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La Toscana nuova Giugno

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La voce

dei poeti

Maria Luisa Manzini

La poesia come tramite fra l’anima e le cose

di Erika Bresci

Versi profondi di un paesaggio dell’anima che si disvela

per gradi, centrato a dimostrare l’ambivalente tensione

presente nell’Uomo tra l’essere creatura tra le creature

– fino a cercare nel riproporsi insistente della metafora un’identità

dialogante con gli elementi della terra e del cielo – e il volersi

artefice del proprio canto, del proprio destino, accettare la

crisis proposta da quelle “brutture” e da quelle “deserte solitudini”

che disorientano la tela bianca e inclinano al grigiore. Ma,

suggerisce Maria Luisa Manzini, pittrice affermata e autrice di

due raccolte di poesie, Ciliegie e noccioli e Se le lacrime fossero

rugiada, a guardar bene, il respiro sincopato, compresso nel ritrovarsi

altro dalla sperata isomorforsi con il creato, è anche la

All’Ave Maria

Il disco d’oro si è tuffato nel nulla.

Uno sbattere d’ali

un fruscio di foglie

l’Ave Maria dal campanile.

Tutto è musica.

Io vibro come corda di cetra.

Come freccia leggera

trafiggo il buio improvviso.

Desiderio

Vorrei essere l’urlo del vento

ascoltare i lamenti dei rami nudi

inseguire le foglie volteggianti nell’aria polverosa

scuotere le cime dei cipressi neri, degli abeti alteri

e piegarle umili verso terra.

Vorrei soffiare via col secco dell’estate

tutte le brutture.

Scavalcare monti

frontiere

volare in cieli tersi.

Perdono

Sia lode a Dio

per il sole

le stelle

le terre arate

le foreste incantate

il profumo dei fiori

i rovi e le more.

Per chi piange

chi sorride

ma soprattutto

per chi riesce a sanar

le proprie e altrui ferite.

ferita da cui può nascere la luce, il nuovo arcobaleno. Il dolore

– la mancanza, la delusione, la sensazione di un ottundimento

del cuore che inchioda a una visione in bianco e nero – forgia e

rinnova. Da quella ferita, se si ha occhi per vedere, soffia leggera

una brezza che ride, esplode un cielo terso, incocca la freccia

che, leggera, trafigge il buio improvviso. All’Uomo Dio ha concesso

di nominare le cose, e in questo farsele proprie. Sta alla

sensibilità di ciascuno scorgere le sfumature di significato che

la vita propone e farne un’opera d’arte, da condividere. Questo

farsi tramite tra l’anima e le cose pare il nucleo centrale della

poesia di Maria Luisa Manzini, che ha la capacità rara di far dialogare

con intelligenza di stile ombra e luce, gravezza e levità.

Imprevedibile è la vita

Stranamente non mi pesa

questa lunga collana di giorni,

sereni, tempestosi

anonimi, gioiosi

tristi e sbiaditi:

Speranze, delusioni

istanti di pura follia

d’infinita pace

lampi di felicità

insondabili assalti di malinconia.

Vuoti silenzi

alla ricerca di una libertà interiore

raramente raggiunta.

E sempre i “perché”

nel desiderio struggente di risposte.

Si giunge sull’orlo dell’“io”

s’intravede l’eternità.

La morte non spaventa più

vince la curiosità di conoscere

la traccia lasciata dal filo della nostra vita.

Tace il tempo

In questo tempo di deserte solitudini

non trovi asilo neppure tra i fiori

nei paesaggi nati su bianche tele

anima mia!

Erano paesaggi sereni

con cieli tersi su campi fioriti.

Ora tuffo il pennello

nel bianco

nel nero.

Una gamma di grigie tonalità.

Aspetto con ansia

l’arcobaleno.

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MARIA LUISA MANZINI

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