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I giardini pensili di Babilonia (XX secolo), guache su carta, scuola inglese
Particolare delle mura di Babilonia con le effigi a rilievo di animali feroci
stante l’aspetto e il significato negativo del nome, dobbiamo
invece sottolineare come Babilonia sia la prima e più antica
città del mondo e per lungo tempo la più splendida di tutte le
città antiche, tanto da essere considerata dai Greci una delle
sette meraviglie di mondo. Non per nulla Alessandro Magno
la volle come capitale del suo impero e lo stesso Ciro, il re dei
persiani, il conquistatore di Babilonia, Harran, Uruk e Ninive,
prima di lui aveva dato l’ordine ai suoi soldati di non distruggere
la spettacolare capitale, ricca di palazzi monumentali quali
la Torre di Babele, i famosi giardini pensili, la porta di Ishtar e
la via della Processione. Gioielli urbanistici di cui tutti i grandi
scrittori classici, da Erodoto a Berosso, Strabone, Diodoro Siculo
e Curzio Rufo, lasciarono notizie che si rivelarono preziose
quando gli archeologi del XIX secolo ritroveranno i resti dei
forni per cuocere i mattoni e le ceramiche, fino alle incredibili
biblioteche contenenti una documentazione letteraria ancora
oggi non completamente venuta alla luce e tradotta. Questi
antichi poemi, dal titolo L’epopea di Gilgamesh, erano ben conosciuti
nelle civiltà che seguiranno, Assiro-Babilonesi, Israeliani,
Greci e Romani. Gilgamesh, leggendario re di Uruk, eroe
di numerosi racconti sumeri utilizzati dai Babilonesi, è il personaggio
chiave del poema e della intera sua vita. Quest’opera,
la più vasta finora ritrovata in Mesopotamia, è giunta a
noi in varie versioni e lingue; quella più lunga, in dodici canti,
proviene dalla biblioteca di Assurbanipal (VII sec. a.C.); si conoscono
inoltre traduzioni ittite e hurrite di alcune parti del poema.
Personaggio inquieto e turbolento, Gilgamesh opprime
gli abitanti di Uruk che si lamentano con gli dei. Questi inviano
allora la dea madre Aruru che
crea con l’argilla Enkidu, l’uomo
innocente della pianura,
il buon selvaggio destinato a
domare l’arrogante Gilgamesh
e a diventarne amico dopo
aver sostenuto con lui una lotta selvaggia. I due compiono
numerose imprese eroiche. Rimasto solo dopo la morte dell’amico
voluta dagli dei, Gilgamesh si domanda il perché della
morte e decide di mettersi alla ricerca dell’immortalità e del
solo uomo che sia riuscito a divenire immortale: Utna Pistin,
l’eroe del diluvio (il biblico Noè). Atzamhasis, l’eroe devoto del
dio Enki, al quale viene rivelata la futura catastrofe; nell’epopea
di Gilgamesh è chiamato Utna Pistin. Quest’ultimo gli indicherà
dove procurarsi la pianta dell’eterna giovinezza che
cresce in fondo al mare. L’episodio che più fa riflettere è la conoscenza
da parte del Noè biblico di questa pianta che potrà
donare a Gilgamesh. L’eroe, infatti, riuscirà a raccoglierla nella
profondità delle acque ma, risalito a terra, stanco dalla fatica,
vorrà riprendersi con un breve riposo. Ne approfitterà il serpente
in agguato per impadronirsi della pianta miracolosa. Il
serpente, come noto, cambia periodicamente la sua pelle ed è
per questo ripreso come simbolo dell’eterna giovinezza. Stanco
e deluso, l’eroe cercherà consolazione a Uruk contemplando
le potenti mura della sua città. Torniamo a Babilonia che si
stendeva sulle due rive dell’Eufrate. La ricostruzione mostra il
centro religioso della città, con il tempio di Marduk a destra,
l’Esagila e la famosa torre di Babele. Le grandi città della Mesopotamia
presentavano un assetto caratteristico: delle torri
templari erette su piattaforme sopraelevate. Queste torri raggiungevano
altezze notevoli per l’epoca, in particolare quelle
di Babilonia che erano ciascuna di sette piani (vedi ancora
oggi in Egitto la piramide di Saqqara, deformazione del termine
Ziqquarat, anch’essa di sette gradoni). Nel più alto dei sette
ripiani dedicato alla dea dell’amore Ishtar, risiedevano le
sue sacerdotesse, che per le loro “funzioni religiose”… sic!…
hanno fatto rimanere famoso per secoli il detto “Mi sento al
settimo cielo!”. È comprensibile che essa abbia colpito l’immaginazione
e che la Torre di Babele sia diventata nella Bibbia
il simbolo della Hibris.
GENESI DI UN MITO
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