4 EXPERIENCE Monfortino 1955 e la storia di Langa La degustazione da leggenda che sfata più di un mito. Perché l’Italia e Barolo non hanno nulla da invidiare ai grandi francesi Immaginatevi uno dei vini più conosciuti e apprezzati in Italia e nel mondo, il Monfortino di Giacomo Conterno. Immaginatevi il formato più grande possibile, il 13 litri. Immaginatevi un’annata assai vecchia, la 1955. Immaginatevi ora la notizia. Non è quella che questa bottiglia è stata battuta all’asta ad un prezzo esorbitante: cosa, per altro, già avvenuta, con il fortunato che se l’è aggiudicata per una cifra di circa 25 mila euro. La notizia è che qualcuno ha avuto il coraggio di aprirla quella bottiglia. Cosa che non accade spesso, si sa, perché vini del genere sono ritenuti, nell’immaginario comune, da collezione, da speculazione, da teca, da esposizione, da museo. Invece no. Per Marcello Brunetti (in foto, a destra), l’organizzatore dell’insolita degustazione, come per Roberto Barchi (in foto, a sinistra), che da trent’anni cerca, seleziona e vende bottiglie vecchie, i vini così vanno bevuti. Bevuti senza esitazione. Un’etichetta e un formato da leggenda, si diceva. Ma l’intento di Marcello Brunetti è proprio quello di sfatare alcuni miti, facendo parlare innanzitutto il vino. Nel panorama dell’enologia internazionale, infatti, la Langa rappresenta senza dubbio un fiore all’occhiello. E Giaco- DI FRANCESCA MORTARO mo Conterno, all’inizio del ‘900, fu uno dei primi a capire che si poteva produrre un vino da invecchiamento: un vino che non fosse solo un alimento ma che si potesse conservare a lungo. In due parole, un Barolo riserva. Nasce così il famoso Monfortino. Era il 1924. Il resto è storia. Ma la bravura e la lungimiranza di Conterno e degli altri produttori che si sono cimentati in Langa nella prima metà del Novecento sono in grado di arrivare fino a noi? E ancora, i vini di quegli anni cosa raccontano? Innanzitutto, che non abbiamo nulla da invidiare ai grandi vini francesi. Nulla da invidiare a Bordeaux, quindi, perché questi nostri vini piemontesi, calice alla mano, hanno una tenuta che li rende unici al mondo. Ed è bene ricordarlo. Ma come dicevamo, per accorgersene bisogna berli. Bisogna aprire le bottiglie e ascoltare quello che ha da dire il contenuto in ciascuna di esse. Ed è proprio quanto è successo in occasione di una grande sfilata di etichette di Langa andata in scena in un ristorante di Reggio Emilia lo scorso sabato 5 febbraio. All’apertura – operazione chirurgica che richiede tempo, massima precisione e maniacale delicatezza soprattutto nella rimozione dell’olio enologico che sta a protezione del vino – il Monfortino 1955 sorprende da tutti i punti di vista. Non c’è ossidazione al naso e non vira sull’aranciato nelle note cromatiche. Il colore è vivo, di un rosso acceso che sfuma ad un granato compatto. All’assaggio, poi, niente è fuori posto. Prevalgono l’integrità del vino e la sua perfetta evoluzione e conservazione, accompagnate da un sapore unico, fatto di qualche nota evoluta ma allo stesso tempo da un frutto fragrante, segno della giovinezza che non ti aspetti. È un vino che ha retto il tempo in maniera egregia. Nessuna ruga, nessun segno di stanchezza. 67 anni e sentirsene sulle spalle neanche 10. Ma il rendez-vous emiliano è stato un evento speciale non solto per l’assaggio in sé del grande protagonista, che già basterebbe reggere i confronti con tutti gli assaggi da qui ai prossimi 20 anni. La cosa interessante della giornata in compagnia con il Monfortino 1955 è stata rappresentata soprattutto dalla sua comparazione con altri vini del territorio, in diverse annate e formati. In passerella sono sfilati: Bartolo Mascarello 1971 Magnum e Barolo Castella 1982 da 0,75 litri. E ancora: Cordero di Montezemolo Barolo 1971, Oddero Barolo 1964, Francesco Rinaldi Barolo 1967, Calissano Barbaresco 1965, Gaja Barbaresco 1958 e 1961. E poi: Borgogno Barolo Riserva 1947 e 1931. Infine, altri quattro Monfortino: 1939, 1943, 1947 e riserva speciale 1964. Una batteria ricca ed interessante dalla quale sono rimasti indelebili nella memoria, insieme a Monfortino ‘55, Borgogno ‘47 e Gaja ‘58. Vini di produttori che oggi, non per nulla, sono i mostri sacri dell’enologia mondiale. Produttori che hanno saputo dare voce ad un territorio che ha dato vita a bottiglie intramontabili. E quando diciamo intramontabili non è per sentito dire, ma perché dopo averle aperte e bevute è balenato nella mente un’unica consapevolezza: tra 60 anni, ci regaleranno ancora grandi emozioni.
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