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Curiosità storiche
fiorentine
A cura di
Luciano e Ricciardo Artusi
Per la festa di San Simone ballotte e vin novo
di Luciano e Ricciardo Artusi
Una festa persa nella polvere
del tempo. Il Quartiere
di Santa Croce esultava
festante il 28 ottobre di ogni anno,
quando veniva organizzato, all’inizio
della stagione invernale, il mercato
dei marroni e delle castagne
che rallegrava l’affollato rione di
San Simone. La fiera-mercato, che
durava per tre giorni consecutivi,
era l’evento legato alla vendita delle
castagne gustate in diversi modi.
Questa fiera è rimasta in vita fino
alla metà dell’Ottocento. Si svolgeva
esattamente in Piazza San Simone,
di fronte all’omonima chiesa
e nelle vie adiacenti, dove le castagne
ed i marroni facevano bella
mostra in grandi balle, in canestri
o ammonticchiate sui barroccini;
la vendita avveniva sia all’ingrosso che al dettaglio perché
il prodotto, specialmente in quei giorni, era assai richiesto
così come la farina dolce ed i marroni secchi. Del resto anche
il noto proverbio ha sempre proposto: «Per San Simone,
ballotte e vin novo!». E proprio il frizzante vino appena tolto
“dal ribollir dei tini” di carducciana memoria, ben si prestava
a rallegrare gli animi davanti ad un fumante paiolo di
ballotte, cioè di castagne bollite con un rametto di finocchio
selvatico o con foglie di alloro, oppure gustando le “ridenti”
caldarroste o bruciate, arrostite nell’apposita padella bucata,
posta sulla fiamma di carbone, dopo la preventiva incisione
detta “castratura” per evitare che scoppiassero. Altra
locuzione che veniva usata a proposito della farina di castagne
(che al tempo costava veramente poco), era quella
che consigliava: «Se saziare il corpo vuoi e spender poco,
pan di legno (pattona) e vin di nuvole (acqua)». Ma un tempo,
di bruciate e farina dolce si faceva commercio non solo
per la festa di San Simone e non solo attraverso lo smercio
ambulante; infatti, in città esistevano esclusive botteghe di
“bruciatai” e “buzzurri”. Quest’ultimi erano di origine elveti-
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
ca ma geograficamente italiana, in quanto provenivano dal
Canton Ticino. Il vocabolario della Crusca così definisce
“buzzurro”: «Questo nome suol darsi in Toscana a quegli
svizzeri che nella stagione dell’inverno ci vengono ad esercitare
la loro industria di vender castagne, bruciate, marron
secchi, ballotte, castagnacci, pattona e farina dolce». Molti
erano i venditori ambulanti di questi prodotti che vivevano
alla giornata, spostandosi adagio adagio per la città sollecitando
gli avventori all’acquisto, con spassose espressioni:
«Le bollano, le bollan davvero le mi’ ballotte! Queste le cavo
ora…. che arrosti…. le ridano…. che bruciate! Cardo il migliaccio…
la lo senta sposa come l’ho cardo… se la un si spiccia
ʼun gnene tocca!». Un passatempo che veniva praticato dagli
adolescenti, era quello di prendere alle mamme i ditali
di metallo utilizzati per cucire, che venivano adoperati quali
forme a tronco di cono per cuocere piccoli dolcetti, ottenuti
riempiendoli con la farina dolce e poi mettendoli a cuocere
negli scaldini, comunemente detti “veggi” o “cecie”, colmi di
brace infuocata e ben protetti dalla cenere. Il risultato ottenuto,
ovvero i bollenti dolcetti, venivano golosamente mangiati
da questi “pasticceri in erba”. Alla popolare fiera di San
Simone partecipavano, però, anche i rigattieri e i rivenditori
di cose usate in genere, che esponevano la loro merce nella
vicina Piazza di Santa Croce. In questo “mercatino delle
pulci” si potevano acquistare gli oggetti più svariati, dai letti
di legno a quelli di ferro, dagli armadi, cassapanche, madie,
tavoli e lumi, ai cocci da cucina, dai vestiti a tante altre
cianfrusaglie. Gli acquirenti erano per lo più povera gente e
contadini che, per mettere su casa, cercavano di farlo con
poca spesa, “centellinando i soldi co’ gomiti”, aspettando
con ansia l’occasione propiziata dalla festa di San Simone.
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SAN SIMONE