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il collo superbamente, drizzando le orecchie; così godeva
il figlio di Esone della forza delle sue membra,
e spesso balzava qua e là, brandendolo scudo
di bronzo e la lancia di frassino. L'avresti detto
un fulmine nella tempesta, che guizza nel cielo
avvolto nell'oscurità, piombando giù dalle nuvole
che stanno per rovesciare a terra la pioggia più nera.
Non erano più lontani dall'affrontare la prova;
si misero subito in ordine ai loro banchi
e s'affrettarono verso la piana di Ares.
Era dall'altra parte della città, non lontano,
quanto dista dalla partenza la meta d'una corsa sui carri,
quando alla morte del re i suoi parenti
bandiscono gare a piedi ed a cavallo.
E là trovarono Eeta e la folla dei Colchi,
questi a piedi sulle pendici del Caucaso,
il re sulla riva, dove il corso del fiume si piega.
Quando i compagni ebbero attaccate le gomene,
Giasone saltò giù dalla nave e andò alla prova
con la lancia e lo scudo, e prese l'elmo lucente,
pieno dei denti aguzzi, e cinse alle spalle
la spada. Era nudo, e somigliava ad Ares in parte,
in parte ad Apollo, che porta la spada dorata.
Guardò il campo, e vide il giogo di bronzo per i tori
e l'aratro tutto d'un pezzo, fatto d'acciaio durissimo.
Si fece avanti, e piantò nel terreno la lancia possente,