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Rivista ottobre 2021

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Curiosità storiche

fiorentine

A cura di

Luciano e Ricciardo Artusi

Per la festa di San Simone ballotte e vin novo

di Luciano e Ricciardo Artusi

Una festa persa nella polvere

del tempo. Il Quartiere

di Santa Croce esultava

festante il 28 ottobre di ogni anno,

quando veniva organizzato, all’inizio

della stagione invernale, il mercato

dei marroni e delle castagne

che rallegrava l’affollato rione di

San Simone. La fiera-mercato, che

durava per tre giorni consecutivi,

era l’evento legato alla vendita delle

castagne gustate in diversi modi.

Questa fiera è rimasta in vita fino

alla metà dell’Ottocento. Si svolgeva

esattamente in Piazza San Simone,

di fronte all’omonima chiesa

e nelle vie adiacenti, dove le castagne

ed i marroni facevano bella

mostra in grandi balle, in canestri

o ammonticchiate sui barroccini;

la vendita avveniva sia all’ingrosso che al dettaglio perché

il prodotto, specialmente in quei giorni, era assai richiesto

così come la farina dolce ed i marroni secchi. Del resto anche

il noto proverbio ha sempre proposto: «Per San Simone,

ballotte e vin novo!». E proprio il frizzante vino appena tolto

“dal ribollir dei tini” di carducciana memoria, ben si prestava

a rallegrare gli animi davanti ad un fumante paiolo di

ballotte, cioè di castagne bollite con un rametto di finocchio

selvatico o con foglie di alloro, oppure gustando le “ridenti”

caldarroste o bruciate, arrostite nell’apposita padella bucata,

posta sulla fiamma di carbone, dopo la preventiva incisione

detta “castratura” per evitare che scoppiassero. Altra

locuzione che veniva usata a proposito della farina di castagne

(che al tempo costava veramente poco), era quella

che consigliava: «Se saziare il corpo vuoi e spender poco,

pan di legno (pattona) e vin di nuvole (acqua)». Ma un tempo,

di bruciate e farina dolce si faceva commercio non solo

per la festa di San Simone e non solo attraverso lo smercio

ambulante; infatti, in città esistevano esclusive botteghe di

“bruciatai” e “buzzurri”. Quest’ultimi erano di origine elveti-

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

ca ma geograficamente italiana, in quanto provenivano dal

Canton Ticino. Il vocabolario della Crusca così definisce

“buzzurro”: «Questo nome suol darsi in Toscana a quegli

svizzeri che nella stagione dell’inverno ci vengono ad esercitare

la loro industria di vender castagne, bruciate, marron

secchi, ballotte, castagnacci, pattona e farina dolce». Molti

erano i venditori ambulanti di questi prodotti che vivevano

alla giornata, spostandosi adagio adagio per la città sollecitando

gli avventori all’acquisto, con spassose espressioni:

«Le bollano, le bollan davvero le mi’ ballotte! Queste le cavo

ora…. che arrosti…. le ridano…. che bruciate! Cardo il migliaccio…

la lo senta sposa come l’ho cardo… se la un si spiccia

ʼun gnene tocca!». Un passatempo che veniva praticato dagli

adolescenti, era quello di prendere alle mamme i ditali

di metallo utilizzati per cucire, che venivano adoperati quali

forme a tronco di cono per cuocere piccoli dolcetti, ottenuti

riempiendoli con la farina dolce e poi mettendoli a cuocere

negli scaldini, comunemente detti “veggi” o “cecie”, colmi di

brace infuocata e ben protetti dalla cenere. Il risultato ottenuto,

ovvero i bollenti dolcetti, venivano golosamente mangiati

da questi “pasticceri in erba”. Alla popolare fiera di San

Simone partecipavano, però, anche i rigattieri e i rivenditori

di cose usate in genere, che esponevano la loro merce nella

vicina Piazza di Santa Croce. In questo “mercatino delle

pulci” si potevano acquistare gli oggetti più svariati, dai letti

di legno a quelli di ferro, dagli armadi, cassapanche, madie,

tavoli e lumi, ai cocci da cucina, dai vestiti a tante altre

cianfrusaglie. Gli acquirenti erano per lo più povera gente e

contadini che, per mettere su casa, cercavano di farlo con

poca spesa, “centellinando i soldi co’ gomiti”, aspettando

con ansia l’occasione propiziata dalla festa di San Simone.

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SAN SIMONE

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