, ma che conservano l’unicità
dell’esperienza concreta, fatta di luoghi e nomi e fatti stampati
nella memoria personale, tradotti in memoria collettiva tramite
la scrittura. Viera narra con l’intenzione di testimoniare,
di fissare i punti salienti della sua vicenda terrena, incastonata
nell’affresco più ampio della storia dell’uomo, in quel lampo
di tempo compreso tra gli anni che precedono e quelli seguono
la seconda guerra mondiale. Mamma magliaia e padre rappresentante
e poi imprenditore – deluso all’inizio fosse nata
femmina, tanto distratto da farle dare all’anagrafe un nome dal
retrogusto straniero quando invece la si voleva semplicemente
chiamare Vera –, Viera trascorre la sua vita in
un lembo di terra, la Romagna, radicandosi in essa,
traendo da essa quella linfa necessaria a rimanere
dritta nei momenti di tempesta (la guerra, il tracollo
delle imprese paterne, la morte del padre e
poi dell’amato consorte). Alfonsine, Ravenna, Bologna.
Arrivata in fondo al suo diario Viera confessa:
«Questo è il cammino della vita e non è possibile
abbandonarlo». Eccolo, il nucleo pulsante di tutta
la vicenda, la cinesi implicita nell’attesa del domani,
in continua oscillazione tra anabasi e catabasi.
Una transumanza a tratti faticosa, conquistata passo
dopo passo: le tante tappe, ricordate nel pellegrinaggio
angoscioso della famiglia in piena guerra
(«avevamo perduto tutto, non avevamo neppure le
lenzuola»), sono come un calvario scandito dai toponimi
delle stazioni nelle quali si trova rifugio: Lugo
di Romagna, Borgo Rivola, Cuffiano, Viserba. Ma
il pellegrino attento trova anche (forse proprio) nelle
difficoltà il senso del suo camminare, si accorge
di muoversi insieme agli altri, condivide con questi il
peso e la stanchezza, la sfiducia e l’amarezza, tende
la mano per accogliere ed essere accolto, per donare
e ricevere un dono. Se occorre, rischiare anche
la propria vita per salvarne un’altra. «Non è vero che
siamo cattivi, non è così; nelle vere difficoltà della
vita trovi sempre qualcuno che ti porge una mano.
Forse è nell’agiatezza e nell’opulenza che si annidano
sentimenti di egoismo, invidia, indifferenza», medita
Viera. L’uomo che sa riconoscere l’uomo anche
nel nemico – (dei tedeschi) «nonostante se ne fossero
andati, ogni tanto ne arrivava qualcuno sbandato
e affamato, che faceva tanta pena» – potrà dire
alla fine di aver fatto “un buon viaggio”. È questo viaggio nella
storia sua e di quanti l’hanno circondata che Viera, per mano
della figlia Paola, propone al lettore di oggi con una scrittura
piana, diretta, concentrata sui fatti, che lascia alle immagini
(anche fotografiche che arricchiscono il volume) il compito di
parlare, tesa a ricordare particolari concreti – tangibili ora con
il pensiero – e a riannodare il filo di un passato mai realmente
spezzato. Perché, sottolinea Paola Mattioli nelle ultime pagine,
Viera procedendo sul viale del tramonto «viveva molto nei
ricordi, diceva che vi si trovava a suo agio, mentre nel presente
si sentiva persa a causa dei troppi cambiamenti e delle difficoltà.
La contemporaneità era un luogo che non amava, vivere
nel passato era più semplice». Quel passato, consegnato nelle
nostre mani in un «quaderno in pelle verde, profilato di camoscio,
tenuto bene e avvolto scrupolosamente all’interno di un’agenda».
Come qualcosa di prezioso, insomma.
PAOLA MATTIOLI
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