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La Toscana nuova Dicembre 21

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I giardini pensili di Babilonia (XX secolo), guache su carta, scuola inglese

Particolare delle mura di Babilonia con le effigi a rilievo di animali feroci

stante l’aspetto e il significato negativo del nome, dobbiamo

invece sottolineare come Babilonia sia la prima e più antica

città del mondo e per lungo tempo la più splendida di tutte le

città antiche, tanto da essere considerata dai Greci una delle

sette meraviglie di mondo. Non per nulla Alessandro Magno

la volle come capitale del suo impero e lo stesso Ciro, il re dei

persiani, il conquistatore di Babilonia, Harran, Uruk e Ninive,

prima di lui aveva dato l’ordine ai suoi soldati di non distruggere

la spettacolare capitale, ricca di palazzi monumentali quali

la Torre di Babele, i famosi giardini pensili, la porta di Ishtar e

la via della Processione. Gioielli urbanistici di cui tutti i grandi

scrittori classici, da Erodoto a Berosso, Strabone, Diodoro Siculo

e Curzio Rufo, lasciarono notizie che si rivelarono preziose

quando gli archeologi del XIX secolo ritroveranno i resti dei

forni per cuocere i mattoni e le ceramiche, fino alle incredibili

biblioteche contenenti una documentazione letteraria ancora

oggi non completamente venuta alla luce e tradotta. Questi

antichi poemi, dal titolo L’epopea di Gilgamesh, erano ben conosciuti

nelle civiltà che seguiranno, Assiro-Babilonesi, Israeliani,

Greci e Romani. Gilgamesh, leggendario re di Uruk, eroe

di numerosi racconti sumeri utilizzati dai Babilonesi, è il personaggio

chiave del poema e della intera sua vita. Quest’opera,

la più vasta finora ritrovata in Mesopotamia, è giunta a

noi in varie versioni e lingue; quella più lunga, in dodici canti,

proviene dalla biblioteca di Assurbanipal (VII sec. a.C.); si conoscono

inoltre traduzioni ittite e hurrite di alcune parti del poema.

Personaggio inquieto e turbolento, Gilgamesh opprime

gli abitanti di Uruk che si lamentano con gli dei. Questi inviano

allora la dea madre Aruru che

crea con l’argilla Enkidu, l’uomo

innocente della pianura,

il buon selvaggio destinato a

domare l’arrogante Gilgamesh

e a diventarne amico dopo

aver sostenuto con lui una lotta selvaggia. I due compiono

numerose imprese eroiche. Rimasto solo dopo la morte dell’amico

voluta dagli dei, Gilgamesh si domanda il perché della

morte e decide di mettersi alla ricerca dell’immortalità e del

solo uomo che sia riuscito a divenire immortale: Utna Pistin,

l’eroe del diluvio (il biblico Noè). Atzamhasis, l’eroe devoto del

dio Enki, al quale viene rivelata la futura catastrofe; nell’epopea

di Gilgamesh è chiamato Utna Pistin. Quest’ultimo gli indicherà

dove procurarsi la pianta dell’eterna giovinezza che

cresce in fondo al mare. L’episodio che più fa riflettere è la conoscenza

da parte del Noè biblico di questa pianta che potrà

donare a Gilgamesh. L’eroe, infatti, riuscirà a raccoglierla nella

profondità delle acque ma, risalito a terra, stanco dalla fatica,

vorrà riprendersi con un breve riposo. Ne approfitterà il serpente

in agguato per impadronirsi della pianta miracolosa. Il

serpente, come noto, cambia periodicamente la sua pelle ed è

per questo ripreso come simbolo dell’eterna giovinezza. Stanco

e deluso, l’eroe cercherà consolazione a Uruk contemplando

le potenti mura della sua città. Torniamo a Babilonia che si

stendeva sulle due rive dell’Eufrate. La ricostruzione mostra il

centro religioso della città, con il tempio di Marduk a destra,

l’Esagila e la famosa torre di Babele. Le grandi città della Mesopotamia

presentavano un assetto caratteristico: delle torri

templari erette su piattaforme sopraelevate. Queste torri raggiungevano

altezze notevoli per l’epoca, in particolare quelle

di Babilonia che erano ciascuna di sette piani (vedi ancora

oggi in Egitto la piramide di Saqqara, deformazione del termine

Ziqquarat, anch’essa di sette gradoni). Nel più alto dei sette

ripiani dedicato alla dea dell’amore Ishtar, risiedevano le

sue sacerdotesse, che per le loro “funzioni religiose”… sic!…

hanno fatto rimanere famoso per secoli il detto “Mi sento al

settimo cielo!”. È comprensibile che essa abbia colpito l’immaginazione

e che la Torre di Babele sia diventata nella Bibbia

il simbolo della Hibris.

GENESI DI UN MITO

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